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L'inquietudine in versi. Le opere di Marcantonio Cinuzzi e la letteratura religiosa eterodossa

Fadini, Matteo January 2014 (has links)
Questo lavoro trae origine dal fortuito ritrovamento di un manoscritto (Campori App. 423 [γ.T.6.15] della Biblioteca Estense Universitaria di Modena) durante le ricerche riguardanti la tesi di laurea magistrale. Quel manoscritto, di nessuna utilità per le indagini che stavo facendo allora, mi colpì per alcuni dei componimenti che racchiude e per le loro particolarità metriche. A seguito di controlli, il codice si è dimostrato un canzoniere contenente le rime giovanili di Marcantonio Cinuzzi, di cui costituisce un testimone mai prima citato. Marcantonio Cinuzzi, nato nei primi anni del Cinquecento a Siena, entra giovanissimo nell’Accademia degli Intronati con il nome di Scacciato Intronato. Rimatore non disprezzabile, si dedica a più riprese ai volgarizzamenti: traduce il De raptu Proserpinae, uscito postumo nel 1608, e il Prometeo di Eschilo, del quale esiste una edizione critica. Funzionario di Cosimo, partecipa al gruppo ereticale dei Sozzini; probabilmente è la protezione del duca a metterlo al riparo dalla prima ondata di processi inquisitoriali degli anni Cinquanta, ma non da quella successiva: incarcerato nel 1578, viene liberato alla fine del processo (1583); non è chiaro se a seguito di abiura. L’ultima attestazione del Cinuzzi in vita è la lettera di dedica del Rapimento di Proserpina, sottoscritta Della villa dell’Africa, il dì X di giugno 1592. L’agnizione di cui ho dato conto mi ha spinto a occuparmi della produzione poetica religiosa del senese: le Ode spirituali («il migliore prodotto della poesia protestante in Italia», secondo una forse troppo enfatica definizione di Marchetti) e il poemetto De la Papeida. Queste due opere sono sicuramente rappresentative della letteratura religiosa variamente eterodossa o comunque inquieta che venne prodotta in Italia a partire dalla metà degli anni Trenta del Cinquecento, segmento della nostra storia letteraria poco noto e fino ad anni recenti del tutto trascurato. Se la tesi gobettiana della mancata presenza della Riforma in Italia è stata superata dagli studi storici dell’ultimo cinquantennio, e se quindi oggi parlare di Riforma protestante e di eresie nell’Italia del XVI secolo è pratica diffusa, altrettanto non si può dire a proposito del versante letterario degli studi umanistici. Nelle nostre storie letterarie – di solito – il rapporto tra crisi religiosa, Riforma e letteratura è questione che viene affrontata a partire dal periodo post-tridentino e in relazione alle tensioni esistenti nella cultura e nella società di quella che è definita all’ingrosso Controriforma. Insomma: Torquato Tasso e la tormentata vicenda elaborativa della Gerusalemme, per voler compendiare il problema con una sola immagine. Per il resto, la nostra letteratura religiosa, quando non è produzione devozionale minore, sembra sostanziarsi per lo più nel genere laudistico di precedenti illustri. A partire almeno dagli studi di Delio Cantimori, Carlo Ginzburg, Adriano Prosperi, Massimo Firpo e Silvana Seidel Menchi, le conoscenze sul versante storico dei movimenti eterodossi italiani e sulla storia della Riforma e delle inquietudini religiose sono diventate patrimonio condiviso, dopo i primi e in un certo senso pionieristici tentativi fatti dalla storiografia di parte protestante. Le ricerche, tra gli altri, di Gigliola Fragnito e di Ugo Rozzo hanno gettato nuova luce sulla censura libraria e su come questa influì sulla produzione letteraria contemporanea In più di una occasione questi storici hanno fatto riferimento ad alcuni testi letterari, citandoli come documenti esemplari di letteratura più o meno segnata dalla coeva battaglia religiosa. La informazioni prodotte da questo tipo di indagini non hanno però prodotto in ambito letterario un conseguente aggiornamento delle conoscenze; a parte alcuni importanti contributi, fino a pochi anni fa questa provincia della nostra storia letteraria era quasi del tutto sconosciuta. Più di recente, la crescita dell’interesse intorno alle “Muse sacre” e la riscoperta della letteratura, e in particolare della poesia, religiosa del Cinquecento e Seicento hanno stimolato gli studi, agevolando il recupero anche della produzione letteraria eterodossa e inquieta. Gli studi e le edizioni di testi curati, tra gli altri, da Davide Dalmas, Enrico Garavelli, Franco Pierno e Franco Tomasi, assieme ai lavori in corso sul Pasquino, rappresentano i primi frutti di questi sforzi sul versante a vario titolo ereticale della nostra letteratura. È in tale filone di studi che ambisce ad inserirsi questo lavoro. Ambito di interesse Il lavoro di ricerca si è concentrato sul rapporto tra la Riforma religiosa nelle sue varie declinazioni e i multiformi aspetti delle inquietudini religiose da una parte, e la produzione letteraria, segnatamente poetica, dall’altra. Le domande alla base di questo studio sono semplici: quanto è esteso il perimetro della poesia cinquecentesca composta anche come veicolo di idee religiose a vario titolo eterodosse? Quali furono le modalità di produzione e di ricezione di una letteratura che tematizzava la crisi religiosa e che spesso ambiva a giocare un ruolo diretto nella battaglia culturale e religiosa allora in piena evoluzione? In che modo questi testi poetici indicarono