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La giustizia di transizione in Italia. L'esperienza dopo la seconda guerra mondiale

Caroli, Paolo January 2017 (has links)
La transizione italiana dal fascismo alla democrazia costituisce un paradigma della più recente categoria di giustizia di transizione. L’indagine studia il caso italiano secondo tale prospettiva specifica, intesa come gamma di processi e meccanismi associati con i tentativi di una società di affrontare un’eredità di passati abusi su larga scala. Vengono analizzate le soluzioni adottate in Italia, a partire dalla caduta del regime fascista, al fine di “fare i conti” con il passato. Lo studio fornisce una ricognizione prima di tutto sul piano del diritto penale, sia sostanziale che processuale, prendendo in esame sia gli interventi normativi che la prassi applicativa. Si passa poi all’esame di altri meccanismi, non solo sul piano amministrativo e civile, ma anche su quello politico e costituzionale, giungendo a riflettere su come il diritto penale si rapporti al processo di transizione nel suo insieme. In particolare, il lavoro analizza approfonditamente il rapporto fra transizione e potere di clemenza, partendo da un’analisi critica dell’amnistia Togliatti, vista come paradigma della transizione italiana. La prospettiva penalistica viene integrata con la comparazione giuridica e con la chiave di lettura della giustizia di transizione, che include una prospettiva storica, politica, sociologica e filosofica. Il lavoro legge il caso italiano come esempio di giustizia di transizione, lo colloca all’interno dello scenario comparato, verificando se si possa o meno ritenere esistente un modello italiano, cercando di offrire uno studio critico del processo transizionale nel suo insieme.
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La giustizia riparativa ed il sistema del Giudice di Pace: principi, istituti e prospettive di un modello alternativo di risoluzione dei conflitti in materia penale

Mattevi, Elena January 2013 (has links)
Questa ricerca nasce da una riflessione sulle problematiche poste dal multiforme modello dalla restorative justice, spostando l’attenzione da una vasta e per molti versi eterogenea base disciplinare a cui la giustizia riparativa fa riferimento ad un ambito interno alla giustizia penale, per cercare di capire se e in che misura questo modello, favorendo modalità alternative di definizione dei conflitti, possa essere sviluppato nel nostro ordinamento allo scopo di contribuire con efficienza ed efficacia alla sua evoluzione. L’indagine prende le mosse dalle istanze fondative della giustizia riparativa, descrivendo il quadro in cui essa si inserisce e dedicando uno specifico spazio ai temi della tutela della vittima e delle teorie della pena, per poi riflettere, nel secondo capitolo, sulla nozione di restorative justice, sui suoi contenuti e sui suoi termini, entro i quali si possono collocare le pratiche di mediazione e le condotte riparatorie. I possibili riflessi della riparazione sul diritto penale introducono nell’indagine una prospettiva di grande rilievo: quella del contributo del modello in esame ad una gestione più economica della pena e del processo penale, non appena ne sia definita la corretta delimitazione operativa. Il capitolo terzo prende in esame gli atti sovranazionali in tema di giustizia riparativa e di mediazione, con un’analisi approfondita delle fonti europee, per poi valutare le soluzioni più significative offerte dagli ordinamenti francese, tedesco e spagnolo, caratterizzati da sistemi processuali diversi fra loro. Il quarto capitolo è dedicato approfonditamente al sistema del giudice di pace nella realtà giuridica penale italiana. Pur con i limiti che derivano alla riforma dalla sua applicazione ad un numero circoscritto di reati (e addirittura – secondo alcuni convinti sostenitori della restorative justice – da un’accentuazione solo relativa dell’elemento riparatorio e di incontro tra vittima e offensore), con il decreto legislativo del 2000, in vigore quindi da più di dieci anni, il legislatore italiano si è posto dichiaratamente in questa prospettiva elaborando, nell’ambito della giustizia penale degli adulti, un modello diverso rispetto a quello tradizionale e caratterizzato da profili ed istituti di estremo interesse. Proprio a partire da questo microsistema – dall’accentuata vocazione sperimentale – e di quanto appreso grazie all’esame delle esperienze straniere, l’indagine si conclude con alcune ipotesi di sviluppo, tenendo conto della necessità di ricercare adeguati correttivi ai problemi emersi in un quadro di riferimento assai complesso ed in particolare alle difficoltà tecniche che incontra il sistema della giustizia formale nel percorso di arricchimento dei propri strumenti operativi.
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La riscoperta del diritto civile nell'ottica della strategia differenziata di lotta al crimine

