• Refine Query
  • Source
  • Publication year
  • to
  • Language
  • 59
  • 25
  • 4
  • 4
  • 1
  • Tagged with
  • 93
  • 64
  • 63
  • 35
  • 34
  • 26
  • 23
  • 23
  • 22
  • 22
  • 22
  • 21
  • 21
  • 21
  • 21
  • About
  • The Global ETD Search service is a free service for researchers to find electronic theses and dissertations. This service is provided by the Networked Digital Library of Theses and Dissertations.
    Our metadata is collected from universities around the world. If you manage a university/consortium/country archive and want to be added, details can be found on the NDLTD website.
71

L'importazione del capitalismo / Importing Capitalism

GABUSI, GIUSEPPE 18 June 2007 (has links)
Il successo delle riforme economiche cinesi negli anni '80 e negli anni '90 ha posto in discussione le politiche ufficiali di sviluppo (note come Washington consensus ) delle istituzioni multilaterali. Il consenso, ammettendo che le istituzioni sono importanti per la crescita, prescrive che i Paesi in via di sviluppo dovrebbero adottare governi che da un lato disciplinino un sistema di diritti di proprietà stabili e chiaramente definiti, e che dall'altro creino istituzioni che rafforzino i mercati: la buona governance in termini di liberalizzazione, privatizzazione delle proprietà statali e assenza di corruzione dovrebbe portare allo sviluppo economico. Nessuna di queste condizioni era presente in Cina: i diritti di proprietà apparivano essere né stabili né chiari, la corruzione era diffusa, e il governo era coinvolto in tutti i settori dell'economia. Questa ricerca utilizza i risultati della scuola della political economy per mettere in dubbio la validità dell'incompleta analisi del consenso e per dimostrare come le istituzioni cinesi abbiano appreso la lezione storica del capitalismo: i diritti di proprietà erano instabili, orizzontalmente indefiniti ma verticalmente definiti, e lo stato poté guidare la transizione capitalistica perché il sistema clientelare con il Partito attivo in qualità di political economy residual claimant era compatibile con i costi e i benefici connessi alla diffusione delle attività di mercato. / The success of China's economic reforms in the 1980s and in the 1990s has challenged the official development prescriptions known as Washington Consensus of multilateral institutions. By admitting that institutions matter for growth, the consensus suggests that developing countries should install a government which presides over a system of clear and stable property rights, and which does not interfere with markets but creates institutions that strengthen markets: good governance in terms of liberalisation, privatisation of State-owned assets and absence of corruption should result in economic development. None of these conditions were present in China: property rights appeared to be neither stable nor clear, corruption was widespread, and the government was involved in all sectors of the economy. This research draws on the findings of the political economy school to question the validity of the incomplete analysis of the consensus and to show how China's institutions learned the historical lesson of capitalism: property rights were unstable and horizontally unclear but vertically clear, and the state could guide the capitalist transition because the patron-client framework with the Party as the political economy residual claimant was compatible with the costs and benefits related to the rise of market activities.
72

Gli istituti di difesa della costituzione

COSTA, PAOLO 29 January 2009 (has links)
Ogni ordinamento costituito, qualunque sia la sua forma politica, tenta di difendere se stesso. Ma in un ordinamento liberal-democratico le esigenze di protezione confliggono con quelle libertà il cui riconoscimento costituzionale esprime proprio la specificità della struttura politica liberal-democratica, giacché proprio le libertà democratiche possono divenire, per usare le parole di Karl Loewenstein, “the trojan horse by which the enemy enters the city”. È questo il problema della c.d. democrazia protetta. In ordine a tale questione, riferimento obbligato sono la Legge fondamentale tedesca e gli istituti suoi propri del Parteiverbot e della perdita dei diritti fondamentali. Il problema non è ignorato dall’ordinamento costituzionale italiano. Limiti alla revisione costituzionale, disciplina dei partiti antisistema, limitazione dei diritti fondamentali, poteri eccezionali ed organi di garanzia fanno della democrazia italiana una democrazia in fondo più “protetta” di quanto generalmente la si consideri. / Every constituted system, whatever its political form is, aims to protect itself. However, the needs of self protection in a liberal-democratic system conflict with those freedoms proper to this political structure, since these democratic freedoms can even become, quoting Karl Lowenstein’s words: “the trojan horse by which the enemy enters the city”. This is the issue of the so called protected democracy. With respect to this problem, the German Constitutional Law, with it’s typical institution of Parteiverbot and loss of fundamental rights, is an unavoidable reference. This problem is also treated in the Italian constitutional system. The limitation to the power of constitutional amendment, the regulation of the anticonstitutional parties, the restraint of fundamental rights, the emergency and the guardianship powers, make, after all, the Italian democracy more protected than what is generally thought.
73

