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La filosofia della nascita in María Zambrano

Moretti, Manuela Giorgia 24 February 2023 (has links)
Il presente lavoro intende approfondire il tema della nascita nella filosofia di María Zambrano, indagando le diverse possibilità aperte da una tale prospettiva. In contrasto con una pregressa tradizione filosofica che ha accordato un netto privilegio alla morte, la filosofa spagnola sposta infatti l’attenzione sull’evento natale, rimodulando così l’intero suo pensiero all’interno di un orizzonte che riconosce il tratto proprio dell’umano nel suo “essere-natale” piuttosto che nel suo “essere-mortale” In un pensiero, come quello che María Zambrano ci offre, sempre inscindibilmente legato all’esperienza, è a partire dalla sua intensa biografia che si è scelto di approcciare il tema della filosofia della nascita. Il punto di partenza del lavoro che qui viene presentato coincide così con l’istante in cui per la prima volta la filosofa apre gli occhi al mondo, quel reiterato incipit vita nova che scandisce tutto il suo pensiero. All’interno delle vicende che hanno segnato la sua travagliata esistenza, in queste pagine viene dato particolare rilievo alla sua esperienza della maternità, aspetto tralasciato dalla critica e qui considerato come non privo di importanti implicazioni filosofiche. Tornare con il pensiero alla morte, per la maggior parte della sua esistenza tormentata, ha coinciso infatti per María Zambrano con il ripercorrere l’evento della nascita di quel figlio, costringendola a pensare nascita e morte insieme, all’interno di un paradosso dove era impossibile continuare a sostare. Dopo aver delineato i principali aspetti biografici della filosofa, segnati da quegli stati di totale abbandono che sperimenta durante la malattia e il lungo l’esilio, il percorso qui proposto si propone di delineare i principali aspetti teoretici del suo pensiero, approfondimento imprescindibile per addentrarsi adeguatamente nel complesso tema della sua filosofia della nascita. Viene qui messa in luce la presa di distanza della filosofa dal razionalismo occidentale, quella decisa rinuncia all’astrazione che nasce dall’accettazione che il commento sistematico non sia l’unico approccio possibile per avvicinarsi alla filosofia. Riconoscendo nel sentire la radice stessa dell’essere, María Zambrano si allontana infatti dalle astratte categorie della ragione per nutrirsi delle immagini che incontra nel suo cammino di esperienza, attingendo dal linguaggio della mistica e della poesia. Emerge così la possibilità di seguire una logica differente, un vero e proprio cammino di trasformazione che scardina le modalità di pensiero a cui siamo abituati per mostrarci altre possibilità e aprire nuovi orizzonti di senso. Si tratta di un pensiero che, senza mai recidere il legame con la realtà oscura e generativa, si rivela in grado di portare alla luce, sempre e nuovamente, quelle verità che non si lasciano rinchiudere nella gabbia di concetti puramente astratti. Una “ragione poetica” dunque, quella che la filosofa porta alla luce, così come viene solitamente e reiteratamente sottolineato, ma anche una “ragione materna”, in grado di generare un pensiero autenticamente fecondo. L’invito non è dunque quello di rinunciare al rigore metodologico, ma piuttosto quello di trovare altre vie che si discostano dai discorsi puramente sistematici, nel tentativo di riavvicinare il pensiero alla vita. Un esercizio di coerente fedeltà alla realtà stessa dunque che, come si cerca di mostrare in queste pagine, consente all’uomo di ricominciare a pensare dall’esperienza, a partire dalle entrañas (viscere), termine imprescindibile all’interno del pensiero della filosofa spagnola che indica la realtà generativa e materna. Le entrañas sono anche, significativamente, il simbolo di quel fecondo sapere femminile che qui ci si propone di riportare alla luce. È in questa prospettiva che s’inserisce anche il capitolo che indaga la relazione tra l’orizzonte della nascita e quello della maternità, per mostrare come, all’oblio filosofico dell’orizzonte della nascita, se ne affianchi un altro, di eguale portata, che riguarda l’offuscamento della sapienza materna. Non solo dunque una “filosofia della nascita”, quella che qui si cerca di delineare, ma anche e significativamente una “filosofia della maternità”, che mostra la possibilità di seguire una logica differente, in grado di portare alla luce ciò che è altro da sé, lasciando spazio all’inedito. Se alla nascita il pensiero filosofico ha dedicato scarsissima attenzione, si è ritenuto infatti necessario sottolineare come anche la maternità, simbolicamente e fisicamente tutta femminile, non sia mai stata posta al centro dell’attenzione dei filosofi. Un duplice oblio dunque, sul quale si è cercato di soffermarsi per comprendere e portare alla luce il pensiero generativo che la filosofa spagnola ci offre. Si tratta di provare a ritrovare fiducia nella fecondità del pensiero stesso, abbandonando l’abitudine di seguire sistemi puramente astratti, incapaci di indagare la realtà nelle sue pieghe più recondite. Un metodo, dunque, che invita a un ripensamento in ambito fenomenologico non relegato alle teorie della soggettività, in grado di esprimere l’essere nella sua interezza. Il cammino che María Zambrano ci indica attraverso il suo pensiero si rivela così come un percorso che apre alla vita e porta alla rivelazione di una nuova ragione. Allontanandosi dai concetti astratti e dalle vuote nozioni, la filosofa spagnola invita a seguire dunque, come si cerca di delineare nella parte finale della tesi, un metodo differente che, nutrendosi, come abbiamo precisato anteriormente, delle immagini che la filosofa incontra nel suo cammino di esperienza, si muove per irradiazione, illuminando dunque dall’interno, a partire da un “centro”. Nel sostituire alla chiusura del concetto la trascendenza dell’immagine, María Zambrano trasforma infatti il limite in apertura, consentendo quel reiterato movimento del nascere che è allo stesso tempo fedeltà alla realtà e trascendenza insieme. Sarà nel reiterato tentativo di raggiungere quel “centro” di visibilità pura, lì dove essere e pensiero coincidono, che il movimento del nascere si esplica. Un movimento trasformativo dunque, dove quell’anelata unità che María Zambrano vede incarnata nei “beati”, come qui si cerca di mostrare, non potrà mai essere raggiunta. È proprio in questa tensione continua dell’uomo verso l’unità sempre anelata che si annida la speranza, sostanza e fondo ultimo della nostra vita. Una speranza creatrice, quella che muove la filosofia della nascita in María Zambrano che si rivela autenticamente generativa proprio grazie alla sua capacità di farsi vuoto, senza cadere in ciò che è pre-costituto, pre-fabbricato, ma lasciando sempre, e nuovamente, spazio all’inedito. Non una speranza illusoria dunque, quella qui descritta, ma al contrario profondamente consapevole della sua realizzazione. Nella rinuncia all’astrazione, senza cadere nella gabbia mortifera della rigidità del concetto, María Zambrano mostra così la possibilità di seguire una logica differente che, grazie alla sua generatività, apre a cammini inesplorati. Nell’ultimo capitolo qui presentato, il pensiero di María Zambrano viene messo a confronto con la filosofia della nascita di un’altra grande pensatrice del Novecento, la filosofa tedesca Hannah Arendt, con l’intento di ampliarne l’orizzonte tematico, senza tuttavia cadere in facili parallelismi o pericolose semplificazioni. Il presente lavoro si chiude infine con un’Appendice dove vengono riportati alcuni manoscritti inediti custoditi presso la “Fundación María Zambrano” di Vélez-Málaga, scelti dalla dottoranda sulla base della loro relazione con i contenuti della tesi.
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Resurrecting Speranza: Lady Jane Wilde as the Celtic Sovereignty