Garzon, Elisa January 2016 (has links)
È possibile pensare al diritto civile come mezzo per realizzare una strategia di lotta al crimine più efficiente? Questo è l’interrogativo alla base di questo studio. Per rispondervi, si è cercato di ipotizzare un coordinamento di mezzi di tutela guardando ai rimedi di diritto civile, per il penalista tradizionalmente lontani, al fine di ricercare soluzioni di maggiore efficienza ed economicità. Un tentativo che un illustre Autore probabilmente avrebbe descritto come una innovativa rispolverata di “vecchi arnesi già nell’armadio”.
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l fatto colposo: la crisi del modello nomologico, l' aspettativa di diligenza e la condotta penalmente rilevante. Uno studio di diritto comparato sulla definizione della colpa punibile

Perin, Andrea January 2015 (has links)
A quali condizioni é o in base a quali criteri di valutazione é una condotta che offende o che non impedisce la lesione di beni giuridici fondamentali quali la vita e l'integrità fisica della persona può dirsi non soltanto dannosa ma altresì colposa per il diritto penale? Il lavoro che si presenta prende le mosse da una questione, come si vede, di enorme portata. Essa, in termini dogmatici, porta ad interrogarsi sui caratteri delle categorie concettuali afferenti all'elemento oggettivo del reato colposo (il relativo fatto tipico), sul metodo di concretizzazione del dovere di diligenza(che di tale elemento costituisce il cuore normativo) e sui criteri di giudizio in base ai quali esso può ritenersi inosservato. Il metodo di indagine prescelto consiste nella comparazione di due esperienze, quella italiana e quella spagnola, omogenee sul piano teorico e cioé accomunate dall'utilizzo del medesimo linguaggio é ma attualmente caratterizzate e quantomeno nella materia in esame é da tendenze evolutive notevolmente differenti anche in ragione della diversa influenza esercitata nei loro confronti dalla dogmatica tedesca. Oltre che sul dibattito teorico sviluppatosi in questa due aree culturali, lo studio si occupa dell'esperienza applicativa maturata in entrambi i Paesi nei settori della responsabilità medica e della prevenzione dei rischi professionali (della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro), contesti nei quali si fa particolarmente evidente l'attuale crisi del cd. modello nomologico, cioé del metodo di spiegazione causale d'impronta neopositivista e del criterio ricostruttivo delle norme cautelari fondati su leggi scientifiche. In entrambi i casi, in entrambe le dimensioni del giudizio sulla tipicità del fatto, l'offuscamento dell'immagine di scienza su cui venne edificata la teoria del reato colposo nel corso del Novecento ha già indotto il diritto penale contemporaneo a rivalutare il proprio peculiare approccio argomentativo e valutativo abbandonando lo schema inferenziale dimostrativo nomologico-deduttivo ed interrogandosi sul metodo attraverso cui definire i concreti margini del rischio consentito. E' in questa direzione, quella di una rinnovata riflessione sui limiti della libertà di azione di ciascuno nella vita di relazione di fronte alla minaccia della sanzione penale, che ci si muove nelle pagine del presente lavoro
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Le qualifiche soggettive nei reati contro la Pubblica Amministrazione: profili dogmatici e analisi casistica

