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Il marchio della bestia per una fenomenologia dell'orrore nella narrativa di Tozzi e PoePalladini, Irene <1974> 12 April 2007 (has links)
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Giosue Carducci consigliere comunale: ulteriori indaginiNerozzi, Giacomo <1971> 15 May 2008 (has links)
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Marinetti ultimo mitografoTondelli, Leonardo <1973> 29 May 2008 (has links)
La ricognizione delle opere composte da Filippo Tommaso Marinetti tra il 1909 e il 1912 è
sostenuta da una tesi paradossale: il futurismo di Marinetti non sarebbe un'espressione della
modernità, bensì una reazione anti-moderna, che dietro a una superficiale ed entusiastica adesione
ad alcune parole d'ordine della seconda rivoluzione industriale nasconderebbe un pessimismo di
fondo nei confronti dell'uomo e della storia. In questo senso il futurismo diventa un emblema del
ritardo culturale e del gattopardismo italiano, e anticipa l’analoga operazione svolta in politica da
Mussolini: dietro un’adesione formale ad alcune istanze della modernità, la preservazione dello
Status Quo.
Marinetti è descritto come un corpo estraneo rispetto alla cultura scientifica del Novecento: un
futurista senza futuro (rarissime in Marinetti sono le proiezioni fantascientifiche). Questo aspetto è
particolarmente evidente nelle opere prodotte del triennio 1908-1911, che non solo sono molto
diverse dalle opere futuriste successive, ma per alcuni aspetti rappresentano una vera e propria
antitesi di ciò che diventerà il futurismo letterario a partire dal 1912, con la pubblicazione del
Manifesto tecnico della letteratura futurista e l'invenzione delle parole in libertà. Nelle opere
precedenti, a un sostanziale disinteresse per il progressismo tecnologico corrispondeva
un'attenzione ossessiva per la corporeità e un ricorso continuo all'allegoria, con effetti
particolarmente grotteschi (soprattutto nel romanzo Mafarka le futuriste) nei quali si rilevano tracce
di una concezione del mondo di sapore ancora medioevo-rinascimentale. Questa componente
regressiva del futurismo marinettiano viene platealmente abbandonata a partire dal 1912, con Zang
Tumb Tumb, salvo riaffiorare ciclicamente, come una corrente sotterranea, in altre fasi della sua
carriera: nel 1922, ad esempio, con la pubblicazione de Gli indomabili (un’altra opera allegorica,
ricca di reminiscenze letterarie).
Quella del 1912 è una vera e propria frattura, che nel primo capitolo è indagata sia da un punto di
vista storico (attraverso la documentazione epistolare e giornalistica vengono portate alla luce le
tensioni che portarono gran parte dei poeti futuristi ad abbandonare il movimento proprio in
quell'anno) che da un punto di vista linguistico: sono sottolineate le differenze sostanziali tra la
produzione parolibera e quella precedente, e si arrischia anche una spiegazione psicologica della
brusca svolta impressa da Marinetti al suo movimento.
Nel secondo capitolo viene proposta un'analisi formale e contenutistica della ‘funzione grottesca’
nelle opere di Marinetti. Nel terzo capitolo un'analisi comparata delle incarnazioni della macchine
ritratte nelle opere di Marinetti ci svela che quasi sempre in questo autore la macchina è associata al
pensiero della morte e a una pulsione masochistica (dominante, quest'ultima, ne Gli indomabili); il
che porta ad arrischiare l'ipotesi che l'esperienza futurista, e in particolare il futurismo parolibero
posteriore al 1912, sia la rielaborazione di un trauma. Esso può essere interpretato metaforicamente
come lo choc del giovane Marinetti, balzato in pochi anni dalle sabbie d'Alessandria d'Egitto alle
brume industriali di Milano, ma anche come una reale esperienza traumatica (l'incidente
automobilistico del 1908, “mitologizzato” nel primo manifesto, ma che in realtà fu vissuto
dall'autore come esperienza realmente perturbante). / The analysis of F. T. Marinetti's works written from 1909 to 1912 is supported by a paradoxical
hypothesis: what if Marinetti's futurism was less an expression of modernity than an anti-modern
reaction? Behind a superficial and enthousiastic agreement to some issues coming from the Second
Industrial Revolution, Marinetti hides a pessimistic vision of humanity and history. Futurism could
be his Trojan Horse to bring this feeling into the citadel of modernity, thus anticipating in Italian
literature what Mussolini made in Italian politics: preserving the Status Quo behind a modernistic
maquillage.
