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Sweep all like a Deluge". Lavoro e cittadinanza nella filosofia di John Locke"

Mengali, Fabio January 2019 (has links)
La tesi indaga la risignificazione storico-concettuale del lavoro in rapporto alla cittadinanza nell'opera di Locke, evidenziando come l'attività lavorativa abbia operato come un dispositivo di inclusione differenziale degli abitanti del Commonwealth. Sulla linea della tipologia di lavoro, del rapporto di dipendenza/indipendenza e dello status Locke marca la distanza tra coloro che possono godere dei pieni diritti di cittadinanza, estesi anche ai ceti produttivi ma non nobili, e coloro che ne sono esclusi (i poveri e i salariati). Lo studio del pensiero lockiano, raffrontato con le considerazioni sul tema di altri autori della tradizione filosofica occidentale e del contesto inglese coevo, ci consente di vedere sotto un'altra luce il legame tra cittadinanza e lavoro, che storicamente ha contribuito non solo a comprendere nei termini della cittadinanza le classi subalterne, ma anche a consolidare le gerarchie sociali. Tale punto di vista risulta utile alla comprensione delle aporie del presente che interessano il nesso tra cittadinanza e lavoro, messo in crisi della trasformazioni sociali e produttive della contemporaneità.
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Immagini del mondo e forme della politica in Max Weber

Alagna, Mirko Domenico January 2014 (has links)
L’idea della redenzione era di per sé antichissima, se in essa si include la liberazione dal bisogno, dalla fame, dalla siccità, dalla malattia e – infine – dalla sofferenza e dalla morte. Tuttavia la redenzione acquistò un significato specifico soltanto dove fu espressione di un’''immagine del mondo'' razionalizzata sistematicamente e di una presa di posizione in base a questa. Infatti ciò che la redenzione, secondo il suo senso e la sua qualità psicologica, voleva e poteva significare, dipendeva appunto da quell’immagine del mondo e da questa presa di posizione. […] L’immagine del mondo stabiliva infatti “da che cosa” e “per che cosa” si volesse e – non si dimentichi – si potesse essere “redenti”: da una servitù politica e sociale, in vista di un futuro regno messianico nell’aldiqua […] oppure dai limiti della finitezza che si manifestano nella sofferenza, nella necessità e nella morte, e dalla minaccia delle pene infernali, in vista di un'eterna beatitudine in un'esistenza futura, terrena o paradisiaca (Weber 2002). Questo appena citato è sostanzialmente l'unico passaggio esplicitamente programmatico e vagamente definitorio che Weber dedica al concetto di “immagine del mondo” [Weltbild]; eppure la scommessa su cui si basa questo lavoro è che sia possibile rintracciare in Weber un uso costante, sotterraneo e implicito del dispositivo “immagine del mondo” nel concreto dell'analisi sociale e storica, nonostante la ritrosia definitoria e il “basso profilo” teorico. Di fatto, è possibile e almeno in parte addirittura inevitabile leggere l'intera Sociologia della religione come una grandiosa galleria di immagini del mondo: una panoramica delle diverse interpretazioni del mondo elaborate dalle religioni universali e delle differenti soggettività che tali Weltbilder hanno plasmato. Sinteticamente, l'immagine del mondo è una spiegazione e un'interpretazione dell'esistente, una rete di assunti cognitivi sul mondo stesso in grado di definire priorità e gerarchie; pur essendo teoricamente indimostrabili, le immagini del mondo sono praticamente ineludibili, in quanto costituiscono un necessario sistema di orientamento: esse definiscono gli obiettivi da perseguire e i mali da fuggire e in questo modo plasmano il nostro atteggiamento nei confronti di ciò che ci circonda, incentivano determinati comportamenti ed escludono altri dall'orizzonte di ciò che è “sensato”. Due sono i principali obiettivi della tesi: in primo luogo estrarre e astrarre dal lavoro weberiano uno schema, una “teoria delle immagini del mondo” in grado di essere strumento concettuale utile per l'analisi sociale anche nella contemporaneità; in secondo luogo testare le potenzialità esplicative del concetto di “immagine del mondo” in ambito politico: interpretare cioè le diverse forme politiche come precipitato di differenti immagini del mondo. 1) Non bisogna farsi ingannare dal contesto: le religioni sono solamente un sottoinsieme – per quanto archetipico e particolarmente chiaro – della più ampia categoria delle “immagini del mondo”. Anzi, punto di partenza della riflessione sociale weberiana è che il rapporto tra uomo e mondo è sempre mediato da immagini, non necessariamente religiose; ogni società elabora una propria idea teoreticamente indimostrabile di “bene” e di “male”, e definisce un orizzonte del possibile. Insomma, che si tema la dannazione eterna o la miseria terrena, che si aspiri alla pace dei santi nell'aldilà o alla ricchezza su questa terra, che si pensi il mondo come un cosmo immutabile o come un terreno di scontro tra classi in marcia verso il progresso: si tratta di variabili decisive per lo studio e la comprensione dei comportamenti degli attori sociali, e si tratta di variabili definite esattamente dall'immagine del mondo. Per afferrare il senso degli atteggiamenti e delle dinamiche di una società è quindi necessario rappresentarsi preliminarmente la sua immagine del mondo. 2) Definendo incubi e obiettivi, paure e speranze, l'immagine del mondo plasma l'agire degli individui e di conseguenza impatta necessariamente con la politica. I santi puritani sconfiggono il Leviatano ridicolizzando le sue minacce e le sue promesse: chi temeva solo la dannazione e aspirava solo alla salvezza dell'anima era completamente indifferente alle persecuzioni e alle lusinghe del potere mondano, poiché chi teme Dio non può avere paura di piccoli re. Il socialismo è riuscito ad arruolare nell'esercito proletario masse che per secoli avevano accettato con santa rassegnazione la propria condizione materiale: ciò è stato possibile nel momento in cui il Weltbild socialista è riuscito a tradurre la miseria in sfruttamento; gli “ultimi” cominciano a provare ira nel momento in cui percepiscono la propria subordinazione come ingiusta ed evitabile, eleggendo a nemici non le macchine o il destino, ma specifici rapporti di produzione. Nella tesi si compiono tre carotaggi nella storia politica della modernità europea dimostrando la loro relazione con tre differenti immagini del mondo: Puritanesimo e genesi dei diritti di libertà; armonia degli interessi e liberalismo; socialismo e movimento operaio. Ultima precisazione: la “teoria delle immagini del mondo” non si configura come un idealismo mascherato. Piuttosto essa costituisce la terza via tra i riduzionismi opposti di tipo materialista (e al giorno d'oggi economicista) e latamente idealista. Essa concepisce dimensione materiale e dimensione immaginativa come ambiti tra loro in reciproca osmosi, ma pure dotati di una loro autonomia. Nell'analisi della contemporaneità, ad esempio, il riferimento al concetto di immagine del mondo consente di tematizzare le mutazioni della soggettività evitando tanto di ridurle a mero riflesso delle trasformazioni del capitalismo contemporaneo, quanto di enfatizzare il lato unicamente culturale senza focalizzare la dimensione materiale.
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Illiberal Secularism: A Critical Approach to the Study of Social and Religious Governance in Liberal Democracies