Rossi, Stefania January 2010 (has links)
Nella trattazione del mio tema di ricerca, inerente le qualifiche soggettive nei reati contro la pubblica amministrazione, ho preliminarmente ricostruito la dogmatica del reato proprio, che costituisce l’archetipo delle fattispecie contenute nel Titolo II, capo I, del codice penale. L’obiettivo perseguito era, essenzialmente, quello di evidenziare il particolare status che contraddistingue il soggetto attivo di questi illeciti, per poter ragionare sul rapporto privilegiato che lega il pubblico funzionario al bene giuridico sotteso e che giustifica un peculiare tipo di responsabilità penale. L’intera riflessione si è svolta tenendo presente che i principi di correttezza e imparzialità dovrebbero orientare l’agire di tutti coloro che si occupano della gestione della “cosa pubblica” in ossequio ai contenuti dell’articolo 97 Cost., ma, in realtà, troppo spesso si è, invece, assisitito a spregevoli abusi di potere, evidente espressione di logiche affaristiche che ben poco hanno a che spartire con l’esercizio di un buon governo. Nella parte centrale del lavoro ho analizzato, all’interno di tre distinte sezioni, i contenuti degli articoli 357, 358, 359 c.p. nel tentativo di cogliere i loro aspetti più significativi. A tal fine, le norme sono state analizzate sia nella dizione originaria che nell’attuale vigenza e, per questo, ampio spazio è stato, doverosamente, dedicato alle istanze fatte proprie dalla legge n. 86/1990 e ai successivi interventi novellativi. L’analisi del significativo apporto dottrinale è stata accompagnata anche dallo studio della controversa prassi giurisprudenziale e, nel riportare le numerose e oscillanti pronunce, sono chiaramente emersi indicatori sintomatici di una parziale e rinnovata adesione ad un criterio “soggettivo” di identificazione delle qualifiche che era stato ufficialmente bandito dal legislatore della riforma. Questi dati sono stati, poi, confrontati con l’ordinamento giuridico statunitense, approfondendo non solo gli aspetti più strettamente penalistici (inerenti la fattispecie di reato proprio ed alcune tipologie di illeciti quali corruzione, concussione, peculato), ma anche quelli pubblicistici che, inevitabilmente, si intrecciano nello studio delle qualifiche soggettive. Sulla scorta della ricerca operata nella legislazione e giurisprudenza americane ho rilevato, innanzitutto, come gli Stati Uniti dispongano di un vasto apparato sanzionatorio per la repressione degli illeciti commessi contro la pubblica amministrazione, ma ciò che distingue realmente l’esperienza statunitense da quella italiana è l’accento posto con forza sulla prevenzione, attraverso l’adozione di veri e propri “codici di comportamento” per i funzionari pubblici, nonchè di procedure e sanzioni volte ad assicurare la piena correttezza nello svolgimento delle loro funzioni ed il rispetto delle regole. Il postulato che regge tale complessa organizzazione risiede nella convinzione che chiunque esercita un servizio pubblico è direttamente responsabile nei confronti della “cosa pubblica” e questa enunciazione di principio non rimane vuota, ma trova effettiva e costante applicazione. Negli U.S.A., l’etica nella gestione degli affari pubblici è, del resto, particolarmente sentita e si riflette anche sotto il profilo sanzionatorio, poichè all’interno del sistema americano viene dato ampio spazio all’adozione di misure accessorie interdittive. Tutto ciò non può non condurre ad una riflessione sull’insufficienza degli attuali strumenti a disposizione del diritto penale italiano nel reprimere la criminalità dei c.d. “colletti bianchi”; porre in discussione l’efficacia deterrente di sanzioni stricto sensu penali a favore di misure accessorie, ritenute forse più incisive, è opportuno soprattutto nella prospettiva di garantire una migliore tutela degli interessi collettivi coinvolti, quali, in primis, la fiducia che i consociati ripongono nell’operato degli amministratori pubblici.
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El Encarcelamiento Masivo : Análisis particular del caso chileno

