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ANZIANI E CAREGIVER DI FRONTE ALL'INSORGERE DELLA DEMENZA. UNA RICERCA PARTECIPATIVA / Elderly people and caregivers facing dementia onset. A participatory research

AVANCINI, GIULIA 17 May 2018 (has links)
L’obiettivo della ricerca è stato quello di indagare le esperienze delle persone e delle famiglie che stanno vivendo le prime fasi della demenza all’esordio, con lo scopo di comprendere come potrebbero essere forniti aiuti specifici per sostenere le persone, con i loro particolari bisogni, proprio in questa prima e delicata fase della malattia. Considerato il suo campo di indagine e il suo oggetto, tale ricerca si è prestata particolarmente all’applicazione di una metodologia di ricerca di tipo partecipativo. La ricerca infatti ha visto coinvolti attivamente in tutto il processo di ricerca i soggetti che hanno un’esperienza di vita diretta, personale o legata al loro lavoro quotidiano, del fenomeno da studiare. Sono stati utilizzati lo strumento dell’intervista semi-strutturata e del diario per indagare il punto di vista dei caregiver familiari e degli anziani affetti da deterioramento cognitivo e/o demenza in fase iniziale. I risultati ottenuti, molteplici ed eterogenei, hanno permesso di comprendere sia i vissuti dei caregiver familiari sia dei soggetti che in prima persona affrontano la malattia. Tali risultati sono stati divisi per aree tematiche, proponendo delle mappe concettuali: sei che si focalizzano sul punto di vista dei caregiver, quattro che focalizzano l’attenzione sul vissuto degli anziani. I risultati permettono di comprendere il significato che ha il prendersi cura per il caregiver e il ricevere assistenza per l’anziano; gli atteggiamenti e le emozioni di entrambi riguardo la malattia e gli aspetti legati ad essa; il ruolo della famiglia e di altre figure significative in questa situazione; il rapporto con i servizi e le modalità con cui le famiglie affrontano questo problema. / The research aim was to investigate the experiences of people and families who are experiencing the early stages of dementia, in order to understand which specific helps could be provided to support people, with their particular needs, in this first and delicate phase of the disease. Considering its field of investigation and its object, this research has been particularly suited to the application of the participatory research methodology. The research in the entire research process has actively involved people who have a direct, personal or job-connected experience of the disease. Tools as a semi-structured interview and a diary has been used to investigate the point of view of family caregivers and their elderly relatives with cognitive impairment. The results obtained have been multiple, heterogeneous and allowed us to understand the experiences of the family caregivers and of the subjects who face the disease directly. These results have been divided by different areas and have been organized using concept maps. Six maps have been focusing on the point of view of the caregivers and four maps focusing on the experience of the elderly. The results allowed the researcher to understand different elements: what caring means for the caregivers and what to be assisted means for the elderly with cognitive impairment; the attitudes and emotions of both players about the disease; the role of the family and other significant figures in this situation; the relationship with the services and how families face this problem.