una strada di rinnovamento anche letterario, oltre che religioso? La storiografia su questo periodo ha insegnato a diffidare dalle definizioni troppo nette, anche perché spesso ottundono la capacità di cogliere veramente lo sviluppo e le dinamiche storiche. Analogamente, in questo lavoro ho cercato di non definire troppo rigidamente la pertinenza di singoli testi o di autori a categorie quali ‘ortodossia’, ‘eterodossia’ o ‘Riforma’. Ciò che interessava sono le opere letterarie partecipi della crisi religiosa da una posizione non convenzionale, in particolare i testi nei quali è possibile individuare un chiaro tentativo di proselitismo religioso. Si tratta di una doppia esclusione: la produzione di trattati come quella di Valdés è stata del tutto lasciata da parte, così come la letteratura religiosa programmaticamente cattolica, quale quella di Malipiero o Fiamma. Articolazione della tesi La tesi è divisa in due parti: nella prima parte (“Appunti per la storia della letteratura religiosa inquieta ed eterodossa”) si dà conto di cinque casi nei quali il rapporto tra il dissenso religioso e la letteratura è fondativo; nella seconda parte si presentano in edizione critica le due opere religiose di Cinuzzi. I primi cinque capitoli riguardano, nell’ordine: Celio Secondo Curione e la sua produzione poetica presente in due opere a stampa (1550 e 1552); la raccolta manoscritta Dello divino amore christiano di Antonio Brucioli (databile alla prima metà degli anni 50); i primi due volumi delle Rime spirituali, antologia uscita a Venezia tra il 1550 (volumi I e II) e il 1552 (volume III); le Sette canzoni spirituali di Bartolomeo Panciatichi (1576, ma la prima redazione è databile al 1560); infine la Comedia piacevole della vera antica romana, catolica et apostolica Chiesa (1611), volgarizzamento della commedia Phasma di Nicodemus Frischlin. Nel capitolo riguardante Curione si fornisce l’edizione critica dei 19 testi poetici presenti nel catechismo Una familiare et paterna institutione della Christiana religione – tutti, ad eccezione della canzone già edita da Prosperi – e l’edizione dei 2 sonetti che si leggono nelle Quatro lettere Christiane, entrambi esempi dell’impiego della letteratura per veicolare la Riforma religiosa e, almeno nel secondo caso, dell’uso della poesia per compendiare il messaggio teologico argomentato nei testi in prosa che precedono le liriche. L’unica opera poetica di Brucioli è stata più volte citata, ma mancava uno studio che desse conto della struttura e dei contenuti del testo, attestato da due corposi manoscritti. Nel capitolo propongo una datazione delle due redazioni dell’opera, individuo altri due manoscritti ora perduti e fornisco l’edizione di un gruppo di componimenti poetici, tra i quali la riscrittura della petrarchesca Vergine bella. L’antologia delle Rime spirituali ha richiamato più volte l’attenzione dei critici. Limitandomi ai primi due libri della raccolta, fornisco la tavola dei componimenti, cerco di delineare le probabili fonti e il messaggio complessivo che quel florilegio poetico presenta della produzione religiosa. A seguito del reperimento di duemanoscrittidiAntonioAgostinoTorti,autoredialcunicomponimentidella raccolta finora sostanzialmente sconosciuto, propongo il testo di due sestine. Dell’opera di Panciatichi, già segnalata da Firpo, ho potuto reperire un secondo manoscritto oltre a quello di dedica, attestante una diversa e precedente fase redazionale. Tale codice, appartenuto a Giovanni Domenico Scevolini, permette di meglio tratteggiare la figura di questo eccentrico domenicano e lascia intravedere la circolazione sotterranea che questa tipologia di letteratura poteva avere. Infine, nell’ultimo capitolo di questa parte ho affrontato il tardo volgarizzamento di una interessante commedia latina di Nicodemus Frischlin (Phasma), pièce nella quale è rappresentato il dibattito teologico interno al campo protestante. Sembra possibile che questa commedia, assieme ad un altro testo in italiano impresso l’anno prima dal medesimo editore, sia un estremo tentativo di propaganda religiosa tramite un’opera letteraria in un periodo nel quale i confini confessionali erano ormai stabiliti e invalicabili. Nel capitolo, presento l’edizione critica del IV atto della Comedia, che ben compendia l’intera opera. Nella seconda parte, invece, l’attenzione si concentra sulle opere di Cinuzzi. Il lavoro di ricerca ha permesso di reperire un terzo testimone delle odi (Urb. Lat. 758 della Biblioteca Apostolica Vaticana), accanto ai due già noti.11 I tre manoscritti attestano tre differenti fasi redazionali dell’opera: il Vaticano presenta 68 odi suddivise in quattro libri (47 in comune con gli altri), gli altri due, invece, 51. Il manoscritto ora a Cambridge è sicuramente una copia tratta dal manoscritto di dedica inviato al duca Cosimo, il Fiorentino è probabilmente il testimone di una successiva rielaborazione della stessa redazione in vista della stampa, mentre rilievi interni inducono a ritenere il Vaticano un testimone della primitiva redazione. L’edizione delle odi prende come testo-base il Fiorentino, probabile testimone dell’ultima volontà dell’autore, e presenta in apparato le varianti degli altri due manoscritti. Le 21 odi attestate dal solo Vaticano si possono leggere nell’appendice B, poiché non pertinenti alla redazione dell’opera testimoniata dagli altri due codici. Il poemetto De la Papeida è