Guzzo Falci, Paula January 2018 (has links)
Taking note of the emergence of illiberal forms of governance across Western Europe, a liberal and democratic region, this thesis endeavors to unravel one particular manifestation of this tendency, illiberal secularism. Specifically, it asks how secularism has been discursively (trans)formed in political contexts so as to allow for the emergence of illiberal forms of social and religious governance. To address this question, this thesis analyzes the discursive enactment of ideological secularism by Italian state actors in three cases—the Crucifix, the Burqa, and the Charter cases. Building on critical and discursive perspectives, this thesis argues that secularism is an ideology that shapes thinking and action and provides a conceptualization of, and an answer to, the problem of diversity. Thus, it proposes to study secularism as a political category that works as a stake in, and as a means through which contemporary contests over religion and diversity are conducted. In methodological terms, these considerations lead to a combined analytical endeavor, which focuses on both the conceptual grammar of secularism and the discursive practices through which state actors (re)construct this ideological formation. Conducting conceptual and critical discourse analyses, this thesis reveals the argumentative structures and the main ideational and relational assumptions of Italian state actors’ discourses. It demonstrates that, in all three cases, these actors revise secular–religious demarcations in ways that expand the secular power of the state over the religious realm and, moreover, allow for the revision of liberal entitlements and for the resetting of the boundaries that define the political community. Notably, this thesis finds that it is through the secularization of Christianity, the culturalization of liberalism, and the othering of Muslims that some state actors reconcile secularism and illiberalism, thereby promoting practices that restrict and violate important liberal values and achievements, such as religious freedom and political unity.
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Il concetto di "convenienza" in Montesquieu. Giustizia e arte politica

