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Non per tutto l'età m'aggrinza : Le vecchie comiche nell'opera veneziana del seicento / Non per tutto l'età m'aggrinza : les vieilles femmes comiques dans l'opéra vénitien du XVIIème

Costa Araújo, Ligiania 27 September 2008 (has links)
Les rôles des vieilles comiques appartiennent aux conventions dramaturgiques établies par les nouvelles règles de l’opéra vénitien payant du Seicento. Entre 1638, date de la première apparition d’un râle de vieille comique sur les scènes vénitiennes, et la fin du siècle, cent quatorze personnages de cette typologie ont habité les trames crées par les librettistes vénitiens. La typologie à laquelle cette étude s’intéresse se caractérise par un comique poussé et ironique, par un fort appétit sexuel, par des idées proto-féministes sur la vie amoureuse mais également par un discours moral sur la caducité de la vie avec un fond extrêmement optimiste qui reprend la maxime horatienne du carpe diem. D’un point de vue purement dramaturgique, ces rôles, en tant que doubles des serviteurs, sont responsables des liaisons entre les scènes, des commentaires sur les évènements de l’intrigue ainsi que du comic relief. Dans un premier temps, il s’agit d’établir une généalogie de ces rôles, et de déterminer quelles caractéristiques les vieilles nourrices de l’opéra italien ont hérité de leurs prédécesseurs du théâtre improvisé et savant, ainsi que de la littérature. Une fois établies les particularités littéraires et musicales les plus récurrentes, celles-ci sont prises en examen par rapport à la trame d’une part, et en tant que topoi isolés d’autre part. L’intention de cette étude est de mener une réflexion globale qui ne soit ni étroitement musicologique, ni spécifiquement littéraire. Celle-ci veut interroger les rapports intimes bien souvent masqués entre culture populaire et culture savante, entre place publique et théâtre, entre improvisation et écriture / The role of the old comic nurse pertains to the dramaturgic conventions established in the new rules of the Venetian Seicento public opera. Between 1683, when the first old comic nurse appears on Venetian scenes, and the end of the century, one hundred and fourteen characters of this kind have thickened the plots created by the Venetian librettists. The character at the core of this research presents an exaggerated and ironic humor, a great sexual appetite, some proto-feminist ideas on love, but also a moral discourse on the caducity of life which usually has a very optimistic side to it and finds its main argument in the Horatian motto of the carpe diem. From a purely dramaturgic point of view these roles work as doubles to those of the servants, are used to connect successive scenes, to comment on the plot and to offer some comic relief. It is important to establish a genealogy of these robes, and to determine what characteristics the old nurses of Italian opera have inherited from their predecessors in the improvised and written theatre, and also in literature. After having determined the most recurring textual and musical elements, these are examined against the plot but also as isolated topoi. The aim of this study is to carry out a general reflection which is neither narrowly musicological, nor specifically literary, and to inspect die intimate and often concealed relationships between popular and high culture, public square and theatre, improvisation and writing / I ruoli di vecchie donne comiche appartengono alle convenzioni drammaturgiche stabilite fra le nuove regole dell’pera commerciale veneziana del Seicento. Fra 1638, data della prima apparizione di un ruolo di vecchia comica sulle scene veneziane, e la fine del secolo, cento quattordici personaggi di questa tipologia hanno abitato gli intrecci creati dai librettisti veneziani. La tipologia alla quale questo studio s’interessa si caratterizza per una comicità spinta e ironica, un forte appetito sessuale, idee proto-feministe sulla vita amorosa ma anche per un discorso morale sulla caducità della vita con uno sfondo estremamente ottimista che riprende la massima oraziana del carpe diem. Da un punto di vista puramente drammaturgico, questi ruoli, in quanto doppi dei servi, svolgono funzioni di legame fra le scene, commento sugli eventi dell’intreccio e offrono momenti di comic relief. In un primo tempo abbiamo cercato di stabilire una genealogia di questi ruoli e di determinare quali sono le caratteristiche che le vecchie nuttici dell’opera veneziana hanno ereditato dalle loro precorritrici del teatro improvvisato ed erudito, e dalla letteratura. Una volta stabilite le particolarità letterarie e musicali più ricorrenti le abbiamo analizzate in rapporto agli intrecci ed in quanto topoi a parte. Lo scopo di questo studio è di realizzare una riflessione globale non strettamente musicologica, né specificamente letteraria al fine di interrogarsi sui rapporti intimi e spesso nascosti tra culture popolari ed erudite, piazza pubblica e teatro, improvvisazione e scrittura
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IL MITO DI ARMIDORO. Giovanni Soranzo e il suo poema milanese (1611) / The Myth of Armidoro Giovanni Soranzo and His Milanese Poem (1611)