CONFINI MOBILI. IL PRINCIPIO AUTONOMISTA NEI MODELLI TEORICI E NELLE PRASSI DEL REGIONALISMO ITALIANO

CANDIDO, ALESSANDRO 20 December 2010 (has links)
Il lavoro indaga lo sviluppo del principio di autonomia nella teoria e nelle prassi del regionalismo italiano, con lo scopo di dimostrare come oggi risulta piuttosto difficile individuare un modello preciso per l’Italia. Il regionalismo, infatti, è sempre stato considerato come fattore strumentale a perseguire obiettivi estranei all’autonomia, senza però trovare un adeguato riscontro nel concreto assetto dei rapporti tra centro e periferia. Come lo studio ha cercato di dimostrare, le motivazioni di tale difficoltà, di natura storica e, soprattutto, politica, si possono rintracciare ripercorrendo le tappe del movimento regionalista: dal periodo risorgimentale di formazione dello Stato italiano alla Costituente; dalla lunga fase di inattuazione delle Regioni alle riforme costituzionali del 1999 e del 2001. Dal quadro attuale emerge un diritto regionale “confuso”, immagine sbiadita (e stravolta) del disegno realizzato a grandi linee – e frettolosamente – con la modifica del Titolo V della Costituzione. La realtà dimostra che, per valorizzare il principio di autonomia regionale, occorrerebbe un cambiamento culturale nella classe dirigente italiana. Se ciò non dovesse accadere, il regionalismo (o, come confusamente viene oggi chiamato, il federalismo) rimarrebbe ancora a lungo privo di un modello. / The study investigates the development of the autonomy principle in the theory and praxis of the Italian regionalism. It aims at demonstrating the difficulty in finding an adequate model to Italy nowadays. In fact, regionalism has always been considered as an instrument to reach goals that are extrinsic to autonomy. Nevertheless, it is not to be found in the concrete structure of the relationship between State and regions. As the study intend to focus on, the historical and mainly political reasons can be found by following the different steps of the regionalist movement: from the Risorgimento, when the Italian state was born, to the Costituente; from the long period of failure in the realization of the regions to the constitutional reforms in 1999 and 2001. The current situation shows a “confused” regional law, a faded and upset image of the project hastily outlined by modifying the Titolo V of the Constitution. It is a matter of fact that a cultural change in the Italian ruling-class should be necessary in order to evaluate the principle of regional autonomy. Otherwise, regionalism (or federalism, as it is confusedly called today) would remain without a model for a long time.
74

IL CONTRIBUTO DELLA SOCIETA' CIVILE AL PROCESSO DI DEMOCRATIZZAZIONE IN BOSNIA ERZEGOVINA: ESEMPI DI COOPERAZIONE AL FEMMINILE

