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Collocazioni avverbo + aggettivo in un corpus orale di discenti: un approccio quantitativo e qualitativo / ADVERB + ADJECTIVE COLLOCATIONS IN A SPOKEN LEARNER CORPUS: A QUANTITATIVE AND QUALITATIVE APPROACH / Adverb + adjective collocations in a spoken learner corpus: A quantitative and qualitative approach

POLI, FRANCESCA 21 July 2021 (has links)
Negli ultimi 70 anni, c'è stato un incremento degli studi e ricerche inglesi sulle collocazioni (Firth 1957; Hoey, 2005; Moon, 1998b; Sinclair 1991; 2004; Stubbs, 1996; 2001), i quali hanno evidenziato che la fraseologia è pervasiva alla lingua (Altenberg, 1998; Biber et al., 1999; Cowie, 1991; 1992; Howarth; 1998). Questo indica anche che una buona padronanza delle collocazioni è necessaria se i discenti mirano a raggiungere una fluidità simile a quella di un nativo nella L2. Infatti, la ricerca sulla produzione di linguaggio formulaico da parte degli apprendenti ha dimostrato che le collocazioni sono essenziali nell'acquisizione della lingua seconda (Cowie, 1998; Pawley & Syder, 1983; Peters, 1983) e sono una componente chiave per lo sviluppo della "fluency" (Ellis, 2002; 2003; Ellis et al., 2015; Howarth, 1998). Nonostante il maggior numero di studi sulle collocazioni, la maggior parte degli studiosi si è concentrata su dati scritti e su un insieme ristretto di combinazioni, come le collocazioni verbo + sostantivo. La scarsa disponibilità di corpora orali di discenti e la maggiore attenzione per le sequenze formulaiche più soggette a errori hanno portato i ricercatori a trascurare collocazioni come avverbio + aggettivo. L'intensificazione è una parte intricata dell'apprendimento delle lingue straniere (Lorenz, 1999) e merita ulteriore attenzione, soprattutto per quanto riguarda i dati parlati, che riflettono meglio il linguaggio dei discenti (Myles, 2015). Il presente lavoro indaga le collocazioni di avverbi + aggettivi in un corpus parlato di recente compilazione di studenti italiani avanzati di inglese L2. La tesi adotta un approccio di Analisi Interlinguistica Contrastiva (Granger, 1998) per verificare se: a) ci sono differenze tra la produzione di collocazioni degli studenti italiani di inglese rispetto ai coetanei madrelingua; b) ci sono differenze tra le collocazioni prodotti dagli studenti italiani e quelle dei madrelingua in termini di modelli sintattici e significato lessicale; c) la congruenza della L1 ha un effetto di trasferimento sulla produzione da parte dei discenti di collocazioni poco frequenti e/o non attestate. Per rispondere alle tre domande di ricerca, sono state condotte analisi quantitative e qualitative sull'Italian Spoken Learner Corpus (ISLC) e sul corpus gemello di LINDSEI, LOCNEC. LOCNEC è stato utilizzato come corpus di riferimento di madrelingua per il suo alto livello di comparabilità con ISLC. Per le analisi quantitative, è stato seguito l'approccio di Durrant e Schmitt (2009) per il calcolo dei punteggi delle misure di associazione delle collocazioni (t-score e MI) sulla base del corpus di riferimento BNC e le collocazioni sono state poi divise in tre categorie in base al loro punteggio: collocazioni (t-score e MI maggiore o uguale a 2 e 3 rispettivamente), collocazioni infrequenti/non attestate (t-score e MI non disponibili a causa dell'infrequenza), collocazioni in area grigia (t-score e MI inferiore a 2 e 3 rispettivamente). I test T-test e Wilcoxon rank sum test sono stati utilizzati sulle collocazioni estratte da ISLC e LOCNEC e sono state calcolate le dimensioni degli effetti. Inoltre, i test sono stati impiegati per valutare i valori medi individuali di t-score e MI degli studenti e dei madrelingua. Per quanto riguarda le analisi qualitative, è stato impiegato uno schema a tre livelli per analizzare due serie di collocazioni: la prima serie comprende 11 collocazioni con t-score e MI maggiore uguale a 2 e 3 rispettivamente e una frequenza di 5 nell'ISLC; la seconda serie comprende 9 collocazioni infrequenti/non attestate con una frequenza maggiore o uguale a 2 nell'ISLC. Seguendo lo schema, i due set di collocazioni estratti sia dall'ISLC sia dal LOCNEC sono stati analizzati tenendo conto del loro background collocativo (etimologia, livello CEFR, congruenza L1), delle variabili del discente (sesso, esperienza di soggiorno all'estero, corso universitario, altre lingue), e delle variabili testuali (funzione attributiva vs predicativa dell'aggettivo, pronomi vs it-sentences, tempo verbale, affermativo vs negativo, connotazione positiva vs negativa). I risultati dei test statistici sono stati tutti significativi con effect size medio-grandi e, insieme alle analisi qualitative, hanno indicato che: gli studenti italiani di inglese producono un minor numero di collocazioni; un maggior numero di non-collocazioni; le loro combinazioni sono meno collocative di quelle dei madrelingua (ovvero, i loro punteggi di misura delle associazioni sono in media più bassi di quelli dei nativi); non ci sono differenze marcate in termini di modelli lessico-grammaticali tra le collocazioni degli studenti e quelle dei madrelingua, ma gli studenti tendono ad assegnare alle loro