Cuneo Nash, Silvio January 2015 (has links)
RESUMEN Esta tesis analiza el problema del encarcelamiento masivo, centrándose en el caso chileno. La utilización desmedida y selectiva de las penas privativas de la libertad se ha vuelto un mecanismo de control, llenando nuestras cárceles con los excluidos. Luego de un análisis histórico del nacimiento y evolución de la prisión moderna, nos ocupamos de las causas que explican el encarcelamiento masivo: el desmantelamiento social (acompañado de mayor punitividad) y el populismo punitivo (resultado de un discurso demagógico-vindicativo). Sostenemos que la selectividad con la que opera, los efectos que produce y la forma como beneficia a grupos minoritarios la hacen una medida no solo ilegítima, sino también insoportable en una sociedad democrática. Concluimos con una propuesta factible y alternativa al encarcelamiento masivo, compatible con el respeto por la dignidad humana. SOMMARIO Questa tesi analizza il problema della carcerazione di massa, con particolare attenzione al caso cileno. L'uso eccessivo e selettivo della privazione della libertà è diventata un meccanismo di controllo, riempiendo le nostre prigioni con gli esclusi. Dopo un'analisi storica della nascita e l'evoluzione del carcere moderno, ci rivolgiamo alle cause della carcerazione di massa: lo smantellamento sociale (accompagnato da una maggiore punizione) e il populismo punitivo (risultato di un discorso demagogico-vendicativo). Noi riteniamo che la selettività con cui opera, gli effetti che produce e i vantaggi per gruppi di minoranza lo rendano non solo illegittimo, ma anche insopportabile in una società democratica. Concludiamo con una proposta fattibile e alternativa alla carcerazione di massa, compatibile con il rispetto della dignità umana.
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Il giudicato e l'esecuzione penale in prospettiva de iure condendo

Manca, Veronica January 2017 (has links)
La recente casistica giurisprudenziale, elaborata dalle Corti sovranazionali in un continuo e serrato dialogo con le Supreme Corti nazionali, ha dato nuova linfa al dibattito interdisciplinare circa l’incidenza delle fonti sovranazionali rispetto alla modifica e all’integrazione dei sistemi giuridici interni. La complessa evoluzione giurisprudenziale, ancora in atto, ha progressivamente elaborato un nucleo essenziale di garanzie a tutela dei diritti umani della persona sottoposta a procedimento penale, sia nella fase preliminare sia in sede processuale, che ha notevolmente inciso sulle sorti della struttura del processo penale, comportandone, di fatto, un parziale ripensamento in un’ottica sostanziale, e non più, quindi, secondo una visione strettamente procedurale. Il graduale mutamento del procedimento penale si percepisce maggiormente nella fase dell’esecuzione, in cui la giurisprudenza sovranazionale è intervenuta ripetutamente ad affermare la supremazia dei diritti fondamentali del condannato ed, in particolare, della libertà personale del detenuto, a scapito dei principi procedurali dell’esecuzione della pena, quali, in primis, l’intangibilità del giudicato penale. Si è ritenuto fondamentale quindi procedere, in primo luogo, ad un’indagine sull’effettività dei rapporti tra processo e pena (id est: giudicato e funzione della pena), per suggerire un metodo di studio e di ricerca univoco, nella dimensione del sistema multilivello dei diritti umani, che ad oggi connota profondamente le dinamiche della giustizia penale, per poi procedere, in un secondo tempo, ad una sua applicazione concreta, attraverso una prospettiva privilegiata quale è quella del giudicato e della pena, suggerendo, per tale via, un ripensamento complessivo dell’esecuzione penale e del binomio processo e pena.
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Alcuni riflessi penalistici dell'"enigma multiculturale": considerazioni in tema di cause di giustificazione, scusanti e funzioni della pena.