trasmesso dal solo manoscritto della Trinity College Library. L’opera in questione è adespota, ma rilievi interni e considerazioni esterne spingono ad attribuire definitivamente il testo a Cinuzzi. Lo stesso manoscritto trasmette anche due altri brevi componimenti che penso sia possibile attribuire a Cinuzzi.13 La Papeida è probabilmente un testo incompiuto e comunque si tratta di un’opera non rifinita dall’autore; questo fatto e l’esistenza di un unico testimone rendono a volte difficile stabilire un testo critico affidabile. La notevole estensione dei componimenti – le sole odi, complessivamente, constano di 4.000 – e l’impegno richiesto dalla prima parte delle tesi hanno reso irrealizzabile un commento approfondito. Si è optato per un commento puntuale ad alcuni luoghi della Papeida, soprattutto per esplicitare i riferimenti a personaggi storici e a testi altrimenti di difficile decifrazione. Ragione delle scelte Le tesi di dottorato nelle discipline filologico-letterarie, per consuetudine ormai invalsa, si presentano con le caratteristiche di una monografia. A prima vista, quindi, l’articolazione di questo lavoro può sembrare eccentrica. In effetti nella prima parte sono presentati cinque casi parzialmente slegati tra di loro e nella seconda si affronta la ricostruzione filologica di due opere di un autore differente rispetto a quelli analizzati all’inizio della tesi. Alcuni chiarimenti sono perciò d’obbligo. Questo lavoro non intende fornire il quadro complessivo della poesia religiosa eterodossa e inquieta del Cinquecento italiano, né presentare alcuni medaglioni che compendiano l’insieme di questo genere letterario. Una summa di questo segmento della nostra letteratura non potrebbe in ogni caso essere offerta per la ragione che allo stato attuale delle conoscenze mancano i dati per poterlo fare. La quasi totalità della poesia religiosa inquieta non è al momento conosciuta: se anche è nota l’esistenza di alcune opere, queste non sono state studiate a fondo, né pubblicate; è dubbio se siano state lette al di fuori di una ristretta cerchia di specialisti. Accanto a ciò, esiste un secondo ostacolo, anch’esso di natura testuale: mancano le necessarie conoscenze sui testi non strettamente letterari con i quali dialoga questo tipo di letteratura. La produzione di trattati, di pamphlet e, in generale, di opere di propaganda religiosa non è ancora studiata a dovere e in alcuni casi mancano le ricostruzioni dettagliate delle biografie degli autori e dei contatti che intercorrevano tra loro. Per fare un solo esempio, la monografia di riferimento per la vita di Curione è il lavoro di Kutter, in tedesco, che risale a più di mezzo secolo fa, per non citare il fatto che Edit16 riporta sotto il nome del figlio Celio Agostino un’opera del padre. Premesso tutto questo e sgombrato il campo da possibili equivoci, resta da chiarire che cosa voglia essere questo lavoro. Il titolo della prima parte (“Appunti...”) fornisce una prima spiegazione: in relazione alla poesia religiosa inquieta servono anzitutto dei sondaggi che, procedendo necessariamente per campioni, permettano di gettare luce su questa produzione. Prima di ogni altra cosa, occorre quindi avere edizioni affidabili dei testi e occorre ricostruire la storia della tradizione di queste opere. I cinque capitoli iniziali della tesi sono semplicemente un tentativo in questa direzione: degli scavi effettuati su alcune opere per le quali ho tentato di delineare i problemi filologici, di proporre un inquadramento critico e di presentare in edizione critica i testi oggetto d’analisi, integralmente laddove possibile oppure limitandomi ad alcune parti, in caso di una molte testuale eccessiva. I medaglioni della prima parte della tesi, quindi, rappresentato un primo tentativo di illuminare parzialmente il terreno sul quale si collocano le opere di Cinuzzi; senza una idea più chiara dello sfondo, infatti, anche i singoli pezzi del mosaico appaiono ancor più difficilmente comprensibili. Cinuzzi non fu un autore isolato; egli fu invece uno dei tanti intellettuali allora impegnati nella battaglia per il rinnovamento religioso, culturale e letterario, che si servirono della letteratura per intervenire nel dibattito coevo. Si tratta di un engagement storicamente perdente: a partire almeno degli anni Cinquanta del Cinquecento le sorti religiose della Penisola sono segnate e le variegate istanze di rinnovamento e di riforma sono destinate alla sconfitta. La riorganizzazione ecclesiale e dogmatica procedette spedita, di pari passo con il controllo religioso e culturale: la riforma, che pure ci fu, avvenne unicamente all’interno della Chiesa romana e venne gestita direttamente dalla gerarchia ecclesiale. Questa letteratura fu doppiamente perdente: tanto sul versante religioso, come detto, quanto sul piano letterario. L’evoluzione della nostra letteratura non tenne conto, o lo fece in minima parte, delle proposte implicite nelle opere religiose di queste tipo. Il tentativo di uscire dal petrarchismo per proporre una letteratura di impegno politico-religioso non ebbe sostanzialmente esito, così come l’auspicato connubio di poesia e discussione religiosa e politico-culturale. Un futuro studio che possa dar conto dell’insieme della letteratura religiosa partecipe delle inquietudini religiose del Cinquecento sarà il termine di un percorso di ricerca che procederà per successivi approfondimenti circoscritti.