Tolen, Heather Lorene 01 December 2008 (has links) (PDF)
This thesis explores the ways in which Lady Jane Wilde, writing under the pen name of Speranza, established ethos among a poor, uneducated, Catholic populace from whom she was socially and religiously disconnected. Additionally, it raises questions as to Lady Wilde's exclusion from the roster of Irish literary voices who are commonly associated with the Irish Literary Revival, inasmuch as Lady Wilde played a critical, inceptive role in that movement. Lady Jane Wilde, mother of Oscar Wilde, was an ardent nationalist who lived in Victorian Ireland. She contributed thirty-nine poems and several essays to the Nation newspaper—a nationalist publication—under the nom de plume of Speranza, which is Italian for "hope." However, her audience consisted largely of the Irish peasantry, who were for the most part poor, uneducated, and Catholic. The peasantry had little tolerance generally for members of the Protestant ascendancy who had held them in subjugation under the Penal Laws for so long. Lady Wilde, however, was wealthy, educated, and Protestant. Nevertheless, she claimed that she represented the "voice" of the Irish people. This thesis explores the notion that Lady Wilde gained popularity and trustworthiness among Irish commoners by fashioning herself after the Celtic Sovereignty goddesses in her dress, her motto and pen name, and her poetry. Also, by connecting herself with Irish folklore, Lady Wilde played an unsung role in the development of the Irish Literary Revival—a late nineteenth and early twentieth century movement that sought cultural sovereignty for Ireland in the face of English political rule. Despite her central role in the nationalist movement and her inceptive place in the Irish Literary Revival, though, Lady Wilde has been largely excluded from twentieth century historical texts and anthologies. Possible reasons for this exclusion are raised in this thesis, as well as a call for current and future critics to restore Lady Wilde to her rightful place as an important voice in Irish national and literary history. The first appendix of this thesis include selections from among Lady Wilde's poetry as they first appeared in the Nation newspaper and were later published in a compilation titled Poems, by Speranza. The second appendix contains the full text of a discourse analysis conducted on Lady Wilde's poetry in an effort to further strengthen the argument that she mimicked the role of the Celtic Sovereignty in her poetry.
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Choose to Avoid Tragedy

