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L'architettura di Pietro Bottoni a Ferrara: Occasioni di moderna composizione architettonica negli ambienti storici (1932-1971) / The architecture of Piero Bottoni in Ferrara: Opportunities of modern architectural composition in historical contexts (1932-1971)Cassani Simonetti, Matteo <1984> January 1900 (has links)
Ferrara è tra le città con le quali Piero Bottoni (1903-1973) ha istaurato un rapporto proficuo e duraturo che gli permise di elaborare molti progetti e che fu costante lungo quasi tutta la parabola professionale dell’autore milanese. Giunto nella città estense nei primi anni Trenta, vi lavorò nei tre decenni successivi elaborando progetti che spaziavano dalla scala dell’arredamento d’interni fino a quella urbana; i diciannove progetti studiati, tutti situati all’interno del centro storico della città, hanno come tema comune la relazione tra nuova architettura e città esistente.
Osservando un ampio spettro di interventi che abbracciava la progettazione sull'esistente come quella del nuovo, Bottoni propone una visione dell'architettura senza suddivisioni disciplinari intendendo il restauro e la costruzione del nuovo come parti di un processo progettuale unitario.
Sullo sfondo di questa vicenda, la cultura ferrarese tra le due guerre e nel Dopoguerra si caratterizza per il continuo tentativo di rendere attuale la propria storia rinascimentale effettuando operazioni di riscoperta che con continuità, a discapito dei cambiamenti politici, contraddistinguono le esperienze culturali condotte nel corso del Novecento. Con la contemporanea presenza durante gli anni Cinquanta e Sessanta di Bottoni, Zevi, Pane, Michelucci, Piccinato, Samonà, Bassani e Ragghianti, tutti impegnati nella costruzione dell’immagine storiografica della Ferrara rinascimentale, i caratteri di questa stagione culturale si fondono con i temi centrali del dibattito architettonico italiano e con quello per la salvaguardia dei centri storici.
L’analisi dell’opera ferrarese di Piero Bottoni è così l’occasione per mostrare da un lato un carattere peculiare della sua architettura e, dall’altro, di studiare un contesto cultuale provinciale al fine di mostrare i punti di contatto tra le personalità presenti a Ferrara in quegli anni, di osservarne le reciproche influenze e di distinguere gli scambi avvenuti tra i principali centri della cultura architettonica italiana e un ambito geografico solo apparentemente secondario. / Ferrara counts among the cities with which Piero Bottoni (1903-1973) has created a rich link, which allowed him to elaborate many projects and that has a constant presence all along the professional circuit of the author. Residing at the Este town in the first Thirties, he worked there during three successive decades developing projects that spread between the scale of internal forniture to urban projects; the nineteen projects examined, all placed in the city’s historic centre, have as a common subject the relationship among the new architecture and the existing city.
Studying a large spectre of interventions that embraces projects based upon the existent buildings as well as new projects, Bottoni proposes a vision of architecture without disciplinary sub divisions, approaching restoration and new building as parts of a unitary projecting process.
Upon this background, Ferrara’s culture between the two wars and after the war is characterized by the permanent attempt to give actuality to its own renaissance history, notwithstanding the political changes. With the contemporary presence during the Fifties and Sixties of Bottoni, Zevi, Pane, Michelucci, Piccinato e Samonà, Bassani a Ragghianti, all participating to the construction of the historiographic image of the Renaissance Ferrara, the characteristics of this cultural context melt into the central subjects of the Italian architectonical debate and the debate for the defence of historical centres.
The analytical study of Bottoni’s Ferrarese works becomes thus the occasion to outline, on one side, the peculiar character of his architecture and, on the other side, to study a provincial cultural context with a view to show such points of contact among the personalities present at Ferrara in those years, to observe their reciprocal influence and to distinguish the exchanges occurred among the outstanding centres of Italian architectonic culture and a geographical environment only secondary in appearance.
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Città e architettura a Faenza nel Rinascimento. Progetti e strategie di rinnovamento urbano nell'età di Carlo II Manfredi (1468-77) / Faenza: the city and architecture during the Renaissance. Plans and strategies for the urban renewal at the time of Carlo II Manfredi (1468-77)Pascale Guidotti Magnani, Daniele <1985> January 1900 (has links)
La tesi ha come oggetto il rinnovamento urbano che fu realizzato a Faenza per opera del suo signore Carlo II Manfredi tra il 1468 e il 1477, d’accordo con il fratello, il vescovo Federico.
