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L'attuazione delle decisioni che applicano una penalità " nell'ambito dello spazio giudiziario europeo tra pubblico e privato "

Giovannini, Sonia January 2013 (has links)
Il presente studio ha per oggetto il tema dell’attuazione, per mezzo di misure coercitive, del comando giudiziale cui il contenzioso transfrontaliero e, segnatamente, quello comunitario pone capo. L’importanza che il ricorso agli strumenti di coercizione indiretta riveste nell'ottica dell'effettività della tutela giurisdizionale civile, ha costituito, in particolare, il fondamento sulla cui base sono state fissate le direttrici della ricerca. L’inquadramento del problema all’interno della cornice della cooperazione giudiziaria in materia civile, ha permesso di chiarire, innanzitutto, il ruolo che le misure coercitive sono chiamate ad assolvere sul piano del contenzioso comunitario. Vale a dire, quello di garantire la validità del principio della libera circolazione delle decisioni giudiziarie e, con esso, la piena vincolatività del comando giudiziale pronunciato in seno ad uno degli Stati membri. Precisamente, l’oggetto dell’indagine è stato circoscritto alle modalità con cui le misure coercitive, o meglio, le decisioni che le applicano, sono ammesse a circolare nell’ambito dello spazio giudiziario europeo. La questione trova un accenno di disciplina all’interno del Reg. (CE) n. 44/2001 che ad essa dedica, all’art. 49, una scarna disposizione di riferimento. Sino ad ora, il compito di chiarire - almeno in parte - il contenuto e la portata di tale disposizione è stato demandato, da parte del legislatore comunitario, alla Corte di Giustizia, la quale è intervenuta fornendo alcune indicazioni di principio. Tali indicazioni, pur essendo in sé apprezzabili, hanno tuttavia trascurato totalmente di coordinare detta disciplina con altre norme poste dal Regolamento e di considerare l’aspetto, altrettanto cruciale, dell’innesto dello strumento nel tessuto normativo interno degli Stati membri. In tale ottica, lo studio della materia è stato condotto cercando di dimostrare come quest’ultima si lasci apprezzare, pur con notevoli difficoltà interpretative, sulla base dell’applicazione dei medesimi presupposti generali che sovraintendono il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni giudiziarie nell’ambito dello spazio giudiziario europeo. L’intento cui si è cercato di dare soddisfazione nel corso dello svolgimento dell’intero lavoro risponde, invero, alla necessità di fornire una coerente sistemazione della materia nell’ambito della teorica generale del riconoscimento e dell’esecuzione delle decisioni infra-europee
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La fin de non-recevoir nell'esperienza del processo civile francese: storia e funzioni di un istituto

Dal Santo, Giulia January 2018 (has links)
Il presente studio è dedicato alla categoria delle fins de non-recevoir, un istituto proprio dell' ordinamento processuale francese che si pone accanto alle exceptions de procédure e alle défenses au fond e che, solo superficialmente, può essere assimilata alla categoria delle condizioni dell'azione. Ciò malgrado, nel diritto processuale civile francese regnano ancora oggi numerose incertezze attorno alla natura della fin de non-recevoir, una constatazione che potrà risultare sorprendente a proposito di un istituto apparso in Francia nel XIV secolo e che non ha più cessato, a partire da quel momento, di essere sollevato davanti a corti e tribunali. Invero, come si avrà modo di illustrare nel corso di questa dissertazione, questa incertezza ha un'anima antica che solo in parte è stata riscattata dai nuovi approdi, specie in materia di teoria dell'azione, raggiunti dalla dottrina francese nel corso del XX secolo.
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I profili processuali dell'automatic stay nel diritto fallimentare statunitense

