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La sicurezza nelle organizzazioni aziendali. Un approccio socio-criminologico / Corporate Security. A socio - criminological approach

Tonellotto, Maurizio <1971> January 1900 (has links)
In questa tesi si analizza la sicurezza nelle organizzazioni con un approccio di tipo socio-criminologico. Il presupposto alla base è che la sicurezza sia un bisogno primario dell’uomo, ma anche una necessità per la sopravvivenza delle aziende che operano in un mercato sempre più globale. L’impresa viene vista come una realtà sociale, un micro-organismo sociale in continua interazione osmotica con il mondo esterno, dal quale interscambia costantemente le aspettative, il vissuto, la cultura, le esperienze degli individui, che sono attori sociali dentro e fuori l’impresa stessa. Affrontare il tema della sicurezza non può prescindere dall’analisi delle dinamiche presenti all’interno del perimetro aziendale e, l’assunto lewiniano che relaziona il comportamento umano allo spazio di vita ed alla persona, è stato quindi il leitmotiv di questo progetto. Il disegno della ricerca si sviluppa principalmente da una considerazione, ossia: valutare l’esistenza di un legame tra le dinamiche organizzative e la sicurezza nelle imprese. Si è messo in relazione il costrutto psicologico di Clima Organizzativo a quello di Sicurezza, o meglio ancora,la percezione di sicurezza del lavoratore all’interno del perimetro aziendale. La seconda parte della tesi ripercorre, da un punto di vista più tecnico, lo stato dell’arte della security industriale, esaminandone gli aspetti organizzativi e cercando di inquadrarla anche sotto l’aspetto normativo. In questa sede verrà evidenziata l’importanza della responsabilità sociale d’impresa e dell’applicazione di modelli organizzativi e di gestione che possono garantire, attraverso un approccio etico ed una produzione sostenibile orientata al dipendente ed all’ambiente, migliori condizioni di sicurezza e di lavoro. / This thesis analyzes the corporate-security with a socio-criminological approach. The premise is that security is a basic human need, but also a necessity for the survival of businesses operating in an increasingly global market. The company is seen as a social reality, a micro-social organism in continuous osmotic interaction with the outside world, from which constantly interchanges expectations, experience, culture, experiences of individuals , who are social actors inside and outside the organization. Addressing the issue of security can not be separated from the analysis of the forces operating within the company grounds and the Lewin’s assumption that relate human behavior to the space of life and the person, was the leitmotiv of this project. The research design is developed mainly by a consideration, namely: assessing the existence of a link between dynamics organization and corporate security. The psychological construct of organizational climate has linked to that of Security ( the perception of security of the worker inside the enterprise perimeter). The second part of the thesis traces, from a technical point of view, the state of the corporate security, examining the organizational aspects and also trying to situate it under the regulatory aspect. Here we will highlight the importance of corporate social responsibility (CSR) and the application of organizational and management models that can ensure, through an ethical approach and sustainable production oriented to the employee and to the environment, better security conditions and better work / Cette thèse analyse de la sécurité (security) dans les organisations avec une approche socio- criminologique. La prémisse est que la sécurité est un besoin humain fondamental , mais aussi une nécessité pour la survie des entreprises opérant dans un marché de plus en plus global. La société est considérée comme une réalité sociale , un micro- organisme dans l'interaction sociale osmotique continue avec le monde extérieur , à partir de laquelle cesse les échanges attentes , l'expérience , la culture , les expériences des individus qui sont des acteurs sociaux à l'intérieur et à l'extérieur du entreprise . / En esta tesis se analiza la seguridad (security) en las organizaciones con un enfoque socio - criminológica . La premisa es que la seguridad es una necesidad humana básica , sino también una necesidad para la supervivencia de las empresas que operan en un mercado cada vez más global . La empresa es vista como una realidad social , un organismo micro - social en la interacción osmótica continua con el mundo exterior , de la que constantemente intercambios expectativas , la experiencia , la cultura , las experiencias de las personas que son actores sociales dentro y fuera de la empresa .
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Messa alla prova e mediazione. Discrezionalità degli attori e pratiche di utilizzo / Probation and mediation: discretion of the Juvenile Justice System operators and concrete application