Sella, Chiara January 2010 (has links)
L'obiettivo che ci siamo posti all'inizio dell'attività di ricerca è consistito nell'indagare un circoscritto numero di delitti culturali in senso stretto, focalizzando la nostra attenzione sulle tipologie che in Italia hanno suscitato il maggior allarme sociale, al fine di verificare la tenuta dell'impianto codicistico sia sotto il profilo sostanziale che, parzialmente, processuale. Possiamo dire che l'analisi delle quattro fattispecie di reato scelte (honour killings, modificazioni degli organi genitali, maltrattamenti violenti ed accattonaggio) non sia stata fine a se stessa, ma volta a dimostrare come nel grande contenitore dell'illecito culturale e dell'omologazione nascente dalla stessa creazione di una categoria di sintesi, si nascondano in realtà molti profili problematici a livello dei principi che operano in questo specifico settore dell'ordinamento: dalle questioni attinenti al libero arbitrio, all'individuazione di beni giuridici bisognosi di tutela penale (con i necessari collegamenti con la dottrina dell'harm principle), fino al complesso dibattito sulla distinzione tra meritevolezza e bisogno di pena. Consci del notevole livello di approfondimento scientifico presente oramai anche nella dottrina italiana, abbiamo cercato di perseguire l'ambiziosa meta di non ricorrere alle "facili" categorie della dignità e del limite invalicabile dei diritti umani, i quali soffocano qualsiasi dibattito riguardante quelle condotte culturalmente connotate che suscitano la maggior diffidenza, se non addirittura disgusto. Per fare ciò abbiamo, anche con l'indispensabile ausilio della giurisprudenza, tentato di investigare quale fosse il bene giuridico tutelato dalle diverse norme incriminatrici, chi ne fosse il titolare e, quindi, cosa si celasse dietro il comodo lemma dignità. Per quanto riguarda la vittimizzazione femminile abbiamo frequentemente scoperto che la visione massmediatica -che oppone un retrogrado e barbaro oriente ad un moderno ed egalitario occidente- null'altro fosse se non una semplice distorsione, mentre molto spesso la sopraffazione che si nasconde dietro certe condotte è una mera violenza di genere che trova ancora spazio in istituti obsoleti come la provocazione, o, meglio, nelle manipolazioni giurisprudenziali, del Codice Rocco. Ci siamo poi chiesti se la tutela delle vittime debba per forza passare attraverso la durezza delle pene per i rei e ci siamo convinti che non sia questa la strada da perseguire. I nostri risultati sono ovviamente una goccia nel mare che questo meraviglioso tema rappresenta, ma siamo giunti alla conclusione che la comparazione in questo settore sarà sempre più importante e che dovrà essere superata la sterile distinzione tra paesi di common law e di civil law, essendo ormai presente per molte spinose tematiche una "grammatica comune"; che si rende ormai improrogabile una drastica revisione del sistema sanzionatorio e delle misure sostitutive ed alternative al carcere. Infine si è convinti che il tema richieda ancora un notevole approfondimento in punto di punibilità, soluzione per noi preferibile per i reati di media gravità, ma che nel clima politico in cui si scrive sembra assolutamente lontana. Siamo quindi giunti a proporre, grazie all'analisi della giurisprudenza che sembra adeguarsi al modello in odium rei introdotto dal legislatore con l'art. 583bis c.p., la formulazione di un articolo 133quater -calibrato sul modello di verifica del delitto culturale su cui si registra l'ampio consenso della dottrina- il quale prevede una presunzione juris tantum per l'applicazione del minimo edittale in caso di illecito culturalmente orientato, superabile se sia stata fornita congrua motivazione della colpevolezza, intesa quale motivabilità mediante norme, del soggetto. De jure condito invece si è giunti all'amara conclusione che, pur essendo in via teorica molteplici i canali attraverso cui la motivazione può trovare spazio nel codice penale, all'avvocato difensore spetti il compito di usare al massimo i poteri che gli sono stati concessi dal nuovo rito, affinché, se ritenuto bisognoso di pena, il suo assistito possa almeno avvalersi della misura alternativa dell'affidamento in prova al servizio sociale, l'unica che ci sembra allo stato dell'arte possa garantire una minima rieducazione, purtroppo intesa nella maggior parte dei casi come prima educazione.
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Gli elementi soggettivi delle cause di giustificazione