Pulvirenti, Gabriele 02 September 2023 (has links)
The notion of “convenance” has only recently attracted the attention of Montesquieu scholars, who have repeatedly stated its centrality to the author's thought, as well as a certain inherent ambiguity. This thesis firstly explores the history of the concept, starting from some existing studies that have laid the foundations for a research in this direction. In its Latin version (“convenientia”), the concept’s first philosophical appearance is due to Cicero, as a translation of certain notions from Stoic philosophy. The notion acquires then a non-secondary place in scholastic thought, finding application in different fields, from logic to theology and morality. In the Modern Age, the concept of “convenientia” becomes of great relevance in the moral and legal spheres: among others, Grotius, Pufendorf, Malebranche or Leibniz develop or rework differently the scholastic and stoic traditions where it was employed. Through these channels the notion of “convenientia” can reach the young author of the Persian Letters, who employs it in his ambiguous definition of justice as a “rapport de convenance” (letter 81). The study of the sources and the analysis of the major issues linked to this definition of justice singularly benefit from this retrospective look at the possible philosophical traditions where this notion of “convenance” is employed. On the basis of this examination of the texts, the thesis advanced is that the expression “rapport de convenance” denotes only the a priori or formal aspect of justice, which elsewhere the author designates as “rapport d’équité”. If “convenance” designates the universal and invariable aspect of justice, a study of its content, which is variable and relative, must lead to the various orders of law: natural, civil, political. The investigation thus crosses a second axis of relevance of the concept of “convenance” in Montesquieu’s work, namely the question of the relativity or “convenance” of laws to the people for whom they are established, on which the entire structure of the Spirit of Laws rests. This second (and very much Aristotelian) axis is the subject of a classification in the thesis. Human laws and institutions can be understood according to different planes of “convenance”: general, structural, local. Pivotal concepts in Montesquieu’s work, such as political freedom, moderation, “esprit général”, nature and principle of government, can then be understood in this articulation between “convenance à la société” in general and “convenance à chaque société” in particular, according to a structural or typological logic or according to a singular and local one. The scholastic usages inherited and reworked by the moderns include one that some french scholars have recently designated as the “argument de convenance”, i.e. the idea that God works in the simplest ways and always chooses the best. The thesis investigates the presence of this argument in Montesquieu, suggesting that the author conceives it above all as a principle of the “economy of nature”. Moreover, it is argued that this principle, while secularizing the traditional “argument de convenance”, acquires a fundamentally political significance: the art of legislation exiges to govern men by economising on violent means, that is, without doing violence to the natural inclinations of citizens and their freedom. In general, the study of Montesquieu’s thought through the lens of the notion of “convenance” allows one to better grasp the connection between the method of the art of legislation and the political and ideological objectives of his work, first and foremost the opposition to a despotic exercise of power.
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La naissance de la science politique moderne dans la Methodus de Jean Bodin : l'héritage de Budé et de Connan, du droit à la politique

Akimoto, Shingo January 2019 (has links)
Our research aims to examine how the innovative conception of "political science", developed by Jean Bodin (1529/30-1596) in his Methodus ad facilem historiarum cognitionem (1566; 1572), falls within the scope of a humanist program which restores legal science in the name of scientia civilis. We therefore propose to investigate the line of thoughts which regard the scientia civilis in the works of two of his predecessors, Guillaume Budé and François Connan, who develop this "science" for the sake of magistrates-judges of the Parlements by devising a "method" which intends to unify legal theory with practical knowledge. Their considerations lead them to establish a new paradigm of jusnaturalism and to re-establish, in modern times, the very notion of law on the basis of right reason, id est, on the basis of a community of laws dominated only by reason: civitas universa. We bring light to the fact that, when this community is identified with the international society of his time, supposedly ruled by the ius gentium which incarnates reason, Bodin bestows upon his scientia civilis a political character. If the jusnaturalist paradigm allows him to assume the transition from a barbarous state to a human society, it is his famous theory of sovereignty (summum imperium) that, by defining the coercive power delegated to the magistrates of Parlements, allows them to realize this transition. We propose that his "method" of reading the history enables him to materialize the political science, which determines, beyond the limits of legal science, the role the government plays in realizing the human society, or in other words, the new civitas universa, governed by the ius gentium.
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On agonism and design: dialogues between theory and practice