Carlone, Teresa <1987> January 1900 (has links)
Lo scopo della ricerca qui presentata è comprendere e tentare di spiegare, utilizzando due studi di caso, il Tribunali per i Minorenni dell’Emilia Romagna e del New Jersey, come la cultura della mediazione, e quella di riferimento del Restorative paradigm, possa essere legata alla discrezionalità soggettiva (favorevole o meno) degli operatori del sistema di giustizia minorile. In tale prospettiva, si cercherà di cogliere, all’interno del più ampio discorso sulla discrezionalità degli attori del processo penale minorile, l’importanza di fattori peculiari (quali la socializzazione lavorativa degli operatori, le prassi consolidate nei Tribunali e negli USSM, la collaborazione o mancata coordinazione tra gli attori stessi) negli orientamenti delle scelte di strumenti alternativi propri della restorative justice entro misure di intervento per giovani autori di reato. Trattandosi di un case study, non vi è alcuna pretesa di esaustività o generalizzabilità dei risultati ottenuti; essi, tuttavia, potrebbero rappresentare un significativo ed utile momento di riflessione dal quale (ri)partire per definire nuove procedure da attivare in questo ambito come, peraltro, da richiesta degli Organismi Comunitari, Europei e sovranazionali. A tal fine, si è scelto di individuare uno specifico istituto giuridico – peculiare del processo penale minorile – la messa alla prova (MAP) che, meglio di altri, permette la concreta applicazione di uno strumento della giustizia riparativa quale è la mediazione penale fra vittima e autore di reato. La comparazione con la realtà statunitense, nello specifico, mira ad arricchire l’analisi ponendo a confronto l’impiego di strumenti di giustizia riparativa – con particolare attenzione alle pratiche mediative – nei due contesti considerati. Il Nord America, patria natia dei programmi di diversion e della restorative justice, si configura come termine di paragone ideale per sviluppare una riflessione approfondita rispetto all’attenzione rivolta alle vittime e al consolidamento di una cultura della giustizia riparativa. / The aim of the research is to understand and attempt to explain, using the case study of Juvenile Courts in Emilia Romagna and New Jersey how the mediation culture could be shaped according to the personal discretion of the professional of the juvenile justice system. In this perspective, the research wants to demonstrate the importance, within the wider prospect of the high discretion of the Juvenile Justice System operators, that some specific factors (socialization in the work environment, well-established procedures in the Court and among the social services, collaboration or lack of cooperation of the workers) can contribute to the choice of alternative sanctions for juveniles. Using a case study approach doesn’t allow to gather quantitative data and obtain general results, but it will represent a significant and useful consideration from which we can (re)start to define new procedure in the field of Juvenile Justice, as required by the major European and International Organization [i.e.“Directive 2012/29/UE of the European Parliament and the Council, establishing minimum standards on the rights, support and protection of victims of crime, and replacing Council Framework Decision 2001/220/JHA]. The selection of one specific legal institution, probation, – related particularly to the Juvenile criminal procedure – seems to be the best choice in order to understand the concrete application of the mediation between the young author and his victim. The connection with the US aims to enrich the entire analysis and to make a comparison of the use of restorative justice instruments – focusing specifically on mediation – between the two Countries considered. The US is the birthplace of diversion programs and restorative paradigm, therefore it represents an important element of reflection regarding the attention of the system towards victims (their needs and feelings, for example) and the possible creation of a new restorative justice culture.
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La famiglia come grembo del crimine: genitoricidio/parenticidio. Figli criminali e vittime nel nucleo originario spezzato

Massai, Mara <1951> 18 June 2007 (has links)
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Gli Uffici Relazioni per il Pubblico e il sistema di gestione dei reclami in sanità