Ciliberti, Vincenzo January 2019 (has links)
La tesi si propone di risolvere il quesito relativo all'imputazione soggettiva delle cause di giustificazione. Il tema è affrontato sul piano dell'esegesi delle cause previste nella parte generale del codice penale; sul piano della costruzione sistematica dell'illecito; infine su quello valoriale.
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La legittimazione dell'intervento penale tra offensività e harm principle

Lavacchini, Marta January 2018 (has links)
Il presente lavoro, attraverso una prospettiva comparata, indaga le più recenti tendenze in tema di dannosità sociale in Italia e nel sistema anglo-americano. Si interroga, quindi, sulla definizione e sui limiti della legittimazione dell’intervento penale dello Stato. In particolare, la tesi prende atto delle prospettive attuali sul principio di offensività nel nostro ordinamento, verificando le sue radici, le sue fonti e il suo ruolo, per poi vagliare la teoria del bene giuridico che ne costituisce il sostrato materiale. Come è noto, tale teoria si è sviluppata, in Italia, attraverso una lettura costituzionalmente orientata indicando così le caratteristiche fondamentali che il bene doveva avere per dirsi legittimo. Negli anni, un aggiramento del principio di offensività ha portato a una smaterializzazione del concetto di bene giuridico fino a far dubitare della natura effettivamente forte del principio stesso. Il dibattito anglo-americano sui criteri di legittimazione dell’intervento punitivo si è caratterizzato per degli spunti interpretativi notevolmente diversi, specie in virtù delle caratteristiche proprie dei sistemi di common law. Le radici dell’harm e offence principle, infatti, partono dall’ottica liberale di J.S. Mill, ma ricevono una vera e propria nuova definizione con J. Feinberg il quale, in un’ottica di liberalismo cauto, riempie di contenuto le nozioni alla base dei liberty-limiting principles. La più recente dottrina di common law ha poi fornito nuovi spunti di riflessione specie se di considera quello che è stato definito il “collapse” dell’harm principle. Il recente interesse della dottrina italiana per i criteri anglo-americani ha dato spunto, nel presente lavoro, per una verifica della rilevanza dell’harm e dell’offence principle in relazione alle scelte del legislatore italiano. Per dimostrare questo assunto si sono così presi in esame due case study e, in particolare, quello degli atti osceni, con la recente opera di depenalizzazione e quello dell’omofobia, che si caratterizza per un costante dibattito in merito alla sua possibile criminalizzazione. Nel presente elaborato, infatti, si mostra come il principio anglo-americano del danno e della molestia possa contribuire a superare l’impasse sul principio di offensività proprio in seguito a una valutazione dei fenomeni in tema di atti osceni e omofobia, in chiave di necessaria causazione di un danno o una molestia ad altri. In ragione di tali considerazioni si è cercato di creare le basi per una ri-legittimazione, da un punto di vista dogmatico, dell’intervento penale dello Stato. Il concetto di bene giuridico, infatti, presenta non poche insufficienze tali da considerare plausibile un suo abbandono per un accoglimento del principle of harm, nella visione di J. Feinberg. Questo passaggio si mostra quanto mai opportuno specie ove si ritenga di dover combinare i criteri in tema di dannosità sociale ai modelli (procedurali) di democrazia, nonché a un’attenzione ai tipi di morale emergenti nella società. L’accettazione di una teoria aperta in tema di criminalizzazione permette, così, di dare un nuovo futuro all’offensività e all’harm principle, tale da rimettere al centro del dibattito penale la domanda alla quale il legislatore deve rispondere nelle scelte in tema di meritevolezza e sussidiarietà penale e, cioè, se la condotta sottoposta al suo vaglio provochi o meno un danno o una molestia ad altri.

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