“O weary Champion of the Cross, lie still”: così Christina Rossetti apre un sonetto del 1890 intitolato Cardinal Newman, composto in occasione della dipartita del cardinale e dedicato alla memoria di uno dei più influenti pensatori, teologi e uomini di lettere dell’epoca. L’accorato canto di Rossetti sottolinea la potenza del pensiero newmaniano assimilando le azioni e gli scritti del cardinale all’impeto delle acque di marea, metaforizzandoli poi in un’alluvione che va a sconvolgere il tranquillo corso di un ruscelletto: “Thy tides were springtides, set against the neap/ Of calmer souls: thy flood rebuked their rill (7-8). La metafora acquatica impiegata da Rossetti sintetizza in modo efficace le qualità trasformatrici proprie della lunga parabola esistenziale di John Henry Newman (1801-1890), la quale lascia profondi solchi nel tessuto ideologico e storico di quello che gli studiosi hanno identificato come “very long nineteenth-century”. Gran parte di questi solchi sono stati tracciati da Newman percorrendo una strada faticosa e mai lineare, che lo studioso oggi può seguire attingendo al voluminoso corpus delle opere e all’altrettanto ricco apparato critico e biografico andato formandosi negli anni a commento dei suoi scritti.
Assieme a John Keble e Hurrel Froude, Newman fondò le basi di quello che passa alla storia come Oxford Movement, un’esperienza intellettuale nata fra i Colleges dell’Università di Oxford che mirava a ricostruire le basi cattoliche della Chiesa Anglicana, in un contesto di generale inquietudine nei confronti dell’istituzione ecclesiastica e dei modi da questa adottati per declinare la professione di fede all’interno del tessuto sociale dell’epoca. Gli uomini del Movement concentrarono i propri sforzi teorici nella stesura e pubblicazione di numerosi Tracts for the Times, nei quali si affrontavano i temi ecclesiologici più disparati, col fine di attivare un dialogo riformatore in seno alla Chiesa d’Inghilterra. La pubblicazione dei Tracts fu di breve durata (1833-1845) ma foriera di importanti conseguenze per la società inglese e per l’esistenza di Newman, coincidendo la sua conversione al cattolicesimo con la cessazione delle pubblicazioni (1845).
La conversione di Newman fece enorme impressione sull’opinione pubblica, specie per il forte sentimento antiromano che circolava nelle fila dell’establishment inglese. Il motto “No Popery” costituiva un refrain udibile in molte delle produzioni culturali dell’epoca e in special modo nei romanzi a tema religioso, fra le cui pagine il cattolico si muove come personaggio intriso di caratteristiche negative proprie del villain: “a spy, a secret agent, suave, supercilious and satanically unscrupulous, laying his cunning plots for the submission of England to ‘Jesuitocracy’”. Falsità, propensione all’inganno, sete di potere, assenza di scrupoli erano tutti connotati che l’immaginazione protestante associava alla Chiesa di Roma: la conversione procurò a Newman accuse dello stesso segno che il futuro cardinale cercò di dissipare nei suoi scritti, impegnandosi ad arrivare a una fetta di pubblico il più vasta possibile mediante due romanzi e la celebre autobiografia spirituale Apologia Pro Vita Sua (1864). Le opere letterarie di Newman conobbero un dilagante successo, intrise com’erano di istanze culturali associate alla vita religiosa e di elementi autobiografici che andavano a soddisfare la curiosità del pubblico per la vicenda personale di uno degli uomini più in vista del regno di Vittoria. La peculiare intersecazione fra la determinante storico-culturale e quella autobiografica nella testualizzazione letteraria newmaniana è l’oggetto di studio qui proposto.
La ricerca prende il via da un iniziale progetto su biografia e romanzo in relazione alla cosiddetta “crisi religiosa” che caratterizza gli anni vittoriani. Nel considerare i vari aspetti della questione assieme al mio tutor Prof. Enrico Reggiani, si è constatato come non fosse opportuno inscrivere la figura di Newman in uno studio tematico e pluritestuale, metodologicamente orientato a una prospettiva storico-culturale: l’influenza del cardinale sulle lettere di derivazione anglofona appare caratterizzata da un’imponente, multilivellare pervasività che echeggia sia nelle pratiche artistiche dell’epoca, ossia nell’opera della già citata Rossetti, nell’estetica della Pre-Raphaelite Brotherhood, nella poesia di Gerald Manley Hopkins, che in quelle novecentesche, come il sistema testuale joyciano. Se il ruolo determinante del pensiero newmaniano è riconosciuto e analizzato dalla critica nel dettaglio dei suoi aspetti teologico-religiosi, altrettanto non può dirsi dei suoi scritti più specificamente letterari: il lavoro qui presentato sarà da intendersi pertanto come un dispositivo di avvicinamento a questi aspetti dell’opera di Newman. A tal fine si è deciso di concentrare lo studio sulla close-reading di uno dei due romanzi newmaniani, Loss and Gain (1848), la cui testualità sarà investigata mediante un selezionato apparato metodologico afferente in primis al macrotesto dell’autore e in secundis a più recenti formulazioni teoriche di taglio narratologico. / In an 1890 composition dedicated to the memory of John Henry Newman, Christina Rossetti metaphorized his legacy into “springtides, set against the neap/ Of calmer souls: thy flood rebuked their rill”. She so sought to synthesize the transformative qualities of Newman’s existence (1801-1890) in the context of the “very long nineteenth century”, as defined by Margot Finn.
Along with John Keble and Hurrell Froude, Newman founded the Tractarian Movement, an Oxford-based intellectual movement intending to rebuild the Catholic foundation of the Anglican Church, which at the time was facing an ever growing disquiet on behalf of its affiliates, for both ecclesiological and political reasons. In order to ignite a reformative dialogue within the Church of England, the Tractarians published a relevant number of Tracts from 1833 to 1845, when Newman converted to Catholicism.
Newman’s conversion sparked a huge controversy within the public opinion, catholics at the time being subjected to a heavy cultural stigma within the establishment. Falsity, a propension to deceit and thirst for power connoted the catholic character in numerous religious novels in the Victorian period, thus prompting Newman to defend himself from similar allegations in various writings such as the Apologia Pro Vita Sua (1864). Newman’s literary writings were extremely successful, since they put on display a peculiar intersection between religious cultural issues and his own autobiography. Such intersection is the object of my thesis, which will articulate around a close-reading of Newman’s novel Loss and Gain (1848) in order to
highlight the main features of the Cardinal’s literary theory and practice in relation to his overall theological views, and
to project them on a synchronic and diacronic perspective to attest Newman’s legacy on Eighteenth and Nineteenth century literature.
Identifer | oai:union.ndltd.org:DocTA/oai:tesionline.unicatt.it:10280/54663 |
Date | 14 January 2019 |
Creators | CARACENI, FRANCESCA |
Contributors | LIANO, DANTE JOSé, REGGIANI, ENRICO |
Publisher | Università Cattolica del Sacro Cuore, MILANO |
Source Sets | Universita Cattolica del Sacro Cuore. DocTA |
Language | Italian |
Detected Language | Italian |
Type | Doctoral Thesis |
Format | Adobe PDF |
Rights | open |
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