collocazioni funzioni più creative dal punto di vista pragmatico; non è stata trovata alcuna prova di trasferimento L1 (negativo) in relazione alla produzione da parte dei discenti di collocazioni infrequenti/non attestate, sostenendo così ulteriormente la conclusione precedente. I risultati corroborano ulteriormente la letteratura sulle collocazioni prodotte dai discenti e aggiungono un altro tassello al puzzle della lingua parlata: il ritardo collocazionale, cioè lo sviluppo più lento delle prestazioni di produzione di collocazioni, può essere trovato anche nei dati parlati e i discenti sembrano anche produrre meno collocazioni identificate da punteggio t-score. Questo ha due importanti, anche se semplici, implicazioni: che gli studenti dovrebbero probabilmente essere esposti a più input di lingua parlata, e che le teorie di acquisizione della lingua seconda potrebbero utilmente rivedere i processi di acquisizione fraseologica degli studenti nel contesto EFL. Un'altra scoperta è relativa ai modelli lessico-grammaticali delle collocazioni degli studenti non erano marcatamente diversi da quelli dei madrelingua, ma erano meno vari e mostravano una creatività pragmatica. Questo potrebbe informare gli studiosi sui potenziali processi di fossilizzazione (Selinker, 1972) nella fraseologia e/o sulle strategie di semplificazione o di evitamento (Farghal & Obiedat, 1995). Infine, anche se gli studi tradizionali hanno trovato che la congruenza L1 gioca un ruolo chiave nella produzione di collocazioni (cfr. Bahns, 1993; Granger, 1998b; Nesselhauf, 2005; Wang, 2016), nessuna prova di congruenza L1 è stata trovata per quanto riguarda i dati parlati, il che è un'interessante controprova. Nel complesso, questa tesi ha sottolineato che la produzione di collocazioni, sia quantitativamente sia pragmaticamente, è in ritardo rispetto alla competenza collocazionale e, sebbene questa linea possa essere molto sottile e non significativa nei testi scritti, il divario si allarga nella lingua parlata. / In the last 70 years, there has been an increase in English studies on collocations (Firth 1957; Hoey, 2005; Moon, 1998; Sinclair 1991; 2004; Stubbs, 1996; 2001) and research which have documented that phraseology is pervasive to language (Altenberg, 1998; Biber et al., 1999; Cowie, 1991; 1992; Howarth; 1998). This also indicates that a good command of collocations is needed if learners aim to achieve native-like fluency in the L2. Indeed, research on learner production of formulaic language has shown that collocations are essential in the acquisition of second language (Cowie, 1998; Pawley & Syder, 1983; Peters, 1983) and are a key component for the development of fluency (Ellis, 2002; 2003; Ellis et al., 2015; Howarth, 1998). Despite the surge in studies on collocations, the majority of scholars have focused on written data and on a restricted set of combinations, such as verb + noun collocations. The poor availability of spoken learner corpora and the more error-prone formulaic sequences have led researchers to neglect collocations such as adverb + adjective. Intensification is an intricate part of foreign language learning (Lorenz, 1999) and deserves further attention, especially as regards spoken data, which is a better reflection of learner language (Myles, 2015). The present work investigates adverb + adjective collocations in a newly compiled spoken learner corpus of advanced Italian learners of English L2. The thesis adopts a Contrastive Interlanguage Analysis (Granger, 1998) approach to verify whether: a) there are any differences between the collocation production of Italian learners of English compared to native-speaker peers; b) there are any differences between the Italian learners’ collocations and the native speakers’ in terms of syntactic patterns and lexical meaning; c) L1 congruency has a transfer effect on the learner production of infrequent and/or unattested collocations. In order to address the three overarching research questions, quantitative and qualitative analyses were carried out on the Italian Spoken Learner Corpus (ISLC) and the sister corpus of LINDSEI, LOCNEC. LOCNEC was used as the native-speaker reference corpus for its high level of comparability to ISLC. For the quantitative analyses, Durrant and Schmitt’s (2009) approach was followed for the calculation of the collocation’s association measure scores (t-score and MI) based on the large reference corpus BNC and the collocations were then divided into three categories based on their score: collocations (t-score and MI equal or greater than 2 and 3 respectively), infrequent/unattested collocations (t-score and MI scores unavailable due to infrequency), grey area collocations (t-score and MI lower than 2 and 3 respectively). T-tests and Wilcoxon rank sum tests were computed on the collocations extracted from ISLC and LOCNEC and effect sizes were calculated. In addition, the tests were employed to assess the average individual t-score and MI values of learners and native speakers. As regards the qualitative analyses, a three-fold scheme was employed to analyse two sets of collocations: the first set comprises 11 collocations with t-score