Willis, Max January 2019 (has links)
Design has the potential to disrupt the status quo, yet disruption inevitably introduces new conflicts. One of the challenges of Social Design is to navigate the social, political and material conflicts that define contemporary lives and find new ways to transform them into creative resources. In addressing that challenge this thesis investigates agonism, a multifaceted theory that explicates conflict and grounds the need for such an investigation in design activism. The political implications, practical considerations and design potentials of agonism are examined in detail, and three core principles of agonism are defined: Identities, Dialogues and Agonistic Space. These principles are elaborated through their relation to intersubjectivity as a fundamental aspect of human experience, its interactional role in identity formation and communication, and its influence on the production and performance of space. A Constructive Design Research methodology is employed that contributes to the understanding agonism through a series of research trajectories and interventions. Design strategies to enact agonism are proposed around game, play and interaction design: Identities can be investigated through Role-Playing, Dialogues can be initiated through Storytelling, and Agonistic Space can be manifested as a Third Place. These strategies are field tested to examine various communities and the conflicts within them. A game intervention Mind the Gap confronts the endemic problem of the gender gap in academic and professional communities of ICT and STEM. A research intervention takes agonistic perspectives to elucidate conflicts of European migration and participatory urban planning in a neighbourhood community in the U.K. A digital intervention applies agonism towards engaging a platform community that has no material form, in the online project of commonfare.net. These interventions experiment with creative inquiry, game and play as design speculations, sketching and constructing playful inerventions that engage participants in agonism, to enact challenges to the status quo and illuminate potential solutions to complex societal issues. The utility and outcomes of the principles and strategies are evaluated with a focus on emergent intersubjectivity through Dialogic Syntax and Critical Discourse Analyses of gameplay, narratives and design artifacts. The main contributions of this thesis are its shift from empathic perspectives to intersubjectivity in design research, and its operationalization of the theory of agonism for Social Design. Secondary contributions include the elaboration of game and play as design speculation that includes critical reflections on their real-world practices, and the artifact Mind the Gap which has evolved from prototype to a co-created, community driven experience that continues to engage people in meaningful dialogues that challenge the status quo of the gender gap.
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Il nemico ritrovato. Carl Schmitt e gli Stati Uniti

Mossa, Andrea January 2015 (has links)
La tesi affronta il tema del rapporto tra Carl Schmitt e gli Stati Uniti. Il primo capitolo, dedicato all'America vista da Schmitt, ripercorre i riferimenti presenti nell'opera dell'autore – dall'interpretazione della tradizione politico-giuridica americana in opposizione a quella continentale, al ruolo determinante che ha il Nuovo Mondo nello sviluppo e nella decadenza dell'ordinamento internazionale moderno, fino alle suggestioni teologico-politiche legate alla figura del katéchon – giungendo alla conclusione che non si possa liquidare l'atteggiamento di Schmitt come una pura e semplice ostilità assoluta nei confronti dell'America e di ciò che rappresenta. Per rendere conto di questo rapporto in tutta la sua complessità, occorre tenere presente la costitutiva ambivalenza dell'ultimo concetto schmittiano di inimicizia, e il suo implicare la dimensione del riconoscimento. Il secondo capitolo tratta del rapporto fra Schmitt e il nutrito gruppo dei suoi ex-allievi ed ex-amici che lasciarono la Germania per gli Stati Uniti a partire dagli anni Trenta. Al di là delle curiosità storico-biografiche, la ricostruzione di queste relazioni scientifiche e professionali e del loro retaggio è determinante per comprendere la (mancata) ricezione dell'opera di Schmitt nel secondo dopoguerra, e permette di fare un bilancio critico dell'ipotesi che egli abbia esercitato un'influenza “sotterranea” sul conservatorismo americano (ipotesi che nella tesi viene decisamente respinta per carenza di basi filologiche). Il terzo capitolo indaga la ricezione del pensiero schmittiano da parte di Hannah Arendt, prendendo spunto dalle moltissime annotazioni manoscritte lasciate da quest'ultima in margine alla sua copia del Nomos della terra. Insieme ai diari degli anni Cinquanta, questi appunti sono la traccia di un confronto molto significativo, che coincide (cronologicamente e concettualmente) con l'elaborazione della teoria dell'agire politico che troverà espressione nelle opere successive (Vita activa, Sulla rivoluzione, e l'incompiuta Introduzione alla politica): sebbene in questi scritti non sia mai citato il nome di Schmitt, la sua presenza come interlocutore implicito è pressoché costante, e testimoniata da un gran numero di indizi testuali. Nel quarto capitolo, infine, con una rassegna della bibliografia in lingua inglese degli ultimi trent'anni, si ricostruisce il crescente interesse per l'opera di Schmitt con particolare attenzione per due casi: quello della rivista «Telos», che ne ha rielaborato il pensiero integrandolo (non senza forzature) in una prospettiva di radicalismo democratico, e quello della leggenda storiografica che ha fatto di Schmitt una sorta di ispiratore occulto del neoconservatorismo americano e dell'amministrazione Bush junior.
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Professione e ordine. Per una storia dell'etica professionale

