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On synchrony and social relations: the role of synchronous multisensory stimulations in self-other merging, social bonding and ingroup-bias reductionMazzurega, Mara January 2010 (has links)
In psicologia sociale, e in particolare negli studi sulle relazioni intime e le relazioni all’interno del gruppo d’appartenenza, è stato osservato come le persone con cui abbiamo dei legami (e.g., partner, amici, membri del nostro gruppo) siano incluse nella rappresentazione del sé. Nella presente tesi mi sono interessata al ruolo del corpo, e in particolare alla sincronia interpersonale (i.e., la messa in atto di azioni sincrone, come nel caso di una marcia o una danza), nel suscitare questo senso di inclusione. Recentemente, alcuni studi hanno sottolineato i molteplici effetti sociali della sincronia, come il sentirsi parte di un’unità, i sentimenti di affiliazione e i comportamenti cooperativi. Quale sia il processo sottostante di questi effetti è però una questione che è stata raramente presa in considerazione. Facendo un parallelo tra gli studi sulle relazioni sociali in psicologia sociale e le ricerche di neuroscienze cognitive, che dimostrano come i confini della nostra rappresentazione corporea siano flessibili e frutto dall’integrazione di informazioni visive, tattili e propriocettive, ho avanzato l’ipotesi che l’integrazione multisensoriale possa essere una delle possibili spiegazioni degli effetti sociali della sincronia. Ispirandosi a questi studi sulla percezione corporea e all’”illusione della mano di gomma”, ai partecipanti veniva data una stimolazione tattile sul volto mentre guardavano un video dove una persona riceveva la stessa stimolazione in modo sincrono o asincrono. E’ noto che in queste illusioni multisensoriali, una stimolazione visuo-tattile sincrona (vs. asincrona) permetta l’inclusione nella rappresentazione del sé corporeo di oggetti esterni, che sia una mano finta o il viso di uno sconosciuto. I risultati di un primo studio (Capitolo 2) evidenziano come la sincronia (vs. asincronia) della stimolazione induca un’illusione di diventare la persona nel video e che questa alterazione del sé corporeo porti anche ad una inclusione dell'altro nel sé a livello concettuale (i.e., vicinanza, similarità, piacevolezza e conformismo. Questo risultato è stato replicati negli studi successivi. Evidenze mediazionali (Capitolo 2) e uno studio di controllo (Capitolo 3) sottolineano come sia l’illusione corporea di diventare l’altro ad essere responsabile degli effetti sociali trovati. E’ stato inoltre evidenziato come, oltre a influenzare la percezione dell’altro, una stimolazione multisensoriale sincrona (vs. asincrona) abbia un effetto anche sulla valutazione del sé. Mettendo in parallelo la reazione sulla percezione di sé con gli studi sul confronto sociale nelle relazioni importanti è stato possibile sottolineare come questo tipo di stimolazione multisensoriale, quando sincrona (vs. asincrona), non induca solo una semplice assimilazione percettiva ma un legame di tipo relazionale (Capitolo 4). Inoltre, l’effetto di inclusione dell’altro creato dalla sincronia è generalizzabile anche a livello intergruppi. Riprendendo il classico paradigma della mano di gomma e manipolando l’appartenenza etnica (mano bianca vs. nera) o l’età (mano di un giovane vs. anziano) della mano finta è stato possibile valutare da una parte l’effetto della categorizzazione sociale sull’illusione e, dall’altra, l’effetto della manipolazione sia sulla percezione di un membro dell’in-group e dell’out-group, oltre che dei loro gruppi di appartenenza (Capitolo 5). Un ultimo studio (Capitolo 6) si colloca nel dibattito tra il peso dei fattori sensoriali bottom-up (i.e., sincronia) e delle conoscenze pregresse sul corpo, o top-down (e.g., legame funzionale tra gli stimoli) nelle illusioni multisensoriali (e.g., mano di gomma). Nell’insieme questi studi mostrano come l’integrazione multisensoriale giochi un ruolo importante nel senso di unità e fusione con l’altro creato dalla sincronia e sottolineano inoltre come le nostre relazioni sociali siano parzialmente radicate nella nostra rappresentazione corporea.