Marinetti is a “Futurist Without Future”: despite his enthousiasm for some technological
innovations, he is totally abstracted from the scientific culture, like most Italian writers of his time:
Unlike H. G. Wells, to whom he was often compared, he doesn’t appear very interested in detecting
“the shape of thing to come”, while he seems more concerned in updating the old mythologies to
the new “steel Gods” of technology. This could explain why the futurist literature has not so much
in common with Science Fiction.
Marinetti’s first futurist works (1908-1911) show – behind a quite superficial interest for machines
and technologies – a real obsession with the human body and everything related with it: sexuality
(Mafarka le Futuriste), food (Le Roi Bombance) and violence (Gli indomabili). As in François
Rabelais' Gargantua Et Pantagruel, which they openly recall, Marinetti's bodies in Mafarka le
Futuriste or Le Roi Bombance are expanded to grotesque dimensions. These issues are temporarily
set aside in 1912, when Marinetti finds a completely new style which is described in the Technical
Manifesto of Futurist Literature as “Words-in-Freedom”. This step further will cause the first
important crisis in the Futurist Movement, as many early subscribers will not follow him. This crisis
(the “fracture of 1912”) is described in the first chapter, while in the second chapter the “grotesque
element” in Marinetti's works is thoroughly analysed. Finally, the third chapter deals with the not so
frequent “future projections” in his poems and novels. The observation that machines and future in
these works are often tied with Death – the “foundation tale” of Futurism shows the first car
accident of Italian literature – leads to a last hypothesis: the young italian poet grown up in Egypt
may have experienced the discovery of modern industrial Europe as a real shock; the invention of
Futurism could be the result of a traumatic stress disease.
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Tempo della festa e tempo del sacrificio. La narrativa di Cesare PaveseMaiello, Andrea <1978> 29 May 2008 (has links)
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Per il romanzo storico di mano femminile nel Novecento: lo sguardo sul Rinascimento di Anna Banti e Maria BellonciCalisti, Ilaria <1978> 15 May 2008 (has links)
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Le vie del commento: le osservazioni muratoriane alle rime del PetrarcaBonfatti, Rossella <1975> 15 May 2008 (has links)
Nella ricerca condotta sulle Osservazioni muratoriane alle Rime petrarchesche, si è
tentato di mettere in luce la ‘scienza del commento’, ad esse sottesa, cui
contribuivano gli snodi teorici, l’accertamento filologico, le strategie
argomentative, i debiti esegetici. Tra difesa e riforma della poesia, il commento
muratoriano si pone infatti, in piena età arcadica, al vertice della coniunctio tra
esigenza conoscitiva e visione morale. Il «buon cammino» del Muratori, passando
per le vie del Petrarca, sanciva di fatto una superiore giurisdizione letteraria, a cui
rimettere come ad un foro esterno, censure e difese: colpisce, infatti, il suo vaglio
tecnico-argomentativo delle Rime del Petrarca, valutate secondo concordanze,
rinvii a commenti storici, connessioni intertestuali, analogie contenutistiche e
stilistiche, struttura metrica, uso delle immagini di fantasia e loro mescidazione
rispetto al verosimile.
È insomma l’idea di un commento ‘ben proporzionato’, situato oltretutto in una
zona di percorrenza mista, tra riuso e canonizzazione (come dimostra la sua
ricezione nelle storiografie letterarie della seconda metà del XVIII secolo), diviso
tra attenzione all’usus scribendi dell’autore e appelli collaborativi al lettore, quello
che, grazie al Muratori, in piena età arcadica, riporterà al centro il petrarchismo: un
petrarchismo potenziato, promosso ad insegnamento attivo e a sistema storicocritico
che il buon gusto ridisegnava secondo nuove coperture normative ed
esigenze metodologiche, ordinandolo, secondo uno stilema tipico della riflessione
filosofico-religiosa muratoriana, ad una ‘regolata lettura’.
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Una e plurima: riflessioni intorno alle nuove espressioni delle donne nella letteratura italianaCamilotti, Silvia <1979> 04 June 2009 (has links)
Tale lavoro di ricerca ha indagato l’opera di sette scrittrici immigrate in Italia o nate da genitori immigrati che hanno composto in lingua italiana.
Esse sono: Christiana de Caldas Brito, Cristina Ubax Ali Farah, Gabriella Kuruvilla, Ingy Mubiayi, Ornela Vorpsi, Laila Wadia, Jarmila Očkayová.