GRECO, CAROLINA GIOVANNA 31 March 2015 (has links)
Il tema della vivacità della società civile nelle regioni della ex Jugoslavia rappresenta - soprattutto se considerato in relazione con le numerose iniziative di pace intraprese negli anni '90 di fronte all'imminenza del conflitto - un tema ancora poco indagato dalla letteratura sia in Italia e nel mondo anglosassone sia, soprendentemente, nei Paesi dell'area balcanica. Il presente lavoro di ricerca si pone invece come obiettivo quello di dimostrare l'esistenza di una radicata tradizione di attivismo civico nelle ex Repubbliche jugoslave e in Bosnia Erzegovina in particolare, dimostrando come soprattutto l'attivismo femminile, dagli anni Settanta sino ad oggi, abbia notevolmente contribuito all'emergere di un nuovo soggetto politico che ha preso attivamente parte ai processi di democratizzazione e riconciliazione della società nel contesto postbellico. Lo studio delle forme e dei metodi di lotta del Neofeminizam rappresenta infatti una lente di ingrandimento privilegiata e poco utilizzata per la comprensione di più ampie dinamiche inerenti il complesso processo di transizione che la Bosnia oggi è costretta ad affrontare. / The theme of the vibrancy of civil society in the regions of the former Yugoslavia represents – especially when considered in connection with the many peace initiatives undertaken in the ‘90s – a topic that has been little studied in the literature both in Italy and in the Anglo-Saxon world, but also surprisingly, in the Balkans countries. This research work aims to demonstrate the existence of a strong tradition of civic activism in all former Yugoslavia Republics and in particular in Bosnia and Herzegovina. Especially female activism, from the ‘70s until today, has greatly contributed to the emergence of a new political subject that has taken an active part in the democratization and reconciliation processes in the context of post-war Bosnia and Herzegovina. The analysis of the forms and struggle methods of Neofeminizam represents a privileged and little used key for the understanding of broader dynamics inherent in the complex process of transition that Bosnia Herzegovina is forced to face today.
75

DEMOCRACY, INSTITUTIONS AND GROWTH: EXPLORING THE BLACK BOX

ROSSIGNOLI, DOMENICO 16 April 2013 (has links)
La letteratura economica e politologica evidenzia un ampio consenso sull’esistenza di un effetto positivo sulla crescita di lungo periodo da parte di diritti di proprietà, stato di diritto e, in generale, istituzioni economiche. Contestualmente, il rapporto tra democrazia e crescita rimane teoricamente poco chiaro mentre l'evidenza empirica è in gran parte inconcludente. Questo studio cerca di riconciliare i fatti stilizzati su crescita e democrazia qui evidenziati, che dimostrano l'esistenza di un "successo sinergico" negli ultimi trent'anni, con la teoria esistente e l’evidenza empirica. Dopo aver dettagliatamente scandagliato la letteratura esistente, questo studio suggerisce che l’effetto della democrazia sulla crescita di lungo periodo sia indiretto, mediato dalle istituzioni. Per testare questa ipotesi si propone un modello di analisi originale, applicato ad un panel di 194 paesi osservati nel periodo 1961-2010, utilizzando lo stimatore System-GMM e una vasta gamma di controlli. I risultati dell’analisi suggeriscono che la democrazia è positivamente correlata a istituzioni “più favorevoli” alla crescita economica, in particolare diritti di proprietà e stato di diritto. Inoltre, l’evidenza empirica supporta la tesi di un effetto indiretto complessivamente positivo della democrazia sulla crescita. Infine, si propone uno sviluppo ulteriore dell’analisi, concentrato sulle determinanti della democrazia, ricercando possibili concause nell’interazione con i processi economici. / Economic and political science literature show a wide consensus about the positive effect of property rights, contract enforcing arrangements and, more generally, economic institutions to long-run growth. Conversely, the linkage between democracy and growth remains unclear and not conclusively supported by empirical research. This work is an attempt to reconcile the stylized facts about democracy and growth –evidencing a long-run “synergic success” between the two terms – with theoretical and empirical literature. After thoroughly surveying the relevant literature on the topic, this study claims that the effect of democracy on long-run growth is indirect, channeled by the means of institutions. To test this hypothesis, the thesis provides an original analytical framework which is applied to a panel of 194 countries over the period 1961-2010, adopting a System-GMM estimation technique and a wide range of robustness controls. The results suggest that democracy is positively related to “better” (namely more growth-enhancing) institutions, especially with respect to economic institutions and rule of law. Hence, the findings suggest that the overall effect on growth is positive, indirect and channeled by institutions. However, since the results are not completely conclusive, a further investigation is suggested, on further determinants of democracy, potentially affecting its pro-growth effect.
76