La prima opera realizzata da Carlo fu il portico a due livelli che dotò di una nuova facciata il suo palazzo di residenza, di origini medievali. Questa architettura sarebbe stata il preludio di un riordino generale della piazza principale della città, probabilmente allo scopo di ricreare un foro all’antica, come prescritto dai trattati di Vitruvio e di Alberti. L’aspetto originale del loggiato rinascimentale, desumibile da documentazione archivistica e iconografica, permette di attribuirlo con una certa probabilità a Giuliano da Maiano.
Oltre alla piazza, Carlo riformò profondamente il tessuto urbano, demolendo molti portici lignei di origine medievale, rettificando le principali strade, completando la cerchia muraria.
Federico Manfredi nel 1474 diede inizio alla fabbrica della Cattedrale, ricostruita dalle fondamenta su progetto dello stesso Giuliano da Maiano. L’architettura della chiesa ha uno stile largamente debitore all’architettura sacra di Brunelleschi, ma con significative differenze (come la navata definita da un’alternanza tra pilastri e colonne, o la copertura composta da volte a vela). L’abside della cattedrale, estranea al progetto maianesco, fu realizzata nel 1491-92 e mostra alcuni dettagli riconducibili alla coeva architettura di Bramante.
A Faenza si realizza in un periodo di tempo brevissimo una profonda trasformazione del volto della città: loggiato, riforma della piazza, riordino delle strade, una nuova cattedrale, tutto contribuisce a dare lustro ai Manfredi e a fare di Faenza una città moderna e in cui si mettono in pratica, forse per la prima volta nell’Italia settentrionale, i dettami di Vitruvio e di Alberti. / The present thesis aims the study of the urban renewal that was carried out in Faenza thanks to the work of the Lord of the city, Carlo II Manfredi (1468-1477), together with his brother, Bishop Federico.
The first work accomplished by Carlo was the two-level portico that gave a new façade to the palace of medieval origin where he lived. This architecture was to herald a general reorganization of the main piazza in the city, probably in order to recreate an antique forum, as prescribed by the treatises of Vitruvius and Alberti. The original appearance of the Renaissance loggia, which can be inferred from archival and iconographic documents, makes it possible to attribute it almost certainly to Giuliano da Maiano.
In addition to the square, Carlo drastically reformed the urban fabric, demolishing many wooden porticos of medieval origin, straightening out the main streets and completing the city walls.
In 1474 Federico Manfredi ordered the construction of the Cathedral, rebuilt from its foundations on a project also by Giuliano da Maiano. The architectural style of the church owes much to Brunelleschi’s church architecture, but with significant differences (such as the nave defined by an alternation between pillars and columns, or the sail vault ceiling). The apse of the cathedral, not part of Maiano’s project, was built in 1491-92 and shows some details traceable to the architecture of Bramante, his contemporary.
Over a very short period of time in Faenza, a strong transformation of the face of the city occurred: loggia, rearrangement of the piazza, reorganization of roads, a new cathedral, all contributed to bring prestige to the Manfredi family and to make Faenza a modern city where, perhaps for the first time in northern Italy, the dictates of Vitruvius and Alberti were put into practice.
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Il museo Wilhelm Lehmbruck: paradigma della nuova modernità nella Germania del secondo dopoguerra / The Wilhelm Lehmbruck museum: paradigm of modern architecture in postwar GermanyStoppioni, Benedetta <1980> 03 June 2013 (has links)
Oggetto della ricerca è il museo Wilhelm Lehmbruck di Duisburg, un'opera dell'architetto Manfred Lehmbruck, progettata e realizzata tra il 1957 e il 1964.