La tesi consta di una premessa, un primo capitolo in cui sono riportate le interviste fatte alle scrittrici, un secondo capitolo di analisi dei loro testi, un terzo di riflessioni di teoria letteraria ed un quarto conclusivo. In appendice sono riportate integralmente le interviste. / The thesis investigates the literary work of seven first and second generation migrant women who write in Italian language.
They are: Christiana de Caldas Brito, Cristina Ubax Ali Farah, Gabriella Kuruvilla, Ingy Mubiayi, Ornela Vorpsi, Laila Wadia, Jarmila Očkayová.
There are four chapters: a premise, the first chapter with the interviews to the authors, the second one with the analysis of their literary works, the third with a discussion on some theoretical literary issues, and the fourth with the conclusion. In the appendix I have reported the interviews in full.
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Vocazione e resistenza. La "Commedia" riscritta per il teatro da Sanguineti, Luzi e GiudiciPaterlini, Caterina <1977> 21 May 2009 (has links)
La tesi ha per oggetto i tre copioni danteschi di Edoardo Sanguineti, Mario Luzi e Giovanni Giudici, traspositori, rispettivamente, di Inferno, Purgatorio e Paradiso, nell’ambito del progetto di drammaturgia della Commedia ideato e commissionato dai Magazzini negli anni 1989-1991. L’analisi dei copioni si basa sulle teorie espresse da Genette in Palinsesti, e si sviluppa come lettura comparativa fra ipotesto (Commedia) e ipertesti (riscritture). Contestualmente, viene approfondito il tema della ricezione di Dante nel Novecento, specie nelle forme della traduzione in immagini, e fornita un'interpretazione − alla luce delle acquisizioni della critica dantesca novecentesca e della narratologia − della duplice natura del poema, materia prima oscillante tra vocazione e resistenza alla trasposizione drammatica.
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Melodramma senza musica. Giovanni Pascoli, gli abbozzi teatrali e "Le Canzoni di Re Enzio"Zazzaroni, Annarita <1981> 21 May 2009 (has links)
I libretti che Pascoli scrisse in forma di abbozzi e che sognò potessero calcare il
palcoscenico di un teatro furono davvero un “melodramma senza musica”. In primo luogo,
perché non giunsero mai ad essere vestiti di note e ad arrivare in scena; ma anche perché il
tentativo di scrivere per il teatro si tinse per Pascoli di toni davvero melodrammatici, nel
senso musicale di sconfitta ed annullamento, tanto da fare di quella pagina della sua vita una
piccola tragedia lirica, in cui c’erano tante parole e, purtroppo, nessuna musica. Gli abbozzi
dei drammi sono abbastanza numerosi; parte di essi è stata pubblicata postuma da Maria
Pascoli.1 Il lavoro di pubblicazione è stato poi completato da Antonio De Lorenzi.2 Ho
deciso di analizzare solo quattro di questi abbozzi, che io reputo particolarmente
significativi per poter cogliere lo sviluppo del pensiero drammatico e della poetica di
Pascoli. I drammi che analizzo sono Nell’Anno Mille (con il rifacimento Il ritorno del
giullare), Gretchen’s Tochter (con il rifacimento La figlia di Ghita), Elena Azenor la Morta
e Aasvero o Caino nel trivio o l’Ebreo Errante. La prima ragione della scelta risiede nel
fatto che questi abbozzi presentano una lunghezza più consistente dell’appunto di uno
scheletro di dramma registrato su un foglietto e, quindi, si può seguire attraverso di essi il
percorso della vicenda, delle dinamiche dei personaggi e dei significati dell’opera. Inoltre,
questi drammi mostrano cosa Pascoli intendesse comporre per sollevare le vesti del libretto
d’opera e sono funzionali all’esemplificazione delle sue concezioni teoriche sulla musica e
il melodramma, idee che egli aveva espresso nelle lettere ad amici e compositori. In questi
quattro drammi è possibile cogliere bene le motivazioni della scelta dei soggetti, il loro
significato entro la concezione melodrammatica del poeta, il sistema simbolico che soggiace
alla creazione delle vicende e dei personaggi e i legami con la poetica pascoliana.