Pizzardo, Cinzia <1977> 18 June 2007 (has links)
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La gestione dell'incertezza e il consenso informato in una prospettiva medica integrata

Florindi, Stefania <1971> 18 June 2007 (has links)
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6

Criminalità e processi di vittimizzazione nell'ambito delle denunce di competenza del giudice di pace nel tribunale di Padova

Mazzucato, Flavio <1962> 18 June 2007 (has links)
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7

La montagna anomica e la devianza intermittente. "Social problems" nell'area alpina

Arnoldi, Christian <1974> 18 June 2007 (has links)
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La gestione violenta dei conflitti in ambito di coppia

Callà, Rose Marie <1973> 27 June 2008 (has links)
La famiglia rappresenta un micro sistema all’interno del macro sistema società, che vive, si riproduce, rimane in equilibrio o cade in situazioni di squilibrio, implode e si rigenera, attraverso gli infiniti feedback comunicativi con l’ambiente esterno. I suoi componenti sono i medium di tale processo interattivo. Quindi: tutti gli eventi all’interno del nucleo familiare, compreso il conflitto, non possono considerarsi slegati dalla società circostante. La famiglia possiede una dimensione politica che si esplicita nella distribuzione di potere fra i suoi componenti. Tale distribuzione può assumere sia forme democratiche, che dispotiche. A forme di distribuzione del potere non democratiche si associano livelli elevati di conflitto. Quest’ultimo, tuttavia, è una dimensione inevitabile delle associazioni umane. Ciò che distingue le relazioni – familiari e non – non è tanto la presenza o assenza del conflitto, quanto piuttosto la modalità di espressione e di gestione di tale conflittualità. In tal senso, infatti, l’antagonismo relazionale si può tradurre in aggressione e violenza, prevaricazione, lesione della integrità e della libertà, oppure divenire occasione di crescita, di confronto, di mediazione e di negoziazione. La ricerca svolta all’interno del Dottorato in Criminologia dell’ Università di Bologna è finalizzata, attraverso un’integrazione teorica, ad individuare le variabili intervenienti nel contesto e nell’esperienza dei conflitti violenti in ambito di coppia, per accertare il loro eventuale ruolo predittivo del fenomeno. In particolare, s’indagano le modalità attraverso le quali la condizione socio-strutturale dei partner di coppia e la costruzione sociale dei ruoli di genere - con la relativa attribuzione di potere – e le condizioni lavorative, interagiscono nell’ espressione violenta della conflittualità. Il collettivo di riferimento - individuato grazie alla collaborazione di associazioni del privato sociale e di istituzioni pubbliche presenti e operanti nel territorio della Provincia di Trento eroganti prestazioni eterogenee alle famiglie - è composto da coppie sposate/conviventi alle quali è stato somministrato un questionario strutturato.
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La salute come promessa. Ingegneria genetica e biotecnologie fra biopolitica, diritto e criminalità

