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La città ready-made. Partecipazione, relazione e azione nel ‘900 / The city as a ready-made. Participation, relation and action in the XX century

D'Angelo, Claudia <1983> 05 June 2015 (has links)
La città ready-made. Partecipazione, relazione e azione nel ‘900 è un percorso storico-critico che si snoda lungo tutto il ‘900 alla ricerca degli episodi in cui è possibile riscontrare la partecipazione nelle pratiche estetiche di diverse generazioni di artisti; per imbastire un racconto puntuale e sistematico, inoltre, si è ricorsi ad una metafora genetica che ha riscontrato una fase — corrispondente alla prima metà del secolo — in cui il cromosoma responsabile di tale afflato partecipativo è risultato recessivo e un’altra — corrispondente stavolta alla seconda metà, più o meno dagli anni ’60 ai ’90 — in cui si è potuto registrare, altresì, una dominanza. Ad influire su questi fenomeni e sul loro svolgimento nei decenni, i protagonisti assoluti di questa trattazione: la Città e il Pubblico che, di volta in volta, facendo sentire la loro presenza o facendola venir meno, hanno dettato l’agenda della socio-relazionalità nel ‘900. Si è, inoltre, provveduto a rileggere alcuni episodi estetici al fine di evidenziarne un andamento ciclico e di ripetizione: mentre nella prima metà della ricerca si è scovato il seme della socio-relazionalità nelle visite e nelle derive di dadaisti e situazionisti, nella seconda ci si è concentrati sull’ampia produzione dei collettivi artistici di New York negli anni ’70. A dimostrazione di come la relazionalità non sia un fenomeno esclusivamente legato alla pratica dell’arte degli anni ’90, ma che, con le opportune distinzioni generazionali, è possibile riscontrarne le tracce in tutta la contemporaneità. / The city as a ready-made. Participation, relation and action in the XXI century is a storiographic and critical path through the long run of the last century in order to find every generational episodes in which participation has been used as an aesthetic practice; to gain a more coherent point of view, I have been referring to a genetical metaphor that helped in figuring out a first phase — corresponding to first half of the century — in which the relational chromosome has resulted in being recessive; and a second phase — more or less corresponding to the 60’s and 90’s — in which the chromosome turned otherwise out to be dominant. Responsability for these phenomena belongs to the main characters of this story: the City and the Audience directly responsible, step by step, for the socio-relational agenda in the XXI century. Furthermore, some of these aesthetic episodes have been reviewed to better describe their cyclic nature: what happened in the first period (see dadaists visites or situationists’ derives, for example), happened again in the second period. Something to be osserved in New York’s artists collectives’ experiences, such as Group Material. All that said, it’s important to stop thinking about Relational Aesthetic as a 90’s phenomenon, in order to reveal its traces and clues in the contemporary era as a whole.
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Arte e design in Italia dalla metà degli anni Sessanta alle ultime tendenze / Art and design in Italy from the mid-sixties of the last century to the present

Lotta, Daniela <1974> 05 June 2015 (has links)
Il lavoro di ricerca è rivolto ad indagare l’emersione di schemi di variazione comuni all’arte e al design, limitatamente al contesto italiano e in un arco di tempo che va dalla metà degli anni Sessanta del secolo scorso a oggi. L’analisi vuole rintracciare, mediante l’applicazione della metodologia fenomenologica, un sentire condiviso tra le due discipline e, nel pieno rispetto dei relativi linguaggi e con nessuna volontà di sudditanza degli uni rispetto agli altri, individuare i rapporti di corrispondenza omologica capaci di mettere in luce lo spirito del tempo che le ha generate. La ricerca si pone l’obiettivo di estendere gli studi sul contemporaneo attraverso un’impostazione che intende applicare gli strumenti metodologici della critica d’arte all’evoluzione stilistica delle tendenze del design italiano. Non si è voluto redigere una “storia” del design italiano ma, considerata anche l’ampiezza dell’argomento, si è necessariamente proceduto a delimitare il territorio di applicazione scegliendo di prendere in considerazione il solo settore del design dell’arredo. Si è dunque optato per una visione globale delle vicende del design del prodotto, tesa ad indagare gli snodi principali, concentrando pertanto l’analisi su alcuni protagonisti della cultura del progetto, ossia su quelle figure risultate dominanti nel proprio tempo perché capaci con il loro lavoro di dare un contribuito determinante alla comprensione delle fasi evolutive del design italiano. Gli strumenti utili a condurre l’analisi provengono principalmente dalla metodologia binaria individuata dallo storico dell’arte Heinrich Wölfflin e dagli studi di Renato Barilli, il cui impianto culturologico ha fornito un indispensabile contributo al processo di sistematizzazione dei meccanismi di variazione interni alle arti; sia quelli di tipo orizzontale, di convergenza reciproca con gli altri saperi, che di tipo verticale, in rapporto cioè con le scoperte scientifiche e tecnologiche della coeva cultura materiale. / The analysis was designed to track, through the application of a phenomenological method, a feeling that is common to the two disciplines. It also aims to identify relationships of homological correspondence able to highlight the spirit of the time that generated them, while fully respecting the relevant languages and in no way subjecting one to the other. The research therefore intends to extend the studies on contemporary art and design by applying the methodological tools of art criticism to the stylistic evolution of trends in Italian design. The intention was not to draw up a "history" of Italian design but it was necessary to define the area of application by choosing to consider only the field of furniture design. I have therefore opted for a global view of the sequence of events in product design, aimed at investigating major turning points and thus focusing the analysis on some of the leading figures in design culture. The tools used to conduct the analysis come mainly from the binary method identified by the art historian Heinrich Wölfflin and the studies of Renato Barilli, whose culturological system provided an essential contribution to the process of systematization of the mechanisms of variation internal to the arts; both horizontal ones, which mutually converge with other fields of knowledge, and vertical ones, which relate to the scientific and technological discoveries of contemporary material culture.
