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Gianni Celati: Lo sguardo lirico.

Chierici, Anna Maria 10 May 2013 (has links)
La tesi analizza il lirismo melanconico di Gianni Celati nella sua produzione narrative e documentaristica che spazia in un arco di temporale che va dagli anni Ottanta ai giorni nostri. In queste opere, di ambientazione prevalentemente padana, l’autore utilizza, con notevole maestria, immagini e brevi impressioni altamente evocative, in modo tale da lasciar trasparire le proprie emozioni. Con questa operazione egli aspira a ridurre al minimo l’affiorare della propria soggettività come dimostra il largo impiego di dettagliate descrizioni, in cui abbondano simboli e metafore, riconducibili a oggetti, paesaggi e persone che sono oggetto della sua osservazione. Nel primo capitolo si mostra come, fin dalle prime fasi della sua carriera di scrittore e di studioso, Celati si serve della scrittura come strumento terapeutico, al fine di alleviare l’inquietudine con cui convive da sempre. Del resto, lo conferma la presenza nelle sue opere di modalità espressive tipiche del genere della caricatura. Nell’ambito di questo discorso si fa riferimento al pensiero del filosofo e psicanalista americano James Hillman, come, ad esempio, alla sua idea di poiesis relativa alla tendenza della nostra mente a produrre immagini come avviene nell’atto narrativo e avente su di noi analoghi effetti terapeutici. Alla luce di ciò, sono state esaminate alcune delle traduzioni poetiche compiute da Celati, mettendole in parallelo ad una selezione di sue poesie e racconti. Il secondo capitolo è volto ad indagare le modalità con cui Celati ha trattato il tema tradizionale del viaggio. Si mostra come i suoi vagabondaggi e quelli dei suoi personaggi non siano altro che una metafora della vana ricerca del senso da attribuire alla loro esistenza. Nella trattazione di questo aspetto la narrativa celatiana viene messa a confronto con l’arte di Alberto Giacometti e di Mario Sironi, che hanno trattato i temi della solitudine e dello smarrimento esistenziale. Analogo è il senso di desolazione che affiora dai documentari girati da Celati, servendosi delle immagini per svolgere un’indagine su come percepiamo il modo esterno. Tale approccio è riconducibile all’influsso che la fotografia del suo amico Luigi Ghirri ha esercitato sull’opera celatiana. Quest’ultimo si è a sua volta ispirato a quella di Cesare Zavattini, che costituisce un punto di riferimento fondamentale anche per Celati. Questo aspetto è stato approfondito nell’ultima sezione del secondo ed ultimo capitolo, incentrata sull’analisi del racconto “Non c’è più paradiso”, da cui emerge l’importanza che Celati, come Zavattini, attribuisce all’immaginazione e alla narrazione come componenti essenziali alla nostra esistenza.
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Gianni Celati: Lo sguardo lirico.

Chierici, Anna Maria 10 May 2013 (has links)
La tesi analizza il lirismo melanconico di Gianni Celati nella sua produzione narrative e documentaristica che spazia in un arco di temporale che va dagli anni Ottanta ai giorni nostri. In queste opere, di ambientazione prevalentemente padana, l’autore utilizza, con notevole maestria, immagini e brevi impressioni altamente evocative, in modo tale da lasciar trasparire le proprie emozioni. Con questa operazione egli aspira a ridurre al minimo l’affiorare della propria soggettività come dimostra il largo impiego di dettagliate descrizioni, in cui abbondano simboli e metafore, riconducibili a oggetti, paesaggi e persone che sono oggetto della sua osservazione. Nel primo capitolo si mostra come, fin dalle prime fasi della sua carriera di scrittore e di studioso, Celati si serve della scrittura come strumento terapeutico, al fine di alleviare l’inquietudine con cui convive da sempre. Del resto, lo conferma la presenza nelle sue opere di modalità espressive tipiche del genere della caricatura. Nell’ambito di questo discorso si fa riferimento al pensiero del filosofo e psicanalista americano James Hillman, come, ad esempio, alla sua idea di poiesis relativa alla tendenza della nostra mente a produrre immagini come avviene nell’atto narrativo e avente su di noi analoghi effetti terapeutici. Alla luce di ciò, sono state esaminate alcune delle traduzioni poetiche compiute da Celati, mettendole in parallelo ad una selezione di sue poesie e racconti. Il secondo capitolo è volto ad indagare le modalità con cui Celati ha trattato il tema tradizionale del viaggio. Si mostra come i suoi vagabondaggi e quelli dei suoi personaggi non siano altro che una metafora della vana ricerca del senso da attribuire alla loro esistenza. Nella trattazione di questo aspetto la narrativa celatiana viene messa a confronto con l’arte di Alberto Giacometti e di Mario Sironi, che hanno trattato i temi della solitudine e dello smarrimento esistenziale. Analogo è il senso di desolazione che affiora dai documentari girati da Celati, servendosi delle immagini per svolgere un’indagine su come percepiamo il modo esterno. Tale approccio è riconducibile all’influsso che la fotografia del suo amico Luigi Ghirri ha esercitato sull’opera celatiana. Quest’ultimo si è a sua volta ispirato a quella di Cesare Zavattini, che costituisce un punto di riferimento fondamentale anche per Celati. Questo aspetto è stato approfondito nell’ultima sezione del secondo ed ultimo capitolo, incentrata sull’analisi del racconto “Non c’è più paradiso”, da cui emerge l’importanza che Celati, come Zavattini, attribuisce all’immaginazione e alla narrazione come componenti essenziali alla nostra esistenza.

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