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On the effects of derogatory group labels: The impact of homophobic epithets and sexist slurs on dehumanization, attitude and behavior toward homosexuals and womenFasoli, Fabio January 2011 (has links)
Le etichette denigratorie (e.g., frocio, negro) sono termini che veicolano un atteggiamento negativo nei confronti del gruppo o persona a cui si riferiscono (Simon & Greenberg, 1996) e, per questo, si differenziano dalle etichette categoriali (e.g., gay, Afro-Americano) le quali si limitano a denominare in modo neutro una categoria o gruppo. Sino ad oggi sono state indagate le conseguenze di tipo valutativo (i.e. atteggiamento) e descrittivo (i.e. attivazione dello stereotipo) dell’esposizione alle etichette denigratorie. In particolare, da alcuni studi è emerso che, quando le persone sono esposte a termini denigratori (vs. categoriali), esse tendono a valutare la persona oggetto dell’offesa in modo maggiormente negativo (Greenberg et al., 1985; Kirkland et al., 1987; Galdon et al. 2009) e ad attivare associazioni meno positive nei confronti del gruppo (Carnaghi & Maass, 2007). La presente tesi si propone di investigare le conseguenze delle etichette denigratorie su coloro che vi sono esposti in modo involontario, e analizzare se l’esposizione a questa tipologie di linguaggio denigratorio contribuisce alla persistenza del pregiudizio. Il tipo di reazione ad etichette denigratorie dipende dalla prospettiva assunta da coloro che sono esposti a questi termini. Da un lato troviamo coloro che sono spettatori in quanto non appartengono al gruppo denigrato. Dall’altro vi sono coloro che sono i destinatari dell’offesa essendo parte del gruppo a cui le etichette si riferiscono. Nella presente ricerca sono state analizzate le reazioni di spettatori eterosessuali ad epiteti omofobi e gli effetti delle etichette sessiste sui destinatari, ossia le donne. Gli studi sugli epiteti omofobi hanno indagato due tipologie di reazione: il comportamento non verbale e la percezione di umanità del gruppo target. In particolare è stato esaminato il fenomeno della de umanizzazione animalistica in riferimento al fenomeno dell’infra-umanizzazione, che può essere descritto come la tendenza a percepire il proprio gruppo di appartenenza (in-group) come più umano rispetto ad un gruppo esterno (out-group; Leyens et al., 2001). In 2 studi viene mostrato come gli epiteti omofobi (e.g., frocio) determinavano una negazione di umanità al gruppo degli omosessuali, che non emergeva quando i partecipanti erano esposti ad una etichetta di tipo categoriale (e.g. gay) o ad un insulto generico non specifico per gli omosessuali (e.g., coglione). Tale effetto di deumanizzazione degli omosessuali emergeva sia in Italia che in Australia, provando l’indipendenza del processo in questione dal contesto linguistico e culturale di riferimento. Inoltre, gli epiteti omofobi determinavano anche delle conseguenze di tipo comportamentale. In particolare, è stato evidenziato che l’esposizione ad etichette omofobe aumentava la volontà dei partecipanti eterosessuali a mantenere una distanza fisica verso una persona omosessuale. Nel caso delle etichette sessiste sono state analizzate le conseguenze sui membri del gruppo a cui i termini erano riferiti, ovvero le donne. In una prima ricerca sono state esaminate due tipologie di etichette sessiste denominate etichette Sessiste Denigratorie (e.g., troia) e Sessiste Oggettivanti (e.g., gnocca), e come la loro accettabilità sociale variasse in diverse situazioni (e.g., relazione affettiva piuttosto che luogo di lavoro). I risultati evidenziarono che la valutazione e i giudizi di accettabilità variavano per le etichette – le sessiste denigratorie erano percepite come fortemente offensive e socialmente in accettate mentre le sessiste oggettivanti come meno offensive e più accettabili. Al tempo stesso il tipo di contesto e il genere della persona (uomo vs. donna) che utilizza l’etichetta sembrava influenzarne l’accettabilità dei termini. Le conseguenze di queste due tipologie di etichette sessiste sulle donne è stata indagata analizzando le risposte di sessismo. In questo caso si è fatto riferimento al costrutto di Sessismo Ambivalente (Glick & Fiske, 1996), che distingue due dimensioni relative ad una forma di ostilità e benevolenza nei confronti delle donne. I risultati di due studi supportano l’ipotesi che, seppur diverse per valenza, entrambe le etichette sessiste denigratorie e oggettivanti enfatizzano una visione della donna come subordinata e, in questo modo, inducono a maggiori livelli di sessismo ostile nei confronti dell’in-group. I due filoni di ricerca evidenziano come il linguaggio denigratorio omofobo e sessista abbiano delle conseguenze nella perpetuazione del pregiudizio. Nel caso degli spettatori, determinando risposte di distanza fisica e de umanizzazione del gruppo target. Nel caso dei destinatari, incrementando un atteggiamento ostile verso il proprio gruppo di appartenenza e accettando credenze a carattere pregiudiziale. Infine, sono stati considerati e discussi i limiti della ricerca, soprattutto relativamente ai processi sottostanti ai fenomeni evidenziati, le novità delle evidenze riscontrate e le implicazioni sociali delle etichette denigratorie.
