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Melodramma senza musica. Giovanni Pascoli, gli abbozzi teatrali e "Le Canzoni di Re Enzio"

I libretti che Pascoli scrisse in forma di abbozzi e che sognò potessero calcare il
palcoscenico di un teatro furono davvero un “melodramma senza musica”. In primo luogo,
perché non giunsero mai ad essere vestiti di note e ad arrivare in scena; ma anche perché il
tentativo di scrivere per il teatro si tinse per Pascoli di toni davvero melodrammatici, nel
senso musicale di sconfitta ed annullamento, tanto da fare di quella pagina della sua vita una
piccola tragedia lirica, in cui c’erano tante parole e, purtroppo, nessuna musica. Gli abbozzi
dei drammi sono abbastanza numerosi; parte di essi è stata pubblicata postuma da Maria
Pascoli.1 Il lavoro di pubblicazione è stato poi completato da Antonio De Lorenzi.2 Ho
deciso di analizzare solo quattro di questi abbozzi, che io reputo particolarmente
significativi per poter cogliere lo sviluppo del pensiero drammatico e della poetica di
Pascoli. I drammi che analizzo sono Nell’Anno Mille (con il rifacimento Il ritorno del
giullare), Gretchen’s Tochter (con il rifacimento La figlia di Ghita), Elena Azenor la Morta
e Aasvero o Caino nel trivio o l’Ebreo Errante. La prima ragione della scelta risiede nel
fatto che questi abbozzi presentano una lunghezza più consistente dell’appunto di uno
scheletro di dramma registrato su un foglietto e, quindi, si può seguire attraverso di essi il
percorso della vicenda, delle dinamiche dei personaggi e dei significati dell’opera. Inoltre,
questi drammi mostrano cosa Pascoli intendesse comporre per sollevare le vesti del libretto
d’opera e sono funzionali all’esemplificazione delle sue concezioni teoriche sulla musica e
il melodramma, idee che egli aveva espresso nelle lettere ad amici e compositori. In questi
quattro drammi è possibile cogliere bene le motivazioni della scelta dei soggetti, il loro
significato entro la concezione melodrammatica del poeta, il sistema simbolico che soggiace
alla creazione delle vicende e dei personaggi e i legami con la poetica pascoliana.
Compiere un’analisi di questo tipo significa per me, innanzitutto, risalire alle concezioni
melodrammatiche di Pascoli e capire esattamente cosa egli intendesse per dramma musicale
e per rinnovamento dello stesso. Pascoli parla di musica e dei suoi tentativi di scrivere per il
teatro lirico nelle lettere ai compositori e, sporadicamente, ad alcuni amici (Emma Corcos,
Luigi Rasi, Alfredo Caselli). La ricostruzione del pensiero e dell’estetica musicale di Pascoli
ha dovuto quindi legarsi a ricerche d’archivio e di materiali inediti o editi solo in parte e,
nella maggioranza dei casi, in pubblicazioni locali o piuttosto datate (i primi anni del
Novecento). Quindi, anche in presenza della pubblicazione di parte del materiale necessario,
quest’ultimo non è certo facilmente e velocemente consultabile e molto spesso è semi
sconosciuto. Le lettere di Pascoli a molti compositori sono edite solo parzialmente; spesso,
dopo quei primi anni del Novecento, in cui chi le pubblicò poté vederle presso i diretti
possessori, se ne sono perse le tracce. Ho cercato di ricostruire il percorso delle lettere di
Pascoli a Giacomo Puccini, Riccardo Zandonai, Giovanni Zagari, Alfredo Cuscinà e
Guglielmo Felice Damiani. Si tratta sempre di contatti che Pascoli tenne per motivi
musicali, legati alla realizzazione dei suoi drammi. O per le perdite prodotte dalla storia (è il
1 Giovanni Pascoli, Nell’Anno Mille. Sue notizie e schemi da altri drammi, a c. di Maria Pascoli, Bologna, Zanichelli,
1924.