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«L'ascolto di una tradizione». Gianni Celati lettore e studioso di James Joyce

Giorgio, Simone 30 April 2024 (has links)
La tesi indaga il rapporto fra Gianni Celati e l’opera di James Joyce, con particolare riferimento all’Ulisse. L’autore, infatti, ha studiato a lungo questo romanzo: negli anni Sessanta si è laureato all’Università di Bologna con una tesi su quest’opera, nel 2013 l’ha tradotta in italiano per Einaudi. Il mio lavoro ricostruisce dunque le relazioni esistenti fra l’Ulisse e la teoria letteraria di Celati, le quali si snodano lungo tutta l’attività dello scrittore, in particolare nella cosiddetta prima fase (anni Settanta). La tesi è divisa in tre capitoli. Nel primo capitolo della tesi sono delineati due campi teorici diversi. Il primo riguarda il tardo modernismo o neomodernismo, un oggetto di studi che in ambito anglosassone è sorto assieme alla definizione del modernismo, ed è stato importato in Italia solo negli ultimi anni, in connessione allo sviluppo della nozione di modernismo nel nostro Paese. La più autorevole voce italiana nel dibattito sul neomodernismo è Tiziano Toracca, che nel 2022 ha pubblicato una monografia sul romanzo neomodernista italiano. In questa parte del capitolo effettuo una ricognizione critica della nascita del concetto di modernismo, mettendo in luce come esso sia sorto soprattutto in contrapposizione alle prime teorizzazioni del postmodernismo. I testi principali cui faccio riferimento sono di Clement Greenberg, Frank Kermode, Theodor Adorno, Leslie Fiedler e Susan Sontag. L’imperfezione della categoria di modernismo in questa fase ha portato i critici a rilevare l’esistenza di un tardo modernismo o neomodernismo, termini di varia accezione ma che evidenziano come all’altezza degli anni Sessanta la transizione dal modernismo al postmodernismo non è ancora compiuta del tutto. Il secondo campo teorico riguarda invece la ricezione di Joyce in Italia negli anni Sessanta. Grazie alla prima traduzione italiana dell’Ulisse, pubblicata nel 1960, il nome di Joyce circolò molto nel panorama letterario italiano di quegli anni, in tutte le diverse parti della cultura italiana di quell’epoca. L’interpretazione italiana di Joyce in quest’epoca è influenzata in campo critico dall’incompleta ricezione della categoria di modernismo, in questa fase nota solo agli studiosi di letteratura angloamericana. In campo letterario l’estrema versatilità che l’Ulisse presenta lo rende un punto di riferimento per diversi scrittori. I due campi teorici sono collegati: non solo perché Joyce fu immediatamente interpretato come un grande autore del modernismo europeo, ma anche perché la sua opera si prestava particolarmente bene alla rivisitazione in una particolare declinazione del tardo modernismo che chiamo ‘modernismo popolare’, prendendo questa espressione dal teorico inglese Mark Fisher. Si tratta di una categoria critica che individua una persistenza delle tecniche moderniste in alcuni scrittori degli anni Sessanta e Settanta: oltre a Gianni Celati, mi riferisco a opere di Nanni Balestrini, Francesco Leonetti, Sebastiano Vassalli. Come dimostro, questi autori tentano di colmare il divario tra scrittore e pubblico che era percepito come elemento fondamentale del modernismo, riutilizzando però, almeno in parte, tecniche tipiche del modernismo; un tale atteggiamento fu notato a proposito di autori americani e francesi già da Kermode in quella stessa epoca. Tale categoria concettuale mi sembra particolarmente proficua per colmare una lacuna nelle definizioni del campo letterario dell’epoca; mettere in luce tale particolare dinamica intellettuale, inoltre, consente di precisare alcuni aspetti della lunga transizione dal modernismo al postmodernismo vissuta dalla cultura italiana fra anni Settanta e Ottanta; infine, aspetto centrale nella struttura dell’intera tesi, il ‘modernismo popolare’ è esattamente l’ambito culturale in cui Celati si è formato, ha maturato la sua idea di letteratura e soprattutto ha studiato l’Ulisse – ricevendo da questi studi impulsi e suggestioni decisive per la sua carriera. Come si evince dalla sua tesi di laurea, infatti, è già con la lettura di Joyce che Celati si indirizza verso due grandi tematiche della sua attività intellettuale, ossia quella visiva e quella orale. Nel secondo capitolo, grazie all’intermedialità che caratterizza le sperimentazioni del modernismo e del postmodernismo, analizzo alcuni aspetti dell’interesse di Gianni Celati nei confronti della visualità. Si tratta di una tema classico della critica celatiana, su cui è incentrata molta bibliografia. Però, la molteplicità degli interessi visuali di Celati ha impedito finora di avanzare una sistemazione teorica di questo aspetto della sua scrittura. Pertanto, nel secondo capitolo delineo un’interpretazione di tali interessi a partire dalla riflessione di Celati sul concetto di spazio, che precede tutti gli altri elementi tipici della visualità celatiana. Dopo un’analisi della particolare collocazione critica di Celati nel postmodernismo italiano, adotto il concetto di regime scopico, coniato da Martin Jay, per costruire un’analisi incentrata su tre elementi: sguardo, visione e dispositivo. A ciascuno di questi elementi è dedicato una parte del secondo capitolo. Per quanto riguarda lo sguardo, inteso come atteggiamento concettuale che predispone la possibilità visiva, ricostruisco l’interesse di Celati verso il surrealismo negli anni Settanta e la sua svolta in chiave fenomenologica a partire dagli anni Ottanta. L’idea di base è che lo sguardo di Celati sia cambiato proprio in funzione del diverso orizzonte culturale con cui esso è inevitabilmente in dialogo. Autori-chiave in questo percorso sono Walter Benjamin e Susan Sontag. Benjamin rimane una sorta di stella polare per Celati. La parte del secondo capitolo dedicata alla visione, intesa come insieme di immagini esistenti verso cui lo sguardo si volge, ricostruisce