Faitini, Tiziana January 2014 (has links)
Scopo di questa ricerca è interrogarsi sulla storia del campo di problematizzazione dell'etica professionale e sulle condizioni di possibilità per il darsi di un tale campo, nella convinzione che ciò consenta di riflettere da una prospettiva critica meno usuale sulla rilevanza politica del lavoro, che funge indubbiamente - nella società occidentale contemporanea - da elemento essenziale di inclusione esplicandosi come funzione normata di produzione di identità politico-sociale. Dopo aver reso conto dell'attuale dibattito in materia di etica e deontologia professionale, dei suoi immediati antecedenti e della sua relazione di affinità rispetto al contesto socioeconomico in cui esso matura, l'attenzione si concentra pertanto su una ricostruzione storica del concetto di professione che – ragionando non tanto sul versante weberiano del Beruf quanto su quello latino della professio, con speciale riferimento alla professio census e alla tematizzazione de officiis – muove dal diritto romano e dal pensiero patristico risalendo fino all'esperienza medievale, alla trattatistica della Controriforma e al graduale emergere di un'etica professionale in senso stretto sul finire del Settecento, per provare a chiarire nei termini di “inclusione nell'ordine” quell'intreccio tra radice teologica, politica ed economica che aiuta a comprendere il rilievo che alla professione è stato via via riconosciuto sul piano etico e politico-sociale.
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Beyond Territorial Protection: Millet and Personal Autonomy as Instruments for (New) Minorities in Europe?

Quer, Giovanni Matteo January 2011 (has links)
New and non-territorial minorities in Europe do not find adequate protection within the territorial autonomy model. After a compared analysis of contemporary millet systems (Lebanon, Israel, and Iraq), the dissertation focuses on Eruopean instruments for protecting non-territorial minorities in terms of personal autonomy, cultural autonomy, and political representation. Europe is progressively adopting non-territorial means of minority protection, which leads to the reconsideration of the nation-State model. First, personal autnomy implies legal pluralism; secondly cultural autnomy and political representation require the progressive inclusion of diverse groups in teh decision-making processes.
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Against the Backdrop of Sovereignty and Absolutism: The Theology of God's Power and Its Bearing on the Western Legal Tradition, 1100-1600

Traversino Di Cristo, Massimiliano January 2016 (has links)
In focusing on the theology of God's power, this dissertation neither presents an exhaustive historical biography of political theology nor exalts its career in the Western history of ideas. Rather, it attempts to determine the degree to which the modern fate of this field depended on the dialectic of the distinction between two separate types of God's power. To this end, I explore employments and embodiments of this power over a number of centuries. The mediaeval investigation into God's attributes was originally concerned with the problem of divine almightiness, but underwent a slow but steady displacement from the territory of theology to the freshly emerging proceedings of legal analysis. Here, based on the distinction between potentia Dei absoluta and ordinata (God's absolute and ordered power), late-mediaeval lawyers worked out a new terminology to define the extent of the power-holder's authority. This effort would give rise, during the early modern era, to the gradual establishment of the legal-political framework represented by the concepts of the prince and sovereignty. In covering the time from Peter Damian (d. 1072) to Alberico Gentili (d. 1608), I demarcate the limits of this evolution as well as its thematic direction. Damian illustrates how mediaeval theologians' introduction of the distinction potentia Dei absoluta/ordinata extended the horizon of what is feasible for God, while Gentili confronts us by placing the most spectacular consequences of the emerging question in the normative realms of law and politics. I conclude that the question of potentia Dei finally emerges as the Archimedean point from which the account of the history of the European legal tradition is supplemented with its structuring twofoldness - through, for example, such binomial conceptual tensions as centralism/authonomy, legislative/judicial authority, and written/unwritten law.

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