Instituições financeiras e o abuso do poder econômico em relação à criação e utilização de bancos de dados

Bernardes, Ricardo Gasperetti 14 August 2008 (has links)
Made available in DSpace on 2016-03-15T19:34:39Z (GMT). No. of bitstreams: 1 Ricardo Gasperetti Bernardes.pdf: 340478 bytes, checksum: e7607ce7b14aaeb829dc30404a832e1c (MD5) Previous issue date: 2008-08-14 / Si avvicina alla germogliatura del catasto de consumatori, di fronte alla necessità del commercio per proteggersi dell'insolvibilità. Presenta lo sviluppo della struttura di questo cadastros, in conformità con i progressi tecnologici significativi di ultime decenni. Analizza l'uso del catasto dei consumatori per istituzioni finanziarie e l'abuso di potere economico, commessi da coloro a scapito dei consumatori. Note gli abusi commessi da istituzioni finanziarie e dei mezzi di tutela dei consumatori. Conclude la definizione di quello che dovrebbe essere il ruolo del catasto dei consumatori a vantaggio dei consumatori e del commercio, senza alcun pregiudizio al diritto di una delle parti. / Aborda o surgimento dos cadastros de consumidores, face a necessidade do comércio de proteger-se da inadimplência. Apresenta a evolução da estrutura destes cadastros, de acordo com os significativos avanços tecnológicos das últimas décadas. Analisa a utilização dos cadastros de consumidores pelas instituições financeiras e os abusos do poder econômico cometidos por essas, em detrimento dos consumidores. Verifica as práticas abusivas cometidas pelas instituições financeiras e os meios de defesa do consumidor. Conclui definindo qual deve ser o papel dos cadastros de consumidores em benefício do comércio e dos consumidores, sem que haja lesão a direito de qualquer parte.
77

ENVIRONMENTAL ACTIVISM AS IDENTITY PROJECT: THE CASE OF STUDENT ENVIRONMENTAL ASSOCIATIONS IN CHINA

FOSSATI, SERENA 01 March 2018 (has links)
Il progetto di ricerca analizza i tratti distintivi dell'identità ecologica promossa da associazioni ambientaliste cinesi e le relative pratiche coinvolte nel processo di gestione delle identità all’interno di piattaforme di social networking. Un secondo livello di analisi indaga le modalità con cui gli attivisti negoziano la loro identificazione con i progetti identitari ecologici attivati dalle organizzazioni di appartenenza. La ricerca etnografica si focalizza su dieci associazioni studentesche attive a Pechino. La metodologia qualitativa include interviste in profondità a membri delle organizzazioni, osservazioni partecipanti delle loro attività, l’analisi qualitativa del contenuto di post condivisi sui loro profili Sina Weibo e Wechat; e dei contenuti condivisi dai membri sui loro profili WeChat Moments tra febbraio e luglio 2016. I risultati rivelano identità ecologiche complesse ed elaborate. Lo studio propone una tassonomia tripartita dei progetti identitari, che include ‘sustainable lifestyle-related identities’, in riferimento alla responsabilità degli studenti nel ridurre il loro impatto ambientale (in relazione alla conservazione di acqua, energia, cibo e pratiche di viaggio sostenibili); ‘investigation-related identities', indicando l'impegno degli studenti nella comprensione delle questioni ambientali e nel contributo alla soluzione delle relative problematiche attraverso azioni concrete; ‘social identities’, riferendosi alla determinazione delle associazioni a occuparsi di questioni sociali, impegnandosi in progetti di beneficenza. / The study explores the distinctive features of the environmental identity promoted by Chinese students environmental associations (SEAs), and the social media practices involved in their identity management processes. A second level of analysis investigates how activists negotiate their identification with the environmental identity projects fostered by their organizations. The ethnographic research focuses on ten SEAs located in Beijing. The data collection process is based on extensive usage of in-depth interviews with staff members, participant observations of activities, and content analysis of materials posted on SEAs’ social media accounts (Sina Weibo, WeChat), and materials shared by members on their WeChat Moments over a six-month period (February- July 2016). Results reveal that SEAs environmental identities are plural and composite in themselves. I propose a tripartite taxonomy, which includes sustainable lifestyle-related identities, referring to the responsibility of students to reduce their carbon footprint, by addressing the sources of their impact (in relation to water, energy, food conservation, green travel practices); investigation-related identities, consisting in students’ meaningful engagement in the understanding of environmental issues, and contribution to their solution through concrete action; and social identities, referring to SEAs determination to be concerned about social issues, by engaging in charity projects.
78