l’evoluzione di tale concetto nella carriera di Celati. È individuabile una dicotomia: la prima parte della carriera è contraddistinta da visioni principalmente di carattere comico e satirico, legate ai concetti di crisi e apocalissi, in sintonia con varie ricerche letterarie di fine anni Sessanta e inizio Settanta. Dagli anni Ottanta in poi, tali visioni diventano immagini più affettive, che caratterizzano l’ultima fase della sua carriera. In questa parte cerco di far diventare evidenti i legami di Celati con altri autori stranieri, fra cui Blake e Michaux. La connessione fra queste influenze estere e la riflessione sul visivo si innesta, in particolare, su un crescente interesse di Celati verso la forma del documentario a partire dagli anni Novanta: tale passaggio mi permette di approdare al paragrafo successivo, dedicato al dispositivo, ossia il mezzo formale che mette in comunicazione sguardo e visione. In questa parte, infatti, analizzo come nella teoria del documentario di Celati un ruolo privilegiato sia svolto dal concetto di montaggio delle immagini, che l’autore aveva già individuato, sia pure precocemente, nella sua analisi dell’Ulisse di metà anni Sessanta. La teoria documentaria di Celati è rilevante perché costituisce il presupposto teorico dell’ultima parte della sua produzione, legata al mezzo cinematografico e in particolare alla tecnica del montaggio: la precocità dell’ingresso del concetto di montaggio nella riflessione celatiana, risalente alla tesi su Joyce, mi permette di rilevarne l’importanza. Pertanto, avanzo l’ipotesi che l’iniziale fascinazione di Celati verso le forme del vaudeville, del music hall e della comicità slapstick, che caratterizza le sue prime opere narrative, sia derivata non solo dall’influsso di Beckett ma anche da quello di Joyce, e segnatamente dall’episodio Circe, XV capitolo dell’Ulisse. Il terzo e ultimo capitolo della tesi riguarda invece la questione dell’oralità. Come la visualità, anche questo tema è stato ampiamente dibattuto dalla critica celatiana; nuovamente, ci si imbatte di continuo in testimonianze e riflessioni su questo tema da parte di Celati. Nella prima parte del capitolo, ci si interroga su come questa questione possa aver influito nell’inserimento di Celati all’interno del nostro canone: è infatti proprio su questo terreno che si gioca il suo posizionamento culturale rispetto alla letteratura commerciale. Celati attribuisce molta importanza all’elemento orale da quando rinuncia, dagli anni Ottanta in poi, a scrivere romanzi. Ciononostante, la sua dizione narrativa fa scuola: a una prima ondata di ‘nipotini celatiani’ di area bolognese, variamente legati al Settantasette, tra cui spicca Tondelli, seguono i cosiddetti scrittori della via Emilia, il cui principale esponente è forse Ermanno Cavazzoni. Se i primi si rifanno apertamente all’oralità comica dei romanzi di Celati degli anni Settanta, e guardano in particolare a Lunario del paradiso, i secondi prendono a lezione la trilogia padana degli anni Ottanta. Questa curiosa ‘biforcazione’ dell’influenza di Celati mi consente di impostare il discorso su una dicotomia, dovuta a un cambio di ‘postura’: parlo della regressione e della semplicità. Sono termini che mutuo da Celati stesso, e che sono stati ampiamente utilizzati dalla critica celatiana. La regressione occupa appunto la parte di carriera che si svolge negli anni Settanta: la mia argomentazione è che tale postura è legata concettualmente all’estensione della dizione narrativa a personaggi marginali e folli; sul piano formale consiste invece in una ripresa di vari moduli espressionistici spesso desunti da grandi autori modernisti. Entra qui in gioco un importante modello di Celati, ovvero Céline; ma, come dimostro, ha posto anche Joyce, ed è in questi anni che Celati riflette appunto sul Finnegans Wake. L’esempio joyciano, inoltre, illumina il nesso fra oralità e parodia, particolarmente caro a Celati che ne tratta in Finzioni occidentali. Fra gli altri punti di riferimento di Celati, un ruolo di primo piano spetta a Sanguineti, il cui Capriccio italiano costituisce un vero esempio di posa regressiva. Il tema della regressione è pertanto centrale nel Celati degli anni Settanta, anche in virtù della sua collaborazione con la rivista satirica «il Caffè», che ospita spesso le riflessioni celatiane su oralità, parodia, satira; altra saggistica a riguardo è rintracciabile sul «Verri». Si tocca qui con mano il laboratorio intellettuale di Celati, negli anni immediatamente precedenti a Finzioni occidentali, e di cui questo libro costituisce contemporaneamente un frutto e una grande sintesi. Alla fine degli anni Settanta, la conclusione della stagione delle contestazioni, la crescente insoddisfazione verso le scritture di questo decennio, l’esaurirsi dell’entusiasmo iniziale per l’insegnamento universitario e la fine del rapporto con Einaudi impongono a Celati il cambio di postura. In questo riposizionamento, Benjamin rimane un punto fermo, ma stavolta Celati si rivolge a un Benjamin più malinconico (condividendo in ciò l’impostazione teorica individuata da Sontag in Sotto il segno di Saturno): quello del Narratore. Pertanto, Celati assume la postura della semplicità, sempre su base orale, che contraddistingue la sua produzione dagli anni Ottanta in poi. È qui che l’influenza di Joyce apparentemente termina, poiché Celati fa una mossa inversa rispetto a quella dell’irlandese: laddove l’Ulisse è interpretabile come la naturale evoluzione delle short stories di Gente di Dublino, Celati sembra piuttosto scomporre i già semplici romanzi degli anni Settanta in novelle e storie di vita quotidiana. Rimane, come unico trait d’union fra i due autori, l’attenzione appunto alla quotidianità, infusa in personaggi accomunati da una certa curiosità verso ciò che li circonda, capaci di distrarsi, il cui modello va indubitabilmente rintracciato in Leopold Bloom: a questo è dedicata una piccola appendice posta alla fine della tesi.