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Does the Way we interact with Technology Affect Cognitive Performance? An in-depth analysis of writing devicesCerni, Tania January 2014 (has links)
The great influence of mass technologies has changed our writing modality that is moving from the traditional use of pen and paper to the domain of keyboards and recently to touchscreen tools, both in everyday life and in educational contexts. The digitalization of writing and of the texts we write, but also the ubiquity of digital technologies, should encourage a deeper understanding of the implications of the physical and sensorimotor changes in writing. It is reasonable to think that the motor-perceptual differences between different writing modalities can lead to different cognitive performances in linguistic tasks, depending on the writing movement that has to be performed but also on the experience that we have with this movement. In this work, I take into account the role of tangible devices for writing and their different haptic affordance, rarely considered in the study of language, in general, and of writing, in particular. To do so I analyzed different behaviors while we use different writing technologies and discuss the findings from a cognitive science point of view. The general aims of this thesis consists in establishing possible cognitive entailment of different types of writing modalities, in explicating their role in other linguistic tasks and in evaluating the possible implication on daily life and education. The thesis is presented like a collection of papers, results of my research activity and experiences during my participation in the doctoral school. I divided my work in three separate chapters in which different research points of views are analyzed, different experimental procedures are used and different technological devices for writing are tested. Chapter 1 present a study aimed at investigating whether technologically mediated linguistic performance reflects cross-modal interaction and whether it is modulated by the writing technology used, specifically a touchscreen and a keyboard. Chapter 2 comprises a set of studies dedicated to investigate whether it is possible that a strong experience in typing influences our linguistic abilities. Furthermore, typing and mobile typing are compared testing if the two writing modalities share the same motor behaviors. Mobile technologies are also the argument of Chapter 3 in which I present two theoretical papers dedicated to the potential of these devices for learning, in general, and for second language learning, in particular.
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Assessing audiotactile interactions: Spatiotemporal factors and role of visual experienceOccelli, Valeria January 2009 (has links)
This thesis investigated the crossmodal interactions occurring between hearing and touch. Chapters 1 to 6 present the background to this topic and an introduction to the underlying mechanisms of crossmodal perception. Chapter 1 provides a historical overview on the pioneering studies in this issue, whereas in the successive ones the main behavioural evidence on is described. Specific aspects are presented across the chapters, with Chapter 2 presenting the studies using detection/discrimination tasks, intensity tasks, or investigating texture perception or crossmodal sensory illusions and pseudosynaesthetic correspondences. In the subsequent chapters, more specific aspects are taken into consideration, such as the temporal (Chapter 3) and the spatial (Chapter 4) constraints characterizing audiotactile interactions. In Chapter 5, special attention is given to the neural substrates of the audiotactile sensory interplay, in both humans and monkeys. Since there is considerable evidence showing that visual deprivation influences how touch and hearing interact, Chapter 6 will be devoted to explore this topic in more detail.
The following chapters present the experimental studies designed to empirically investigate different aspects of audiotactile interactions. Chapter 7 contains experimental studies examining the potential existence of a sensory dominance between hearing and touch, by investigating different portions of the peripersonal space and/or spatial arrangement of the stimuli. Chapter 8 is focused on evaluate the capability of humans in matching the frequency pattern of auditory, tactile and crossmodal stimuli. The spatial factors affecting audiotactile interactions will be explored in Chapter 9, by evaluating how the perception of apparent motion in one modality is biased by the presentation of apparent moving stream in the other modality. The investigation of crossmodal compatibility effects is the topic of Chapter 10. Since visual deprivation has been proved to influence how touch and hearing interact, the last chapter (Chapter 11) will be devoted to compare either spatial or temporal perception, as well as the construction of frames of reference for tactile processing - in relation with auditory stimulation- in blind and sighted individuals.