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INVECCHIAMENTO DEMOGRAFICO E ORGANIZZAZIONE SOCIALE DEL LAVORO: POLICY PUBBLICHE, PRASSI MANAGERIALI E PERCORSI INDIVIDUALI. UN'ANALISI COMPARATIVA

GARAVAGLIA, EMMA 09 June 2014 (has links)
Adottando l’approccio della sociologia del corso di vita allo studio delle traiettorie occupazionali, la ricerca analizza comparativamente i percorsi di fine carriera di individui 50-67enni in Europa. Lo studio si focalizza su un’analisi esplorativa dei percorsi di fine carriera e sull’analisi delle influenze esercitate dai contesti istituzionali, da comportamenti e attitudini gestionali di imprenditori e manager, dalle caratteristiche individuali sui late-career pattern. Dunque, la ricerca nel complesso include tre livelli: a) macro-sociale, sistemi di welfare e di produzione; b) micro-sociale, caratteristiche individuali; c) meso-sociale, pratiche gestionali d’impresa. La mia ipotesi è che le pratiche di age management si sviluppino secondo logiche coerenti con le strategie macro di gestione dell’occupazione degli anziani e che siano tipiche a livello di regimi di welfare/di produzione. Per rispondere alle domande di ricerca sono state applicate tecniche di analisi statistica monovariata e multivariata ai dati: 1) SHARE: Survey sulla salute, l’invecchiamento e il pensionamento in Europa, che analizza le biografie occupazionali di individui over50 in 19 paesi europei; 2) ASPA: Survey Activating Senior Potential in Europe che analizza attitudini comportamenti dei datori di lavoro nei confronti del lavoratori anziani. I paesi inclusi nello studio sono: Germania, Polonia, Svezia, Danimarca, Italia e Olanda. / By adopting the institution and agency-centered approach of the sociological life-course theories, the research analyses late career patterns of 50-67 years old individuals across Europe. I am in particular interested in understanding the prevalent late-career patterns in different countries and the influences exerted on them by institutional contexts, employers’/managers’ attitudes and behaviors and individual characteristics. So, overall, I consider three levels: the macro-social level (institutional context: welfare and productive regime), the micro-social level (individual characteristics) and the meso-social level (companies practices). My hypothesis is that age management practices are in line with macro institutional employment strategies for the older workforce and that they are typical at the level of welfare/production regimes. The empirical analysis consists of mono e multivariate statistical analysis using these data sources: 1) the Survey of Health, Ageing and Retirement in Europe, on 50 years old individuals’ life courses in 19 countries all over Europe; 2) the Activating Senior Potential in Europe survey, on employers’ attitudes and behavior towards older workers in different EU countries. The countries included in my comparative study are: Germany, Poland, Sweden, Denmark, Italy and the Netherlands.
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PATIENT ENGAGEMENT SUPPORT FOR OLDER ADULTS: DEVELOPMENT AND IMPLEMENTATION OF AN INTERVENTION IN AN INTEGRATED-CARE CONTEXT

MENICHETTI DELOR, JULIA PAOLA 23 February 2018 (has links)
Obiettivo: Accrescere la conoscenza relativa a come supportare il coinvolgimento attivo dei pazienti anziani, descrivendo i contenuti di interventi per il coinvolgimento attivo con pazienti anziani attualmente presenti sul panorama scientifico, sviluppando un nuovo intervento e studiando le prime fasi della sua implementazione. Metodo: Nel primo studio, in risposta al primo obiettivo, è stata condotta una analisi sistematica della letteratura scientifica sul tema. Il secondo studio ha visto la conduzione di focus groups con professionisti sanitari e interviste individuali a pazienti anziani per raffinare e validare qualitativamente un nuovo intervento per il coinvolgimento attivo. Nel terzo studio, si è studiata l’implementazione iniziale dell’intervento in un contesto italiano di cure integrate attraverso una ricerca partecipativa. Risultati: Il principale risultato del primo studio è stato la sbilanciata attenzione tra i 35 interventi per il coinvolgimento attivo presenti in letteratura per le componenti emotive a favore di quelle educative e comportamentali. È sulla base dei risultati del primo studio e di un modello teorico che è stata sviluppata una prima bozza di intervento. Nel secondo studio, la prospettiva di professionisti sanitari e pazienti anziani ha fornito indicazioni per modificare l’intervento e renderlo potenzialmente implementabile nella pratica clinica. L’intervento che è risultato consiste di almeno due incontri mensili individuali, più un set personalizzato di esercizi riflessivi per il paziente da compilare in autonomia a casa. Infine, il terzo studio ha osservato