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Drammaturgia del sacro prima e dopo il padiglione della Santa Sede alla 55a Biennale di Venezia / Dramaturgy of the sacred. Before and after the pavilion of the Holy See at the 55th Venice Biennale

Gabriele, Marta <1983> January 1900 (has links)
La ricerca tenta di analizzare la relazione ambigua tra il sacro e l’arte contemporanea alla luce di eventi recenti: la partecipazione del padiglione della Santa Sede alla 55a e alla 56a Biennale d’Arte di Venezia. Arte e sacro in passato, nella loro reciproca dipendenza, rivelavano la dimensione essenziale e originaria dell’uomo; rivelavano la condizione rituale, cultuale, individuale e collettiva, che risponde alla primaria sacralità della vita. Questo tipo di osmosi è stata sostituita da singole entità non più sovrapponibili in un’era secolarizzata. L’arte può esprimere un’aura di sacralità, considerando la prevalenza dei suoi aspetti secolari? Cos’è che definisce l’arte sacra? Possiamo parlare di arte sacra o lavoro secolare sul sacro? Alcune sezioni riguardano la negoziazione di simboli sacri nell’arte contemporanea, specialmente nel rapporto tra figurativo e a-figurativo; nella committenza ecclesiale, arte e liturgia; nella retorica della citazione del sacro, tra ironia e blasfemia. Le riflessioni aprono un campo d’indagine che considera l’arte come interazioni di prospettive plurime: storica, filosofica, antropologica e psicologica. Questo lavoro tenta di analizzare il ruolo dell’immagine sacra nel contemporaneo, nell’era del disincanto, alla luce di questo ritrovato interesse per il sacro appunto e per una ormai obsoleta storiografia dell’arte, che tenta di mutuarsi in storia delle immagini. / The research tries to analyze the ambiguous relationship between the sacred and contemporary art in the light of recent events: the pavilion of the Holy See at the 55th and 56th Venice Biennale. Art and sacred, in the past, in their mutual dependence, revealed the essential and original dimension of man; they revealed the ritual, cultish, individual and collective condition, that responds to the primary sacredness of life. This kind of osmosis has been replaced by individual entities that no longer overlap in the secularized era. Can art express an aura of sacredness, considering the prevalence of its secular aspects? What is it that defines the sacred art? Can we talk about sacred art or secular work on sacred? Some section of the thesis concerns the negotiation of sacred symbols in contemporary art, especially in: figurative and a-figurative art; religious patronage, art and liturgy; rhetoric of the sacred quote between irony and blasphemy. Reflections open up the field of investigation and consider art as a result of the interaction between plural perspectives: historical, philosophical, anthropological and psychological. So this work attempts to analyze the role of the sacred image in contemporary era, the era of disenchantment, in the light of this renewed interest in the sacred and in the obsolete historiography of art, that tries to become history of images.
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Il fenomeno delle collezioni aziendali d’arte contemporanea in Italia. Un approccio storico e critico per l’analisi delle raccolte d’arte. Interpretazione e confronto fra le differenti genesi delle collezioni. / The characteristics of contemporary art corporate collections in Italy. A historical and critical approach for the analysis of art collections. Interpretation and comparison of different origins of the collections.