Compiere un’analisi di questo tipo significa per me, innanzitutto, risalire alle concezioni
melodrammatiche di Pascoli e capire esattamente cosa egli intendesse per dramma musicale
e per rinnovamento dello stesso. Pascoli parla di musica e dei suoi tentativi di scrivere per il
teatro lirico nelle lettere ai compositori e, sporadicamente, ad alcuni amici (Emma Corcos,
Luigi Rasi, Alfredo Caselli). La ricostruzione del pensiero e dell’estetica musicale di Pascoli
ha dovuto quindi legarsi a ricerche d’archivio e di materiali inediti o editi solo in parte e,
nella maggioranza dei casi, in pubblicazioni locali o piuttosto datate (i primi anni del
Novecento). Quindi, anche in presenza della pubblicazione di parte del materiale necessario,
quest’ultimo non è certo facilmente e velocemente consultabile e molto spesso è semi
sconosciuto. Le lettere di Pascoli a molti compositori sono edite solo parzialmente; spesso,
dopo quei primi anni del Novecento, in cui chi le pubblicò poté vederle presso i diretti
possessori, se ne sono perse le tracce. Ho cercato di ricostruire il percorso delle lettere di
Pascoli a Giacomo Puccini, Riccardo Zandonai, Giovanni Zagari, Alfredo Cuscinà e
Guglielmo Felice Damiani. Si tratta sempre di contatti che Pascoli tenne per motivi
musicali, legati alla realizzazione dei suoi drammi. O per le perdite prodotte dalla storia (è il
1 Giovanni Pascoli, Nell’Anno Mille. Sue notizie e schemi da altri drammi, a c. di Maria Pascoli, Bologna, Zanichelli,
1924.
2 Giovanni Pascoli, Testi teatrali inediti, a c. di Antonio De Lorenzi, Ravenna, Longo, 1979.
caso delle lettere di Pascoli a Zandonai, che andarono disperse durante la seconda guerra
mondiale, come ha ricordato la prof.ssa Tarquinia Zandonai, figlia del compositore) o per
l’impossibilità di stabilire contatti quando i possessori dei materiali sono privati e, spesso,
collezionisti, questa parte delle mie ricerche è stata vana. Mi è stato possibile, però, ritrovare
gli interi carteggi di Pascoli e i due Bossi, Marco Enrico e Renzo. Le lettere di Pascoli ai
Bossi, di cui do notizie dettagliate nelle pagine relative ai rapporti con i compositori e
all’analisi dell’Anno Mille, hanno permesso di cogliere aspetti ulteriori circa il legame forte
e meditato che univa il poeta alla musica e al melodramma. Da queste riflessioni è scaturita
la prima parte della tesi, Giovanni Pascoli, i musicisti e la musica. I rapporti tra Pascoli e i
musicisti sono già noti grazie soprattutto agli studi di De Lorenzi. Ho sentito il bisogno di
ripercorrerli e di darne un aggiornamento alla luce proprio dei nuovi materiali emersi, che,
quando non sono gli inediti delle lettere di Pascoli ai Bossi, possono essere testi a stampa di
scarsa diffusione e quindi poco conosciuti. Il quadro, vista la vastità numerica e la
dispersione delle lettere di Pascoli, può subire naturalmente ancora molti aggiornamenti e
modifiche. Quello che ho qui voluto fare è stato dare una trattazione storico-biografica, il
più possibile completa ed aggiornata, che vedesse i rapporti tra Pascoli e i musicisti nella
loro organica articolazione, come premessa per valutare le posizioni del poeta in campo
musicale. Le lettere su cui ho lavorato rientrano tutte nel rapporto culturale e professionale
di Pascoli con i musicisti e non toccano aspetti privati e puramente biografici della vita del
poeta: sono legate al progetto dei drammi teatrali e, per questo, degne di interesse. A volte,
nel passato, alcune di queste pagine sono state lette, soprattutto da giornalisti e non da critici
letterari, come un breve aneddoto cronachistico da inserire esclusivamente nel quadro
dell’insuccesso del Pascoli teatrale o come un piccolo ragguaglio cronologico, utile alla
datazione dei drammi. Ricostruire i rapporti con i musicisti equivale nel presente lavoro a
capire quanto tenace e meditato fu l’avvicinarsi di Pascoli al mondo del teatro d’opera, quali
furono i mezzi da lui perseguiti e le proposte avanzate; sempre ho voluto e cercato di parlare
in termini di materiale documentario e archivistico. Da qui il passo ad analizzare le
concezioni musicali di Pascoli è stato breve, dato che queste ultime emergono proprio dalle
lettere ai musicisti. L’analisi dei rapporti con i compositori e la trattazione del pensiero di
Pascoli in materia di musica e melodramma hanno in comune anche il fatto di avvalersi di
ricerche collaterali allo studio della letteratura italiana; ricerche che sconfinano, per forza di
cose, nella filosofia, estetica e storia della musica. Non sono una musicologa e non è stata
mia intenzione affrontare problematiche per le quali non sono provvista di conoscenze
approfonditamente adeguate. Comprendere il panorama musicale di quegli anni e i fermenti
che si agitavano nel teatro lirico, con esiti vari e contrapposti, era però imprescindibile per
procedere in questo cammino. Non sono pertanto entrata negli anfratti della storia della
musica e della musicologia, ma ho compiuto un volo in deltaplano sopra quella terra
meravigliosa e sconfinata che è l’opera lirica tra Ottocento e Novecento. Molti consigli, per
non smarrirmi in questo volo, mi sono venuti da valenti musicologi ed esperti conoscitori
della materia, che ho citato nei ringraziamenti e che sempre ricordo con viva gratitudine.
