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Estetica ed etica: un itinerario interpretativo, alla luce della ricerca di valori nel pensiero di Ingarden, Tischner, Levinasdi Bona, Cecilia Maria <1960> 30 March 2007 (has links)
The research is an itinerary from the discovery of the force of Love in the Song of Songs, where the human figure is given entirely through aesthetics, right to the agony of the other's death, where ethics, the "Severe Name of Love", is the only guard left; a journey through the contradictions of human mind, that, though aiming at Good, Beauty, Happiness, is completely immersed into the darkness of its finiteness and into evil. The consciousness leads to the creation of a world whose essential prefiguration is the Beauty; whose fundamental expression is the Good. Ethics must translate itself in responsability towards the other, in the history. This immersion into reality preserves the aesthetic and ethic dimension from the temptation of absolutizing the finite. In this work, the proximity and divergence between the aesthetic and ethic dimension is analysed, with reference to significant moments of the philosophical reflection, namely in the thought of Ingarden, Tishner and Levinas.
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True love: the normativity of a passionProtasi, Sara <1978> 13 June 2007 (has links)
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Johann August Eberhard (1739-1809). Ontologia e filosofia della religioneSpano, Hagar <1977> 23 May 2008 (has links)
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L'intuizionismo etico di George Edward MooreScardovi, Gabriele <1974> 27 May 2009 (has links)
La Tesi di Dottorato prende in considerazione la collocazione storica e critica di G. E. Moore nel panorama filosofico europeo, con particolare riferimento al suo rapporto con il neo-hegelismo britanico prima e con il realismo poi. Al centro della Tesi si trova l'esame dell'intuizionismo etico di G. E. Moore.
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Nell'incertezza scientifica e morale. Il dilemma delle cure intensive ai neonati estremamente prematuriDi Canio, Roberta <1981> 03 June 2009 (has links)
Definizione del problema: Nonostante il progresso della biotecnologia medica abbia consentito la sopravvivenza del feto, fuori dall’utero materno, ad età gestazionali sempre più basse, la prognosi a breve e a lungo termine di ogni nuovo nato resta spesso incerta e la medicina non è sempre in grado di rimediare completamente e definitivamente ai danni alla salute che spesso contribuisce a causare. Sottoporre tempestivamente i neonati estremamente prematuri alle cure intensive non ne garantisce la sopravvivenza; allo stesso modo, astenervisi non ne garantisce la morte o almeno la morte immediata; in entrambi i casi i danni alla
salute (difetti della vista e dell’udito, cecità, sordità, paralisi degli arti, deficit motori, ritardo mentale, disturbi dell’apprendimento e del comportamento)
possono essere gravi e permanenti ma non sono prevedibili con certezza per ogni singolo neonato. Il futuro ignoto di ogni nuovo nato, insieme allo sgretolamento di terreni morali condivisi, costringono ad affrontare laceranti dilemmi morali sull’inizio e sul rifiuto, sulla continuazione e sulla sospensione delle cure.
Oggetto: Questo lavoro si propone di svolgere un’analisi critica di alcune strategie teoriche e pratiche con le quali, nell’ambito delle cure intensive ai neonati prematuri, la comunità scientifica, i bioeticisti e il diritto tentano di aggirare o di risolvere l’incertezza scientifica e morale. Tali strategie sono accomunate dalla ricerca di criteri morali oggettivi, o almeno intersoggettivi, che consentano ai decisori sostituti di pervenire ad un accordo e di salvaguardare il
vero bene del paziente. I criteri esaminati vanno dai dati scientifici riguardanti la prognosi dei prematuri, a “fatti” di natura più strettamente morale come la
sofferenza del paziente, il rispetto della libertà di coscienza del medico, l’interesse del neonato a sopravvivere e a vivere bene.
Obiettivo: Scopo di questa analisi consiste nel verificare se effettivamente tali strategie riescano a risolvere l’incertezza morale o se invece lascino aperto il dilemma morale delle cure intensive neonatali. In quest’ultimo caso si cercherà di trovare una risposta alla domanda “chi deve decidere per il neonato?”
Metodologia e strumenti: Vengono esaminati i più importanti documenti scientifici internazionali riguardanti le raccomandazioni mediche di cura e i pareri della comunità scientifica; gli studi scientifici riguardanti lo stato dell’arte delle conoscenze e degli strumenti terapeutici disponibili ad oggi; i pareri di importanti bioeticisti e gli approcci decisionali più frequentemente proposti ed adoperati; alcuni documenti giuridici internazionali riguardanti la regolamentazione della sperimentazione clinica; alcune pronunce giudiziarie significative riguardanti casi di intervento o astensione dall’intervento medico senza o contro il consenso dei genitori; alcune indagini sulle opinioni dei medici e sulla prassi medica
internazionale; le teorie etiche più rilevanti riguardanti i criteri di scelta del legittimo decisore sostituto del neonato e la definizione dei suoi “migliori interessi” da un punto di vista filosofico-morale.