Pirozzi, Chiara <1983> 31 May 2016 (has links)
Il progetto di ricerca ha come fondamento d’analisi il collezionismo d’arte contemporanea aziendale. La ricerca intende indagare il legame esistente tra le forme di collezionismo d’arte aziendale e lo sviluppo della crescita della cultura contemporanea in Italia. Tali aspetti, a mio parere strettamente connaturati fra loro, rappresentano un tassello pregnante dell’analisi sul sistema dell’arte contemporanea. L’entrata massiccia delle corporate art collections in Italia ha avuto come effetto un’accelerazione della dinamicità del sistema dell’arte, condizionandone fortemente soprattutto gli aspetti socioculturali ed economici. Affrontando il tema sia da un punto di vista generale e storico sia attraverso una comparazione fra due dissimili modelli di collezioni aziendali, ho cercato di rispondere a domande come: è possibile tracciare una funzione sostanziale del collezionismo d’impresa in Italia? In che misura l’attuale interazione tra le forme di committenza e di mecenatismo privato incidono sulle modalità creative degli artisti e sulla fruizione dell’opera? Si può attribuire un valore culturale diffuso alle collezioni d’arte contemporanea aziendale in fieri attraverso l’elaborazione di un giudizio critico? La seconda parte della ricerca si è concentrata sullo studio comparato di due tra le principali collezioni d’arte contemporanea aziendali presenti nella regione Emilia Romagna. Nello specifico mi sono occupata della Collezione Barilla, di proprietà della famiglia d’industriali parmigiani, e della Collezione Maramotti, afferente alla casa di moda Max Mara, con sede a Reggio Emilia. La scelta di approfondire queste due realtà proviene da una duplice valutazione d’intenti: da un lato è stato necessario circoscrivere il campo d’analisi alla regione Emilia Romagna al fine di porre in essere una riflessione quanto più puntuale e riferibile a un’area geografica che avesse caratteristiche storico/sociali equipollenti, dall’altro lato le collezioni analizzate rappresentano due tipologie estremamente differenti, in grado per questo di descrivere la vastità del fenomeno e le sue possibili declinazioni / The project analyzes the contemporary corporate art collections. The research analyzes the link between the business collectors and the growth of contemporary art in Italy. These aspects, closely united with one another, represent a fundamental point of the analysis of contemporary art system. The creation of corporate art collections in Italy has generated an acceleration of the art system, affecting especially socio-cultural and economic aspects. The issue has been addressed by a general and historical point of view and through a comparison of two different models of corporate collections, I tried to answer questions such as: can you give a substantial function to corporate collectors in Italy? How they interact the forms of private patronage with the creativity of the artists? can you attribute a cultural value to corporate collections of contemporary art in fieri with a critical judgment? The second part of the research was a comparative bethween two contemporary art corporate collections in Emilia Romagna region: the Barilla Collection, owned by the family of industrialists of Parma, and Maramotti Collection, Max Mara fashion house, based in Reggio Emilia. The choice of these two comes from the need to circumscribe the field of analysis to the region to achieve a precise reflection, confined to a geographical area with similar historical and social characteristics and also because the collections analyzed are very different and for this reason they can describe the extent of the phenomenon.
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Fluxus. Prima, durante, dopo / Fluxus. Before, during, beyond / Fluxus. Avant, pendant, après

Musso, Claudio <1982> 16 September 2014 (has links)
Fluxus è stato definito il più radicale e sperimentale movimento artistico degli anni Sessanta. Dalla prima comparsa ad oggi è stato osannato, analizzato, dimenticato e riscoperto molte volte, tuttora però rimane una delle più grandi incognite critiche della storia dell’arte del Novecento. La ricerca si sviluppa secondo uno schema tripartito: indagare origini, ascendenze e ispirazioni; collocare e contestualizzare il periodo di nascita e sviluppo; esaminare influenze e lasciti. Attraverso un confronto di manifesti, scritti autografi e opere si è cercato di verificare punti di contatto e di continuità tra Fluxus e le Avanguardie Storiche, con particolare riferimento a Futurismo e Dadaismo. Successivamente si è cercato di ricostruire le dinamiche che hanno portato, alla fine degli anni Cinquanta, al definirsi di un terreno fertile dal quale sono germinate esperienze strettamente legate quali Happening, Performance Art e lo stesso Fluxus, del quale si sono ripercorsi i cosiddetti “anni eroici” per evidenziarne le caratteristiche salienti. Nella terza sezione sono state individuate diverse ipotesi di continuazione dell’attitudine Fluxus, dal percorso storico-filologico dei precoci tentativi di musealizzazione, alle eredità dirette e indirette sulle generazioni successive di artisti, fino alla individuazione di idee e concetti la cui attualità rende Fluxus un elemento imprescindibile per la comprensione della cultura contemporanea. / Fluxus has been called the most radical and experimental art movement of the sixties. From the first appearance it has been praised, analyzed, forgotten and rediscovered many times, but still remains one of the great critical unknowns of the Art History of the twentieth century. The research develops according to a tripartite scheme: to investigate the origins and the inspirations; to place and contextualize the period of the birth and development; to examine influences and legacies. Through a comparison of manifestos, autograph texts and works has tried to verify points of contact and continuity between Fluxus and the Avant-garde, with particular reference to Futurism and Dadaism. Then the research tried to reconstruct the dynamics that led to the end of the fifties, to be defined as a fertile ground from which germinated experiences - closely related - such as Happenings, Performance Art and Fluxus as well, which it retraced the so-called "heroic years" to highlight the salient features. In the third section, several hypotheses of the Fluxus-attitude have been identified, from the historical-philological path of the early attempts of "musealization", the direct and indirect inheritance on later generations of artists, up to the identification of ideas and concepts whose actuality makes Fluxus an essential element for the understanding of contemporary culture.