and MI equal or greater than 2 and 3 respectively and a frequency of equal or greater than 5 in the ISLC; the second set includes 9 infrequent/unattested collocations with a frequency equal or greater than 2 in ISLC. Following the scheme, the two sets of collocations extracted from both ISLC and LOCNEC were analysed by taking into account their collocational background (etymology, CEFR level, L1 congruence), the learner variables (gender, stay-abroad experience, university course, other languages), and the text variables (attributive vs predicative function of the adjective, pronouns vs it-sentences, tense, affirmative vs negative, positive vs negative connotation). The results of the statistical tests were all significant with medium to large effect sizes and, together with the qualitative analyses, indicated that: Italian learners of English produce a fewer number of collocations; a higher number of non-collocations; their combinations are less collocational than native speakers’ (i.e., their association measure scores as on average lower than the natives’); there are no marked differences in terms of lexico-grammatical patterns between the learners’ collocations and the native speakers’, but the learners tend to assign more pragmatically creative functions to their collocations; no evidence of L1 (negative) transfer was found in relation to the learners’ production of infrequent/unattested collocations, thus further supporting the previous finding. The findings further corroborate the literature on learners’ collocations and add another piece to the puzzle of spoken language: collocational lag, that is the slower development of collocation performance, can also be found in spoken data and learners also seem to produce fewer t-score collocations. This has two important, though simple, implications: that learners should probably be exposed to more spoken language input, and that second language acquisition theories might usefully review phraseological acquisition processes of EFL learners. Another finding is that the lexico-grammatical patterns of learners’ collocations were not markedly different from native speakers’, but they were less varied and displayed pragmatic creativity. This could inform scholars about potential fossilisation processes (Selinker, 1972) in phraseology and/or simplification or avoidance strategies (Farghal & Obiedat, 1995). Lastly, although mainstream studies have found that L1 congruency plays a role in the production of collocations (cf. Bahns, 1993; Granger, 1998b; Nesselhauf, 2005; Wang, 2016), no evidence of L1 congruency was found as regards spoken data, which is an interesting counter-finding. Overall, this thesis has underlined that collocation production, both quantitatively and pragmatically, lags behind collocation competence and, although this line may be very thin and not significant in written texts, the gap widens in spoken language.
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Analyse fonctionnelle des polymorphismes du virus du papillome humain de type 33

Alvarez Orellana, Jennifer Élisabeth 04 1900 (has links)
L’infection au virus du papillome humain oncogénique (VPH-HR) est associée au développement du cancer du col de l’utérus. L’expression des oncogènes viraux E6 et E7, qui favorisent la progression vers le cancer, est régulée par la région de contrôle longue ou LCR qui contient des sites de liaison pour plusieurs facteurs de transcription cellulaires et pour le répresseur viral E2. L’expression des oncogènes E6 et E7 est souvent dérégulée dans les cancers du col de l’utérus, une résultante de l’intégration du génome viral qui détruit fréquemment le cadre de lecture du gène E2. Plusieurs isolats ou variantes du VPH de type 33 (VPH33) avec une séquence nucléotidique du LCR différente du prototype ont été identifiés dans des spécimens de femmes infectées par le VPH et présentant des lésions intraépithéliales au niveau du col utérin. Deux polymorphismes, une délétion de 79 pb et la transversion C7732G, ont été associés à la persistance de l’infection et à un plus grand risque de développer une lésion intraépithéliale de haut-grade, respectivement. L’effet fonctionnel des polymorphismes du LCR du VPH33 sur l’expression génique virale, en particulier de la délétion de 79 pb et de C7732G, n’a jamais été caractérisé. Dans une première étude, l’activité transcriptionnelle des variantes de LCR du VPH33 a été comparée à celle du prototype dans les lignées cellulaires C33A et HeLa par des études de gènes rapporteurs suite à leur introduction en amont du gène de la Renilla luciférase. Nos résultats indiquent que l’activité transcriptionnelle des variantes du LCR du VPH33 reflète leur classification phylogénétique; les variantes issues de la lignée A2 étant les plus actives dans les C33A que le prototype du groupe A1. Des analyses par mutagenèse dirigée ont établi que l’activité accrue des LCRs de ces variantes est due à plusieurs variations, incluant la délétion de 79 pb et C7732G, et dont leur effet individuel est assez modeste. Dans les cellules HeLa, les niveaux de transcription des variantes de la lignée A2 étaient similaires à ceux observés