Baroncini, Valentina January 2015 (has links)
La locuzione automatic stay è oramai entrata a far parte del comune lessico dello studioso di diritto fallimentare italiano, a ragione delle più recenti riforme che, nell’ambito delle cd. procedure negoziali di composizione della crisi, hanno introdotto meccanismi volti a produrre in via automatica una protezione anticipata a favore del debitore, in evidente recezione del sunnominato istituto statunitense. Il presente studio si prefigge dunque l’obiettivo di analizzare in profondità, e per la prima volta nella letteratura giuridica italiana, l’automatic stay nel diritto fallimentare statunitense, al fine di verificare se ed entro quali confini l’odierna equiparazione possa dirsi giustificata. Lo studio procederà, dunque, dall’analisi storica dell’istituto, al fine di individuarne l’esatta scaturigine e la reale natura giuridica – la quale avrà diverse ricadute sul piano della disciplina operativa della protezione, specie con riguardo all’ipotesi di sua violazione -, per poi trascorrere alla disamina dei profili funzionali ed applicativi del medesimo, con speciale riguardo alle ripercussioni che la sua operatività esplica sul piano processuale. L’analisi condotta consentirà alfine di verificare che, a discapito dell’impressione che si possa maturare prima facie, di un meccanismo di protezione assai più rigido e garantistico rispetto a quello predisposto dall’ordinamento italiano, l’automatic stay presenti, viceversa, aspetti di flessibilità – e con essa di derogabilità alle regole del concorso -, del tutto inediti e sconosciuti nella realtà domestica.
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La capacità  nel processo. Profili statici e dinamici

Pinamonti, Anna January 2013 (has links)
Il presente studio è un’indagine “a tutto tondo” sul tema della capacità processuale, che tocca tutti i suoi principali profili d’interesse: la sua definizione e il suo legame con la capacità di diritto sostanziale; la distinzione che essa opera fra soggetti “capaci” e soggetti “incapaci”; le funzioni che essa svolge all’interno del processo e il modo in cui la sua assenza o il suo difetto ne condizionano lo svolgimento; le peculiarità che presenta come thema probandum e come oggetto di decisione in mancanza di prove. L’attenzione che questi molteplici aspetti hanno ricevuto nel nostro ordinamento (sia da parte del legislatore, sia da parte degli interpreti) è piuttosto scarsa: a parte un certo interesse rivolto alla capacità come species del genus “presupposti processuali”, nonché come termine di paragone della capacità di agire di diritto sostanziale all’interno del processo, gli altri profili di rilievo appaiono, tutt’oggi, terreni inesplorati. Nell’ordinamento processuale tedesco, invece, la capacità processuale (Prozessfähigkeit) non solo è stata disciplinata in maniera più complessa e completa nel diritto positivo, ma soprattutto è stata oggetto di un ampio e approfondito dibattito dottrinale – dibattito che ha riguardato tutti i profili d’interesse del tema in questione e che, valicate le disposizioni e le ripartizioni stabilite dal diritto positivo, ha coinvolto i principi fondamentali cui l’argomento si ricollega e gli interessi che esso sottende. Il modus procedendi della presente indagine consiste nel sottoporre a un confronto i due differenti approcci (quello italiano e quello tedesco) all’istituto in esame, ripercorrendo uno dopo l’altro i diversi profili di rilievo menzionati; l’obiettivo è quello di osservare come sono risolti, in Germania, i problemi e gli interrogativi sulla capacità processuale che nel nostro ordinamento non trovano una risposta adeguata; il fine ultimo è quello di ricavarne spunti e direttive di riflessione utili all’interprete italiano per tentare di colmare le lacune che, nel nostro sistema processuale, il tema della capacità presenta.
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La cessazione della materia del contendere: profili di diritto interno e comparato