Questa architettura, che ospita la produzione artistica del noto scultore Wilhelm Lehmbruck, padre di Manfred, è tra i primi musei edificati ex novo nella Repubblica Federale Tedesca dopo la seconda guerra mondiale. Il mito di Wilhelm Lehmbruck, costruito negli anni per donare una identità culturale alla città industriale di Duisburg, si rinvigorì nel secondo dopoguerra in seno ad una più generale tendenza sorta nella Repubblica di Bonn verso la rivalutazione dell'arte moderna, dichiarata “degenerata” dal nazionalsocialismo. Ricollegarsi all'arte e all'architettura moderna degli anni venti era in quel momento funzionale al ridisegno di un volto nuovo e democratico del giovane stato tedesco, che cercava legittimazione proclamandosi erede della mitica e gloriosa Repubblica di Weimar. Dopo anni di dibattiti sulla ricostruzione, l'architettura del neues Bauen sembrava l'unico modo in cui la Repubblica Federale potesse presentarsi al mondo, anche se la realtà del paese era assai più complessa e svelava il “doppio volto” che connotò questo stato a partire dal 1945. Le numerose dicotomie che popolarono presto la tabula rasa nata dalle ceneri del conflitto (memoria/oblio, tradizione/modernità, continuità/discontinuità con il recente e infausto passato) trovano espressione nella storia e nella particolare architettura del museo di Duisburg, che può essere quindi interpretato come un'opera paradigmatica per comprendere la nuova identità della Repubblica Federale, un'identità che la rese capace di risorgere dopo l' “anno zero”, ricercando nel miracolo economico uno strumento di redenzione da un passato vergognoso, che doveva essere taciuto, dimenticato, lasciato alle spalle. / The subject of the research is the Wilhelm-Lehmbruck-Museum, a work of the architect Manfred Lehmbruck, designed and built between 1957 and 1964. This building, which hosts the artistic production of the renowned sculptor Wilhelm Lehmbruck, Manfred's father, is among the first museums built ex novo in the German Federal Republic after WWII. The myth of Wilhelm Lehmbruck, constructed in the course of several years to provide the industrial town of Duisburg with a cultural identity, was boosted in the second post-war period within a more general tendency in the Bonn Republic towards the reevaluation of modern art, which had been labeled as “degenerate” by national-socialism. Finding a new link with the modern art and architecture of the twenties was, at the time, particularly functional for the re-creation of the new and democratic image of the new German state, which sought for legitimation by proclaiming itself as the heir of the glorious Weimar Republic. After years of debate on reconstruction, the architecture of the neues Bauen seemed to be the only possible way in which Germany could present itself to the world, even if the reality of the country was much more complex and betrayed the “double face” of this state after 1945. The numerous dichotomies, that soon peopled the “tabula rasa” which had originated from the ruins of WWII (memory/oblivion, tradition/modernity, continuity/discontinuity with the recent and unlucky past) are reflected in the history and in the particular architecture of the Duisburg Museum, that could be interpreted as a paradigmatic work for the understanding of the new identity of the Federal Republic, an identity that made this state able to rise up after the “year zero”, seeking in the Economic Miracle an instrument of redemption from a shameful past, which had to be silenced, forgotten, left behind.
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Architettura insegnata. Aldo Rossi, Giorgio Grassi e l'insegnamento della progettazione architettonica (1946-79) / Taught architecture. Aldo Rossi, Giorgio Grassi and the teaching of architectural design (1946-1979)Andreola, Florencia Natalia <1984> January 1900 (has links)
La Scuola di Architettura come oggetto di una ricerca di dottorato, pur nella sua parzialità temporale e spaziale, si offre come nodo di interesse nel tentativo di illuminare uno dei molteplici aspetti che caratterizzano l’ambito più generale dell’architettura in Italia oggi. Porre sotto i riflettori l’insegnamento come tema cardine per la formazione di generazioni di professionisti, ma anche per il destino della ricerca in architettura, è utile alla ricomposizione degli strumenti formativi, al loro corretto utilizzo, conservando ciò che la storia ha lasciato nei suoi risultati positivi, aggiornando ciò che oggi non si confà più alla condizione socio-culturale e alle nuove dinamiche produttive, avendo infine il coraggio di liberarsi di ciò che non ha portato buoni frutti.
Aldo Rossi e Giorgio Grassi diventano in questo senso protagonisti di una ricerca che si concentra sul loro specifico ruolo di docenti universitari, di maestri, di portatori di una teoria, forse tra gli ultimi nella storia dell’architettura italiana. Due protagonisti che hanno saputo sistematizzare un messaggio didattico, una teoria, e hanno potuto/voluto/saputo/provato a trasmetterlo a più generazioni attraverso – anche – l’insegnamento accademico.
In particolare la ricerca approfondisce il periodo iniziale delle carriere accademiche dei due protagonisti trattati, cercando di comprendere anzitutto il clima culturale di appartenenza, le esperienze di formazione e la condizione che li ha portati a impostare l’insegnamento in un determinato modo, per poi soffermarsi sulle esperienze di didattica vera e propria dal 1965 alla fine degli anni Settanta. / The School of Architecture as subject of a doctoral research - even in its temporal and spatial incompleteness – can be observed as a node of interest, as we try to shed light on one of the many aspects that characterize the more general field of architecture in Italy today.