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Il Virgilio mansuetus di Salvatore Quasimodo, traduttore e interprete delle Georgiche / Salvatore Quasimodo as Virgilio's translator and interpreter

GRIMOLDI, MARIA 13 February 2013 (has links)
La scelta di studiare il Fiore delle Georgiche è motivata dallo spazio di approfondimento ancora aperto sull’attività di Quasimodo traduttore, soprattutto alla luce delle carte autografe custodite presso il Centro di ricerca sulla tradizione manoscritta di autori moderni e contemporanei dell’Università di Pavia. L’indagine rivela le motivazioni della decisione da parte del poeta siciliano di leggere il «Virgilio … mansuetus della Georgiche» e la presenza di cospicue affinità tematiche tra l’immaginario poetico quasimodiano e il poema latino, a partire dal grande tema della natura, cosmica e georgica insieme, e dalla presenza dei quattro elementi primordiali (aria, terra, fuoco, acqua) come parole-chiave dell’interpretazione del poeta. Altri motivi comuni sono: il mito dell’Eden, il binomio amore-morte e il mito di Orfeo. La versione di Quasimodo sul piano dei contenuti e dell’espressione rivela la tendenza ad attenuare i concetti maggiormente connotati dal punto di vista della cultura e del contesto storico augusteo. Il poeta traduttore crea un nuovo testo che, improntato ad accentuare la componente lirica rispetto a quella didascalica, trasmetta un messaggio universalmente valido e più vicino al lettore a lui contemporaneo. Lo studio delle carte autografe ha fugato qualunque dubbio sull’originalità dell’operazione quasimodiana e ha rivelato la serietà nell’approccio alla traduzione. / The decision to study the Fiore delle Georgiche derives from the research space still open over the activity of Quasimodo as a translator, above all in light of the autograph papers kept at the research center on manuscript tradition of modern and contemporary authors of Pavia’ University. The study reveals the reason for the decision of Quasimodo to read Virgilio as mansuetus poet of Georgics and the presence of many affinities of contents between the poetic imaginary of the Sicilian poet and the latin poem, starting from the great theme of nature, cosmic and georgic at the same time, and for the presence of the four primordial elements (air, earth, fire, water) as key words of the interpretation of the poet. Other common subjects are: the myth of Eden, the couple love-death and the myth of Orpheus. The version of Quasimodo from the point of view of contents and expression reveals the tendency to attenuate the concepts mainly characterized by culture and by the augusteus historical context. The translator poet creates a new text that, marked by a stronger lyrical component rather than didactic, sends a universally valid message and closer to his contemporary readers. The study of the autograph papers has dispelled any doubt over the novelty of the work by Quasimodo and has revealed the seriousness in the approach to the translation.
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IL CONFINE NELLA LETTERATURA: LA SICILIA E TRIESTE

ASSENZA, SILVIA 17 February 2009 (has links)
A partire dall’analisi dei concetti di ‘confine’ e di ‘frontiera’, lo studio indaga la letteratura siciliana e quella triestina, letterature nate su due terre liminali. La tesi si compone di tre parti: la prima parte riguarda la letteratura siciliana; la seconda la letteratura triestina; la terza tenta un possibile confronto tra le due letterature. Per quanto concerne la letteratura siciliana gli autori e le opere studiate sono: Le città del mondo di Elio Vittorini, l’Horcynus orca di Stefano D’Arrigo in cui tutta la vicenda è concentrata sullo stretto di Messina, tra Scilla e Cariddi, ed un capitolo sulla lingua di Leonardo Sciascia, chiara espressione della circolarità dell’isola. Per il versante triestino, nella seconda parte, gli autori e le opere studiate per il loro essere espressione della frontiera sono: Carlo Michelstaedter, La persuasione e la retorica ; Il capitano di lungo corso di Roberto Bazlen e infine Il richiamo di Alma Stelio di Mattioni che, come nel caso di Vittorini, traccia la mappa topografica di Trieste e si confronta con l’alterità. / Beginning from the concept of ‘border’ and ‘frontier’, work investigates sicilian letterature and Trieste’s one, both born on the two boundering’s lands. Thesis is made of three parts: the first part concerns with Sicilian letterature; the second part about Trieste’s letterature. The third one tries a possible comparison between the two letteratures. About Sicilian letterature the autors and the studied works are: Le città del mondo by Elio Vittorini, The Horcynus orca by Stefano D’Arrigo where all the plot is set in the Straits of Messina, between Scilla and Cariddi, and a chapter about Leonardo Sciascia’s language, clear expression of island’s circularity. About triestin letterature, on the second part, autors and studied works, because of their being expression of the frontier, are: Carlo Michelstaedter, La persuasione e la retorica ; Il capitano di lungo corso by Roberto Bazlen and eventually Il richiamo di Alma by Stelio Mattioni which, as Vittorini, draws the topographic map of Trieste and compares itself with alterity.