come le diverse pratiche educative presenti nei diversi setting – ospedaliero, ambulatoriale, territoriale - di un contesto di cura integrato hanno generato diverse, specifiche, difficoltà per l’implementazione. Un certo sforzo di flessibilità e personalizzazione dei contenuti e delle procedure dell’intervento è stato dunque richiesto. Implicazioni: L’intervento sviluppato mostra potenzialità nel supportare il coinvolgimento attivo dei pazienti anziani, ma necessita di ulteriori studi relativi all’implementabilità sul lungo termine e alla sua efficacia. / Aim: To contribute knowledge about how patient engagement support can be provided to older adults, by describing the contents of interventions aimed at patient engagement for older adults, developing a patient engagement intervention, and studying its early-stage implementation. Methods: In study 1, a systematic review of the literature was performed. In study 2, a qualitative study with focus groups involving healthcare professionals and individual interviews to older adults was conducted to develop the intervention. In study 3, a qualitative study of a participatory process was accomplished to explore the early-stage implementation of the intervention in one integrated-care organization. Results: The main finding of study 1 was that the emotional dimension was less used than the educational and behavioural dimensions among the 35 patient engagement interventions for older adults. The findings from the study 1 were used, together with a theory of patient engagement, to develop a draft of an individual patient engagement intervention for older adults (PHEinAction). In the study 2, the views of healthcare professionals and older adults were used to refine and finally endorse it. The final version of PHEinAction consisted of at least two face-to-face one hour individual sessions one month apart, plus a set of personalized home-based exercises aimed to facilitate a range of emotional, behavioural, cognitive changes for patient engagement. Finally, the study 3 observed how the existing patient education practice of inpatient, outpatient and territorial settings differently challenged the implementation. A certain degree of flexibility of PHEinAction’s contents and procedures was required to address these challenges. Implications: PHEinAction shows promise as an intervention to improve patient engagement in older adults. However, more research is needed, especially focusing on long-term implementation studies and evaluation of effects with experimental studies.
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Associazione tra il profilo lipidico e la composizione del microbiota intestinale in anziani affetti da malattia renale cronica / ASSOCIATION BETWEEN FATTY ACIDS PROFILE AND GUT MICROBIOTA COMPOSITION IN ELDERLY PATIENTS WITH CHRONIC KIDNEY DISEASE / Association between fatty acids profile and gut microbiota composition in elderly patients with chronic kidney disease

BETTOCCHI, SILVIA 08 April 2020 (has links)
Il termine malattia renale cronica (Chronic Kideny Disease: CKD) si riferisce a differenti condizioni caratterizzate da un progressivo declino della funzione renale. Le linee guida internazionali hanno definito la CKD come una condizione in cui siano presenti marcatori di danno renale e/o la velocità di filtrazione glomerulare stimata (Estimated Glomerular Filtration Rtae: eGFR) sia inferiore a 60 ml/min/1.73 m2 per almeno 3 mesi. L’insufficienza renale in stadio terminale è associata ad un alto rischio di malattia cardiovascolare (Cardiovascular Disease: CVD), la più frequente causa di morte in questi pazienti. Fattori di rischio “non-tradizionali” come: infiammazione cronica, stress ossidativo, deplezione proteico-energetica, disordini del metabolismo minerale e deficit di inibitori della calcificazione, partecipano alla patogenesi della CVD. L’infiammazione gioca un ruolo cruciale nella risposta fisiologica all’infezione e al danno renale e partecipa anche nell’evoluzione del danno renale irreversibile con la produzione di diverse molecole infiammatorie a partire da acidi grassi polinsaturi a lunga catena (Long Chain PolyuUsaturated Fatty Acids: LCPUFA) della serie Omega-6. La supplementazione di Omega-3, con effetto antinfiammatorio, nei pazienti affetti da CKD è stata ed è oggetto di molti studi, nonostante ciò, l’effetto sul danno renale è ancora poco chiaro. Comunque, è ampiamente riconosciuto che un alterato profilo lipidico possa determinare la progressione della patologia, inducendo lo stato infiammatorio. Inoltre, elevati/normali livelli di Omega-3 potrebbero essere associati al miglioramento della funzionalità renale, diminuendo quindi il rischio di peggioramento della malattia. Le concentrazioni e il rapporto di Omega-3 e Omega-6 sono strettamente associati alla salute del rene, poiché svolgono