LA PRIMA LEGGE ITALIANA "CONTRO LA VIOLENZA SESSUALE". UN DIBATTITO LUNGO VENT'ANNI (1976 - 1996)

BOSSINI, LAURA ELISABETTA 20 June 2017 (has links)
La presente ricerca indaga il dibattito sociale, culturale e politico che ha anticipato la legge n. 66 Norme penali contro la violenza sessuale, licenziata dal Parlamento italiano nel febbraio 1996 e che, a quasi settant’anni dall’entrata in vigore del Codice penale Rocco, modificò la normativa vigente in materia di reati sessuali. Quel risultato arrivò a conclusione di un dibattito ventennale che visse due fasi principali: la prima coincise con il decennio degli anni Settanta ed ebbe come protagonista il movimento femminista, la seconda prese avvio all’inizio degli anni Ottanta e spostò il baricentro della discussione all’interno delle aule parlamentari. Nel lavoro di analisi proposto sono state seguite tre direttrici principali. Innanzitutto si è indagato il ruolo giocato dal movimento femminista nell’accendere i riflettori sul tema dello stupro e nel rompere il muro di silenzio che lo aveva relegato a questione privata. In secondo luogo si è tentato di fotografare il fermento sociale e culturale che accompagnò l’iniziativa femminista contribuendo a diffondere nella società civile italiana una nuova consapevolezza sul tema della violenza e degli abusi sessuali. L’attenzione si è infine soffermata sulla pluralità di approcci, punti di vista ed interpretazioni che animarono il dibattito parlamentare sulla riforma in materia di reati sessuali con l’intento di portare alla luce le ragioni più o meno nascoste che per cinque legislature impedirono alle forze politiche di approdare ad una soluzione condivisa. / This research aims to investigate the social, cultural and political debate that has anticipated law no. 66 Norme penali contro la violenza sessuale, dismissed by the Italian Parliament in February 1996. That result amended the current law in sex offenses and it was the final step of a twenty-year debate during which the Italian feminist movement played a crucial role. This research has three principle objectives. Firstly, it investigates the role played by the Italian feminist movement in bringing to light the subject of rape and breaking the wall of silence that had relegated it to a private sphere. Secondly, it aims to photograph the social and cultural turmoil raised by the feminist initiative which spread a new awareness about violence and sexual abuses in the Italian civil society. Thirdly, the research analyses the plurality of opinions and points of view that animated the parliamentary debate and prevented political forces from reaching a shared approach on the reform of criminal sex offenses.
79

Riduzione del rischio di conflitto tra teoria e pratica: il caso studio libanese. Una strategia per prevenire una destabilizzazione socio-economica in Medio Oriente / CONFLICT RISK REDUCTION BETWEEN THEORY AND PRACTICE: THE LEBANESE CASE STUDY. A NEW STRATEGY TO PREVENT AN EXPANDED SOCIO-ECONOMIC DESTABILISATION IN MIDDLE EAST / Conflict Risk Reduction between theory and practice: the Lebanese case study. A strategy to prevent an expanded socio-economic destabilisation in Middle East