Struttura: Nel primo capitolo si ricostruiscono le tappe più importanti della storia delle cure intensive neonatali, con particolare attenzione agli sviluppi dell’assistenza respiratoria negli ultimi decenni. In tal modo vengono messi in luce sia i cambiamenti morali e sociali prodotti dalla meccanizzazione e dalla medicalizzazione dell’assistenza neonatale, sia la continuità della medicina
neonatale con il tradizionale paternalismo medico, con i suoi limiti teorici e pratici e con lo sconfinare della pratica terapeutica nella sperimentazione incontrollata.
Nel secondo capitolo si sottopongono ad esame critico le prime tre strategie di soluzione dell’incertezza scientifica e morale. La prima consiste nel decidere la
“sorte” di un singolo paziente in base ai dati statistici riguardanti la prognosi di tutti i nati in condizioni cliniche analoghe (“approccio statistico”); la seconda, in
base alla risposta del singolo paziente alle terapie (“approccio prognostico individualizzato”); la terza, in base all’evoluzione delle condizioni cliniche individuali osservate durante un periodo di trattamento “aggressivo” abbastanza lungo da consentire la raccolta dei dati clinici utili a formulare una prognosi sicura(“approccio del trattamento fino alla certezza”). Viene dedicata una più ampia trattazione alla prima strategia perché l’uso degli studi scientifici per predire la prognosi di ogni nuovo nato accomuna i tre approcci e costituisce la strategia più
diffusa ed emblematica di aggiramento dell’incertezza. Essa consiste nella costruzione di un’ “etica basata sull’evidenza”, in analogia alla “medicina basata
sull’evidenza”, in quanto ambisce a fondare i doveri morali dei medici e dei genitori solo su fatti verificabili (le prove scientifiche di efficacia delle cure)apparentemente indiscutibili, avalutativi o autocertificativi della moralità delle scelte. Poiché la forza retorica di questa strategia poggia proprio su una (parziale)
negazione dell’incertezza dei dati scientifici e sulla presunzione di irrilevanza della pluralità e della complessità dei valori morali nelle decisioni mediche, per
metterne in luce i limiti si è scelto di dedicare la maggior parte del secondo capitolo alla discussione dei limiti di validità scientifica degli studi prognostici di
cui i medici si avvalgono per predire la prognosi di ogni nuovo nato. Allo stesso scopo, in questo capitolo vengono messe in luce la falsa neutralità morale dei giudizi scientifici di “efficacia”, “prognosi buona”, “prognosi infausta” e di “tollerabilità del rischio” o dei “costi”.
Nel terzo capitolo viene affrontata la questione della natura sperimentale delle cure intensive per i neonati prematuri al fine di suggerire un’ulteriore ragione dell’incertezza morale, dell’insostenibilità di obblighi medici di trattamento e della svalutazione dell’istituto del consenso libero e informato dei genitori del neonato. Viene poi documentata l’esistenza di due atteggiamenti opposti manifestati dalla comunità scientifica, dai bioeticisti e dal diritto: da una parte il
silenzio sulla natura sperimentale delle terapie e dall’altra l’autocertificazione morale della sperimentazione incontrollata. In seguito si cerca di mostrare come entrambi, sebbene opposti, siano orientati ad occultare l’incertezza e la complessità delle cure ai neonati prematuri, per riaffermare, in tal modo, la
precedenza dell’autorità decisionale del medico rispetto a quella dei genitori.
Il quarto capitolo, cerca di rispondere alla domanda “chi deve decidere in condizioni di incertezza?”. Viene delineata, perciò, un’altra strategia di risoluzione dell’incertezza: la definizione del miglior interesse (best interest) del neonato, come oggetto, limite e scopo ultimo delle decisioni mediche, qualsiasi esse siano. Viene verificata l’ipotesi che il legittimo decisore ultimo sia colui che conosce meglio di ogni altro i migliori interessi del neonato. Perciò, in questo capitolo vengono esposte e criticate alcune teorie filosofiche sul concetto di
“miglior interesse” applicato allo speciale status del neonato.