ruoli importanti in differenti vie metaboliche. Un altro aspetto, preso poco in considerazione, è l’effetto dei livelli di acidi grassi circolanti e dei loro metaboliti sullo stato infiammatorio e sulla sua modulazione. Il primo scopo di questo studio è stato quello di analizzare il profilo degli acidi grassi in soggetti anziani affetti da CKD. Sono stati arruolati 57 pazienti afferenti agli ambulatori di Nefrologia dell’Ospedale Maggiore Policlinico di Milano e sono stati raccolti campioni di sangue su cui è stata effettuata l’analisi del profilo lipidico. Negli ultimi anni, diversi studi hanno sottolineato la stretta associazione tra infiammazione a livello intestinale e peggioramento del quadro in pazienti con CKD. Il mantenimento di un ottimo stato del tratto gastrointestinale è fondamentale per assicurare lo stato di salute dell’ospite, contribuendo ai processi metabolici, fisiologici e immunologici. Le comunità batteriche instaurano un rapporto mutualistico con l’individuo che colonizzano, giocando un ruolo importante negli stati di salute e malattia. Un’anomala colonizzazione o cambiamenti nella composizione del microbiota intestinale, determina disbiosi, uno squilibrio associato a diverse condizioni patologiche come obesità, diabete di tipo II, malattia intestinale cronica, CVD e anche CKD. Il rapporto tra intestino e rene è bidirezionale, nei pazienti affetti da malattia renale cronica, la composizione del microbiota intestinale risulta essere modificata rispetto a quella del soggetto sano. Alti livelli di urea che si riversano facilmente nel tratto intestinale modificano il microambiente chimico con conseguente innalzamento del pH del colon che esercita una pressione selettiva a favore di specie ureasi-positive, responsabili della conversione dell’urea in ammoniaca. Lo strato protettivo di muco viene degradato e la permeabilità della barriera intestinale viene compromessa. In conseguenza di ciò si ha il passaggio di materiale batterico attraverso la mucosa e l’attivazione di un meccanismo infiammatorio. Nei pazienti con funzionalità renale compromessa, il rene perde progressivamente la capacità di eliminare sia le sostanze provenienti dal metabolismo umano, sia quelle della comunità microbica intestinale. Alcune di queste sostanze sono rappresentate dalle tossine uremiche, tra quelle di derivazione intestinale le principali e più studiate sono p-cresil solfato (PCS) e indossile solfato (IS). IS e p-CS, strettamente legate all’albumina sierica (Human Serum Albumin: HSA), non vengono eliminate facilmente ma rimangono nel torrente ematico. HSA è la più abbondante proteina sierica ed è la principale trasportatrice di composti esogeni ed endogeni, inclusi gli acidi grassi che sembrano rappresentare il maggior ligando endogeno della proteina. Multipli siti di legame vengono utilizzati per gli acidi grassi monoinsaturi (MonoUnsaturated Fatty Acids: MUFA) e PUFA. Acidi grassi e tossine uremiche competono quindi per gli stessi siti di legame sulla proteina. Il potenziale ruolo degli acidi grassi nel contrastare l’accumulo di tossine uremiche derivate dalla comunità batterica intestinale ne giustifica l’importanza della valutazione dei loro livelli ematici. Secondo scopo di questa tesi di dottorato è stato quello di valutare la possibile correlazione tra i livelli di acidi grassi circolanti e la composizione del microbiota intestinale in soggetti affetti da CKD. Sono stati arruolati nello studio 64 pazienti anziani con CKD non dializzati e 15 soggetti anziani con normale funzionalità renale. La composizione del microbiota intestinale è stata precedentemente caratterizzata attraverso l’impiego delle tecniche di elezione: PCR-DGGE e la PCR quantitativa (qPCR). In accordo con la letteratura scientifica, è stata evidenziata una riduzione di batteri saccarolitici e produttori di butirrato nei pazienti con CKD rispetto al gruppo di controllo. Il butirrato sembra giocare un ruolo cruciale nel mantenimento delle ottimali condizioni della barriera intestinale. Tenendo ciò in considerazione è stato deciso di approfondire lo studio e valutare l’associazione tra la comunità microbica intestinale e i livelli di acidi grassi basali in tali pazienti. Come risultato più importante ottenuto, è stata osservata una correlazione positiva statisticamente significativa tra la specie batterica Faecalibacterium Prausnitzii e i livelli totali di Omega-3 entrambi associati a proprietà antinfiammatorie. La presente tesi di dottorato evidenzia la necessità di sostenere ulteriori ricerche per supportare i risultati qui presentati. Studi futuri potrebbero essere utili per migliorare la comprensione del ruolo degli acidi grassi circolanti e i loro metaboliti sulla composizione del microbiota intestinale, sullo stato infiammatorio e sulla malattia renale cronica. / The aim of this thesis was to explore