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Tra sacro e potere. Verso la Scienza Nuova come teologia civile ragionata della Provvidenza divina.

Fidelibus, Francesca 19 July 2023 (has links)
The aim of the thesis is to reconstruct the relationship between sacred and power, divine and society, religion and politics in the theoretical itinerary of Giambattista Vico with special attention to the legal work known as “Diritto Universale” and to the “Scienza Nuova” in its various drafts. Relocating Vico within the broader debates of the seventeenth-eighteenth-century relating to the questioning of the political fact, of power and its foundation, an attempt has been made to look at Vico’s reflection as a critical instrument to transversally read the development of political ideas of the West that has no little to do with the problematic relationship between sacred and power, religion and politics. Therefore, with a dual historical-philological and philosophical approach, the passage was noted from a “historical theodicy” summarized in the juridical work to a “reasoned civil theology of divine Providence” in the Scienza Nuova within which the “diagnostic” force and the eccentric modernity of Vico is condensed.
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Per la critica della concettualità politica moderna. Walter Benjamin e il monopolio della Gewalt.

Rose, Lisa January 2017 (has links)
Se il compito che si prefiggeva Benjamin in Per la critica della violenza era l’esposizione dei rapporti che intercorrono tra violenza, diritto e giustizia, situare la relazione che lega questi tre concetti in un contesto storico-politico è lo scopo del presente lavoro. Il contesto storico-politico scelto è quello delle moderne democrazie occidentali. Nel primo capitolo, viene portato alla luce il rapporto tra il filosofo ebreo-tedesco Benjamin e il giurista Carl Schmitt, entrambi critici della breve – e travagliata – parentesi di parlamentarismo liberale che la Germania si era data con la Repubblica di Weimar. Si è individuato come luogo privilegiato attraverso il quale esaminare le divergenze e, in un senso molto peculiare, le somiglianze tra i due pensatori, nello stato di eccezione quale concetto-limite del diritto. L’ipotesi che si è provato ad avanzare nel corso del secondo e terzo capitolo è che il diritto, pur mantenendo la sua funzione inalterata – che è, per Benjamin, quella di essere strumento di oppressione –, ha, nelle sue realizzazioni concrete, delle peculiarità diverse a seconda delle fasi storiche e politiche in cui viene esercitato. Per analizzare i modi diversi in cui il diritto, a seconda della fasi storiche e dalle forme politiche in cui viene esercitato, fa presa sul vivente, si è partiti dalla cosiddetta «preistoria» del diritto, illustrata da Benjamin nel saggio dal titolo Franz Kafka. Per il decimo anniversario della sua morte, e, passando per Destino e carattere e per i saggi dedicati al linguaggio (Sulla lingua in generale e sulla lingua dell’uomo e Il compito del traduttore), si è arrivati ad analizzare le specificità prettamente moderne del diritto espresse in Per la critica della violenza. Non avendo Benjamin dedicato alcuno scritto alla successione temporale di sistemi giuridici, né avendo mai dichiarato di volerne delineare una storia, è con estrema cautela che abbiamo rilevato le caratteristiche delle diverse fasi del diritto (o temporalità giuridiche, come si è voluto chiamarle nel secondo capitolo) nella sua opera, senza giungere a tracciare un susseguirsi lineare da una all'altra, e evidenziandone, anzi, le sovrapposizioni e i rimandi. L’analisi della violenza giuridica – e della violenza pura che ha per compito la dissoluzione del legame tra quella e l’uomo – è stata riportata alla questione del monopolio della violenza da parte del diritto, tratto che Benjamin rinveniva nelle legislazioni europee a lui contemporanee. Nel secondo capitolo, si è cercato di rinvenire i riferimenti precisi alla situazione politica in cui Benjamin si trovava al momento della stesura del saggio, quindi alla Repubblica di Weimar e alla legislazione a lui contemporanea, oltre ad alcuni rimandi alla democrazia come orizzonte interpretativo della forma politica di riferimento. Sin dalle prime pagine del saggio, Benjamin riconosce di basare la sua Critica sulle legislazioni europee moderne. Secondo Benjamin, infatti, per essere compresa, la finalità della violenza deve essere posta in relazione con una fattispecie