Putting the spotlight on teaching as a cardinal theme for the training of generations of professionals - but also for the fate of research in the field of architecture -, can be helpful in reconsidering the educational tools in their proper use, preserving what useful results history has produced, updating what today does not suit the socio-cultural conditions and the new production dynamics anymore, and eventually having the courage to get rid of what didn’t bring good results.
Aldo Rossi and Giorgio Grassi become protagonists of this research, which focuses on their specific role of academics, teachers, of bearers of a theory, perhaps among the last in the history of Italian architecture. Two key players who were able to systematize an educational message - a theory - and who could / wanted / tried to transmit it to several generations (also) through academic teaching.
In particular, this research explores the initial period of their academic careers, trying first of all to understand the cultural climate around them, their training experiences and the condition that led them to set up their teaching in a certain way, then going on to dwell on their actual teaching from 1965 to the late seventies.
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Avventure urbanistiche e architettoniche dell'Eni di Enrico Mattei (1953-1962): tra progetto e strategia aziendaleDeschermeier, Dorothea <1976> 30 May 2007 (has links)
No description available.
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La rue Mallet-Stevens forma e linguaggi nell'architettura di Mallet-StevensSalvatori, Antonella <1964> 24 May 2010 (has links)
La ricerca ha avuto come obiettivo l’analisi delle residenze lungo la rue Mallet-Stevens, a Parigi, realizzate da Robert Mallet-Stevens negli anni 1925-1930.
Si tratta di un intervento pensato unitariamente, i cui dispositivi spaziali sono rivelatori tanto del concetto spazio-forma, quanto del processo d’ideazione dello
stesso nell’ambito dei paradigmi gestaltici e compositivi della modernità. All’epoca la necessità di espressione e affermazione di un simile concetto si tradusse
nell’interpretazione spaziale dalla scala dell’abitazione alla scala della città.
Le residenze, realizzate nella zona di Auteuil (16 arrondissement), occupano l’area di una nuova lottizzazione, da cui il successivo nome dell’intervento: case su rue Mallet-Stevens.
Il programma comprendeva cinque abitazioni, commissionate da artisti e ricchi borghesi, una piccola maison per il guardiano del confinante parco, e un progetto, mai realizzato che nella prima versione comprendeva due interventi: un hôtel particulier e un edificio per appartamenti.
La rue Mallet-Stevens si costituì come frammento di città possibile, ove si manifestava un’idea di urbanità chiaramente ispirata al modello della città
giardino e ai valori del vivere moderno. I volumi “stereometrici” sono la cifra dell’idea di spazio che, a quel punto della sua attività, Mallet-Stevens aveva
maturato sia come architetto, sia come scenografo.
La metodologia di analisi critica dell’oggetto architettonico adottata in questa ricerca, si è servita di una lettura incrociata del testo (l’oggetto architettonico), del paratesto (ciò che l’autore ha scritto di sé e della propria opera) e dell’intertesto,
in altre parole l’insieme di quelle relazioni che possono ricondurre sia ad altre opere dello stesso autore, sia ai modelli cui l’architetto ha fatto riferimento.
Il ridisegno bidimensionale e tridimensionale degli edifici della rue Mallet-Stevens ha costituito lo strumento fondamentale di analisi per la comprensione dei temi architettonici.
Le conclusioni cui la ricerca è giunta mostrano come la posizione culturale di Mallet-Stevens si è arricchita di molteplici influenze creative, sulla scia di
una consapevole e costante strategia di contaminazione. Mallet-Stevens, osservando i linguaggi a lui contemporanei, si appropriò della componente morfologica del progetto, privilegiandola rispetto a quella sintattica, per poi
giungere ad una personalissima sintesi delle stesse. / Mes recherches ont eu comme objectif l’analyse des résidences situées le long
de la rue Mallet-Stevens, à Paris, réalisées par Robert Mallet-Stevens dans les
années 1925-1930. Il s’agit d’une intervention conçue et élaborée de manière
cohérente et dont les dispositifs spatiaux sont révélateurs aussi bien du concept
d’espace-forme, que du processus de conception de celui-ci dans le cadre
de paradigmes formels et de composition de la modernité. A cette époque, le
besoin d’expression et d’affirmation d’un concept semblable se traduit par une
interprétation spatiale de l’échelle de l’habitation à l’échelle de la ville.