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Arti decorative: Bologna e Faenza tra Ottocento e Novecento

Baldini, Elisa <1970> 29 June 2009 (has links)
La ricerca approfondisce gli studi iniziati dalla dott.ssa Baldini in occasione della tesi di laurea e amplia le indagini critiche avviate per la mostra sull’Aemilia Ars, società attiva nel campo delle arti decorative bolognesi e romagnole tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento. Inizialmente si intendeva allargare questo tipo di ricerca a tutto il territorio regionale, ma data la complessità e l’estensione della materia, si è optato per una ridefinizione degli ambiti. La ricerca si è quindi interessata alle aree di Bologna e Faenza individuando le connessioni che, nel periodo indicato, intercorrono tra la cultura artistica locale e quella nazionale ed europea. Per quanto riguarda l’ambiente faentino ci si è concentrati sull’opera degli artisti del Cenacolo baccariniano e delle botteghe artigiane locali, che stabiliscono un apprezzabile contatto tra le due città. L’indagine si orienta soprattutto allo studio degli aspetti decorativi legati agli arredi urbani, agli allestimenti d’interni e alle arti applicate, considerando gli eventuali collegamenti con pittura, grafica e scultura. Nella prima parte del lavoro viene delineato sinteticamente il panorama artistico e culturale di Bologna e di Faenza nel periodo che va dall’ultimo decennio dell’Ottocento al primo decennio del secolo successivo. Le due città, connesse da una rete di collaborazioni tra artisti e laboratori artigianali, vivono un momento di particolare vivacità e grazie all’impegno di valenti personalità e alla congiunzione d’interessanti sinergie, sono in grado confrontarsi con importanti esempi nazionali ed internazionali. Il clima artistico faentino di questi anni risente ancora della significativa eredità neoclassica lasciata da Felice Giani, il quale oltre a fornire ad artisti e artigiani ineludibili esempi nei palazzi locali – tra cui primeggiano gli splendidi apparati decorativi di Palazzo Milzetti – si era fatto promotore insieme al Laderchi della locale Scuola di Disegno. La Scuola, che dal 1879 era divenuta Scuola d’Arti e Mestieri, viene diretta da Antonio Berti per un quarantennio, dal 1866 al 1906. Il Berti, formatosi in area fiorentina e sostanzialmente antiaccademico, si fa portatore a Faenza d’istanze macchiaiole. In questi anni la Scuola si proietta anche verso una concezione delle arti decorative che s’ispira al mondo inglese delle Arts and Crafts. L’artigianato bolognese nella seconda metà dell’Ottocento è ancora saldamente ancorato ad una tradizione che affonda le sue radici nei due secoli precedenti. La cultura figurativa della città è inoltre influenzata dalla Accademia Clementina, i cui insegnamenti non risentono particolarmente del clima internazionale. Nasce proprio in questo periodo Aemilia Ars, uno dei più innovativi movimenti del contesto nazionale nel campo delle arti decorative. I membri del gruppo, raccoltisi intorno alla carismatica figura di Alfonso Rubbiani nei primi anni Ottanta, sono attratti da influenze nordeuropee e sin dall’inizio si mostrano orientati a seguire precetti ruskiniani e preraffaelliti. Molto importante in entrambe le città, per l’evoluzione dello scenario artistico e artigianale – in questi anni più che mai unite in un rapporto di strettissima correlazione – è l’apporto e il sostegno offerto dai salotti, dai circoli, dai caffé e dai cenacoli locali. Queste realtà alimentano il processo di rinnovamento, fornendo valide occasioni d’incontro e confronto tra gli operatori culturali locali e ospiti italiani e stranieri; supportano inoltre le nuove esperienze tese allo svecchiamento del settore produttivo, attraverso quel fenomeno sociale così tipico di questi anni che è la filantropia di marca più o meno utopista e socialista. Solo per citare alcuni esempi si deve ricordare l’attività dei cenacoli che si raccolsero a Faenza intorno ad Angelo Marabini, a Pietro Conti e a Domenico Baccarini, ma anche il sostegno che le famiglie Cavazza e Pizzardi non fecero mancare alle iniziative del gruppo bolognese, o ancora l’attività di cenacoli artistici come l’Accademia della Lira e il Comitato per Bologna Storica ed Artistica. Nella seconda parte del lavoro l’attenzione si è focalizzata sull’attività degli artisti e artigiani legati ad Alfonso Rubbiani, uniti in un sodalizio che fin dalla metà degli anni Ottanta prende il nome di Gilda di San Francesco e successivamente si istituzionalizza in Aemilia Ars. Si è cercato di esaminare l’intero campo di interventi per settori produttivi, delineando le principali modalità e caratteristiche operative di Aemilia Ars, dando risalto ai maggiori operatori di ogni settore. Ha inoltre dato ampio spazio dal punto di vista documentario, iconografico e fenomenologico al raffronto tra il lavoro dei bolognesi e quello che si ritiene essere stato per questi artefici il più rilevante ambito di riferimento, cioè l’attività degli artisti e artigiani inglesi che si formarono ed operarono attorno alla figura di William Morris. In conformità ai dettami anglosassoni si avvia un rinnovamento della tradizione artigianale sensibile dal punto di vista formale al mondo della natura, da cui sono selezionate forme eccentriche, idonee a subire un processo di razionalizzazione sintetizzante. Per quanto riguarda le modalità di realizzazione, si assiste spesso all’adozione di metodiche ibride che risentono di una volontà di recupero di modi produttivi antichi congiunti a materiali nuovi o perlomeno inusuali. Questo slancio innovatore, che si avvale di elementi fitomorfi, si fonde a un gusto storicista rivolto in particolar modo al recupero di modelli tardogotici – assai diffuso in Europa – o del primo Rinascimento; in entrambi i casi si tratta di forme particolarmente adatte alla modalità lineare ed astrattiva