Sassani, Francesca January 2015 (has links)
Sotto il nome di cessazione della materia del contendere è nota quella particolare tipologia di pronuncia, di origine pretoria, cui si fa ricorso quando sopravvenga, pendente il giudizio, un accadimento dotato dell’attitudine a eliminare la ragione del contrasto insorto tra le parti. Nel presente lavoro, si è inteso calare la locuzione “cessazione della materia del contendere” nel più ampio contesto relativo allo studio della problematica riconducibile al fatto sopravvenuto. La formula, infatti, non rappresenta che la sintesi della soluzione congegnata dalla giurisprudenza civile per fronteggiare simile eventualità. Tale più ampia prospettiva d’indagine ha consentito di ravvisare dinamiche e questioni comuni anche in altre branche processuali (quali il sistema processuale amministrativo e tributario) o in altri ordinamenti giuridici (in particolare l’ordinamento tedesco, austriaco e francese); ciò ha reso fecondo, e allo stesso tempo familiare, lo studio del fatto sopravvenuto al di fuori del processo civile italiano. L’analisi ha consentito di mettere in luce alcuni profili di grande rilievo: anzitutto, quanto all’ambito applicativo della formula, si è inteso operare una bipartizione fondamentale tra le ipotesi in cui il sopraggiungere del fatto determini la sopravvenuta estinzione della situazione giuridica dedotta a titolo della domanda (comportandone così la sopravvenuta infondatezza o inammissibilità) e quelle in cui l’evento non rappresenti altro che la concreta manifestazione dell’avvenuta autocomposizione della lite. L’indagine ha messo in luce come il ricorso alla formula di cessata materia del contendere sia avvenuto sulla base di esigenze diverse: ragioni di schietta giustizia per il primo gruppo di ipotesi (la giurisprudenza non reputava, semplicemente, giusto che la parte sostanzialmente vincitrice risultasse soccombente dal punto di vista processuale) e ragioni di opportunità per l’altra categoria di fattispecie (il ricorso alla formula de qua è stato suggerito dalla volontà di arginare il potere dispositivo delle parti, al fine di salvaguardare la libertà di apprezzamento e giudizio del giudice). Una volta ricostruito il perimetro applicativo si sono indagati i caratteri dell’istituto: la soluzione congegnata dalla giurisprudenza civile risulta essere completamente imperniata sul requisito dell’accordo. Più precisamente, all’incontro delle volontà delle parti viene riconosciuta una duplice valenza e una duplice sfera di efficacia: l’accordo relativo al sopraggiungere dell’evento può determinare, in alcuni casi, la sopravvenuta carenza di interesse ad agire e, in altri casi, l’estinzione radicale del processo. In quest’ultima eventualità, l’accordo va inteso quale esercizio congiunto del potere dispositivo riconosciuto alle parti, al quale la giurisprudenza ricollega la conseguenza di porre nel nulla il giudizio e la pregressa attività processuale, ad eccezione delle sentenze già passate in giudicato. In definitiva, la soluzione predisposta dalla giurisprudenza civile relativamente alla problematica del fatto sopravvenuto consiste nell’attribuire una particolare efficacia – dispositiva del processo oppure modificativa dei caratteri propri del fatto – all’accordo tra le parti, il che potrà avvenire solamente allorquando il fatto sopravvenuto possegga la qualità di elemento risolutore della controversia dedotta in giudizio. Non sempre, però, l’avvento del fatto sortisce l’effetto di acquietare le parti: può darsi che l’accordo non si formi perché il convenuto non concordi sulle conseguenze giuridiche riconducibili all’evento oppure perché l’attore ambisca a ottenere una pronuncia di merito quanto alla domanda spiegata. Il permanere del dissenso tra le parti preclude una terminazione anzitempo del processo per avvenuta cessazione della materia del contendere. Preso atto dei limiti della soluzione giurisprudenziale, ci si è soffermati sull’ipotesi di mancato accordo, analizzando l’efficacia e l’incidenza, sul processo in corso, dei diversi fatti sopravvenuti. La soluzione proposta si presenta diversificata a seconda della tipologia di fatto sopravvenuto: per le ipotesi di autocomposizione della lite si ritiene che la soluzione auspicabile sia quella in grado di preservare l’autonomia e la libertà decisionale dell’organo giudicante, mentre, per le ipotesi di sopravvenuta estinzione della situazione giuridica dedotta a titolo della domanda, la soluzione potrebbe essere nel senso di onerare l’attore di porre in essere una riduzione della propria domanda. Pertanto, qualora il fatto sopravvenuto non comporti la riappacificazione tra gli originari contendenti, oppure, semplicemente, la parte ambisca a ottenere una pronuncia di merito idonea al giudicato, si ritiene che l’attore possa adeguare la situazione processuale alla mutata realtà sostanziale mediante una riduzione della domanda al substrato di mero accertamento (proprio di tutte le tipologie di domanda giudiziale). Così facendo, la domanda – ridotta – conserverebbe la propria efficacia propulsiva, in grado di condurre il processo sino a una sentenza di merito favorevole all’attore.
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"Brexit e circolazione della sentenza civile"