ANTONIOLI, ROSARIA 10 April 2008 (has links)
Il primo capitolo si occupa degli aspetti culturali e letterari della Milano di inizio Seicento, in particolare attraverso lo studio dello sviluppo del 'genere poema' e il confronto di due opere, pubblicate nel 1611 dallo stesso stampatore Giacomo Como: La risorgente Roma di Giovan Ambrogio Biffi e L'Armidoro del poeta veneziano Giovanni Soranzo. Entrambi gli autori ebbero come patrono il conte di Sale Francesco d'Adda, mecenate, pittore dilettante e cavaliere, dedito all'organizzazione di tornei. Questo tipo di intrattenimento, molto diffuso nelle corti italiane del periodo, è argomento del secondo capitolo. dalla lettura delle cronache sulle giostre allestite a Milano tra il 1605 e il 1606 per festeggiare i natali del delfino di Spagna, cui partecipò lo stesso conte di Sale, sappiamo che il personaggio di Armidoro, cantato nei loro versi sia da Biffi che da Soranzo, altri non è che lo stesso Francesco d'Adda. abbiamo scoperto anche che tra le fonti del poema di Soranzo vi sono le relazioni del matrimonio delle infante di Savoia (1608) e il testo del Balletto delle ingrate del Rinuccini, composto per l'evento, musicato da Claudio Monteverdi. Il terzo capitolo consiste nell'analisi del poema di Soranzo, di circa 36.500 versi, che trae ispirazione dai modelli di Ariosto e Tasso, ma per certi aspetti si mostra in sintonia con le nuove mode poetiche del secolo barocco. / The first chapter deals with cultural and literary aspects of Milan at the beginning of XVII century, through the confrontation of two poems, published in 1611 by the same editor Giacomo Como: the Risorgente Roma of the Milanese author Giovan Ambrogio Biffi and the Armidoro, wrote by the Venetian poet Giovanni Soranzo. Both Biffi and Soranzo were protected from Francesco d'Adda, earl of Sale's county, patron of artists, amateur painter and knight, who delighted in organizing tournaments. This kind of entertainment, very frequent in the Italian courts of that period, is argument of the second chapter. After the reading of chronicles about chivalrous performances, played in Milan by count of Sale from 1605 till 1606 to celebrate the birth of Spanish prince, we know that Armidoro is the mask of Francesco d'Adda. At the same time we detected many important sources of the Soranzo's poem: the commentaries of Federico Follino and Pompeo Brambilla on the marriage between Francesco Gonzaga and Margherita di Savoia (1608), and the Ingrate's ballet of Ottavio Rinuccini, performed in that occasion with music of Claudio Monteverdi. The third chapter consists on analysis of Armidoro, the poem of about 36.500 lines that Soranzo wrote in competition with Ariosto's Orlando furioso and Tasso's Gerusalemme liberata.
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L'ARGENIS DI JOHN BARCLAY (1582-1621) E LA SUA INFLUENZA SULROMANZO ITALIANO DEL SEICENTO / John Barclay's Argenis and its influence on the seventeenth century italian novel