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Sulle determinanti della fallacia della congiunzione: Test dell'ipotesi basata sulla teoria della conferma bayesianaRusso, Selena January 2010 (has links)
All'interno dell'annoso dibattito sulla razionalità del ragionamento umano il fenomeno della fallacia della congiunzione (CF) riveste un ruolo di estremo interesse (Tversky & Kahneman, 1983). La CF rappresenta una particolare tipologia di errore logico e probabilistico ed è uno dei fenomeni maggiormente studiati nell'ambito del ragionamento probabilistico. Essa consiste nel valutare come maggiormente probabile l'occorrenza della congiunzione di due eventi (h1&h2) rispetto alla probabilità di presentazione di uno dei due costituenti (h2), giudizio che contravviene ai dettami normativi della regola di congiunzione. Nel Capitolo 1 verrà presentato il problema della fallacia della congiunzione e la sua rilevanza per la spiegazione del ragionamento umano. Nel Capitolo 2 verranno presente le principali proposte esplicative analizzandone i maggiori punti di forza e le limitazioni, in particolare per quanto riguarda la loro forza predittiva. Nonostante i numerosi tentativi di spiegazione, a tutt'oggi difettiamo di una teoria esaustiva in grado di predire l'occorrere del fenomeno. Tra le spiegazioni avanzate particolare rilevanza ai fini della nostra indagine assumono l'insieme della Averaging Rule Hypotheses, che assumono che la CF sia il risultato di una valutazione della probabilità di una congiunzione effettuata attraverso regole non normative del calcolo della media applicate alle probabilità dei congiunti (Nilsson, 2008). Una più recente interpretazione, la Random Variation Hypothesis, descrive invece la CF come l'effetto di un errore casuale insito nel processo valutativo (Costello, 2009). Entrambe queste teorie descrivono e prevedono l'incidenza della CF come funzione della probabilità degli eventi componenti la congiunzione, in particolare l'incidenza dell'errore aumenterà all'aumentare della probabilità assegnata al congiunto aggiunto h2. Queste teorie forniranno il termine di paragone contro cui confrontare il valore esplicativo e predittivo dell'ipotesi che presenteremo nel capitolo successivo. Nel Capitolo 3 si avanzerà una nuova lettura del fenomeno, proposta inizialmente da Crupi, Fitelson & Tentori, 2008 e basata sulla teoria bayesiana della conferma, per cui si ipotizza che le stime probabilistiche erronee tipiche della CF siano in realtà connesse con valutazioni sulla relazione di conferma, intesa come l'apporto informativo che una evidenza conferisce ad una ipotesi. Più in dettaglio, in accordo con questa analisi l'incidenza dell'errore della congiunzione è descritto come funzione dell'aumento del supporto fornito all'ipotesi aggiunta h2. La parte più prettamente sperimentale del presente lavoro è contenuta nel Capitolo 4 dove verranno presentati quattro studi sperimentali finalizzati ad una maggiore comprensione del fenomeno della fallacia della congiunzione, in particolare confrontando empiricamente la spiegazione basata sulla nozione di conferma induttiva con le principali teorie alternative. Il termine di confronto privilegiato sarà fornito dall'insieme delle Averaging Hypotheses e dalla Random variation hypothesis: questi due approcci esplicativi presentano infatti forti similitudini, per quanto concerne le predizioni, con la teoria basata sulla nozione di conferma bayesiana, in quanto grado di conferma e grado di probabilità sono strettamente correlati e spesso mutano in maniera congiunta. Per dimostrare la validità della nozione basata sulla conferma occorre quindi separare le responsabilità dei due fattori, e quindi creare contesti sperimentali in cui le due teorie forniscono predizioni divergenti. I risultati mostrano che la proposta teorica basata sulla conferma si dimostra un buon predittore del verificarsi del fenomeno. In conclusione questi risultati verranno ripresi in considerazione dal punto di vista teorico, per saggiarne la rilevanza nei confronti della ricerca empirica sulla CF, per tentare di gettare una luce sul ruolo della CF stessa nel quadro dell'indagine sulla natura del ragionamento e per suggerire nuovi percorsi di riflessione.
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Bayesian confirmation by uncertain evidence: epistemological and psychological issuesMastropasqua, Tommaso January 2010 (has links)
Inductive reasoning is of remarkable interest as it plays a crucial role in many human activities, including hypotheses evaluation in scientific inquiry, learning processes, prediction of future events, and diagnosis of a phenomenon (e.g., medical diagnosis). Despite the relevance of these cognitive processes in a variety of settings, there still remains much to understand about the basis of human inductive inferences. For example, it is not yet clear whether the same psychological mechanisms underlie both inductive reasoning and deductive reasoning or, on the contrary, whether induction and deduction correspond to distinct mental processes.