De Notariis, Daria 06 December 2022 (has links)
The objective of this work is to evaluate the consequences of the withdrawal of the United Kingdom from the European Union in the field of Private International Law, with a focus on the enforcement of civil judgments between the UK and the EU after “Brexit”. The theme is part of a broader debate, which has involved the European Institutions, the British Government and the European academia and has been focused on the identification of the relevant rules on international jurisdiction and the recognition and enforcement of civil judgments in Europe, after the discontinuation of the Acquis Communautaire and the Brussels Ibis Regulation. On the assumption of the uncertainty surrounding the issue and the unfortunate outcome of a “no-deal Brexit”, the discussion is first articulated over the framing of the historical and political context within which the will to withdraw has been formed and expressed and over the analysis of the different reconstructive hypotheses that have been put forward since the 2016 British vote, in order to highlight the problematic aspects and the juridical limits that prevent the usability of each. Then, on the premise that reference should be made to the national rules of Private International Law and, more specifically, to the common law, if we consider the English legal system, the reflection unfolds in a dialectical reconstruction of the legislation in question in light of the principles that govern the Brussels regime, with the aim of emphasizing the consequences of Brexit in terms of more complex procedural fulfillments and increased time and costs that will aggravate creditors whose claims require compulsory satisfaction in the United Kingdom. More generally, the comparison between the avant-garde project implemented by the European Institutions with the Recast Brussels Regulation and the outdated principles governing the matter of English conflict of laws allows a critical evaluation of the epistemological and cultural value of the British withdrawal from the European Union, since in the claims of autonomy and renewed sovereignty of the United Kingdom we must recognize the prelude of a new dialectical interaction between common law and civil law. In this respect, the challenge for scholars cannot be limited to a mere consideration of the technicalities of the new regime for the enforcement of European civil judgments in the UK after Brexit, but is enriched by an essential comparative approach that the transnational dimension of legal protection demands to be accomplished.
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Vivere civile : ordres, armes et religion chez Machiavel / Vivere civile : orders, army, and religion in Machiavelli