a cui tendono i principali interpreti dell’ultimo ventennio dell’Ottocento. I settori produttivi che si sono indagati riguardano prevalentemente la ceramica, l’ebanisteria, i ferri battuti, l’oreficeria, le arti tessili e i cuoi. Gran parte di queste lavorazioni – che si erano attardate nella realizzazione di oggetti dalle forme pesanti, di ispirazione seicentesca, certamente poco adatte all’affermarsi di una produzione industriale – subiscono ora una decisa accelerazione verso forme più leggere e svelte che, adeguandosi alla possibilità di riproduzione seriale degli oggetti, si diffonderanno quasi capillarmente tra l’aristocrazia e la borghesia, faticando tuttavia a raggiungere le classi meno abbienti a causa degli elevati costi di produzione. Nell’ultima parte viene tracciato sinteticamente il quadro delle attività artistiche e artigianali faentine del periodo indicato, con una particolare attenzione all’opera delle personalità afferenti al Cenacolo baccariniano: Giovanni Guerrini (Faenza 1887 – Roma 1972), Francesco Nonni (Faenza 1885 – 1976), Domenico Rambelli (Faenza 1886 – Roma 1972), Orazio Toschi (Lugo 1887 – Firenze 1972) e Giuseppe Ugonia (Faenza 1881 – Brisighella 1944). Viene notato che i giovani artisti, riunitisi intorno alla figura di Domenico Baccarini, interessati all’area anglosassone ed impegnati nel rinnovamento dell’artigianato locale, si avvicinano marginalmente al gusto floreale nella fase iniziale di ispirazione simbolista, per approdare negli anni successivi ad esiti spesso più vicini all’Espressionismo o al gusto déco. Viene tracciato un panorama delle attività articolato per settori produttivi: ceramica, ebanisteria e ferri battuti, all’interno dei quali si è dato risalto a coloro che maggiormente hanno influito sull’innovazione e lo sviluppo dell’artigianato locale. Si è inteso ricercare quelle che furono le principali collaborazioni con gli artisti e le botteghe prese in esame nel capitolo precedente, mettendo in rilievo le affinità stilistiche con il contesto nazionale ed europeo. Oltre ai già citati artisti inglesi è stato messo in evidenza il riferimento all’area scozzese e mitteleuropea. Questa ricerca si propone lo studio delle relazioni che si stabiliscono tra l’estetica neomedievalista e l’aspirazione al rinnovamento delle arti decorative. Tale orientamento, che nasce e si sviluppa tra Francia e Inghilterra alla metà dell’Ottocento intorno agli scritti e alle opere di figure quali Eugène Viollet-le-Duc e John Ruskin, è prontamente recepito in Italia tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta dell’Ottocento dal gruppo di artisti e artigiani riunitosi nel capoluogo emiliano intorno ad Alfonso Rubbiani. In seguito questi artisti prenderanno strade diverse, portando con sé la propria cifra stilistica legata a quel gusto che in Italia si chiamerà “Stile Floreale”, che nel frattempo si diffonde anche attraverso importanti vetrine quali l’Esposizione Internazionale di Arte Decorativa di Torino e le Biennali veneziane nonché sulle pagine di autorevoli riviste come Emporium e Arte Italiana Decorativa e Industriale. Il successo dell’esperienza bolognese unito alla collaborazione che sorse con la città di Faenza, si ritiene abbia offerto significativi stimoli per la formazione di alcuni tra i principali artisti faentini di fine secolo.
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Arte/Cinema. Dinamismo futurista e extra artisticità dadaista

Naldi, Fabiola <1971> 29 June 2009 (has links)
La ricerca ha bene analizzato lo stretto rapporto che si instaura fra le Avanguardie Storiche e le tecnologie più innovative dei primi anni del Novecento. Con il Futurismo (argomento trattato nel primo anno di ricerca di dottorato) e, in seguito, con il Dadaismo (principale soggetto di studio del secondo anno di ricerca), la candidata sottolinea i rapporti fra le avanguardie artistiche e la neonata tecnica cinematografica (1895). Il primo capitolo si concentra sugli enormi cambiamenti, sia materiali sia culturali, vissuti dalla nuova società di inizio Novecento. I principali concetti analizzati sono: i molteplici sviluppi tecnologici, la disputa teorica sul cinematografo che, tra il 1905 e il 1907, acquista maggiore rilevanza e la nuova “visione” della realtà. In particolare modo nel primo capitolo si affronta anche il dibattito culturale di fine Ottocento che contribuirà alle avanguardistiche affermazioni futuriste. L’idea di confrontare, in perfetta omologia, la nuova “visione” del cinema e le più importanti scoperte materiali del tempo è un interessante apporto a tutta la ricerca dove l’utilizzo del mezzo cinematografico diventa un mezzo perfetto per analizzare i flussi temporali, non più diacronici bensì sincronici dei fenomeni artistici. Inoltre, si sottolinea come la crescente convergenza fra differenti forme artistiche e il cinema d’avanguardia diventino uno strumento culturale capace di aprire nuovi universi e prospettive. E’ con il Futurismo che si inizia a parlare di contaminazioni fra differenti mezzi di espressione non necessariamente legati alla “rappresentazione” pittorica o scultorea. E’ invece il movimento Dadaista a sviluppare il discorso iniziato dai Futuristi e a concretizzare il binomio arte/cinema al fine di condividere il tempo della registrazione filmica e l’intenzione artistica degli autori presi in esame. Una parte importante del lavoro è stata l’analisi e lo studio dei materiali filmici recuperati sia in ambito futurista sia in ambito dadaista. La stesura di un approfondito indice ragionato ha permesso importanti chiarimenti sull’argomento trattato. La ricerca predisposta dalla candidata si è avvalsa di strumenti metodologici differenti con l’intento di far emergere il complesso degli interventi dei principali artisti operanti all’interno dei due movimenti presi in esame, tracciandone le omologie con le principali innovazioni tecnologiche.