INVERNIZZI, DAVIDE 31 May 2017 (has links)
Il romanzo latino Argenis di John Barclay, pubblicato a Parigi nel 1621, è stato uno dei libri più amati della sua epoca. La ragione del plauso dei lettori sarà da ricercare nella complessa macchina narrativa ideata dall'autore, unione di narrazione, storia, evocata in forma di allegoria, e magistero politico; in questo nuovo modello di scrittura è stato riconosciuto l'atto fondativo del genere cosidetto del "roman à clef" ("romanzo a chiave" in italiano). La ricerca propone un rigoroso studio dell'opera e mira alla definizione del giudizio su di essa espresso dai letterati italiani nel corso del Seicento. La tesi si sofferma in seguito sull'influenza esercitata dall'Argenis sul romanzo italiano. Attenzioni preliminari vengono così dedicate alle alterne fortune godute, nelle scritture di ambientazione fantastica, da alcune caratterizzanti scelte narrative del modello latino. Vengono quindi studiati i "romanzi a chiave" per delineare le declinazioni peculiari del genere in Italia, ponendo particolare attenzione alle forme e finalità di impiego della storia e ai nuovi indirizzi della materia politica. Gli autori di "romanzi a chiave" studiati sono: Francesco Agricoletti, Ciro Anselmi, Francesco Belli, Guidubaldo Benamati, Giovanni Francesco Biondi, Girolamo Brusoni, Niccolò Maria Corbelli, Carlo de' Dottori, Giovanni Francesco Loredano e Ferrante Pallavicino / John Barclay's Argenis, a latin novel published in Paris in 1621, is one of the best sellers of its time. The reason for success is to be found in the complex narrative system conceived by the author, union of narration, history, recalled in the form of an allegory, and political thought; the foundative act of the so-called genre of the "roman à clef" ("novel with a key") is recognized in this new model of writing. The research aims at studying Barclay's novel and try to define its value in the opinion of the italian men of letters. The thesis focuses also on the influence of the Argenis on the seventeenth century italian novel. Preliminary attentions are dedicated to the variable success met by some characterizing narrative choices of the latin model within the fantasy setting novels. The italian "romans à clef" are examinated to determine the features of the genre in Italy, studying the forms and the finality of the use of history and the rethinkings imposed to the political argument. The authors examinated are: Francesco Agricoletti, Ciro Anselmi, Francesco Belli, Guidubaldo Benamati, Giovanni Francesco Biondi, Girolamo Brusoni, Niccolò Maria Corbelli, Carlo de' Dottori, Giovanni Francesco Loredano e Ferrante Pallavicino.
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La Contea principesca di Gradisca (1647 - 1754). La nobiltà tra politica e rappresentanza / The Princely County of Gradisca (1647-1754). The Nobility between Politics and representation

BORTOLUSSO, CLAUDIA 27 March 2007 (has links)
La tesi ricostruisce alcuni momenti fondamentali della storia della contea principesca di gradisca, per approfondire i rapporti intercorsi tra 'centro' e 'periferia', tra gli Eggenberg/Asburgo e la nobiltà della contea. / The dissertation reconstructs some fundamental moments of the history of the princely county of Gradisca, in order to study relationships between 'centre' and 'periphery' in depth, between the Eggenberg/Habsburg and the nobility.
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I classici attraverso l'Atlantico: la ricezione dei Padri Fondatori e Thomas Jefferson / CLASSICS ACROSS THE ATLANTIC: THE FOUNDERS' RECEPTION AND THOMAS JEFFERSON