Utile per gli studi e fondamentale per questo mio lavoro è stato riunire tutte le
dichiarazioni, da me conosciute finora, fornite da Pascoli sulla musica e il melodramma. Ne
emerge quella che è la filosofia pascoliana della musica e la base teorica della scrittura dei
suoi drammi. Da questo si comprende bene perché Pascoli desiderasse tanto scrivere per il
teatro musicale: egli riteneva che questo fosse il genere perfetto, in cui musica e parola si
compenetravano. Così, egli era convinto che la sua arte potesse parlare ed arrivare a un
pubblico più vasto. Inoltre e soprattutto, egli intese dare, in questo modo, una precisa
risposta a un dibattito europeo sul rinnovamento del melodramma, da lui molto sentito. La
scrittura teatrale di Pascoli non è tanto un modo per trovare nuove forme espressive, quanto
soprattutto un tentativo di dare il suo contributo personale a un nuovo teatro musicale, di
cui, a suo dire, l’umanità aveva bisogno. Era quasi un’urgenza impellente. Le risposte che
egli trovò sono in linea con svariate concezioni di quegli anni, sviluppate in particolare dalla
Scapigliatura. Il fatto poi che il poeta non riuscisse a trovare un compositore disposto a
rischiare fino in fondo, seguendolo nelle sue creazioni di drammi tutti interiori, con scarso
peso dato all’azione, non significa che egli fosse una voce isolata o bizzarra nel contesto
culturale a lui contemporaneo. Si potranno, anche in futuro, affrontare studi sugli elementi
di vicinanza tra Pascoli e alcuni compositori o possibili influenze tra sue poesie e libretti
d’opera, ma penso non si potrà mai prescindere da cosa egli effettivamente avesse ascoltato
e avesse visto rappresentato. Il che, documenti alla mano, non è molto. Solo ciò a cui
possiamo effettivamente risalire come dato certo e provato è valido per dire che Pascoli subì
il fascino di questa o di quell’opera. Per questo motivo, si trova qui (al termine del secondo
capitolo), per la prima volta, un elenco di quali opere siamo certi Pascoli avesse ascoltato o
visto: lo studio è stato possibile grazie ai rulli di cartone perforato per il pianoforte Racca di
Pascoli, alle testimonianze della sorella Maria circa le opere liriche che il poeta aveva
ascoltato a teatro e alle lettere del poeta. Tutto questo è stato utile per l’interpretazione del
pensiero musicale di Pascoli e dei suoi drammi.