ENNA, ANTEA 21 April 2020 (has links)
Questa ricerca definisce il concetto di riduzione del rischio di conflitto e fornisce una strategia di gestione del rischio di conflitto. Lo scopo è quello di contribuire alla Peace Research e ai Conflict studies costruendo un approccio di prevenzione basato sul rischio. La metodologia utilizzata in questo studio è interdisciplinare. Questo aspetto ha permesso di convalidare il quadro analitico sviluppato attraverso l'analisi di un caso studio che ha incluso un lavoro sul campo con l'impiego di strumenti antropologici. Il caso libanese è stato scelto per la recente storia conflittuale e le odierne condizioni in cui versa il paese, sottoposto a innumerevoli pressioni socioeconomiche. Infatti, la crisi siriana e i massicci flussi di rifugiati hanno avuto un impatto significativo sul Libano, destabilizzando ulteriormente un paese già fragile e scatenando diverse ondate di violenza, la cui manifestazione ha avuto e ha luogo a livello micro e macro in diverse forme. La storia conflittuale e le esperienze di migrazione, le pressioni economiche e sociali e i pregiudizi derivanti dall’errata percezione reciproca tra libanesi e siriani costituiscono la base da una parte per un alto rischio di micro-conflitti, e dall’altra, a livello macro, un possibile input per una destabilizzazione socioeconomica che sfoci in una contrapposizione conflittuale che tenga conto delle dinamiche irrisolte della società libanese. Considerando l'obiettivo pratico di questo lavoro, che si concentra sull’elaborazione di una strategia di gestione dei rischi di conflitto, sarà fornita un'analisi programmatica, tenendo conto delle buone pratiche implementate da Organizzazioni Internazionali e ONG. / This research aims at defining the concept of Conflict Risk Reduction and providing a Conflict Risk Management Strategy. The purpose is to contribute to the Peace research and Conflict Studies field by offering a conflict risk-based prevention approach. The methodology used in this study is of interdisciplinary nature. This, in subsequence allowed me to apply the case study approach to validate the analytical created framework and to perform prolonged fieldwork employing anthropological tools. The Lebanese case represents a rich field for these research purposes due to its recent conflict history that crucially marked the country and its consequences that are still fathomable today in addition to the current pressure circumstances. Indeed, the Syrian crisis and the massive refugee flows have a significant impact on Lebanon leading to several waves of violence. The country’s history of conflict and migration, the economic and social grievances and the misperception among Lebanese and Syrian refugees constitute the base for a high risk of micro conflicts in Lebanon. Considering the practical aim of this work which focuses on Conflict Risk Disaster Management strategy, a programmatic analysis will be provided, taking into account the best practices implemented by International Organisations and NGOs.
80

REGIONALISMO E GUERRA FREDDA. L'"APPROPRIATE INVOLVEMENT" AMERICANO NEL SUD-EST ASIATICO E LE ORIGINI DEL L'ASEAN, 1958-1967 / Regionalism and Cold War. The U.S. "Appropriate Involvement" in Southeast Asia and the Origins of ASEAN, 1958-1967