Poiché quest’analisi, rivelando l’inconoscibilità del best interest del neonato, non consente di stabilire con sicurezza chi sia intitolato a prendere la decisione ultima,
nell’ultimo capitolo vengono esaminate altre ragioni per le quali i genitori dovrebbero avere l’ultima parola nelle decisioni di fine o di proseguimento della vita. Dopo averle scartate, viene proposta una ragione alternativa che, sebbene non risolutiva, si ritiene abbia il merito di riconoscere e di non mortificare l’irriducibilità dell’incertezza e l’estrema complessità delle scelte morali, senza rischiare, però, la paralisi decisionale, il nichilismo morale e la risoluzione non pacifica dei conflitti.
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Nuovi agenti di giustizia: Corporation negli Stati Uniti. Una proposta di riforma del fiduciary duty dei protagonisti societari per promuovere la giustizia socialeVannini, Silvia <1982> 27 May 2008 (has links)
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Mandeville e l'uomorismo del male minore / Mandeville and the lesser evil humorismChiessi, Alessandro <1980> 12 September 2013 (has links)
Questa ricerca propone una lettura comparata degli scritti di Bernard Mandeville. L'intento è di porre in relazione gli argomenti morali, etici e politici con le "gandi voci" dell'epoca: primi fra tutti Hobbes e Locke. L'impianto interpretativo è strutturato in modo da delineare il metodo adottato nelle riflessioni filosofiche mandevilliane e da qui, mantenendo una divisione di piani, rintracciare i concetti di riferimento sia dal punto di vista metafico sia da quello ontologico. Si ritiene, allora, che il metodo basato sull'uomorismo, come forma oggettivante del fenomeno – sociale e non – porti alla definizione della nozione di natura umana a partire da una conzione di natura in sé corrotta metafisicamente. Ciò trova nel paradigma di "naturalismo fisiologico" un riferimento da cui muovere l'analisi antropologica e morale degli uomini in società. Un'indagine che rintraccia nell'"etica del male minore" un modello con cui valutare le scelte e le azioni in ambito collettivo e pubblico. La lettura dei vari testi, allora, mostra come la politica sia influenzata da questo modello nello strutturare istituzioni che stimolino la produzione e l'incremento della ricchezza, seppur questo non sia alla portata di tutti. La sperequazione economica, allora, a fronte di un benessere collettivo elevato appare come un "male minore". / This research provides a comparative reading of the writings of Bernard Mandeville. The aim is to relate moral, ethic and political arguments to the “great thinkers” of his historical period: first of all, Hobbes and Locke. The epistemological framework is structured to draft the method utilized in Mandeville’s philosophical reflections and, from here, keeping a level division, to trace the main concepts in reference to booth metaphysical and ontological point of view. So the method based on humorism, as a form of objectifying phenomena – social and not social – leads to the definition of the notion of human nature from a conception of corrupt nature metaphysically in itself. This finds in the paradigm of “physiological naturalism” a reference by which the anthropological and moral analysis paints the picture of men in society. An inquiry that finds in the “ethics of lesser evil” a model by which it's possible to evaluate the choices and actions in collective and public fields. The reading of various texts, then, shows how the politics will be influenced by this model in structuring institutions that stimulate the production and the increase of wealth, although this is not for everyone. Economic inequality, then, creating a high collective well-being or benefits, appears as a "lesser evil".
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Tra sacro e potere. Verso la Scienza Nuova come teologia civile ragionata della Provvidenza divina.Fidelibus, Francesca 19 July 2023 (has links)
The aim of the thesis is to reconstruct the relationship between sacred and power, divine and society, religion and politics in the theoretical itinerary of Giambattista Vico with special attention to the legal work known as “Diritto Universale” and to the “Scienza Nuova” in its various drafts. Relocating Vico within the broader debates of the seventeenth-eighteenth-century relating to the questioning of the political fact, of power and its foundation, an attempt has been made to look at Vico’s reflection as a critical instrument to transversally read the development of political ideas of the West that has no little to do with the problematic relationship between sacred and power, religion and politics. Therefore, with a dual historical-philological and philosophical approach, the passage was noted from a “historical theodicy” summarized in the juridical work to a “reasoned civil theology of divine Providence” in the Scienza Nuova within which the “diagnostic” force and the eccentric modernity of Vico is condensed.