I quattro abbozzi che ho scelto di analizzare mostrano nel concreto come Pascoli pensasse
di attuare la sua idea di dramma e sono quindi interpretati attraverso le sue dichiarazioni di
carattere musicale. Mi sono inoltre avvalsa degli autografi dei drammi, conservati a
Castelvecchio. In questi abbozzi hanno un ruolo rilevante i modelli che Pascoli stesso aveva
citato nelle sue lettere ai compositori: Wagner, Dante, Debussy. Soprattutto, Nell’Anno
Mille, il dramma medievale sull’ultima notte del Mille, vede la significativa presenza del
dantismo pascoliano, come emerge dai lavori di esegesi della Commedia. Da questo non è
immune nemmeno Aasvero o Caino nel trivio o l’Ebreo Errante, che è il compimento della
figura di Asvero, già apparsa nella poesia di Pascoli e portatrice di un messaggio di rinascita
sociale. I due drammi presentano anche una specifica simbologia, connessa alla figura e al
ruolo del poeta. Predominano, invece, in Gretchen’s Tochter e in Elena Azenor la Morta le
tematiche legate all’archetipo femminile, elemento ambiguo, materno e infero, ma sempre
incaricato di tenere vivo il legame con l’aldilà e con quanto non è direttamente visibile e
tangibile. Per Gretchen’s Tochter la visione pascoliana del femminile si innesta sulle fonti
del dramma: il Faust di Marlowe, il Faust di Goethe e il Mefistofele di Boito. I quattro
abbozzi qui analizzati sono la prova di come Pascoli volesse personificare nel teatro
musicale i concetti cardine e i temi dominanti della sua poesia, che sarebbero così giunti al
grande pubblico e avrebbero avuto il merito di traghettare l’opera italiana verso le novità già
percorse da Wagner.
Nel 1906 Pascoli aveva chiaramente compreso che i suoi drammi non sarebbero mai
arrivati sulle scene. Molti studi e molti spunti poetici realizzati per gli abbozzi gli restavano
inutilizzati tra le mani. Ecco, allora, che buona parte di essi veniva fatta confluire nel poema
medievale, in cui si cantano la storia e la cultura italiane attraverso la celebrazione di
Bologna, città in cui egli era appena rientrato come professore universitario, dopo avervi già
trascorso gli anni della giovinezza da studente. Le Canzoni di Re Enzio possono quindi
essere lette come il punto di approdo dell’elaborazione teatrale, come il “melodramma senza
musica” che dà il titolo a questo lavoro sul pensiero e l’opera del Pascoli teatrale. Già
Cesare Garboli aveva collegato il manierismo con cui sono scritte le Canzoni al teatro
musicale europeo e soprattutto a Puccini. Alcuni precisi parallelismi testuali e metrici e
l’uso di fonti comuni provano che il legame tra l’abbozzo dell’Anno Mille e le Canzoni di
Re Enzio è realmente attivo. Le due opere sono avvicinate anche dalla presenza del sostrato
dantesco, tenendo presente che Dante era per Pascoli uno dei modelli a cui guardare proprio
per creare il nuovo e perfetto dramma musicale. Importantissimo, infine, è il piccolo schema
di un dramma su Ruth, che egli tracciò in una lettera della fine del 1906, a Marco Enrico
Bossi. La vicinanza di questo dramma e di alcuni degli episodi principali della Canzone del
Paradiso è tanto forte ed evidente da rendere questo abbozzo quasi un cartone preparatorio
della Canzone stessa. Il Medioevo bolognese, con il suo re prigioniero, la schiava affrancata
e ancella del Sole e il giullare che sulla piazza intona la Chanson de Roland, costituisce il
ritorno del dramma nella poesia e l’avvento della poesia nel dramma o, meglio, in quel
continuo melodramma senza musica che fu il lungo cammino del Pascoli librettista.
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I sensi spirituali nel Liber di Angela da Foligno. La metafora del "gusto" nel Liber di Angela da Foligno e nella mistica femminile francescana tra XIII e XIV secolo.Vanelli Coralli, Rossana <1979> 21 May 2009 (has links)
Angela da Foligno’s Liber is a fundamental text for the scholar of Women Mystics between the XIIIth and the XIVth century in Italy and all over Europe, and it has been chosen in my research because of its originality, with refer of its feminine and franciscan essence. Angela teaches to the italian hagiographic tradition the internal point of view of the holy woman, who becomes the teller of her both ordinary and extraordinary experiences.
After giving references about the religious and social historical universe in evolution during the XIIth century, my research proceeds with a linguistic and rhetorical analysis based upon the Liber.
I have been searching in Angela’s text and in contemporary italian feminine hagiography the sensory metaphor of “tasting”. That kind of metaphor has an ancient memory and, thanks to the Origene’s studies - the Christian Father of the IIIrd century - we can easily recognize it already in the Bible; Origene identifies the sensory metaphor as a rhetoric system, able to exemplify the God learning process of soul.
Theory of “spiritual senses”, theory of vision and rhetoric, evolving from the IIIrd to the XIIIth century, are the theological and linguistic heritage of our feminine and franciscan literature. Inside of that, the metaphor of “tasting” moves and changes, therefore becoming the favourite way of mystics to represent the contact of their souls with God.
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