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"LOSS AND GAIN" DI JOHN HENRY NEWMAN: PARADIGMI E TESTUALIZZAZIONI DEL ROMANZO AUTOBIOGRAFICO

CARACENI, FRANCESCA 14 January 2019 (has links)
“O weary Champion of the Cross, lie still”: così Christina Rossetti apre un sonetto del 1890 intitolato Cardinal Newman, composto in occasione della dipartita del cardinale e dedicato alla memoria di uno dei più influenti pensatori, teologi e uomini di lettere dell’epoca. L’accorato canto di Rossetti sottolinea la potenza del pensiero newmaniano assimilando le azioni e gli scritti del cardinale all’impeto delle acque di marea, metaforizzandoli poi in un’alluvione che va a sconvolgere il tranquillo corso di un ruscelletto: “Thy tides were springtides, set against the neap/ Of calmer souls: thy flood rebuked their rill (7-8). La metafora acquatica impiegata da Rossetti sintetizza in modo efficace le qualità trasformatrici proprie della lunga parabola esistenziale di John Henry Newman (1801-1890), la quale lascia profondi solchi nel tessuto ideologico e storico di quello che gli studiosi hanno identificato come “very long nineteenth-century”. Gran parte di questi solchi sono stati tracciati da Newman percorrendo una strada faticosa e mai lineare, che lo studioso oggi può seguire attingendo al voluminoso corpus delle opere e all’altrettanto ricco apparato critico e biografico andato formandosi negli anni a commento dei suoi scritti. Assieme a John Keble e Hurrel Froude, Newman fondò le basi di quello che passa alla storia come Oxford Movement, un’esperienza intellettuale nata fra i Colleges dell’Università di Oxford che mirava a ricostruire le basi cattoliche della Chiesa Anglicana, in un contesto di generale inquietudine nei confronti dell’istituzione ecclesiastica e dei modi da questa adottati per declinare la professione di fede all’interno del tessuto sociale dell’epoca. Gli uomini del Movement concentrarono i propri sforzi teorici nella stesura e pubblicazione di numerosi Tracts for the Times, nei quali si affrontavano i temi ecclesiologici più disparati, col fine di attivare un dialogo riformatore in seno alla Chiesa d’Inghilterra. La pubblicazione dei Tracts fu di breve durata (1833-1845) ma foriera di importanti conseguenze per la società inglese e per l’esistenza di Newman, coincidendo la sua conversione al cattolicesimo con la cessazione delle pubblicazioni (1845). La conversione di Newman fece enorme impressione sull’opinione pubblica, specie per il forte sentimento antiromano che circolava nelle fila dell’establishment inglese. Il motto “No Popery” costituiva un refrain udibile in molte delle produzioni culturali dell’epoca e in special modo nei romanzi a tema religioso, fra le cui pagine il cattolico si muove come personaggio intriso di caratteristiche negative proprie del villain: “a spy, a secret agent, suave, supercilious and satanically unscrupulous, laying his cunning plots for the submission of England to ‘Jesuitocracy’”. Falsità, propensione all’inganno, sete di potere, assenza di scrupoli erano tutti connotati che l’immaginazione protestante associava alla Chiesa di Roma: la conversione procurò a Newman accuse dello stesso segno che il futuro cardinale cercò di dissipare nei suoi scritti, impegnandosi ad arrivare a una fetta di pubblico il più vasta possibile mediante due romanzi e la celebre autobiografia spirituale Apologia Pro Vita Sua (1864). Le opere letterarie di Newman conobbero un dilagante successo, intrise com’erano di istanze culturali associate alla vita religiosa e di elementi autobiografici che andavano a soddisfare la curiosità del pubblico per la vicenda personale di uno degli uomini più in vista del regno di Vittoria. La peculiare intersecazione fra la determinante storico-culturale e quella autobiografica nella testualizzazione letteraria newmaniana è l’oggetto di studio qui proposto. La ricerca prende il via da un iniziale progetto su biografia e romanzo in relazione alla cosiddetta “crisi religiosa” che caratterizza gli anni vittoriani. Nel considerare i vari aspetti della questione assieme al mio tutor Prof. Enrico Reggiani, si è constatato come non fosse opportuno inscrivere la figura di Newman in uno studio tematico e pluritestuale, metodologicamente orientato a una prospettiva storico-culturale: l’influenza del cardinale sulle lettere di derivazione anglofona appare caratterizzata da un’imponente, multilivellare pervasività che echeggia sia nelle pratiche artistiche dell’epoca, ossia nell’opera della già citata Rossetti, nell’estetica della Pre-Raphaelite Brotherhood, nella poesia di Gerald Manley Hopkins, che in quelle novecentesche, come il sistema testuale joyciano. Se il ruolo determinante del pensiero newmaniano è riconosciuto e analizzato dalla critica nel dettaglio dei suoi aspetti teologico-religiosi, altrettanto non può dirsi dei suoi scritti più specificamente letterari: il lavoro qui presentato sarà da intendersi pertanto come un dispositivo di avvicinamento a questi aspetti dell’opera di Newman. A tal fine si è deciso di concentrare lo studio sulla close-reading di uno dei due romanzi newmaniani, Loss and Gain (1848), la cui testualità sarà investigata mediante un selezionato apparato metodologico afferente in primis al macrotesto dell’autore e in secundis a più recenti formulazioni teoriche di taglio narratologico. / In an 1890 composition dedicated to the memory of John Henry Newman, Christina Rossetti metaphorized his legacy into “springtides, set against the neap/ Of calmer souls: thy flood rebuked their rill”. She so sought to synthesize the transformative qualities of Newman’s existence (1801-1890) in the context of the “very long nineteenth century”, as defined by Margot Finn. Along with John Keble and Hurrell Froude, Newman founded the Tractarian Movement, an Oxford-based intellectual movement intending to rebuild the Catholic foundation of the Anglican Church, which at the time was facing an ever growing disquiet on behalf of its affiliates, for both ecclesiological and political reasons. In order to ignite a reformative dialogue within the Church of England, the Tractarians published a relevant number of Tracts from 1833 to 1845, when Newman converted to Catholicism. Newman’s conversion sparked a huge controversy within the public opinion, catholics at the time being subjected to a heavy cultural stigma within the establishment. Falsity, a propension to deceit and thirst for power connoted the catholic character in numerous religious novels in the Victorian period, thus prompting Newman to defend himself from similar allegations in various writings such as the Apologia Pro Vita Sua (1864). Newman’s literary writings were extremely successful, since they put on display a peculiar intersection between religious cultural issues and his own autobiography. Such intersection is the object of my thesis, which will articulate around a close-reading of Newman’s novel Loss and Gain (1848) in order to highlight the main features of the Cardinal’s literary theory and practice in relation to his overall theological views, and to project them on a synchronic and diacronic perspective to attest Newman’s legacy on Eighteenth and Nineteenth century literature.
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Écriture de la spécularité dans l’oeuvre poétique de Christina Rossetti / Writing specularity in Christina Rossetti's poetical works