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Percorsi di gender performance: fotografia tra arte e moda dagli anni Novanta ad oggi

Carpanini, Clara <1976> 25 June 2010 (has links)
My project explores and compares different forms of gender performance in contemporary art and visual culture according to a perspective centered on photography. Thanks to its attesting power this medium can work as a ready-made. In fact during the 20th century it played a key role in the cultural emancipation of the body which (using a Michel Foucault’s expression) has now become «the zero point of the world». Through performance the body proves to be a living material of expression and communication while photography ensures the recording of any ephemeral event that happens in time and space. My questioning approach considers the gender constructed imagery from the 1990s to the present in order to investigate how photography’s strong aura of realism promotes and allows fantasies of transformation. The contemporary fascination with gender (especially for art and fashion) represents a crucial issue in the global context of postmodernity and is manifested in a variety of visual media, from photography to video and film. Moreover the internet along with its digital transmission of images has deeply affected our world (from culture to everyday life) leading to a postmodern preference for performativity over the more traditional and linear forms of narrativity. As a consequence individual borders get redefined by the skin itself which (dissected through instant vision) turns into a ductile material of mutation and hybridation in the service of identity. My critical assumptions are taken from the most relevant changes occurred in philosophy during the last two decades as a result of the contributions by Jacques Lacan, Michel Foucault, Jacques Derrida, Gilles Deleuze who developed a cross-disciplinary and comparative approach to interpret the crisis of modernity. They have profoundly influenced feminist studies so that the category of gender has been reassessed in contrast with sex (as a biological connotation) and in relation to history, culture, society. The ideal starting point of my research is the year 1990. I chose it as the approximate historical moment when the intersection of race, class and gender were placed at the forefront of international artistic production concerned with identity, diversity and globalization. Such issues had been explored throughout the 1970s but it was only from the mid-1980s onward that they began to be articulated more consistently. Published in 1990, the book "Gender trouble: feminism and the subversion of identity" by Judith Butler marked an important breakthrough by linking gender to performance as well as investigating the intricate connections between theory and practice, embodiment and representation. It inspired subsequent research in a variety of disciplines, art history included. In the same year Teresa de Lauretis launched the definition of queer theory to challenge the academic perspective in gay and lesbian studies. In the meantime the rise of Third Wave Feminism in the US introduced a racially and sexually inclusive vision over the global situation in order to reflect on subjectivity, new technologies and popular culture in connection with gender representation. These conceptual tools have enabled prolific readings of contemporary cultural production whether fine arts or mass media. After discussing the appropriate framework of my project and taking into account the postmodern globalization of the visual, I have turned to photography to map gender representation both in art and in fashion. Therefore I have been creating an archive of images around specific topics. I decided to include fashion photography because in the 1990s this genre moved away from the paradigm of an idealized and classical beauty toward a new vernacular allied with lifestyles, art practices, pop and youth culture; as one might expect the dominant narrative modes in fashion photography are now mainly influenced by cinema and snapshot. These strategies originate story lines and interrupted narratives using models’ performance to convey a particular imagery where identity issues emerge as an essential part of fashion spectacle. Focusing on the intersections of gender identities with socially and culturally produced identities, my approach intends to underline how the fashion world has turned to current trends in art photography and in some case turned to the artists themselves. The growing fluidity of the categories that distinguish art from fashion photography represents a particularly fruitful moment of visual exchange. Varying over time the dialogue between these two fields has always been vital; nowadays it can be studied as a result of this close relationship between contemporary art world and consumer culture. Due to the saturation of postmodern imagery the feedback between art and fashion has become much more immediate and then increasingly significant for anyone who wants to investigate the construction of gender identity through performance. In addition to that a lot of magazines founded in the 1990s bridged the worlds of art and fashion because some of their designers and even editors were art-school graduates encouraging innovation. The inclusion of art within such magazines aimed at validating them as a form of art in themselves supporting a dynamic intersection for music, fashion, design and youth culture: an intersection that also contributed to create and spread different gender stereotypes. This general interest in fashion produced many exhibitions of and about fashion itself at major international venues such as the Victoria and Albert Museum in London, the Metropolitan Museum of Art and the Solomon R. Guggenheim Museum in New York. Since then this celebrated success of fashion has been regarded as a typical element of postmodern culture. Owing to that I have also based my analysis on some important exhibitions dealing with gender performance like "Féminin-Masculin" at the Centre Pompidou of Paris (1995), "Rrose is a Rrose is a Rrose. Gender performance in photography" at the Solomon R. Guggenheim Museum of New York (1997), "Global Feminisms" at the Brooklyn Museum (2007), "Female Trouble" at the Pinakothek der Moderne in München together with the workshops dedicated to "Performance: gender and identity" in June 2005 at the Tate Modern of London. Since 2003 in Italy we have had Gender Bender - an international festival held annually in Bologna - to explore the gender imagery stemming from contemporary culture. In few days this festival offers a series of events ranging from visual arts, performance, cinema, literature to conferences and music. Being aware that any method of research is neither race nor gender neutral I have traced these critical paths to question gender identity in a multicultural perspective taking account of the political implications too. In fact, if visibility may be equated with exposure, we can also read these images as points of intersection of visibility with social power. Since gender assignations rely so heavily on the visual, the postmodern dismantling of gender certainty through performance has wide-ranging effects that need to be analyzed. In some sense this practice can even contest the dominance of visual within postmodernism. My visual map in contemporary art and fashion photography includes artists like Nan Goldin, Cindy Sherman, Hellen van Meene, Rineke Dijkstra, Ed Templeton, Ryan McGinley, Anne Daems, Miwa Yanagi, Tracey Moffat, Catherine Opie, Tomoko Sawada, Vanessa Beecroft, Yasumasa Morimura, Collier Schorr among others.