Zhu, Xin 13 September 2018 (has links)
La Rome antique, tant à l’époque des rois qu’à celle de la république, constitue un bon modèle de gouvernement sous la plume de Machiavel. Ce modèle, présenté dans le cadre d’une interprétation de l’histoire politique romaine, semble être fréquemment désigné par l’expression de vivere civile ou encore celle de vivere libero. Qu’est-ce exactement que le vivere civile selon Machiavel ? D’après les réponses des chercheurs de l’école de Cambridge, le vivere civile serait une république conçue comme « structure of virtue », c’est-à-dire l’institutionnalisation de la virtù civique promouvant la virtù des citoyens (J.G.A. Pocock), ou encore le nom de tout régime républicain caractérisé par son indépendance vis-à-vis de l’extérieur et par l’autogovernemment de ses citoyens (Quentin Skinner) ; l’équivalence entre vivere civile et régime républicain serait complète. Nous pensons à l’inverse que le vivere civile est pensé avant tout en opposition à la tyrannie comme une bonne forme de communauté politique régie par les lois et ordini (elle peut à ce titre éventuellement se réaliser dans un cadre monarchique et non seulement dans une république). Par ailleurs, le vivere civile se fonde sur trois pierres angulaires interdépendantes : l’ensemble des lois et des ordini, les armes et la religion, pensés conjointement dans le cadre d’une république conquérante. Notre problématique regroupe plusieurs questions : par rapport à la tradition, quelle est la particularité de l’idée machiavélienne du vivere civile ? Quelle est la nature et quel est le contenu de la justice dans le vivere civile machiavélien ? Pourquoi une république « expansionniste » (c’est-à-dire une république qui désire se développer par les conquêtes militaires) est-elle supérieure à une république « conservatrice » (qui se contente de son territoire, sans chercher à s’agrandir) ? Pourquoi faut-il armer ses propres citoyens dans la république expansionniste ? Quel rôle la religion joue-t-elle dans le vivere civile ? Comment remédier à la corruption du vivere civile ? etc. Ces questions, pourtant, sont plus complexes qu’il pourrait y paraître et méritent qu’on y accorde plus d’attention. Divers travaux publiés ces dernières années ont présenté sous de nouveaux visages les aspects juridique, militaire et religieux du vivere civile machiavélien. La thèse a donc pour ambition de présenter une synthèse de la pensée machiavélienne au prisme de la question du vivere civile. / The ancient Rome, both in the epochs of kings and of the Republic, is a good model of government in the thought of Machiavelli. In the interpretation of Roman political history, this model is frequently referred to as vivere civile or vivere libero. What exactly is the vivere civile according to Machiavelli? According to the responses of the Cambridge School researchers, the vivere civile would be a republic conceived of as a "structure of virtue", namely the institutionalization of the civic virtù that promots the virtù of the citizens (J.G.A. Pocock), or the name of any republican regime characterized by its independence from the external world and by the self-governance of its citizens (Quentin Skinner); and they believe that the vivere civile is equivalent to the republican regime. Conversely, we argue that the vivere civile is conceived of as, above all, in opposition to the tyranny, a good form of political community governed by laws and ordini, which can be realized not only in a republic but also in a monarchy. Besides, the vivere civile is based on three interdependent cornerstones: the whole of the laws and the ordini, the arms, and the religion, which are conceived together in the framework of a conquering republic. Our issue includes a set of questions: compared to the tradition, what is the particularity of the Machiavellian idea of the vivere civile ? What is the nature and content of the justice in the Machiavellian vivere civile ? Why is an “expansionist” republic (namely a republic that wants to expand by military conquests) superior to a “conservative” republic (that is content with its territory and does not seek to expand) ? Why is it necessary to keep one's own citizens armed in an expansionist republic? What role does the religion play in the vivere civile ? How to remedy the corruption of the vivere civile ? etc. These questions, however, are more complicated than they might seem and deserve more attention. Various works that are published in recent years have presented the legal, military and religious aspects of the Machiavellian vivere civile from several new perspectives. The thesis therefore aims to present a synthesis of Machiavellian thought through the prism of the question of vivere civile.
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En temps de guerre comme en temps de paix, gouvernement manquant, gouvernance manquée : la protection civile au Canada, 1938-1988

Lamalice, André 21 March 2011 (has links)
À travers l'étude des cinquante premières années de l'histoire de la protection civile au Canada, le présent travail discute de la capacité et de la volonté politique de gouvernements nationaux successifs d'assurer la sécurité de la population en temps de crises et d'urgences. Cette thèse soutient qu'à l'exclusion d'un bref intermède au plus fort de la Guerre froide, la fonction de protection civile ne parviendra pas à s'imposer au nombre des priorités de la gouvernance canadienne au cours de cette période. Entre la création administrative d'un sous-comité sur les précautions contre les raids aériens à la veille de la Seconde Guerre mondiale, qui marque les débuts de la fonction de protection civile au Canada, et l'adoption en 1988 de la Loi sur la protection civile, un demi-siècle s'écoule. L'histoire de cette fonction se développe en réaction à l'évolution du contexte international et au gré des impératifs politiques, économiques et sociaux nationaux qui marquent la seconde moitié du XXe siècle. Sa généalogie emprunte à la défense nationale à la fois le vocabulaire et la structure. Longtemps confondue dans la forme et dans le fond à la défense civile, la protection civile en arrive tard dans le siècle à se défaire de ses origines imposées et à se forger une personnalité propre orientée vers la gestion des urgences. Néanmoins, comme le démontre le présent travail, son évolution est marquée par d'importantes failles de gouvernance qui se traduisent inter alia par une mise en oeuvre aléatoire du système canadien de protection civile, l'absence continue d'un cadre législatif national, le développement de politiques fédérales inconsistantes, voire même à certaines périodes incohérentes, un financement trop souvent déficient et une direction indécise qu'exprime une série quasi ininterrompue de transferts administratifs et de réorganisations successives. Le présent travail en conclut que ces failles de gouvernance ont empêché l'atteinte d'un état de préparation national à la hauteur du mandat premier du gouvernement qui est d'assurer la sécurité de ses citoyens en temps de guerre comme en temps de paix.
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En temps de guerre comme en temps de paix, gouvernement manquant, gouvernance manquée : la protection civile au Canada, 1938-1988