determinata di rapporti giuridici, ed egli dichiara che, «per semplicità», nel corso del saggio farà riferimento «alle presenti legislazioni europee». A partire dai rapporti giuridici moderni, Benjamin rintraccia una loro «massima generale», che riassume nella tendenza all’onnipervasività del diritto, riscontrabile anche nelle legislazioni attuali, oltre a citare esempi di violenza squisitamente moderni (la lotta di classe, i differenti tipi di sciopero, il servizio militare obbligatorio, le critiche ad esso – risalenti al periodo della Prima guerra Mondiale –, la polizia come istituzione moderna, i parlamenti). Una delle novità della concettualità politica moderna che abbiamo individuato è rappresentata dal fatto che, nella modernità, il potere politico non trova alcuna opposizione di fronte a sé, in quanto i singoli hanno riconosciuto come loro proprie le azioni di colui che detiene il potere supremo. È così legittimato il monopolio della Gewalt, in quanto fondato sulla volontà di tutti. Conseguentemente ha acquisito grande rilievo la preferenza accordata da Benjamin nel testo Per la critica della violenza alla polizia monarchica rispetto a quella democratica. In tale passaggio, Benjamin afferma che la polizia «nelle democrazie [...] testimonia la massima degenerazione pensabile della violenza» – una presa di posizione che non può non sbalordire, e che rappresenta una scossa nei confronti dell’ordine di concetti attraverso i quali la società democratica si autointerpreta. Provare a darne ragione è stata l’occasione per testare la percorribilità di un’interpretazione del saggio volta ad individuare, in esso, i tratti specifici della modernità giuridico-politica, ma anche per tematizzare il monopolio della Gewalt da parte dello stato moderno e, coerentemente con gli obiettivi dichiarati del presente lavoro, per fuoriuscire dall’autoreferenzialità della forma politica democratica. Attraverso l’interpretazione di Jacques Derrida del passo, ma soprattutto nella mancata adesione alle sue conclusioni, si è tentato di dare ragione della posizione benjaminiana in termini di filosofia politica. Individuate le specificità del diritto e della forma politica moderni, abbiamo cercato di analizzare il concetto-limite di ogni teoria della sovranità, ovvero il concetto di guerra civile. Lo si è fatto a commento dell’ottava tesi sul concetto di storia, considerata l’ultimo atto della battaglia teorica che ha visto contrapporsi Carl Schmitt e Walter Benjamin intorno allo statuto della legge nello stato di eccezione. In essa, Walter Benjamin contrappone a uno «stato di eccezione in cui viviamo» che «è la regola» un «vero stato di eccezione». Assunto questo punto di partenza, si è tentato, nel quarto capitolo, di elaborare una concezione della guerra civile che fosse utile per illuminare i rapporti tra Stato e diritto, in un’ottica di sostanziale continuità della guerra civile con l’esercizio del potere costituito: la guerra civile come stato di eccezione. Si è pervenuti a una concezione della guerra civile non nei termini dell’avvenuta perdita di controllo da parte del sovrano sulla società civile, o della dissoluzione della civitas, bensì come di uno dei modi del gerere rem publicam, una tecnica di esercizio del potere sovrano. Si è quindi aderito a una concezione dello stato di eccezione opposta a quella classica e vicina a quella tradizione che, da Marx, a Benjamin, a Korsch, individua in essa una condizione permanente. Abbiamo visto come la guerra civile non sia mai del tutto esclusa dalla vita politica e come il moderno Stato rappresentativo possa essere definito come l’ente che informa il conflitto civile, che definisce le parti in gioco, che sanziona le vittorie delle parti tramite il diritto e che può, in ogni caso, sospenderlo, ma che non ha interesse a mettervi fine. In questa ottica, il saggio giovanile Per la critica della violenza trova il suo epilogo nell'ottava delle Tesi sul concetto di storia, ultimo testo scritto da Benjamin prima della morte. Di più, l’individuazione nel rapporto mezzi-fini dell’architrave dell’ordine giuridico consente di fare della nozione di Aufgabe, che ritorna più volte nell'opera benjaminiana, un termine tecnico del lessico del filosofo tedesco che indica una prassi libera dalla strumentalità e dalla finalità, e, quindi, una prassi messianica.
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L'ipotesi non necessaria: Ermeneutica demitizzante e critica utilitarista della religione in Jeremy Bentham