Gobbato, Carlo Antonio <1955> 27 June 2008 (has links)
La tesi di dottorato di Carlo Antonio Gobbato prende in considerazione e sviluppa, secondo una prospettiva rigorosamente sociologica, i temi e i problemi che discendono dai progressi delle bioscienze e delle biotecnologie con particolare riferimento alla programmazione degli esseri umani con precise caratteristiche. Muovendo dalla riflessione di Jurgen Habermas sui caratteri della genetica liberale, sono stati, innanzi tutto, ripresi alcuni temi fondamentali della storia del pensiero politico e giuridico sviluppatisi in età moderna, considerando con particolare attenzione la ricostruzione epistemologica operata da Michel Foucault in merito alla nozione di biopolitica, ovvero sia al modo con cui si è cercato, a partire dal XVIII secolo, di razionalizzare i problemi posti dalla pratica governamentale nei confronti delle persone (pratiche concernenti la salute, il controllo sociale, l’igiene, la mortalità, le razze, ecc.). La biopolitica è una categoria gnoseologica di spiegazione dell’idea di sviluppo presente nell’età moderna, dove sono iscritti vari saperi e pratiche governamentali, risultando così un concetto storicamente determinato da costruzioni produttive e tecnologiche che consentono, oppure obbligano, la vita ad entrare nella storia. D’altra parte, la biopolitica non produce letteralmente la vita, ma interviene direttamente sulla vita consentendone le condizioni di mantenimento e sviluppo. Se la biopolitica ha determinato l’instaurazione del dominio della specie umana sulla materia inerte, la rivoluzione scientifica in atto, anche in ragione dell’intensità con cui procede lo sviluppo delle bioscienze e delle biotecnologie, sta determinando l’affermazione del dominio sulla materia vivente Il progressivo affrancamento delle bioscienze e delle biotecnologie dal sistema sociale e dal sotto sistema sanitario sta comportando un’intensa proliferazione legislativa e normativa di cui la bioetica è parte, assieme alla costituzione ed allo sviluppo di un polo di apparati tendenzialmente autonomo, anche in ragione delle grandi quantità di trasferimenti finanziari, pubblici e privati, specificatamente dedicati e del nuovo mercato dei brevetti sulla vita. Sono evidenti le preoccupazioni degli organismi internazionali e nazionali, ai loro massimi livelli, per un fenomeno emergente, reso possibile dai rapidi progressi delle bioscienze, che consente la messa a disposizione sul mercato globale di “prodotti” ricavati dal corpo umano impossibili da reperire se tali progressi non si fossero verificati. Si tratta di situazioni che formano una realtà giuridica, sociale e mercantile che sempre più le bioscienze contribuiscono, con i loro successi, a rappresentare e costruire, anche se una parte fondamentale nell’edificazione, cognitiva ed emozionale, di tali situazioni, che interagiscono direttamente con l’immaginario soggettivo e sociale, è costituita dal sistema dell’informazione, specializzata e non, che sta con intensità crescente offrendo notizie e riproduzioni, vere o verosimili, scientificamente fondate oppure solo al momento ipotizzate, ma poste e dibattute, che stanno oggettivamente alimentando nuove attese individuali e sociali in grado di generare propensioni e comportamenti verso “oggetti di consumo” non conosciuti solo fino a pochi anni fa. Propensioni e comportamenti che possono assumere, in ragione della velocità con cui si succedono le scoperte delle bioscienze e la frequenza con cui sono immessi nel mercato i prodotti biotecnologici (indipendentemente dalla loro vera o presunta efficacia), anche caratteri di effervescenza anomica, fino alla consumazione di atti gravemente delittuosi di cui la stessa cronaca e le inchieste giudiziarie che si stanno aprendo iniziano a dare conto. La tesi considera criticamente la nuova realtà che emerge dai progressi delle bioscienze e, dopo aver identificato nella semantica dell’immunità e nel dominio sul movimento del corpo gli orientamenti concettuali che forniscono il significato essenziale alla biopolitica di Foucault, cerca di definire secondo una prospettiva propriamente sociologica la linea di separazione fra le pratiche immunitarie ed altre pratiche che non possono essere fatte rientrare nelle prime o, anche, il limite del discorso di Foucault davanti alle questioni poste da Habermas ed inerenti la programmazione genetica degli esseri viventi. Le pratiche genetiche, infatti, non sono propriamente immunitarie e, anzi, la stessa logica discorsiva intorno al gene non ha carattere immunitario, anche se può apportare benefici immunitari. La logica del gene modifica la forma del corpo, è generativa e rigenerativa, può ammettere ed includere, ma anche negare, la semantica biopolitica, i suoi oggetti e i suoi nessi. Gli oggetti della biopolitica sono ogni giorno di più affiancati dagli oggetti di questa dimensione radicalmente originale, per significati e significanti, dimensione che, con un neologismo, si può definire polisgenetica, ovvero sia una pratica governamentale sui generis, con importanti riflessi sul piano socio – criminologico. L’ultima parte della tesi riporta i risultati di recenti ricerche sociologiche sulla percezione sociale dell’ingegneria genetica e delle biotecnologie, nonché presenta i risultati dell’elaborazione delle interviste effettuate per la tesi di ricerca.
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Sistemi di sicurezza urbana