The study of inductive reasoning has been a traditional topic in epistemology, and is more recently being explored in cognitive psychology as well. In the present contribution, I focus on both the epistemological and the
psychological accounts. To begin with, I illustrate the state-of-art of research on inductive reasoning. On one hand, epistemologists have been working to develop normative theories in which the notion of inductive strength (or confirmation) is formalized. I discuss some of the alternative Bayesian measures of confirmation proposed in the literature on inductive logic. On the other hand, psychologists have been empirically investigating inductive reasoning, discovering important phenomena such as systematic effects of similarity, typicality, and diversity. I illustrate some of the most significant models of induction proposed in the psychological literature to account for such phenomena.
Both lines of inquiry – epistemological and psychological – have focused on a restricted kind of induction problem: when assessing the inductive strength of arguments, premises are assumed to be true, that is, ascertained with the maximum degree of probability. However, inductive arguments occurring in real settings often depart from this pattern. Indeed, in a variety of situations, one may need to assess the impact of a piece of evidence whose probability may have significantly changed while not attaining certainty. Evidential uncertainty in inductive inferences is at the core of the present research.
After exploring a selection of psychological phenomena concerning uncertainty, I address the epistemological problem of how to extend Bayesian confirmation theory to include cases where the evidence is not certain. A straightforward solution is proposed for a major class of confirmation measures called P-incremental. The solution proposed is based on Jeffrey conditionalization, an essential formal principle discussed below in greater
detail.
On the psychological account, I discuss two experimental studies conducted to test whether and how people’s judgments of inductive strength depend on the degree of evidential uncertainty. In the first study the uncertainty
of evidence is explicitly manipulated by means of numerical values, whereas in the second study uncertainty is implicitly manipulated by means of ambiguous pictures. The results show that people’s judgments are highly correlated with those predicted by two normatively sound Bayesian measures of confirmation. This sensitivity to the degree of evidential uncertainty supports the centrality of inductive reasoning in cognition, and opens the path to further investigations on induction in real contexts.
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Predispositions of Conscious Perception: from Correlation to CausationFuscà, Marco January 2018 (has links)
Human mental life is accompanied by oscillatory signals that send information across distributed neural
networks. Whether a stimulus reaches or escapes our conscious experience is influenced by the state of the
brain in that moment, reflected in cerebral electrophysiology. Our understanding of this brain activity has grown vastly in recent years, thanks to leading advances in electro- and magneto-encephalography (EEG and MEG, or M-EEG, which enable us to monitor the electric brain signal) and recent developments allowing the direct modulation of endogenous oscillatory components that underlie cortical functions. Transcranial current stimulation, particularly the variant with alternating current (tACS), putatively lets us assess and gauge the role of oscillations on cognition. Several studies have confirmed that tACS can influence neural mechanisms and behavior, even conscious access. Until recently, cerebral activity during stimulation could not be assessed and observations were limited to the aftereffects. The aim of the project described in this dissertation is to investigate the validity of a pioneering procedure that can recover brain signal during simultaneous MEG and tACS. Then, exploiting this approach, we furthered our grasp of how the neural system is altered by transcranial stimulation and the complex relationship between the external current and the internal mechanisms of the brain. The overall goal is to explore our ability to manipulate neural signatures in ongoing activity and the conscious perception of an upcoming stimulus. Chapter 1 provides the reader with a general introduction of current studies and theories behind tACS influence on cognition and behavior. After a description of what tACS is and what it does, the focus is mostly on cutting-edge methods combining tACS and M-EEG, network connectivity and graph theoretical
frameworks to study cognitive processes. At the end of the introductory chapter, we indulge on applications
and consequences of these approaches, as well as open questions about our understanding of the prerequisites
of conscious perception that drove the experiments described in the following chapters.
Chapter 2 reports the first study in which we addressed the feasibility of concurrent tACS and MEG, the
prerequisite for the rest of the project. Chapter 3 and 4 present studies that better delineated what happens in
the brain in terms of oscillatory phase, connectivity and the dependency of tACS effects with the ongoing brain
state during electrical stimulation. We addressed some key issues on the mechanisms of action of tACS and its
sensitivity to in-vivo brain networks.
Chapter 5 provides preliminary results of a study employing a near-threshold task paired with tACS and MEG
in the context of conscious perception. We stimulated prestimulus brain rhythms in sensory cortices to see if
their strength and connectedness with the rest of the brain could determine whether a stimulus will be
perceived or not. Chapter 6, after a recapitulation of the main results in a broader perspective, discusses the meaning and the limitations of the experimental findings and how these extend our current knowledge.