2 Giovanni Pascoli, Testi teatrali inediti, a c. di Antonio De Lorenzi, Ravenna, Longo, 1979.
caso delle lettere di Pascoli a Zandonai, che andarono disperse durante la seconda guerra
mondiale, come ha ricordato la prof.ssa Tarquinia Zandonai, figlia del compositore) o per
l’impossibilità di stabilire contatti quando i possessori dei materiali sono privati e, spesso,
collezionisti, questa parte delle mie ricerche è stata vana. Mi è stato possibile, però, ritrovare
gli interi carteggi di Pascoli e i due Bossi, Marco Enrico e Renzo. Le lettere di Pascoli ai
Bossi, di cui do notizie dettagliate nelle pagine relative ai rapporti con i compositori e
all’analisi dell’Anno Mille, hanno permesso di cogliere aspetti ulteriori circa il legame forte
e meditato che univa il poeta alla musica e al melodramma. Da queste riflessioni è scaturita
la prima parte della tesi, Giovanni Pascoli, i musicisti e la musica. I rapporti tra Pascoli e i
musicisti sono già noti grazie soprattutto agli studi di De Lorenzi. Ho sentito il bisogno di
ripercorrerli e di darne un aggiornamento alla luce proprio dei nuovi materiali emersi, che,
quando non sono gli inediti delle lettere di Pascoli ai Bossi, possono essere testi a stampa di
scarsa diffusione e quindi poco conosciuti. Il quadro, vista la vastità numerica e la
dispersione delle lettere di Pascoli, può subire naturalmente ancora molti aggiornamenti e
modifiche. Quello che ho qui voluto fare è stato dare una trattazione storico-biografica, il
più possibile completa ed aggiornata, che vedesse i rapporti tra Pascoli e i musicisti nella
loro organica articolazione, come premessa per valutare le posizioni del poeta in campo
musicale. Le lettere su cui ho lavorato rientrano tutte nel rapporto culturale e professionale
di Pascoli con i musicisti e non toccano aspetti privati e puramente biografici della vita del
poeta: sono legate al progetto dei drammi teatrali e, per questo, degne di interesse. A volte,
nel passato, alcune di queste pagine sono state lette, soprattutto da giornalisti e non da critici
letterari, come un breve aneddoto cronachistico da inserire esclusivamente nel quadro
dell’insuccesso del Pascoli teatrale o come un piccolo ragguaglio cronologico, utile alla
datazione dei drammi. Ricostruire i rapporti con i musicisti equivale nel presente lavoro a
capire quanto tenace e meditato fu l’avvicinarsi di Pascoli al mondo del teatro d’opera, quali
furono i mezzi da lui perseguiti e le proposte avanzate; sempre ho voluto e cercato di parlare
in termini di materiale documentario e archivistico. Da qui il passo ad analizzare le
concezioni musicali di Pascoli è stato breve, dato che queste ultime emergono proprio dalle
lettere ai musicisti. L’analisi dei rapporti con i compositori e la trattazione del pensiero di
Pascoli in materia di musica e melodramma hanno in comune anche il fatto di avvalersi di
ricerche collaterali allo studio della letteratura italiana; ricerche che sconfinano, per forza di
cose, nella filosofia, estetica e storia della musica. Non sono una musicologa e non è stata
mia intenzione affrontare problematiche per le quali non sono provvista di conoscenze
approfonditamente adeguate. Comprendere il panorama musicale di quegli anni e i fermenti
che si agitavano nel teatro lirico, con esiti vari e contrapposti, era però imprescindibile per
procedere in questo cammino. Non sono pertanto entrata negli anfratti della storia della
musica e della musicologia, ma ho compiuto un volo in deltaplano sopra quella terra
meravigliosa e sconfinata che è l’opera lirica tra Ottocento e Novecento. Molti consigli, per
non smarrirmi in questo volo, mi sono venuti da valenti musicologi ed esperti conoscitori
della materia, che ho citato nei ringraziamenti e che sempre ricordo con viva gratitudine.
Utile per gli studi e fondamentale per questo mio lavoro è stato riunire tutte le
dichiarazioni, da me conosciute finora, fornite da Pascoli sulla musica e il melodramma. Ne
emerge quella che è la filosofia pascoliana della musica e la base teorica della scrittura dei
suoi drammi. Da questo si comprende bene perché Pascoli desiderasse tanto scrivere per il
teatro musicale: egli riteneva che questo fosse il genere perfetto, in cui musica e parola si
compenetravano. Così, egli era convinto che la sua arte potesse parlare ed arrivare a un
pubblico più vasto. Inoltre e soprattutto, egli intese dare, in questo modo, una precisa
risposta a un dibattito europeo sul rinnovamento del melodramma, da lui molto sentito. La
scrittura teatrale di Pascoli non è tanto un modo per trovare nuove forme espressive, quanto
soprattutto un tentativo di dare il suo contributo personale a un nuovo teatro musicale, di
cui, a suo dire, l’umanità aveva bisogno. Era quasi un’urgenza impellente. Le risposte che
egli trovò sono in linea con svariate concezioni di quegli anni, sviluppate in particolare dalla
Scapigliatura. Il fatto poi che il poeta non riuscisse a trovare un compositore disposto a
rischiare fino in fondo, seguendolo nelle sue creazioni di drammi tutti interiori, con scarso
peso dato all’azione, non significa che egli fosse una voce isolata o bizzarra nel contesto
culturale a lui contemporaneo. Si potranno, anche in futuro, affrontare studi sugli elementi
di vicinanza tra Pascoli e alcuni compositori o possibili influenze tra sue poesie e libretti
d’opera, ma penso non si potrà mai prescindere da cosa egli effettivamente avesse ascoltato
e avesse visto rappresentato. Il che, documenti alla mano, non è molto. Solo ciò a cui
possiamo effettivamente risalire come dato certo e provato è valido per dire che Pascoli subì
il fascino di questa o di quell’opera. Per questo motivo, si trova qui (al termine del secondo
capitolo), per la prima volta, un elenco di quali opere siamo certi Pascoli avesse ascoltato o
visto: lo studio è stato possibile grazie ai rulli di cartone perforato per il pianoforte Racca di
Pascoli, alle testimonianze della sorella Maria circa le opere liriche che il poeta aveva
ascoltato a teatro e alle lettere del poeta. Tutto questo è stato utile per l’interpretazione del
pensiero musicale di Pascoli e dei suoi drammi.