chez le prototype. Cet effet a été attribué à la variation A7879G qui induit la répression du LCR dans ces cellules. Ces résultats indiquent que la combinaison de plusieurs variations dites faibles altère significativement l’activité transcriptionnelle du LCR du VPH33. D’un autre côté, les résultats rapportés dans notre deuxième étude indiquent que la mutation d’un élément important pour la régulation de la transcription virale peut tout autant altérer l’activité du LCR. La variante rare LCR10 de la lignée B montre une activité transcriptionnelle accrue comparée au prototype. Des analyses par mutagenèse dirigée ont identifié la variation T7791C comme étant responsable de l’activité augmentée du LCR10. L’effet stimulateur de ce polymorphisme est dû au fait qu’un site répresseur pour le facteur cellulaire C/EBPβ est aboli, tel que déterminé par des essais de liaison à l’ADN in vitro et de gène rapporteur. Un deuxième site C/EBPβ a également été identifié, cette fois-ci, agissant comme activateur de l’expression génique. Finalement, dans une troisième étude, nous montrons que C/EBPβ est un régulateur commun de l’expression des gènes chez les VPHs oncogéniques. Effectivement, plusieurs sites C/EBPβ sont retrouvés dans la région amplificatrice du LCR des VPHs à haut-risque tel que déterminé par des prédictions basées sur des matrices d’énergie et de fréquence. Certains de ces éléments sont similaires aux sites répresseurs et activateurs retrouvés dans le VPH33. Dans l’ensemble, nos études démontrent l’importance de caractériser l’effet individuel des polymorphismes du LCR pour mieux comprendre les mécanismes de modulation de la transcription des VPHs. De plus, nous montrons que C/EBPβ joue un rôle central autant dans la répression que dans l’activation de l’expression des gènes viraux. / The infection by the oncogenic human papillomavirus (HR-HPV) is associated with the development of cervical cancer. The expression of the E6 and E7 viral oncogenes favors progression towards cancer and is driven by the long control region (LCR) which contains binding sites for both cellular factors and the viral E2 protein. The expression of these oncogenes is often upregulated in cervical cancer due to the integration of the viral genome which frequently disrupts the open reading frame of the repressor E2 gene. Several isolates or variants of HPV type 33 (HPV33) with a slightly different nucleotide sequence were previously identified in clinical samples from women infected with HPV33 and presenting squamous intraepithelial lesions of the uterus. Two polymorphisms, a 79-bp deletion and the C7732G transversion, were previously associated with an increased risk of persistence of infection and of developing high-grade lesions, respectively. The functional effect of polymorphisms in the HPV33 LCR on viral gene expression has never been assessed in particular for the 79-bp deletion and C7732G. In the first study presented here, the transcriptional activity of the HPV33 LCR variants were compared to that of the prototype in C33A and HeLa cell lines using gene reporter assays following their introduction upstream of the Renilla luciferase. Our results indicate that the LCR activity of the variants reflects their phylogenetic classification. As such, variants from the A2-sublineage were the most active in C33A cells when compared to the A1-sublineage prototype. Mutational analysis showed that the increased in LCR activity was the result of several weakly-acting variations, including the 79-bp deletion and C7732G. In HeLa cells, the lower transcriptional activity of the A2 variants was caused by A7879G which induces repression of the LCR in these cells. These results show that the combination of weakly-acting variations in the LCR significantly alters viral gene expression. In the second study, we show that the mutation of important regulatory elements also significantly enhances the transcriptional activity of the LCR. The rare HPV33 LCR10 variant from the B lineage exhibits increased transcriptional activity compared to the prototype. Mutational analysis shows that the T7791C variation is responsible for this phenotype. The stimulating effect of this variation is caused by the disruption of a repressor C/EBPβ site as determined in an in vitro DNA-binding assay and gene reporter assays. A second site necessary this time for the activation of the LCR was also identified. Finally, in the third study, we show that C/EBPβ is a common regulator of the oncogenic HPV gene expression. Several C/EBPβ sites were found in the enhancer region of the LCR of these HPV types as determined by our prediction using both energy- and frequency-based matrices. Some of these sites were found to be similar to the repressor and activating sites in the HPV33 LCR. Taken together, our studies highlight the importance of characterizing individual variations in the LCR in order to improve our knowledge on the mechanisms involved in the regulation of viral gene expression. We also show that the activating and inhibitory functions of C/EBPβ are important for the modulation of viral transcription.

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