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Per la critica della concettualità politica moderna. Walter Benjamin e il monopolio della Gewalt.Rose, Lisa January 2017 (has links)
Se il compito che si prefiggeva Benjamin in Per la critica della violenza era l’esposizione dei rapporti che intercorrono tra violenza, diritto e giustizia, situare la relazione che lega questi tre concetti in un contesto storico-politico è lo scopo del presente lavoro. Il contesto storico-politico scelto è quello delle moderne democrazie occidentali. Nel primo capitolo, viene portato alla luce il rapporto tra il filosofo ebreo-tedesco Benjamin e il giurista Carl Schmitt, entrambi critici della breve – e travagliata – parentesi di parlamentarismo liberale che la Germania si era data con la Repubblica di Weimar. Si è individuato come luogo privilegiato attraverso il quale esaminare le divergenze e, in un senso molto peculiare, le somiglianze tra i due pensatori, nello stato di eccezione quale concetto-limite del diritto. L’ipotesi che si è provato ad avanzare nel corso del secondo e terzo capitolo è che il diritto, pur mantenendo la sua funzione inalterata – che è, per Benjamin, quella di essere strumento di oppressione –, ha, nelle sue realizzazioni concrete, delle peculiarità diverse a seconda delle fasi storiche e politiche in cui viene esercitato. Per analizzare i modi diversi in cui il diritto, a seconda della fasi storiche e dalle forme politiche in cui viene esercitato, fa presa sul vivente, si è partiti dalla cosiddetta «preistoria» del diritto, illustrata da Benjamin nel saggio dal titolo Franz Kafka. Per il decimo anniversario della sua morte, e, passando per Destino e carattere e per i saggi dedicati al linguaggio (Sulla lingua in generale e sulla lingua dell’uomo e Il compito del traduttore), si è arrivati ad analizzare le specificità prettamente moderne del diritto espresse in Per la critica della violenza. Non avendo Benjamin dedicato alcuno scritto alla successione temporale di sistemi giuridici, né avendo mai dichiarato di volerne delineare una storia, è con estrema cautela che abbiamo rilevato le caratteristiche delle diverse fasi del diritto (o temporalità giuridiche, come si è voluto chiamarle nel secondo capitolo) nella sua opera, senza giungere a tracciare un susseguirsi lineare da una all'altra, e evidenziandone, anzi, le sovrapposizioni e i rimandi. L’analisi della violenza giuridica – e della violenza pura che ha per compito la dissoluzione del legame tra quella e l’uomo – è stata riportata alla questione del monopolio della violenza da parte del diritto, tratto che Benjamin rinveniva nelle legislazioni europee a lui contemporanee. Nel secondo capitolo, si è cercato di rinvenire i riferimenti precisi alla situazione politica in cui Benjamin si trovava al momento della stesura del saggio, quindi alla Repubblica di Weimar e alla legislazione a lui contemporanea, oltre ad alcuni rimandi alla democrazia come orizzonte interpretativo della forma politica di riferimento. Sin dalle prime pagine del saggio, Benjamin riconosce di basare la sua Critica sulle legislazioni europee moderne. Secondo Benjamin, infatti, per essere compresa, la finalità della violenza deve essere posta in relazione con una fattispecie determinata di rapporti giuridici, ed egli dichiara che, «per semplicità», nel corso del saggio farà riferimento «alle presenti legislazioni europee». A partire dai rapporti giuridici moderni, Benjamin rintraccia una loro «massima generale», che riassume nella tendenza all’onnipervasività del diritto, riscontrabile anche nelle legislazioni attuali, oltre a citare esempi di violenza squisitamente moderni (la lotta di classe, i differenti tipi di sciopero, il servizio militare obbligatorio, le critiche ad esso – risalenti al periodo della Prima guerra Mondiale –, la polizia come istituzione moderna, i parlamenti). Una delle novità della concettualità politica moderna che abbiamo individuato è rappresentata dal fatto che, nella modernità, il potere politico non trova alcuna opposizione di fronte a sé, in quanto i singoli hanno riconosciuto come loro proprie le azioni di colui che detiene il potere supremo. È così legittimato il monopolio della Gewalt, in quanto fondato sulla volontà di tutti. Conseguentemente ha acquisito grande rilievo la preferenza accordata da Benjamin nel testo Per la critica della violenza alla polizia monarchica rispetto a quella democratica. In tale passaggio, Benjamin afferma che la polizia «nelle democrazie [...] testimonia la massima degenerazione pensabile della violenza» – una presa di posizione che non può non sbalordire, e che rappresenta una scossa nei confronti dell’ordine di concetti attraverso i quali la società democratica si autointerpreta. Provare a darne ragione è stata l’occasione per testare la percorribilità di un’interpretazione del saggio volta ad individuare, in esso, i tratti specifici della modernità giuridico-politica, ma anche per tematizzare il monopolio della Gewalt da parte