Vasaturo, Giulio <1976> 13 July 2009 (has links)
Il problema della sicurezza/insicurezza delle città, dalle grandi metropoli sino ai più piccoli centri urbani, ha sollecitato negli ultimi anni un’attenzione crescente da parte degli studiosi, degli analisti, degli organi di informazione, delle singole comunità. La delinquenza metropolitana viene oggi diffusamente considerata «un aspetto usuale della società moderna»: «un fatto – o meglio un insieme di fatti – che non richiede nessuna speciale motivazione o predisposizione, nessuna patologia o anormalità, e che è iscritto nella routine della vita economica e sociale». Svincolata dagli schemi positivistici, la dottrina criminologica ha maturato una nuova «cultura del controllo sociale» che ha messo in risalto, rispetto ad ogni visione enfatizzante del reo, l’esigenza di pianificare adeguate politiche e pratiche di prevenzione della devianza urbana attraverso «tutto l’insieme di istituzioni sociali, di strategie e di sanzioni, che mirano a ottenere la conformità di comportamento nella sfera normativa penalmente tutelata». Tale obiettivo viene generalmente perseguito dagli organismi istituzionali, locali e centrali, con diverse modalità annoverabili nel quadro degli interventi di: prevenzione sociale in cui si includono iniziative volte ad arginare la valenza dei fattori criminogeni, incidendo sulle circostanze sociali ed economiche che determinano l’insorgenza e la proliferazione delle condotte delittuose negli ambienti urbani; prevenzione giovanile con cui si tende a migliorare le capacità cognitive e relazionali del minore, in maniera tale da controllare un suo eventuale comportamento aggressivo, e ad insegnare a genitori e docenti come gestire, senza traumi ed ulteriori motivi di tensione, eventuali situazioni di crisi e di conflittualità interpersonale ed interfamiliare che coinvolgano adolescenti; prevenzione situazionale con cui si mira a disincentivare la propensione al delitto, aumentando le difficoltà pratiche ed il rischio di essere scoperti e sanzionati che – ovviamente – viene ponderato dal reo. Nella loro quotidianità, le “politiche di controllo sociale” si sono tuttavia espresse in diversi contesti – ed anche nel nostro Paese - in maniera a tratti assai discutibile e, comunque, con risultati non sempre apprezzabili quando non - addirittura – controproducenti. La violenta repressione dei soggetti ritenuti “devianti” (zero tolerance policy), l’ulteriore ghettizzazione di individui di per sé già emarginati dal contesto sociale, l’edificazione di interi quartieri fortificati, chiusi anche simbolicamente dal resto della comunità urbana, si sono rivelate, più che misure efficaci nel contrasto alla criminalità, come dei «cortocircuiti semplificatori in rapporto alla complessità dell’insieme dei problemi posti dall’insicurezza». L’apologia della paura è venuta così a riflettersi, anche fisicamente, nelle forme architettoniche delle nuove città fortificate ed ipersorvegliate; in quelle gated-communities in cui l’individuo non esita a sacrificare una componente essenziale della propria libertà, della propria privacy, delle proprie possibilità di contatto diretto con l’altro da sé, sull’altare di un sistema di controllo che malcela, a sua volta, implacabili contraddizioni. Nei pressanti interrogativi circa la percezione, la diffusione e la padronanza del rischio nella società contemporanea - glocale, postmoderna, tardomoderna, surmoderna o della “seconda modernità”, a seconda del punto di vista al quale si aderisce – va colto l’eco delle diverse concezioni della sicurezza urbana, intesa sia in senso oggettivo, quale «situazione che, in modo obiettivo e verificabile, non comporta l’esposizione a fattori di rischio», che in senso soggettivo, quale «risultante psicologica di un complesso insieme di fattori, tra cui anche indicatori oggettivi di sicurezza ma soprattutto modelli