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Il ritratto di un dongiovanni "feo, católico y sentimental": le Sonatas di Ramón del Valle-Inclán

CRIPPA, FRANCESCA 18 February 2009 (has links)
La tesi ha per oggetto l’analisi del personaggio protagonista delle Sonatas di Ramón del Valle-Inclán. Fra i migliori esempi di prosa modernista spagnola, le Sonatas sono le “memorias amables” di un dongiovanni “feo, católico y sentimental”: Xavier de Bradomín. Scopo dello studio è dimostrare quali caratteristiche avvicinano il personaggio allo stereotipo tradizionale del dongiovanni e quali lo rendono singolare, moderno e vicino alla personalità eccentrica dell’autore. Il primo capitolo contiene alcuni cenni biografici, un approfondimento sul contesto culturale che fa da sfondo all’attività letteraria di Valle-Inclán, riflessioni sull’atteggiamento assunto dalla critica nei suoi confronti e una prima introduzione ai temi delle Sonatas. Il secondo capitolo è incentrato sull’approfondimento dei contenuti, della lingua e dello stile della tetralogia. Gli ultimi due capitoli sono dedicati all’analisi dei romanzi, con particolare attenzione al confronto testuale che permette di sviluppare il discorso legato all’evoluzione del personaggio e alla relazione che questi stabilisce con l’autore. / The dissertation focuses on the analysis of the main character of the Sonatas by Ramón del Valle-Inclán. The four novels can be considered one of the main examples of Spanish Modernist prose and are presented by the author as the “memorias amables” of Xavier de Bradomín, a Don Juan “feo, católico y sentimental”. The dissertation describes the features of this character underlining the differences among the way he is presented in the tetralogy, the traditional features of the Don Juan stereotype and the expression of the originality and modernity of Valle-Inclán’s temperament. The first chapter includes a biographical note on the author, describes his cultural background, the critical panorama of Valle-Inclán’s literary production and the main themes of the Sonatas. The second chapter analyses the contents, language and style of the four novels. The third and fourth chapters provide a comparative analysis of the novels, with a specific interest for the evolution of the character and the main features he shares with his author.
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"L' AUTRE ECOLE" IL ROMANZO CRITICO NELLA FRANCIA DI FIN - DE - SIECLE

ZOCCHI, CHIARA 01 April 2009 (has links)
La tesi è un'analisi di tre testi ("Sixtine" di Remy de Gourmont, "Là-Bas" di Joris-Karl Huysmans e "Paludes" di André Gide), che si inseriscono nel genere oltre i generi da me definito "Romanzo Critico", comparsi nella Francia di fine Ottocento. / My Thesis is an analysis of three books ( "Sixtine" by Remy de Gourmont, "Là-Bas by Joris-Karl Huysmans and "Paludes" by André Gide).Three exemples of "Critic Novel" in the period of fin-de-siècle in France.