Russo, Raffaele January 2013 (has links)
Tra Paley e Bentham l’utilitarismo attraversò, nel giro di pochi anni, la sua linea d’ombra, e pur mantenendo dei tratti riconoscibili di continuità mutò in modo evidente la propria configurazione e organizzazione teorica. Nella prospettiva della storia di questa peculiare dottrina, lo scoccare di uno dei più importanti momenti di passaggio della modernità si può collocare con una certa precisione, tra il 1785 (l’anno della pubblicazione dei Principles of Moral and Political philosophy di Paley) e il 1789 (l’anno della pubblicazione della Introduction to the principles of Morals and Legislation di Bentham, e che evidentemente è significativo anche per altre clamorose manifestazioni di novità nel mondo istituzionale e politico). Anche in quella peculiare elaborazione collettiva che fu in quel periodo il dibattito che portò alle più importanti prese di posizione pubbliche degli utilitaristi inglesi, si può situare in quegli anni il momento in cui il progressivo “disincanto del mondo” si è fatto concezione generale e sistematica della vita associata degli uomini e del mondo cui essi appartengono. Proprio il passaggio, nel volgere di pochi anni, dall’utilitarismo di Paley a quello di Bentham, comportò – partendo da elementi dottrinali molto simili – una concezione completamente nuova della legittimazione dell’autorità, e una parte rilevante di questo spostamento teorico ed ideologico riguardò questioni apparentemente eterogenee, quali il tema dell’origine del mondo, l’opportunità o meno di prestare giuramento nei tribunali, l’analisi della coerenza logica del catechismo impiegato nell’istruzione religiosa inglese e l’indirizzo esatto della casa di un certo Anania, oscuro abitante della Damasco del primo secolo dopo Cristo.
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Incivilimento e storia filosofica nel pensiero di Antonio Rosmini

Baggio, Alberto January 2015 (has links)
Il presente lavoro si propone di indagare il tema dell'incivilimento e più in generale della storia a partire dalla prospettiva filosofica di Antonio Rosmini. Il filosofo di Rovereto risponde alle moderne teorie dello stato di natura, del perfettismo, del socialismo contrapponendo una antropologia che è propriamente antropologia filosofica. Con i grandi Agostino, Tommaso, Bonaventura ripropone nella modernità il tema fondamentale del peccato originale come nodo teologico e filosofico per comprendere l'uomo, il cittadino, il credente. La filosofia di Rosmini, basata sulla teoria del sintesismo delle tre forme dell'essere, mostra come il cristianesimo sia il vero incivilitore dei popoli. L'uomo è ontologicamente fondato in Cristo, l'umanità è per essenza cristiana. In questo modo, poiché la storia è da leggersi come storia sacra, storia della Chiesa-Società teocratica, anche la riflessione sul suo andamento non è più pensabile nel termine politico-sociale di "incivilimento", ma più propriamente in quello teologico di "cristificazione".
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L’altro « partage ». Georges Bataille e l’ecologia