Les habitations, réalisées dans le quartier d’Auteuil (16ème arrondissement),
occupaient la zone d’un nouveau plan d’aménagement, d’où le nom de
l’intervention: hôtels particuliers de la rue Mallet-Stevens.
Le programme comprenait cinq hôtels particuliers, commandés par des artistes
et de riches bourgeois, une petite maison pour le gardien du parc voisin, et
un projet, jamais réalisé qui, dans une première version, prévoyait deux
interventions: un hôtel particulier et un immeuble d’appartements.
La rue Mallet-Stevens, fut envisagée comme le fragment d’une ville possible, où
se manifestait une conception de l’urbanité clairement inspirée du modèle de la
cité-jardin et des valeurs de la vie moderne. Les volumes « stéréométriques »
sont la principale caractéristique de l’idée d’espace que Mallet-Stevens, à ce
moment précis de son activité, avait mûri aussi bien en tant qu’architecte que
décorateur.
La méthodologie d’analyse critique de l’objet architectural adoptée dans cette
étude, se fonde sur une lecture croisée du texte (l’objet architectural), du paratexte
(ce que l’auteur a écrit sur lui-même et sur son oeuvre) et de l’intertexte, en
d’autres termes, l’ensemble des relations qui peuvent faire référence à d’autres
oeuvres du même auteur ou aux modèles auxquels l’architecte a fait référence.
La re-conception bidimensionnelle et tridimensionnelle des hôtels de la rue
Mallet-Stevens a été l’outil d’analyse de base pour la compréhension des
thèmes architecturaux.
Les conclusions établies par cette étude montrent comment la position culturelle
de Mallet-Stevens a été enrichie de nombreuses influences créatives, dans
le sillage d’une stratégie de contamination consciente et constante. Mallet-
Stevens, observant les langages contemporains, a réussi à s’approprier de la
composante morphologique du projet, en la privilégiant à celle syntaxique, pour
atteindre enfin une synthèse absolument personnelle de celles-ci.
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A misura delle città. Paesaggi dell'ingegneria ferroviaria e spazi per la mobilità nella formazione dello Stato unitarioBortolotti, Alberto <1978> 28 May 2010 (has links)
No description available.
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L’edilizia residenziale popolare pubblica di Milano nei primi tre decenni del XX secoloZanzottera, Ferdinando <1969> 07 June 2011 (has links)
Lo stabilirsi di nuovi criteri abitativi nella Lombardia di fine Ottocento e dei primi decenni del XX secolo, ha fatto emergere, nel vasto tema dell’abitazione popolare, componenti meritevoli di essere analizzate nelle loro differenti declinazioni.
Nella ricerca sono quindi stati analizzati: gli studi tipologici di quel periodo, l’impiego di differenti materiali edili, il linguaggio compositivo, le interrelazioni dei manufatti architettonici con il contesto urbano, l’apporto delle cooperative alla realizzazione degli interventi, lo sviluppo e l’impiego della prefabbricazione e la tutela, valorizzazione e trasformazione del patrimonio edilizio esistente.
Presupposto di quest’analisi è stata l’ampia ricostruzione storiografica delle fasi germinali e del dibattito ottocentesco sulla casa operaia e popolare, che hanno condotto (all’inizio del novecento) alla creazione dell’Istituto Autonomo Case Popolari od Economiche di Milano.
Sono state enucleate anche le principali caratteristiche formali e tecnologiche dell’edilizia residenziale popolare milanese di quel periodo.
La ricerca inoltre è stata finalizzata alla definizione di strategie gestionali del patrimonio storiografico esistente (documentario, iconografico e bibliografico) rivolto a una migliore fruizione dei beni architettonici considerati e a supporto di conoscenza per la sua valorizzazione, tutela, trasformazione e recupero. Per questa ragione l’analisi delle fonti documentarie e archivistiche, si è basata sull’indagine di alcuni progetti originari (quasi mai in possesso dell’Aler e parzialmente dispersi in archivi comunali e privati). La ricostruzione del patrimonio storico-visuale dell’edilizia residenziale d’inizio secolo, ha dedicato attenzione anche agli aspetti architettonici e di vita degli spazi comuni, dello stato di conservazione e delle trasformazioni delle strutture originarie.