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Francesco Panigarola (1548 – 1594): la “Vita” esemplare di un predicatore nell’età della Controriforma

Giunta, Fabio <1972> 15 May 2008 (has links)
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Libro, diaspora e ri-costruzioni identitarie. Per una storia della tipografia sefardita portoghese nell'Italia del Cinquecento

Faiolo, Chiara <1976> 16 June 2010 (has links)
Il lavoro ripercorre le tracce che gli ebrei portoghesi, esuli dopo il biennio 1496-97, lasciarono nel loro cammino attraverso l'Europa. In particolare, l'interesse si concentra sulla breve parentesi italiana, che grazie all'apertura e alla disponibilità  di alcuni Signori, come i Gonzaga di Mantova, i Medici, i Dogi della Serenissima e gli Este, risulta ricchissima di avvenimenti e personaggi, decisivi anche per la storia culturale del Portogallo. L'analisi parte evidenziando l'importanza che ebbe la tipografia ebraica in Portogallo all'epoca della sua introduzione nel Paese; in secondo luogo ripercorre la strada che, dal biennio del primo decreto di espulsione e del conseguente battesimo di massa, porta alla nascita dell'€™Inquisizione in Portogallo. Il secondo capitolo tenta di fare una ricostruzione, il più possibile completa e coerente, dei movimenti degli esuli, bollati come marrani e legati alle due maggiori famiglie, i Mendes e i Bemveniste, delineando poi il primo nucleo di quella che diventerà  nel Seicento la comunità  sefardita portoghese di Amsterdam, dove nasceranno le personalità  dissidenti di Uriel da Costa e del suo allievo Spinoza. Il terzo capitolo introduce il tema delle opere letterarie, effettuando una rassegna dei maggiori volumi editi dalle officine tipografiche ebraiche stanziatesi in Italia fra il 1551 e il 1558, in modo particolare concentrando l'attenzione sull'€™attività  della tipografia Usque, da cui usciranno numerosi testi di precettistica in lingua ebraica, ma soprattutto opere cruciali come la famosa «Bibbia Ferrarese» in castigliano, la «Consolação às Tribulações de Israel», di Samuel Usque e la raccolta composta dal romanzo cavalleresco «Menina e Moça» di Bernardim Ribeiro e dall'ecloga «Crisfal», di un autore ancora non accertato. L'ultimo capitolo, infine, si propone di operare una disamina di queste ultime tre opere, ritenute fondamentali per ricostruire il contesto letterario e culturale in cui la comunità  giudaica in esilio agiva e proiettava le proprie speranze di futuro. Per quanto le opere appartengano a generi diversi e mostrino diverso carattere, l'€™ipotesi è che siano parte di un unicum filosofico e spirituale, che intendeva sostanzialmente indicare ai confratelli sparsi per l'Europa la direzione da prendere, fornendo un sostegno teoretico, psicologico ed emotivo nelle difficili condizioni di sopravvivenza, soprattutto dell'integrità religiosa, di ciascun membro della comunità. / The work traces the route that the Portuguese Jews, exiles after the 1496-97 biennium, followed on their journey through Europe. In particular, interest focuses on the brief Italian period, which is rich in events and characters decisive also for the cultural history of Portugal, thank to the openness of some Princes and Lords, as the Gonzaga of Mantua, the Medicis, the Doges of Venice and the Este family. The analysis starts by highlighting the importance that the Hebrew typography had in Portugal at the time of its introduction in the country, than traces the path that leads to the birth of Inquisition in Portugal, starting from the first expulsion act and the subsequent forced mass baptism. The second chapter tries a reconstruction as complete and consistent as possible of the wanderings of exiles, branded as Marranos and linked to two major families, Mendes and Bemveniste, outlining the nucleus of what will become in the seventeenth century the Sephardic Portuguese community in Amsterdam, which gave the dissident personalities of Uriel da Costa and his student Spinoza. The third chapter introduces the theme of literary works, performing a survey of the main volumes published by the Jewish presses who settled in Italy between 1551 and 1558, especially focusing on the activity of the Usque typography, which produced many Hebrew prayer books, and works as crucial as the famous Spanish Ferrara Bible, Samuel Usque’s Consolação às Tribulações de Israel, and the collection composed by Bernardim Ribeiro’s knight novel Menina e Moça and the eclogue Crisfal, written by an author not yet identified. The last chapter, finally, tries to analyze these three works, which are fundamental to reconstruct the literary and cultural context in which the exile Jewish community acted and projected its hopes for the future. Even if the three works belong to different genres and show different character, the hypothesis is that they are part of a philosophical and spiritual unicum, which basically aimed to show the brethren scattered across Europe the way to go, providing a theoretical, psychological and emotional support in the difficult survival conditions, especially of the religious integrity of each member of the community.
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Studi critici per una nuova edizione della Regula pastoralis di Gregorio Magno

Perotti, Federica 24 June 2022 (has links)
L’elaborato consiste in uno studio filologico sul testo della Regula pastoralis di Gregorio Magno e sulla sua prima diffusione. La tesi è strutturata in quattro sezioni: nella prima parte si ripercorre brevemente la storia degli studi critici sul testo della Regula pastoralis e si discutono i criteri metodologici adoperati per la selezione dei testimoni, che vengono di seguito descritti singolarmente in schede codicologiche. Nella seconda parte si analizzano i rapporti tra la Regula pastoralis e due altre opere gregoriane, i Moralia in Iob e l’epistola Synodica, allo scopo di definire sia l’occasione che le modalità con cui la Regula venne composta. Sempre in questa sezione si affronta il tema delle diverse campagne correttive autoriali che hanno interessato la Regula pastoralis e, contestualmente, si presentano alcune varianti riconducibili alla prima stesura del testo. La terza parte della tesi contiene la discussione dei passi che permettono di definire le diverse ramificazioni stemmatiche, insieme ad alcuni approfondimenti sulla storia della tradizione. Nella sezione finale è presentato il testo critico della prima metà della Regula pastoralis, comprendente sia le lezioni della prima redazione, collocate nella prima fascia di apparato, sia della seconda, poste a testo. Conclude l’elaborato un’appendice in cui si leggono i passi compresi tra i capitoli XXXI e LXIV interessati da interventi autoriali, dei quali si fornisce la forma ante e post correzione.
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Una prima redazione del commento all'Inferno di Guido da Pisa tra le chiose alla Commedia contenute nel ms. Laur. 40.2.

Locatin, Paola January 2010 (has links)
La tesi contiene l'edizione critica delle chiose all'Inferno contenute nel ms. Laur. 40.2 e l'edizione del volgarizzamento della prima redazione del commento all'Inferno di Guido da Pisa contenuto nel ms. Poggiali Vernon.Il testo critico à ̈ preceduto da un saggio introduttivo e dalla Nota al testo.

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