culturali, stili di vita, caratteristiche di personalità, pregiudizi, e così via». Le amministrazioni locali sono direttamente chiamate a garantire questo bisogno primario di sicurezza che promana dagli individui, assumendo un ruolo di primo piano nell’adozione di innovative politiche per la sicurezza urbana che siano fra loro complementari, funzionalmente differenziate, integrali (in quanto parte della politica di protezione integrale di tutti i diritti), integrate (perché rivolte a soggetti e responsabilità diverse), sussidiarie (perché non valgono a sostituire i meccanismi spontanei di prevenzione e controllo della devianza che si sviluppano nella società), partecipative e multidimensionali (perché attuate con il concorso di organismi comunali, regionali, provinciali, nazionali e sovranazionali). Questa nuova assunzione di responsabilità da parte delle Amministrazioni di prossimità contribuisce a sancire il passaggio epocale «da una tradizionale attività di governo a una di governance» che deriva «da un’azione integrata di una molteplicità di soggetti e si esercita tanto secondo procedure precostituite, quanto per una libera scelta di dar vita a una coalizione che vada a vantaggio di ciascuno degli attori e della società urbana nel suo complesso». All’analisi dei diversi sistemi di governance della sicurezza urbana che hanno trovato applicazione e sperimentazione in Italia, negli ultimi anni, e in particolare negli ambienti territoriali e comunitari di Roma e del Lazio che appaiono, per molti versi, esemplificativi della complessa realtà metropolitana del nostro tempo, è dedicata questa ricerca. Risulterà immediatamente chiaro come il paradigma teorico entro il quale si dipana il percorso di questo studio sia riconducibile agli orientamenti della psicologia topologica di Kurt Lewin, introdotti nella letteratura sociocriminologica dall’opera di Augusto Balloni. Il provvidenziale crollo di antichi steccati di divisione, l’avvento di internet e, quindi, la deflagrante estensione delle frontiere degli «ambienti psicologici» in cui è destinata a svilupparsi, nel bene ma anche nel male, la personalità umana non hanno scalfito, a nostro sommesso avviso, l’attualità e la validità della «teoria del campo» lewiniana per cui il comportamento degli individui (C) appare anche a noi, oggi, condizionato dalla stretta interrelazione che sussiste fra le proprie connotazioni soggettive (P) e il proprio ambiente di riferimento (A), all’interno di un particolare «spazio di vita». Su queste basi, il nostro itinerario concettuale prende avvio dall’analisi dell’ambiente urbano, quale componente essenziale del più ampio «ambiente psicologico» e quale cornice straordinariamente ricca di elementi di “con-formazione” dei comportamenti sociali, per poi soffermarsi sulla disamina delle pulsioni e dei sentimenti soggettivi che agitano le persone nei controversi spazi di vita del nostro tempo. Particolare attenzione viene inoltre riservata all’approfondimento, a tratti anche critico, della normativa vigente in materia di «sicurezza urbana», nella ferma convinzione che proprio nel diritto – ed in special modo nell’ordinamento penale – vada colto il riflesso e la misura del grado di civiltà ma anche delle tensioni e delle contraddizioni sociali che tormentano la nostra epoca. Notevoli spunti ed un contributo essenziale per l’elaborazione della parte di ricerca empirica sono derivati dall’intensa attività di analisi sociale espletata (in collaborazione con l’ANCI) nell’ambito dell’Osservatorio Tecnico Scientifico per la Sicurezza e la Legalità della Regione Lazio, un organismo di supporto della Presidenza della Giunta Regionale del Lazio al quale compete, ai sensi dell’art. 8 della legge regionale n. 15 del 2001, la funzione specifica di provvedere al monitoraggio costante dei fenomeni criminali nel Lazio.

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