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Le strategie del camaleonte. Dispositivi mimetici nell'arte contemporanea

Lovecchio, Anna <1980> 25 June 2010 (has links)
Inizialmente teorizzato a partire dall’osservazione degli animali negli studi di etologia di fine Ottocento, il mimetismo si è sviluppato come tekné in una interessante sinergia fra pratica artistica e necessità militare in occasione dei due conflitti mondiali. Attraverso una lettura critica dei testi di Roger Caillois e di Georges Bataille, questa ricerca posiziona il mimetismo nell’ambito della teoria della antivisione e lo inserisce all’interno del discorso anti-oculocentrico che scorre nei canali sotterranei dell’arte del Novecento. Il mimetismo destabilizza il dogma modernista della visualità pura operando un oltrepassamento dei confini identitari e il collasso della logica binaria dell’estetica occidentale fondata sulla opposizione fra soggetto e oggetto, interiorità ed esteriorità, corpo e ambiente. Articolato in tre diverse declinazioni del fare artistico - il paradigma spaziale, il paradigma aptico e il paradigma performativo – il mimetismo veicola un tipo di “presenza” che mette in gioco il corpo ed il contesto extracorporeo in un recupero estetico del valore fenomenologico dell’essere al mondo.
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Display Caotico. Mutazioni nell'arte del mostrare dagli anni Sessanta ad oggi

Vannini, Elvira <1975> 25 June 2010 (has links)
La mostra è diventata un nuovo paradigma della cultura contemporanea. Sostenuta da proprie regole e da una grammatica complessa produce storie e narrazioni. La presente ricerca di dottorato si struttura come un ragionamento critico sulle strategie del display contemporaneo, tentando di dimostrare, con strumenti investigativi eterogenei, assumendo fonti eclettiche e molteplici approcci disciplinari - dall'arte contemporanea, alla critica d'arte, la museologia, la sociologia, l'architettura e gli studi curatoriali - come il display sia un modello discorsivo di produzione culturale con cui il curatore si esprime. La storia delle esposizioni del XX secolo è piena di tentativi di cambiamento del rapporto tra lo sviluppo di pratiche artistiche e la sperimentazione di un nuovo concetto di mostra. Nei tardi anni Sessanta l’ingresso, nella scena dell’arte, dell’area del concettuale, demolisce, con un azzeramento radicale, tutte le convenzioni della rappresentazione artistica del dopoguerra, ‘teatralizzando’ il medium della mostra come strumento di potere e introducendo un nuovo “stile di presentazione” dei lavori, un display ‘dematerializzato” che rovescia le classiche relazioni tra opera, artista, spazio e istituzione, tra un curatore che sparisce (Siegelaub) e un curatore super-artista (Szeemann), nel superamento del concetto tradizionale di mostra stessa, in cui il lavoro del curatore, in quanto autore creativo, assumeva una propria autonomia strutturale all’interno del sistema dell’arte. Lo studio delle radici di questo cambiamento, ossia l’emergere di due tipi di autorialità: il curatore indipendente e l’artista che produce installazioni, tra il 1968 e il 1972 (le mostre di Siegelaub e Szeemann, la mimesi delle pratiche artistiche e curatoriali di Broodthaers e la tensione tra i due ruoli generata dalla Critica Istituzionale) permette di inquadrare teoricamente il fenomeno. Uno degli obbiettivi della ricerca è stato anche affrontare la letteratura critica attraverso una revisione/costruzione storiografica sul display e la storia delle teorie e pratiche curatoriali - formalizzata in modo non sistematico all'inizio degli anni Novanta, a partire da una rilettura retrospettiva della esperienze delle neoavanguardie – assumendo materiali e metodologie provenienti, come già dichiarato, da ambiti differenti, come richiedeva la composizione sfaccettata e non fissata dell’oggetto di studio, con un atteggiamento che si può definire comparato e post-disciplinare. Il primo capitolo affronta gli anni Sessanta, con la successione sistematica dei primi episodi sperimentali attraverso tre direzioni: l’emergere e l’affermarsi del curatore come autore, la proliferazione di mostre alternative che sovvertivano il formato tradizionale e le innovazioni prodotte dagli artisti organizzatori di mostre della Critica Istituzionale. Esponendo la smaterializzazione concettuale, Seth Siegelaub, gallerista, critico e impresario del concettuale, ha realizzato una serie di mostre innovative; Harald Szeemann crea la posizione indipendente di exhibition maker a partire When attitudes become forms fino al display anarchico di Documenta V; gli artisti organizzatori di mostre della Critica Istituzionale, soprattutto Marcel Broodhthears col suo Musée d’Art Moderne, Départment des Aigles, analizzano la struttura della logica espositiva come opera d’arte. Nel secondo capitolo l’indagine si sposta