dello stato moderno e, coerentemente con gli obiettivi dichiarati del presente lavoro, per fuoriuscire dall’autoreferenzialità della forma politica democratica. Attraverso l’interpretazione di Jacques Derrida del passo, ma soprattutto nella mancata adesione alle sue conclusioni, si è tentato di dare ragione della posizione benjaminiana in termini di filosofia politica. Individuate le specificità del diritto e della forma politica moderni, abbiamo cercato di analizzare il concetto-limite di ogni teoria della sovranità, ovvero il concetto di guerra civile. Lo si è fatto a commento dell’ottava tesi sul concetto di storia, considerata l’ultimo atto della battaglia teorica che ha visto contrapporsi Carl Schmitt e Walter Benjamin intorno allo statuto della legge nello stato di eccezione. In essa, Walter Benjamin contrappone a uno «stato di eccezione in cui viviamo» che «è la regola» un «vero stato di eccezione». Assunto questo punto di partenza, si è tentato, nel quarto capitolo, di elaborare una concezione della guerra civile che fosse utile per illuminare i rapporti tra Stato e diritto, in un’ottica di sostanziale continuità della guerra civile con l’esercizio del potere costituito: la guerra civile come stato di eccezione. Si è pervenuti a una concezione della guerra civile non nei termini dell’avvenuta perdita di controllo da parte del sovrano sulla società civile, o della dissoluzione della civitas, bensì come di uno dei modi del gerere rem publicam, una tecnica di esercizio del potere sovrano. Si è quindi aderito a una concezione dello stato di eccezione opposta a quella classica e vicina a quella tradizione che, da Marx, a Benjamin, a Korsch, individua in essa una condizione permanente. Abbiamo visto come la guerra civile non sia mai del tutto esclusa dalla vita politica e come il moderno Stato rappresentativo possa essere definito come l’ente che informa il conflitto civile, che definisce le parti in gioco, che sanziona le vittorie delle parti tramite il diritto e che può, in ogni caso, sospenderlo, ma che non ha interesse a mettervi fine. In questa ottica, il saggio giovanile Per la critica della violenza trova il suo epilogo nell'ottava delle Tesi sul concetto di storia, ultimo testo scritto da Benjamin prima della morte. Di più, l’individuazione nel rapporto mezzi-fini dell’architrave dell’ordine giuridico consente di fare della nozione di Aufgabe, che ritorna più volte nell'opera benjaminiana, un termine tecnico del lessico del filosofo tedesco che indica una prassi libera dalla strumentalità e dalla finalità, e, quindi, una prassi messianica.
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LA PERSONA UMANA IN UNA SOCIETA' PLURALE. ANALISI CRITICA DEL PENSIERO DI H.T. ENGELHARDT JR.GATTI, CHIARA 01 March 2016 (has links)
Il presente lavoro approfondisce il pensiero di H.T. Engelhardt Jr. dal momento che la sua produzione permette di soffermarsi sul concetto di persona umana, concetto chiave per dirimere le questioni bioetiche che emergono nella società contemporanea caratterizzata da un intrinseco pluralismo. Dopo aver fornito un quadro dei caratteri della società postmoderna e della lettura che ne dà Engelhardt, sono stati analizzati i punti fondamentali del suo pensiero volto a sostenere una morale di tipo minimale e procedurale. Di contro alla sua impostazione, una corretta semantizzazione del concetto di persona umana risulta fondamentale per garantire la tutela di ogni essere umano rispetto alle questioni che sorgono intorno all’inizio e alla fine della vita e per riaffermare il potere della ragione umana di comprendere a fondo la realtà e di fornire una morale di tipo sostanziale. L’analisi infine della produzione di Engelhardt che scaturisce da un approccio fideistico alla fede cristiana è illuminante poi per avere un quadro completo del suo pensiero e per comprendere a fondo le radici della sfiducia che egli ripone nella ragione. / This dissertation explores the thought of H.T. Engelhardt Jr. since its production can dwell on the concept of human person, the key concept for resolving bioethical issues that arise in contemporary society characterized by intrinsic pluralism. After providing an overview of the characteristics of postmodern society and reading that gives Engelhardt, have been analyzed the fundamental points of his thought which supports a type of a minimal and procedural moral. In contrast to his setting, a proper semanticization of the concept of human person is essential to ensure the protection of every human being with respect to issues that arise around the beginning and the end of life and to reaffirm the power of human reason to understand in depth reality and provide a type of substancial moral. Finally the analysis of production of Engelhardt springing from a fideistic approach to the Christian faith is enlightening then to have a complete picture of his thought and to fully understand the roots of mistrust that he puts in reason.
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