I quattro abbozzi che ho scelto di analizzare mostrano nel concreto come Pascoli pensasse
di attuare la sua idea di dramma e sono quindi interpretati attraverso le sue dichiarazioni di
carattere musicale. Mi sono inoltre avvalsa degli autografi dei drammi, conservati a
Castelvecchio. In questi abbozzi hanno un ruolo rilevante i modelli che Pascoli stesso aveva
citato nelle sue lettere ai compositori: Wagner, Dante, Debussy. Soprattutto, Nell’Anno
Mille, il dramma medievale sull’ultima notte del Mille, vede la significativa presenza del
dantismo pascoliano, come emerge dai lavori di esegesi della Commedia. Da questo non è
immune nemmeno Aasvero o Caino nel trivio o l’Ebreo Errante, che è il compimento della
figura di Asvero, già apparsa nella poesia di Pascoli e portatrice di un messaggio di rinascita
sociale. I due drammi presentano anche una specifica simbologia, connessa alla figura e al
ruolo del poeta. Predominano, invece, in Gretchen’s Tochter e in Elena Azenor la Morta le
tematiche legate all’archetipo femminile, elemento ambiguo, materno e infero, ma sempre
incaricato di tenere vivo il legame con l’aldilà e con quanto non è direttamente visibile e
tangibile. Per Gretchen’s Tochter la visione pascoliana del femminile si innesta sulle fonti
del dramma: il Faust di Marlowe, il Faust di Goethe e il Mefistofele di Boito. I quattro
abbozzi qui analizzati sono la prova di come Pascoli volesse personificare nel teatro
musicale i concetti cardine e i temi dominanti della sua poesia, che sarebbero così giunti al
grande pubblico e avrebbero avuto il merito di traghettare l’opera italiana verso le novità già
percorse da Wagner.
Nel 1906 Pascoli aveva chiaramente compreso che i suoi drammi non sarebbero mai
arrivati sulle scene. Molti studi e molti spunti poetici realizzati per gli abbozzi gli restavano
inutilizzati tra le mani. Ecco, allora, che buona parte di essi veniva fatta confluire nel poema
medievale, in cui si cantano la storia e la cultura italiane attraverso la celebrazione di
Bologna, città in cui egli era appena rientrato come professore universitario, dopo avervi già
trascorso gli anni della giovinezza da studente. Le Canzoni di Re Enzio possono quindi
essere lette come il punto di approdo dell’elaborazione teatrale, come il “melodramma senza
musica” che dà il titolo a questo lavoro sul pensiero e l’opera del Pascoli teatrale. Già
Cesare Garboli aveva collegato il manierismo con cui sono scritte le Canzoni al teatro
musicale europeo e soprattutto a Puccini. Alcuni precisi parallelismi testuali e metrici e
l’uso di fonti comuni provano che il legame tra l’abbozzo dell’Anno Mille e le Canzoni di
Re Enzio è realmente attivo. Le due opere sono avvicinate anche dalla presenza del sostrato
dantesco, tenendo presente che Dante era per Pascoli uno dei modelli a cui guardare proprio
per creare il nuovo e perfetto dramma musicale. Importantissimo, infine, è il piccolo schema
di un dramma su Ruth, che egli tracciò in una lettera della fine del 1906, a Marco Enrico
Bossi. La vicinanza di questo dramma e di alcuni degli episodi principali della Canzone del
Paradiso è tanto forte ed evidente da rendere questo abbozzo quasi un cartone preparatorio
della Canzone stessa. Il Medioevo bolognese, con il suo re prigioniero, la schiava affrancata
e ancella del Sole e il giullare che sulla piazza intona la Chanson de Roland, costituisce il
ritorno del dramma nella poesia e l’avvento della poesia nel dramma o, meglio, in quel
continuo melodramma senza musica che fu il lungo cammino del Pascoli librettista.

Identiferoai:union.ndltd.org:unibo.it/oai:amsdottorato.cib.unibo.it:1952
Date21 May 2009
CreatorsZazzaroni, Annarita <1981>
ContributorsPasquini, Emilio
PublisherAlma Mater Studiorum - Università di Bologna
Source SetsUniversità di Bologna
LanguageItalian
Detected LanguageItalian
TypeDoctoral Thesis, PeerReviewed
Formatapplication/pdf
Rightsinfo:eu-repo/semantics/restrictedAccess

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