Berlantini, Germana 25 June 2022 (has links)
Questa tesi si propone come una rilettura dell'opera filosofica di Georges Bataille alla luce delle grandi emergenze ecologiche del nostro tempo e a partire dal problema della divisione tra natura e cultura. Negli ultimi vent'anni, l'opera di Georges Bataille ha incontrato un rinnovato interesse in alcune branche della filosofia e delle scienze sociali che riflettono sulla categoria dell'Antropocene e sulle forme del tardo capitalismo, a metà strada tra incubo climatico e tecno-premetismo. Il fascino di questo pensiero dipende dalle risonanze che esso riesce a stabilire con alcuni dei nodi politici e teorici più attuali: la critica e il superamento dell'antropocentrismo, la modellizzazione degli scambi tra ambiente ed esseri umani, la convivenza con le catastrofi. Il nostro lavoro evidenzia il dispiegamento di una catena di dualismi (continuo e discontinuo, interno ed esterno, eterogeneo e omogeneo) che intersezionano la divisione tra natura e cultura, creando un inedito spazio di incontro tra un certo ricorso al naturalismo e un pensiero dell’animazione. Le fonti scientifiche, antropologiche e filosofiche di quest’opera sono analizzate in profondità per farne emergere le consonanze con i temi più attuali della filosofia ambientale contemporanea. Interpretando i dualismi bataillani come il dispiegamento di un pensiero della biforcazione ontologica e cosmologica della modernità, ne esploriamo le possibili implicazioni per una riflessione ecologica all'altezza della congiuntura presente.
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Professione e ordine. Per una storia dell'etica professionale

Faitini, Tiziana January 2014 (has links)
Scopo di questa ricerca è interrogarsi sulla storia del campo di problematizzazione dell'etica professionale e sulle condizioni di possibilità per il darsi di un tale campo, nella convinzione che ciò consenta di riflettere da una prospettiva critica meno usuale sulla rilevanza politica del lavoro, che funge indubbiamente - nella società occidentale contemporanea - da elemento essenziale di inclusione esplicandosi come funzione normata di produzione di identità politico-sociale. Dopo aver reso conto dell'attuale dibattito in materia di etica e deontologia professionale, dei suoi immediati antecedenti e della sua relazione di affinità rispetto al contesto socioeconomico in cui esso matura, l'attenzione si concentra pertanto su una ricostruzione storica del concetto di professione che – ragionando non tanto sul versante weberiano del Beruf quanto su quello latino della professio, con speciale riferimento alla professio census e alla tematizzazione de officiis – muove dal diritto romano e dal pensiero patristico risalendo fino all'esperienza medievale, alla trattatistica della Controriforma e al graduale emergere di un'etica professionale in senso stretto sul finire del Settecento, per provare a chiarire nei termini di “inclusione nell'ordine” quell'intreccio tra radice teologica, politica ed economica che aiuta a comprendere il rilievo che alla professione è stato via via riconosciuto sul piano etico e politico-sociale.
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Against the Backdrop of Sovereignty and Absolutism: The Theology of God's Power and Its Bearing on the Western Legal Tradition, 1100-1600

Traversino Di Cristo, Massimiliano January 2016 (has links)
In focusing on the theology of God's power, this dissertation neither presents an exhaustive historical biography of political theology nor exalts its career in the Western history of ideas. Rather, it attempts to determine the degree to which the modern fate of this field depended on the dialectic of the distinction between two separate types of God's power. To this end, I explore employments and embodiments of this power over a number of centuries. The mediaeval investigation into God's attributes was originally concerned with the problem of divine almightiness, but underwent a slow but steady displacement from the territory of theology to the freshly emerging proceedings of legal analysis. Here, based on the distinction between potentia Dei absoluta and ordinata (God's absolute and ordered power), late-mediaeval lawyers worked out a new terminology to define the extent of the power-holder's authority. This effort would give rise, during the early modern era, to the gradual establishment of the legal-political framework represented by the concepts of the prince and sovereignty. In covering the time from Peter Damian (d. 1072) to Alberico Gentili (d. 1608), I demarcate the limits of this evolution as well as its thematic direction. Damian illustrates how mediaeval theologians' introduction of the distinction potentia Dei absoluta/ordinata extended the horizon of what is feasible for God, while Gentili confronts us by placing the most spectacular consequences of the emerging question in the normative realms of law and politics. I conclude that the question of potentia Dei finally emerges as the Archimedean point from which the account of the history of the European legal tradition is supplemented with its structuring twofoldness - through, for example, such binomial conceptual tensions as centralism/authonomy, legislative/judicial authority, and written/unwritten law.

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