NEIRONI, RAIMONDO MARIA 17 July 2019 (has links)
Questa ricerca si propone di individuare ed esaminare il contributo del Governo americano al processo di integrazione economica, politica e culturale tra gli Stati non-comunisti della regione dell'Asia sud-orientale, prendendo le mosse dalla creazione della primigenia forma di cooperazione regionale nel febbraio 1959 – il Southeast Asia Friendship and Economic Treaty (SEAFET) – fino ad arrivare alla fondazione dell'Association of Southeast Asian Nations (ASEAN), l'8 agosto 1967. L'impegno in prima linea degli Stati Uniti sarà analizzato sotto due aspetti in particolare: storico e diplomatico. Partendo proprio dalla documentazione consultata negli archivi americani di College Park e in quelli britannici di Kew Gardens, l'analisi percorre i principali avvenimenti della Guerra Fredda nel Sud-est asiatico che contraddistinsero l'ultima parte degli anni Cinquanta e tutti gli anni Sessanta: il periodo immediatamente successivo alla lunga e, per certi versi sanguinosa, fase della decolonizzazione; la crisi vietnamita e il Secondo conflitto indocinese (1954-1973); lo scisma sino-sovietico all'interno del campo comunista (1960); la Konfrontasi indo-malese (1962-1966); il disimpegno britannico dai territori “a est di Suez” (annunciato nel 1966 dal Governo Wilson). Nel contesto di questi eventi che cambiarono in un decennio la fisionomia politica ed economica del Sud-est asiatico, Washington favorì la formazione di una organizzazione regionale in funzione anti-comunista e, in particolare, anti-cinese che coinvolse gli Stati dell'Asia sud-orientale intenti a fronteggiare all'interno dei propri confini movimenti di ispirazione marxista che facevano riferimento – con diverse sfaccettature – chi a Mosca e chi a Pechino. Le nazioni chiamate in causa da questa ricerca sono cinque: Thailandia, Malaysia, Singapore, Indonesia e Filippine, i Paesi fondatori dell'ASEAN. Il Sud-est asiatico rappresentò per gli Stati Uniti il bastione del “Free World” nel continente asiatico, dove peraltro fioccavano gli investimenti delle compagnie americane dell'industria estrattiva. Era pertanto motivo ulteriore per Washington evitare che l'influenza comunista soggiogasse i Paesi della regione che stavano gradualmente percorrendo la via della democrazia e dello sviluppo. Anche sulla scorta di quanto mostrato in Europa, gli americani si affidarono alla carta del regionalismo: in primo luogo, per facilitare il riavvicinamento tra i Paesi del cosiddetto “lower arc” le cui relazioni erano tese per varie questioni territoriali e politiche. In secondo luogo, per favorire il processo di nascita di un “nuovo spirito asiatico” – guidato principalmente dalla Thailandia – finalizzato a trovare soluzioni locali a problemi locali nel pieno spirito di cooperazione. / This study examines the U.S. contribution to the creation of ASEAN, by analysing the origins – since the foundation of the Southeast Asia Friendship and Economic Treaty (SEAFET) in February 1959 – and the ultimate evolution of Southeast Asian regionalism on 8 August 1967. Throughout the 1960s the United States was interested in the promotion of an ʻindependent nations zoneʼ in Southeast Asia as a means of accelerating the economic co-operation and social progress. The Department of State believed regionalism embodied a necessary element of ʻcontainment doctrineʼ, that should have pursued two main objectives: first, to preserve and strengthen the will of the peoples of the area to resist Communist threat; second, to assist these governments in copying with the major problems of development. Since historians have tended to concentrate on military issue, this proposal draws attention to U.S. plans taking into account two main aspects: diplomatic and economic. Washington had no territorial ambitions and, to some extent, the desire to secure the markets and raw materials of Southeast Asia for U.S. industry could offer an adequate explanation for the American commitment to the region. Regionalism in Southeast Asia during the Cold War is still an understudied field, partly due to the uneven attention given to the Second Indochina conflict. This research project is based on a vast array of textual records gathering from U.S., U.K., and Australian National Archives, as well as memoirs of the then Southeast Asian leaders. This study seeks to provide the U.S. point of view to understand the process of regional co-operation, hoping to bring a broader contribution to the field of both diplomatic history and ASEAN studies. This study concludes that United States has long worked actively to encourage regional cohesion among the nations of Southeast Asia and, albeit territorial disputes, Southeast Asian states were committed to establish a truly co-operative association that provided Asian solutions to Asian problems.

Page generated in 0.0786 seconds