Accanto a questi filoni di indagine è stata sviluppata un’attenta analisi della letteratura esistente, studiando sia la pubblicistica sia la letteratura scientifica coeva alle costruzione e gli studi, anche di grande portata, compiuti nei decenni successivi.
L’indagine propone anche una periodizzazione delle fasi realizzative dell’edilizia popolare, relazionandole a contesti architettonici e storiografici di più ampio respiro. Si sono indagate, ad esempio, le ragioni del costituirsi di una forte interdipendenza delle varie realtà sociali urbane e si sono posti a confronto gli elementi prettamente architettonici con il quadro tematico connesso al concetto di modernità.
La ricerca non ha neppure trascurato gli studi chiarificatori delle istanze sociali, che hanno trovato particolari riferimenti nelle analisi scientifiche (pubblicate su riviste specialistiche, in qualche caso di difficile reperibilità) o nelle ricerche commissionate dal Comune di Milano nel primo decennio del XX secolo.
Grande importanza è stata riposta anche nell’analisi delle delibere comunali (verificate e documentate in modo organico e complessivo) che, a partire dal 1861, trattano il tema dell’impegno pubblico nella realizzazione di edilizia operaia a basso costo.
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Ignazio Gardella, metodo e linguaggio nel progetto della residenza / Ignazio Gardella, method and language in the house projectSintini, Matteo <1978> 04 June 2012 (has links)
La ricerca inquadra all’interno dell’opera dell’autore, lo specifico tema della residenza.
Esso costituisce il campo di applicazione del progetto di architettura, in cui più efficacemente ricercare i tratti caratteristici del metodo progettuale dell’architetto, chiave di lettura dello studio proposto. Il processo che giunge alla costituzione materiale dell’architettura, viene considerato nelle fasi in cui è scomposto, negli strumenti che adotta, negli obbiettivi che si pone, nel rapporto con i sistemi produttivi, per come affronta il tema della forma e del programma e confrontato con la vasta letteratura presente nel pensiero di alcuni autori vicini a Ignazio Gardella.
Si definiscono in tal modo i tratti di una metodologia fortemente connotata dal realismo, che rende coerente una ricerca empirica e razionale, legata ad un’idea di architettura classica, di matrice illuministica e attenta alle istanze della modernità, all’interno della quale si realizza l’eteronomia linguistica che caratterizza uno dei tratti caratteristici delle architetture di Ignazio Gardella; aspetto più volte interpretato come appartenenza ai movimenti del novecento, che intersecano costantemente la lunga carriera dell’architetto.
L’analisi dell’opera della residenza è condotta non per casi esemplari, ma sulla totalità dei progetti che si avvale anche di contributi inediti. Essa è intesa come percorso di ricerca personale sui processi compositivi e sull’uso del linguaggio e permette un riposizionamento della figura di Gardella, in relazione al farsi dell’architettura, della sua realizzazione e non alla volontà di assecondare stili o norme a-priori. E’ la dimensione pratica, del mestiere, quella che meglio si presta all’interpretazione dei progetti di Gardella. Le residenze dell’architetto si mostrano per la capacità di adattarsi ai vincoli del luogo, del committente, della tecnologia, attraverso la re-interpretazione formale e il trasferimento da un tema all’altro, degli elementi essenziali che mostrano attraverso la loro immagine, una precisa idea di casa e di architettura, non autoriale, ma riconoscibile e a-temporale. / The research fits within specific issue of the residence in the work of one of the most important italian contemporary architects.
It is the scope of architectural design, in which more effectively search for characteristic features of the design method of the architect, key to the proposed study. Projects are analyzed, starting from the search of the method that rules the process from creation to costruction,
The architecture of the author can be read as relationship between an empiric method and an eclectic language. It is formed by a realism that connect classic and rational methodolgy, with the modern shapes and the contents of the twentieth century architectur
Practically, project can be defined as a succession of operations, directed to solve problems, coming from three main generals binds: place, as a cultural and fisical environment, client and building technology. Each ones influenced by specific conditions of site, inhabitants and social - economical condition of the time.
Considering the all Gardella’s production about dwellings, that also makes use of new contributions, not only master pieces, architect does not research a style.
His buildings are products of the constant re-definition and adaptability of the essentials parts that respond to problems and concretely builds house and architecture as well.