the possible associations between fatty acids (FA) profile and gut microbiota (gMb) with several conditions throughout the lifespan, from infancy to old age. In particular, we focused our attention on elderly subjects with Chronic Kidney Disease (CKD) and children with Acute Otitis Media (AOM). The terms “Chronic Kidney Disease” refers to several disorders with a progressive kidney function decline. International guidelines approved the definition of CKD as a condition with the presence of markers of kidney damage or with the estimated glomerular filtration rate (eGFR) less than 60 ml/min/1.73 m2 or both, for at least three months. End-stage renal disease is associated with a high cardiovascular disease (CVD) risk, the major cause of death in these patients. Chronic inflammation, oxidative stress, protein-energy wasting, disordered mineral metabolism, and deficiency of endogenous calcification inhibitors, known as non-traditional risks factor, take part in cardiovascular pathology in CKD. Inflammatory processes influence the physiological response to renal infection and injury but also participate in the development of potentially irreversible kidney damage with the production of various inflammatory molecular species, among whom eicosanoids and cytokines, from parental omega-6 long-chain polyunsaturated fatty acids (LCPUFA). Several studies focused their attention on the potential role of omega-3 (n-3) LCPUFA supplementation in subjects with CKD. Despite this, their effect on kidney damage is still not clear. However, it is widely agreed that a modified FA profile in CKD can determine a progression of the disease, inducing the inflammatory state. Moreover, high/normal n-3 LCPUFA levels decrease the risk of a decline of the disease. Omega-3 and omega-6 (n-6) LCPUFA concentrations and their ratios are tightly associated with renal health, because of their important roles in different pathways. Another aspect not very considered in the field of CKD is the role of circulating FA levels and their metabolites on the modulation of inflammation. The first aim of this study is to analyze the FA profile in elderly subjects with CKD. Blood samples have been collected from 57 subjects enrolled in the study, and FA analysis has been performed. During the last years, several studies underlined the strong relationship between intestinal inflammation and adverse outcomes in CKD. The health of gastrointestinal tract is fundamental to ensure the well being of the host contributing to its nutrition, metabolism, physiology, and immune function. The bacterial communities colonizing humans have been seen in terms of mutualistic symbiosis with their hosts, a mutually beneficial coexistence, playing an important role in health and disease. Abnormal colonization or changes in the gut microbial composition determine dysbiosis, a state associated with different illnesses, such as obesity, type 2 diabetes, inflammatory bowel disease, cardiovascular disease, and also chronic kidney disease. The relationship between gut and kidney is a bi-directional relation with a mutual influence. Chronic kidney disease influences gMB characteristics, especially through high levels of urea that easily spread in the intestinal fluid where bacterial urease enzymes degrade it, then it is hydrolyzed in ammonium hydroxide that increases fecal pH with a consequent alteration of intestinal cellular junctions. Besides, high levels of urea change intestinal microbiota composition damaging permeability of intestinal barrier and promoting proteolysis with production and absorption of uremic toxins, such as indoxyl sulfate (IS) and p-cresol sulfate (p-CS). These toxins induce an inflammatory process associated with CKD. Under physiologic conditions, the kidney through the urine eliminates these compounds, but CKD patients have a compromised renal clearance. Therefore, these solutes tend to accumulate in the organs. IS and p-CS are tightly bound to human serum albumin (HSA), the most abundant plasma protein in the bloodstream. HSA is recognized as the main means of transport for endogenous and exogenous compounds, including fatty acids that seem to be the main endogenous ligand of HSA, multiple binding sites are used for monounsaturated fatty acids (MUFA) and PUFA. Thus, free fatty acids and uremic toxins compete for the same binding sites on HSA. It is important to assess fatty acid (FA) levels in patients with CKD because of the potential role to contrast the accumulation of uremic toxins derived from the intestinal bacterial community. As a consequence of this bi-directional relation between gut and kidney and the possible involvement of some compounds as metabolites of FA in the inflammatory response, we investigate the correlation between circulating FA levels and the gMB composition in the same subjects with CKD, as the second aim of this thesis. 