Martin, Zora 01 January 2018 (has links)
Shakespeare's ideas about free will and moral choice, as illustrated in his play Macbeth, may have been influenced by Dante's Inferno. Dante was known to Shakespeare's contemporaries, and therefore most likely to the Bard himself. Current literature has not conclusively addressed this topic, and a focused examination is important, because it offers both an additional perspective on free will in Inferno, and adds to the understanding of free will in Macbeth. Read at face value, Macbeth seems to bear no responsibility for his actions because they were preordained by the fates. Dante believed in free will, and Macbeth bears more than one similarity to his Commedia. Read through a Dantean lens, Macbeth has free will - even if choosing not to exercise it. Through the mere contemplation of the four reasons for not killing Duncan, Macbeth recognizes that he has the choice whether to become a traitor, with the consequences of suffering contrapasso damnation. But Macbeth elects to disregard the wisdom passed down in Dante's Commedia, and knowingly commits a heinously immoral act. Shakespeare uses his predecessor Dante as a tool to advocate for human agency and moral choices in a text that would otherwise be fatalistic. Both then and now, Shakespeare sought to influence his audiences' understanding of their own free will. One first has to believe in possessing free will, in order to use it to make the best possible choices. Dante and Shakespeare reaffirm our possession of free will to help us avoid individual and societal tragedies.
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SPERANZA E SPERANZE NELLA LETTERATURA ITALIANA DEL SECONDO NOVECENTO / Hope and Hopes in Italian Literature in the Second Half of the Twentieth Century

MASETTI, LUCIA 14 May 2021 (has links)
Scopo della ricerca non è registrare esaustivamente le occorrenze della speranza nella letteratura contemporanea, bensì mostrarne con esempi significativi le molteplici sfumature, evidenziando così la sua pervasività nell’esperienza umana e la sua capacità di resistenza. In particolare è stata analizzata l’opera omnia di nove autori: Carlo Betocchi, Dino Buzzati, Italo Calvino, Giorgio Caproni, Primo Levi, Mario Luzi, Luigi Santucci, Vittorio Sereni e Ignazio Silone. Si è utilizzata una metodologia comparativa, con aperture multidisciplinari. La tesi è suddivisa in otto parti, corrispondenti a diverse declinazioni del tema centrale. La prima offre una descrizione generale della speranza e dei suoi presupposti, la seconda approfondisce il legame con l’esperienza della temporalità. Le due parti successive analizzano la speranza per come si attua nella vita del singolo, da due punti di vista complementari: in quanto virtù matura, che chiede all’uomo di essere all’altezza di sé stesso, e in quanto virtù “bambina”, che si esprime nell’attenzione alle piccole cose del quotidiano. La quinta parte si apre a considerare la speranza nelle relazioni interpersonali, la sesta si concentra sul suo rapporto con la bellezza (naturale e culturale); infine le ultime parti sviluppano il tema del trascendente, ossia della speranza in relazione alla morte e al Divino. / My research does not aim to record exhaustively the occurrences of hope in contemporary literature. It rather wants to show hope’s multiple nuances through significant examples, highlighting its pervasiveness and resistance. I specifically analyse the works of nine authors: Carlo Betocchi, Dino Buzzati, Italo Calvino, Giorgio Caproni, Primo Levi, Mario Luzi, Luigi Santucci, Vittorio Sereni and Ignazio Silone. I use a comparative methodology, with a multidisciplinary approach. My thesis is divided into eight parts, each of ones examines a different declination of the central theme. The first one offers a general description of hope and its presuppositions, the second one explores the link between hope and temporality. The next two parts analyse hope as practically displayed in individual life, from two complementary points of view: as a mature virtue, which asks every man to live up to himself, and as a "child" virtue, expressed in caring for the small things of everyday life. The fifth part opens to consider hope in interpersonal relationships, the sixth focuses on its links with natural and cultural beauty. Finally, the last two parts develop the theme of hope in relation to death and the Divine.

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