So the Gardella’s work appears more complex than an interpretation based on twentieth century movements or styles.
In this way, it's possibile recognize same elements that form a personal, not authorship, but recognizable and a-temporal, idea of liveble spaces, and image of home, applied through the re-interpretation and the formal transfer from one theme to another, to different types of houses: collectives or individuals, to different users, bourgeois, middle or popular class, to different places and repeated in the different moments of the author’s long carrer.
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Ahmedabad | Laboratorio di architettura moderna Il National Institute of Design (1961-68) fra contatti internazionali ed echi della tradizione / Ahmedabad | Workshop of Modern Architecture The National Institute of Design (1961-68) between international relations and echoes from Indian traditionAlessandrini, Elisa <1981> 04 June 2012 (has links)
Oggetto della ricerca è lo studio del National Institute of Design (NID), progettato da Gautam Sarabhai e sua sorella Gira, ad Ahmedabad, assunta a paradigma del nuovo corso della politica che il Primo Ministro Nehru espresse nei primi decenni del governo postcoloniale. Obiettivo della tesi è di analizzare il fenomeno che unisce modernità e tradizione in architettura. La modernità indiana, infatti, nacque e si sviluppò con i caratteri di un Giano bifronte: da un lato, la politica del Primo Ministro Nehru favorì lo sviluppo dell’industria e della scienza; dall’altro, la visione di Gandhi mirava alla riscoperta del locale, delle tradizioni e dell’artigianato. Questi orientamenti influenzarono l’architettura postcoloniale.
Negli anni ‘50 e ’60 Ahmedabad divenne la culla dell’architettura moderna indiana. Kanvinde, i Sarabhai, Correa, Doshi, Raje trovarono qui le condizioni per costruire la propria identità come progettisti e come intellettuali. I motori che resero possibile questo fermento furono principalmente due: una committenza di imprenditori illuminati, desiderosi di modernizzare la città; la presenza ad Ahmedabad, a partire dal 1951, dei maestri dell’architettura moderna, tra cui i più noti furono Le Corbusier e Kahn, invitati da quella stessa committenza, per la quale realizzarono edifici di notevole rilevanza. Ad Ahmedabad si confrontarono con forza entrambe le visioni dell’India moderna. Lo sforzo maggiore degli architetti indiani si espresse nel tentativo di conciliare i due aspetti, quelli che derivavano dalle influenze internazionali e quelli che provenivano dallo spirito della tradizione. Il progetto del NID è uno dei migliori esempi di questo esercizio di sintesi. Esso recupera nella composizione spaziale la lezione di Wright, Le Corbusier, Kahn, Eames ibridandola con elementi della tradizione indiana. Nell’uso sapiente della struttura modulare e a padiglione, della griglia ordinatrice a base quadrata, dell’integrazione costante fra spazi aperti, natura e architettura affiorano nell’edificio del NID echi di una cultura millenaria. / The subject of this research is the National Institute of Design (NID) designed by Gautam and his sister Gira Sarabhai in Ahmedabad. My aim is to analyze the phenomenon that blends modernity and tradition in architecture as an expression of the new politics that the Prime Minister Nehru advocated in his leadership after Independence. Indian modernity emerged as a double faced Janus: on the one hand the Prime Minister Nehru promoted a widespread modernization fostering industrial, scientific and technological development; on the other hand Gandhi’s ideas aimed to rediscover the local, ancient tradition, crafts and rural life. These orientations shaped postcolonial architecture.
The focus is on Ahmedabad, the city which was greatest architectural upheaval, where young Indian architects (Kanvinde, Sarabhai, Correa, Doshi, Raje, Kapadia) could confront themselves with Western modern masters - among them Le Corbusier and Kahn - searching for their own architectural identity. The engines of such great upheaval were two: enlighten clients eager to transform the society and modernize their city; the presence of modern masters, who came to Ahmedabad from 1951, invited from the same customers to design buildings for the city.
A new direction for Indian architecture was evident right in Ahmedabad. A city where both the visions for a modern India strongly tackled. The biggest effort of Indian architects was the attempt to reconcile these two aspects, the ones which came from international influences and the ones which arose from the spirit of tradition. NID is one of the best example of this search for a synthesis: it shows Wright, Le Corbusier, Eames, Kahn’s legacy but also echoes from Indian architecture such as the pavilion structure, the square grid, open spaces and a perfect merge between nature and architecture.
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