Enjoubault, Mélody 15 November 2014 (has links)
Le but de ce travail, consacré à la poésie de Christina Rossetti, est de s’éloigner du prisme interprétatif biographique qui est devenu la norme depuis sa mort en 1894. Cette étude, qui repose sur un examen des choix prosodiques et formels, montre que la voix poétique est avant tout une construction. Identifier le miroir à l’intérieur du texte dévoile des éléments essentiels pour comprendre la relation complexe qui se joue entre identité et altérité et qui, à maints égards, définit le style de Rossetti. L’étude des voix qui se font entendre dans son oeuvre poétique, qu’elles soient intertextuelles ou fictionnelles, révèle comment Rossetti parvient, par un usage unique de la répétition, à créer une voix harmonieuse et intemporelle à partir de la diversité et de la contradiction. Mais malgré une première impression de régularité, le principe répétitif est une source de redéfinition permanente qui nie la notion d’origine ou de version définitive. La re-présentation, la différance, et les réécritures incessantes offrent au lecteur un texte qui lui échappe sans cesse. Ce refus de la finitude pointe vers une autre ambition, celle d’atteindre un au-delà non plus religieux — nombre de ses poèmes expriment le désir de ne faire qu’un avec le divin — mais poétique : à travers la relation intime entre Dieu, le poète, et le texte ; par la manipulation de la forme, que le traitement du sonnet illustre ; et enfin grâce à un usage renouvelé des mots. Anglaise aux origines italiennes, Rossetti introduit au sein de la voix poétique un bilinguisme source d’interactions qui aboutissent à une langue hybride et à un rapport aux mots débarrassé de tout automatisme pour acquérir une expressivité nouvelle. / The purpose of this work, which is dedicated to Christina Rossetti’s poetry, is to step away from the biographical bias which has been the norm in the criticism about Christina Rossetti since her death in 1894. This study, based on the close analysis of the prosodic and formal choices, shows that the poetical voice is above all a construction. Finding the mirror within the text reveals important elements to understand the complex relationship between identity and alterity which, in many ways, defines Rossetti’s style. The examination of the voices that can be heard within her poems, may they be intertextual or fictional, shows how Rossetti manages to create a harmonious and timeless voice out of what strikes as diverse and contradictory. However, despite its apparent regularity, the work, through repetition, undergoes a constant self-redefinition negating the notion of origin or definite version: re-presentation, différance, and perpetual re-writing give the reader a text that keeps eluding him/her. This refusal of finitude hints at another ambition, that of reaching a “beyondˮ which is no longer religious — many of her poems express a wish to make one with the divine — but poetical: through an intimate relationship between God, the poet and the text; through the manipulation of the form, which Rossetti’s treatment of the sonnet examplifies; and finally through the poet’s renewed use of words. As an English poet with Italian origins, Rossetti inserts her bilingualism within the poetical voice and thereby creates interactions that result in a hybrid language and a relationship to words freed from habit and automatic reflex to reach enhanced expressivity.

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