BENEDETTI, MARTA 17 March 2016 (has links)
La tesi si occupa di verificare l’influenza che i classici greci e latini hanno esercitato su i padri fondatori americani e più in particolare su Thomas Jefferson. La prima sezione tratteggia il contesto universitario e lo studio delle lingue classiche tra seicento e settecento, comprendendo non solo le università inglesi (Oxford e Cambridge) e scozzesi, ma anche i nuovi college nati nelle colonie americane. Tale analisi dei modelli e delle pratiche educative ha permesso, in effetti, di comprendere meglio l’influenza dei classici sui rivoluzionari americani. Nello specifico viene scandagliata a fondo l’educazione ricevuta da Jefferson. Tra i numerosi spunti di studio aperti da codesto argomento, il lavoro si concentra sulle modalità con cui i classici gli furono insegnati, sul suo Commonplace Book (una raccolta di brani tratti in parte da autori antichi letti in giovinezza) e su documentazione epistolare. Quest’ultima è oggetto particolare di studio, allo scopo di scoprire quali opere antiche Jefferson, in età adulta e durante la vecchiaia, lesse e apprezzò. Essendo un collezionista di libri, comprò moltissimi testi classici come dimostrano alcuni suoi manoscritti. Nonostante manchino dati precisi a riguardo, risulta inoltre che Jefferson, benché facesse largo uso di traduzioni, preferiva leggere in originale e che probabilmente abbia letto la maggior parte di questi libri durante il ritiro dalla vita politica. La seconda parte della tesi si concentra, invece, a indagare quanto la sua educazione classica abbia contributo alla formazione della sua personalità e delle sue idee, nonché alla forma stessa del suo pensiero in merito ad alcune tematiche. Lo studio è di conseguenza dedicato all’esperienza umana di Jefferson, in particolare alla sua riflessione sulla morte e sull’eternità, temi fortemente legati alla sua ricezione di idee epicuree e stoiche. Epicureismo e Stoicismo rappresentano, in definitiva, i due sistemi filosofici antichi che hanno maggiormente influenzato la sua personalità e il suo pensiero. / The aim of the present work is to evaluate the impact of the ancient classics on the American Founding Fathers, with a particular focus on Thomas Jefferson. The first section gives a wide portrait of the academic context in which the Founders were educated, comprising not only of Oxford, Cambridge, and the Scottish universities, but also the colonial colleges. The evaluation of the educational practices in use at the time makes it possible to understand better the classical impact on revolutionary Americans. In particular, this analysis studies in depth Jefferson's education. Of the many possible perspectives and approaches to this topic, the present work focuses on the way ancient classics were taught to him, his Commonplace Book, which reports part of the ancient classics he read during his youth, and his correspondence. The latter has been studied especially to understand which other ancient writers he read, valued, and esteemed in his adulthood and old age. As book collector, Jefferson bought an incredible number of ancient classics, as attested by a few manuscripts of his book lists. Despite the dearth of sure evidence, it is very likely that he read the ancient works largely during his retirement. He loved reading them in the original, though he made great use of translations. The second part of this work is dedicated to investigating how Jefferson's classical education contributed to the building of his personality and ideas, as well as how he elaborated specific classical themes in his own life. The study is thus focused on Jefferson's personal human experience, specifically on his reflection on human mortality and the afterlife. These themes, indeed, are strictly linked to his reception of Epicurean and Stoic tenets, the two ancient philosophical systems which had the greatest and most profound impact on Jefferson's personality and thought.
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Artemisia Gentileschi and Caravaggio's looking glass

Grundy, Susan Audrey 06 1900 (has links)
Artemisia Gentileschi and Caravaggio's Looking Glass is an ironic allusion to both the concave mirror and the biconvex lens. It was these simple objects, in colloquial terms a shaving mirror and a magnifying glass, which Artemisia Gentileschi and her father Orazio, learned from Caravaggio how to use to enhance the natural phenomenon of the camera obscura effect. Painting from a projection meant that Artemisia could achieve an extreme form of realism and detail in her work. This knowledge, which was of necessity kept hidden, spooked the Inquisition and also gave artists, who knew how to manipulate the technology, an extreme competitive edge over their rivals. This dissertation challenges the naive assumptions that have been made about Artemisia's working practices, effectively ignoring the strong causal links between art and science in Seicento Italian painting. Introducing the use of optical aids by Artemisia opens up her story to a whole new generation of scholarship. / Art History / M.A. (Art history)
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Artemisia Gentileschi and Caravaggio's looking glass