64 old CKD non-dialysis patients (eGFR 15-45 ml/min/1.73 m2) and 15 elderly subjects (>65 years) with normal renal function (eGFR >60 ml/min/1.73 m2, CKD-EPI) are enrolled. Bacterial composition was studied in a previous observational study by denaturating gel gradient electrophoresis (DGGE), high-throughput sequencing (16S ribosomal RNA), and quantitative real-time PCR (qPCR). This study described an increased abundance of some bacteria associated with pathological conditions. In agreement with the literature, the author found a reduced abundance of saccharolytic and butyrate-producing bacteria (Prevotella, Faecalibacterium prausnitzii, Roseburia) in CKD patients respect to the control group. Butyrate plays a crucial role in the maintenance of the gut barrier function. Taking that into account, we decided to investigate the correlation between gMB composition and FA profile in these subjects. The main result of the study was the significant positive correlation between Faecalibacterium prausnitzii and total n-3 levels, both associated with the antiinflammatory action. The present doctoral thesis underlines the need to perform further investigations in order to support evidence presented. Future studies may be useful to improve understanding of the effect of circulating fatty acids levels and their metabolites on gut microbial composition, inflammation process, and pathological conditions such as kidney disease. Our results showed that CKD patients with previous cardiovascular events had lower total and specific n-3 levels comparing with patients without them. Moreover, higher docosahexaenoic acid (DHA) levels and having had previous cardiovascular events seemed to have protective effects against further cardiovascular events. Moreover, we observed a significant reduction of the genera Roseburia and Faecalibacterium in CKD patients compared to C group and a significant lower abundance of F. prausnitzii and Roseburia spp. in CKD patients. Thus, our results seem in accordance with anti-inflammatory actions of total n-3, DHA, and saccharolytic and butyrateproducing bacteria. Many gMB changes seem to be related both to CKD and CVD. If the different gMB composition might play a causal role in cardiovascular events by an unbalanced production of some toxic substances, or if the gMB changes are merely a consequence of different dietary and lifestyle behaviours of these patients, it cannot be explained by the present study and all the yet available data. Further studies, possibly utilizing new high-throughput tools, will be required to understand the potential correlations between the gMB composition and other inflammation and oxidative stress markers in these patients. Other two studies have been performed during the doctoral course, to reach a better comprehension of fatty acids, gut microbial community and inflammatory states. A prospective pilot clinical study has been performed to to explore possible changes of gMB composition in children with AOM treated with amoxicillin with or without clavulanic acid. AOM is one of the most common bacterial infections in children and is normally treated with antibiotic therapies that lead to increasing antimicrobial resistance rates among otopathogens and may impair the correct development of the microbiota in early life. No significant differences were shown in the gMB composition of the overall cohort at different time intervals of the samples collection and in subjects treated with amoxicillin with or without clavulanic acid at different time intervals (T0, T1 and T2). A literature revision on lipids in infant formulae has been performed to better understanding quality and quality of dietary lipids because of their significant impact on health outcomes, especially when fat storing and/or absorption are limited (e.g., preterm birth and short bowel disease) or when fat byproducts may help to prevent some pathologies. The lipid composition of infant formulae varies according to the different fat sources used, and the potential biological effects are related to the variety of saturated and unsaturated FAs. Instead, ruminant-derived trans FAs and metabolites of n-3 LCPUFA with their anti-inflammatory properties can modulate immune function. Furthermore, dietary fats may influence the nutrient profile of formulae, improving the acceptance of these products and the compliance with dietary schedules. During the doctoral course, I spent a period abroad at Dell Pediatric Research Institute (DPRI), The University of Texas at Austin. In particular, I attended the laboratory of Doctor Brenna. I focused my research activity on a specific regulatory insertion-deletion polymorphism in the FADS gene cluster for better understanding its influence on PUFA and lipid profile.

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