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The search template for object detection in naturalistic scenesReeder, Reshanne January 2014 (has links)
The work presented here is at the meeting point of two branches of visual search research, one of which focuses on the proposition that visual search is guided by preparatory internal representations of targets (i.e., search templates: e.g., Bravo & Farid, 2009; 2012; Castelhano & Heaven, 2010; Duncan & Humphreys, 1989; Malcolm & Henderson 2009; 2010; Schmidt & Zelinsky, 2009; Vickery, King, & Jiang, 2005; Wolfe, 2007; Wolfe, Cave, & Franzel, 1989; Yang & Zelinsky, 2009), and the other of which focuses on investigating target detection in naturalistic search environments (e.g., Delorme, Richard, & Fabre-Thorpe, 2010; Delorme, Rousselet, Macé, & Fabre-Thorpe, 2004; Li, VanRullen, Koch, & Perona, 2002; Peelen, Fei-Fei, & Kastner, 2009; Peelen & Kastner, 2011; Thorpe, Fize, & Marlot, 1996; VanRullen & Thorpe, 2001). The search template for objects presented in naturalistic scenes is relatively unknown in terms of its content and characteristics, neural underpinnings, and individual differences in its representation. This thesis explores these topics in depth using behavioral and neurostimulation methods in four experimental chapters.
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Inter-object grouping in visual processing: How the brain uses real-world regularities to carve up the environmentKaiser, Daniel January 2015 (has links)
In everyday situations humans are continuously confronted with complex and cluttered visual environments that contain a large number of objects. Despite this complexity, performance in real-life tasks is surprisingly efficient. As a novel explanation for this efficiency, we propose that the brain uses typical regularities between objects (e.g., lamps are typically appearing above dining tables) to group these objects to reduce complexity and thereby facilitate behavioral performance. In a series of experiments, we show that object regularities reduce competitive interactions in visual cortex, and we relate this benefit to improved detection of target objects among regular distracter groups. Furthermore, we show that this inter-object grouping also enhances performance in visual working memory and determines how fast objects enter visual awareness in the first place. Altogether, our findings demonstrate that inter-object grouping effectively reduces the number of competing objects and thus can facilitate perception in cluttered, but regular environments.
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Mechanisms of learning and plasticity across sensory modalities: insights from bilateral deafness and intense visual trainingHeimler, Benedetta January 2013 (has links)
Interacting with the external environment is an inherently multisensory experience. Therefore, understanding how unisensory deprivations occurring early in life affect this interaction has always been a hot topic of research. In this thesis I aim to contribute to this prolific debate by further investigating the effects on behavior exerted by early-acquired bilateral deafness. In the past decades many studies have extensively investigated this topic, focusing mainly on explaining the changes occurring within the visual modality of deaf people, ultimately aiming at understanding to what extent the intuitive assumption that deaf adults ‘see better’ than hearing controls is really true. This approach proved highly informative, yet many fundamental aspects of behavior remained largely overlooked. The aim of this thesis was to identify these missing aspects and try to address them as systematically as possible. In particular I focused on four critical domains: (i) the investigation of the behavioral reorganization that occurs within the tactile modality of deaf adults (Chapter 2, Study 1; Study 2); (ii) the possible modifications of the interactions between two intact sensory systems (i.e., vision and touch) as a consequence of auditory deprivation (Chapter 3); (iii) the finer-grained definition of which mechanisms of visual attention are modified by bilateral deafness (Chapter 4, Study 1; Chapter 5); (iv) the further understanding of the role of extensive visual training in driving the behavioral improvements reported in the deaf population compared to hearing controls (Chapter 2, Study 3; Chapter 4, Study 1; Study 2; Chapter 5). This set of results highlight that deafness-related plasticity exerts multifaceted effects on behavior, which extend selectively to certain functions but not to others, and that even produced selective aspects of impaired behaviors. Importantly, these data also provide initial evidence that vision and touch might to a certain extent, reorganize independently from one another as a consequence of early bilateral deafness and that also the way they interact with each other shows some modified aspects. Finally, the majority of the behavioral modifications I documented in this thesis depended from deafness per se and was not ascribable to training-related effects. Unexpectedly but very interestingly, what clearly emerged from this set of results is the remarkable flexibility of which are capable the reorganized sensory systems, and in particular the reorganized visual system of deaf adults.
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