Grundy, Susan Audrey 06 1900 (has links)
Artemisia Gentileschi and Caravaggio's Looking Glass is an ironic allusion to both the concave mirror and the biconvex lens. It was these simple objects, in colloquial terms a shaving mirror and a magnifying glass, which Artemisia Gentileschi and her father Orazio, learned from Caravaggio how to use to enhance the natural phenomenon of the camera obscura effect. Painting from a projection meant that Artemisia could achieve an extreme form of realism and detail in her work. This knowledge, which was of necessity kept hidden, spooked the Inquisition and also gave artists, who knew how to manipulate the technology, an extreme competitive edge over their rivals. This dissertation challenges the naive assumptions that have been made about Artemisia's working practices, effectively ignoring the strong causal links between art and science in Seicento Italian painting. Introducing the use of optical aids by Artemisia opens up her story to a whole new generation of scholarship. / Art History / M.A. (Art history)
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HETERODOXY AND RATIONAL THEOLOGY: JEAN LE CLERC AND ORIGEN

BIANCHI, ANDREA 16 April 2020 (has links)
L’elaborato analizza la ricezione del pensiero di Origene di Alessandria (c. 184-c.253) nell’opera del teologo arminiano Jean Le Clerc (1657-1736), soffermandosi in particolare sulla concezione origeniana della libertà e sulle questioni che vi sono annesse. Tale analisi consente anche di chiarire alcune pratiche argomentative e dinamiche intellettuali, soprattutto riguardanti i dibattiti religiosi ed interconfessionali, nella seconda metà del XVII secolo. L’elaborato è diviso in tre sezioni. La prima, di carattere introduttivo, mira ad indagare le premesse epistemologiche di Le Clerc, nonché la sua relazione con le auctoritates religiose ed intellettuali del passato. La seconda sezione prende in esame le citazioni dirette di Origene presenti nella vasta produzione di Le Clerc, come pure i suoi rimandi all’opera dell’Alessandrino e al suo pensiero, consentendo in questo modo di delineare un quadro preciso dell’Origene letto e reinterpretato da Le Clerc. La terza sezione restringe infine il campo d’indagine allo sguardo che Le Clerc porta sulla dimensione più propriamente teologica di Origene ed in particolar modo su quel nodo di concetti che ruota attorno al tema della libertà umana (peccato originale, grazia e predestinazione, il problema del male). Questo studio mostra come, malgrado l’indubbia, e talvolta malcelata, simpatia per Origene, Le Clerc non possa essere definito tout court un ‘origenista’, dal momento che la sua visione epistemologica, scritturale e teologica lo distanzia da una acritica e piena adesione al pensiero dell’Alessandrino. / The present thesis analyses the reception of the thought of Origen of Alexandria (c. 184-c. 253) in Jean Le Clerc (1657-1736). Its particular focus is on Origen's conception of freedom and the theological doctrines related to it. The goal of this thesis is to uncover, through Le Clerc's use of Origen, some of the argumentative practices and the intellectual dynamics of the time, in particular in religious, especially inter-confessional, debates. This thesis is divided into three main parts. The first part has mainly an introductory character and looks at the epistemological assumptions of Le Clerc and his relationship with intellectual and religious authorities of the past. The second part reviews the various ways in which Le Clerc quoted, referred to or otherwise made use of the thought or the name of Origen in his vast production. This part provides a first result in that it frames, in general, Le Clerc's reception of Origen. This step is, at the same time, also preparatory for the material contained in part three. In the third part, only the material is considered which is strictly related to Origen's idea of freedom and the related theological doctrines of original sin, grace/predestination, and the problem of evil. The result of this analysis, as it appears form the examination of argumentative practices in the previous sections, is that Le Clerc was no simple "Origenist" but neither was he was fully uncommitted to the Origenian cause. A full commitment to Origen, despite this strong sympathy, was still hindered by Le Clerc's epistemological, scriptural and theological outlook.

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