verso la scena attivista e alternativa americana degli anni Ottanta: Martha Rosler, le pratiche community-based di Group Material, Border Art Workshop/Taller de Arte Fronterizo, Guerrilla Girls, ACT UP, Art Workers' Coalition che, con proposte diverse elaborano un nuovo modello educativo e/o partecipativo di mostra, che diventa anche terreno del confronto sociale. La mostra era uno svincolo cruciale tra l’arte e le opere rese accessibili al pubblico, in particolare le narrazioni, le idee, le storie attivate, attraverso un originale ragionamento sulle implicazioni sociali del ruolo del curatore che suggeriva punti di vista alternativi usando un forum istituzionale. Ogni modalità di display stabiliva relazioni nuove tra artisti, istituzioni e audience generando abitudini e rituali diversi per guardare la mostra. Il potere assegnato all’esposizione, creava contesti e situazioni da agire, che rovesciavano i metodi e i formati culturali tradizionali. Per Group Material, così come nelle reading-room di Martha Rosler, la mostra temporanea era un medium con cui si ‘postulavano’ le strutture di rappresentazione e i modelli sociali attraverso cui, regole, situazioni e luoghi erano spesso sovvertiti. Si propongono come artisti che stanno ridefinendo il ruolo della curatela (significativamente scartano la parola ‘curatori’ e si propongono come ‘organizzatori’). La situazione cambia nel 1989 con la caduta del muro di Berlino. Oltre agli sconvolgimenti geopolitici, la fine della guerra fredda e dell’ideologia, l’apertura ai flussi e gli scambi conseguenti al crollo delle frontiere, i profondi e drammatici cambiamenti politici che coinvolgono l’Europa, corrispondono al parallelo mutamento degli scenari culturali e delle pratiche espositive. Nel terzo capitolo si parte dall’analisi del rapporto tra esposizioni e Late Capitalist Museum - secondo la definizione di Rosalind Krauss - con due mostre cruciali: Le Magiciens de la Terre, alle origini del dibattito postcoloniale e attraverso il soggetto ineffabile di un’esposizione: Les Immatériaux, entrambe al Pompidou. Proseguendo nell’analisi dell’ampio corpus di saggi, articoli, approfondimenti dedicati alle grandi manifestazioni internazionali, e allo studio dell’espansione globale delle Biennali, avviene un cambiamento cruciale a partire da Documenta X del 1997: l’inclusione di lavori di natura interdisciplinare e la persistente integrazione di elementi discorsivi (100 days/100 guests). Nella maggior parte degli interventi in materia di esposizioni su scala globale oggi, quello che viene implicitamente o esplicitamente messo in discussione è il limite del concetto e della forma tradizionale di mostra. La sfida delle pratiche contemporanee è non essere più conformi alle tre unità classiche della modernità: unità di tempo, di spazio e di narrazione. L’episodio più emblematico viene quindi indagato nel terzo capitolo: la Documenta X di Catherine David, il cui merito maggiore è stato quello di dichiarare la mostra come format ormai insufficiente a rappresentare le nuove istanze contemporanee. Le quali avrebbero richiesto - altrimenti - una pluralità di modelli, di spazi e di tempi eterogenei per poter divenire un dispositivo culturale all’altezza dei tempi. La David decostruisce lo spazio museale come luogo esclusivo dell’estetico: dalla mostra laboratorio alla mostra come archivio, l’evento si svolge nel museo ma anche nella città, con sottili interventi di dissimulazione urbana, nel catalogo e nella piattaforma dei 100 giorni di dibattito. Il quarto capitolo affronta l’ultima declinazione di questa sperimentazione espositiva: il fenomeno della proliferazione delle Biennali nei processi di globalizzazione culturale. Dalla prima mostra postcoloniale, la Documenta 11 di Okwui Enwezor e il modello delle Platforms trans-disciplinari, al dissolvimento dei ruoli in uno scenario post-szeemanniano con gli esperimenti curatoriali su larga scala di Sogni e conflitti, alla 50° Biennale di Venezia. Sono analizzati diversi modelli espositivi (la mostra-arcipelago di Edouard Glissant; il display in crescita di Zone of Urgency come estetizzazione del disordine metropolitano; il format relazionale e performativo di Utopia Station; il modello del bric à brac; la “Scuola” di Manifesta 6). Alcune Biennali sono state sorprendentemente autoriflessive e hanno consentito un coinvolgimento più analitico con questa particolare forma espressiva. Qual è l'impatto sulla storia e il dibattito dei sistemi espositivi? Conclusioni: Cos’è la mostra oggi? Uno spazio sotto controllo, uno spazio del conflitto e del dissenso, un modello educativo e/o partecipativo? Una piattaforma, un dispositivo, un archivio? Uno spazio di negoziazione col mercato o uno spazio di riflessione e trasformazione? L’arte del display: ipotesi critiche, prospettive e sviluppi recenti.

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