Lamalice, André 21 March 2011 (has links)
À travers l'étude des cinquante premières années de l'histoire de la protection civile au Canada, le présent travail discute de la capacité et de la volonté politique de gouvernements nationaux successifs d'assurer la sécurité de la population en temps de crises et d'urgences. Cette thèse soutient qu'à l'exclusion d'un bref intermède au plus fort de la Guerre froide, la fonction de protection civile ne parviendra pas à s'imposer au nombre des priorités de la gouvernance canadienne au cours de cette période. Entre la création administrative d'un sous-comité sur les précautions contre les raids aériens à la veille de la Seconde Guerre mondiale, qui marque les débuts de la fonction de protection civile au Canada, et l'adoption en 1988 de la Loi sur la protection civile, un demi-siècle s'écoule. L'histoire de cette fonction se développe en réaction à l'évolution du contexte international et au gré des impératifs politiques, économiques et sociaux nationaux qui marquent la seconde moitié du XXe siècle. Sa généalogie emprunte à la défense nationale à la fois le vocabulaire et la structure. Longtemps confondue dans la forme et dans le fond à la défense civile, la protection civile en arrive tard dans le siècle à se défaire de ses origines imposées et à se forger une personnalité propre orientée vers la gestion des urgences. Néanmoins, comme le démontre le présent travail, son évolution est marquée par d'importantes failles de gouvernance qui se traduisent inter alia par une mise en oeuvre aléatoire du système canadien de protection civile, l'absence continue d'un cadre législatif national, le développement de politiques fédérales inconsistantes, voire même à certaines périodes incohérentes, un financement trop souvent déficient et une direction indécise qu'exprime une série quasi ininterrompue de transferts administratifs et de réorganisations successives. Le présent travail en conclut que ces failles de gouvernance ont empêché l'atteinte d'un état de préparation national à la hauteur du mandat premier du gouvernement qui est d'assurer la sécurité de ses citoyens en temps de guerre comme en temps de paix.
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En temps de guerre comme en temps de paix, gouvernement manquant, gouvernance manquée : la protection civile au Canada, 1938-1988

Lamalice, André 21 March 2011 (has links)
À travers l'étude des cinquante premières années de l'histoire de la protection civile au Canada, le présent travail discute de la capacité et de la volonté politique de gouvernements nationaux successifs d'assurer la sécurité de la population en temps de crises et d'urgences. Cette thèse soutient qu'à l'exclusion d'un bref intermède au plus fort de la Guerre froide, la fonction de protection civile ne parviendra pas à s'imposer au nombre des priorités de la gouvernance canadienne au cours de cette période. Entre la création administrative d'un sous-comité sur les précautions contre les raids aériens à la veille de la Seconde Guerre mondiale, qui marque les débuts de la fonction de protection civile au Canada, et l'adoption en 1988 de la Loi sur la protection civile, un demi-siècle s'écoule. L'histoire de cette fonction se développe en réaction à l'évolution du contexte international et au gré des impératifs politiques, économiques et sociaux nationaux qui marquent la seconde moitié du XXe siècle. Sa généalogie emprunte à la défense nationale à la fois le vocabulaire et la structure. Longtemps confondue dans la forme et dans le fond à la défense civile, la protection civile en arrive tard dans le siècle à se défaire de ses origines imposées et à se forger une personnalité propre orientée vers la gestion des urgences. Néanmoins, comme le démontre le présent travail, son évolution est marquée par d'importantes failles de gouvernance qui se traduisent inter alia par une mise en oeuvre aléatoire du système canadien de protection civile, l'absence continue d'un cadre législatif national, le développement de politiques fédérales inconsistantes, voire même à certaines périodes incohérentes, un financement trop souvent déficient et une direction indécise qu'exprime une série quasi ininterrompue de transferts administratifs et de réorganisations successives. Le présent travail en conclut que ces failles de gouvernance ont empêché l'atteinte d'un état de préparation national à la hauteur du mandat premier du gouvernement qui est d'assurer la sécurité de ses citoyens en temps de guerre comme en temps de paix.

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