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Il nemico ritrovato. Carl Schmitt e gli Stati Uniti

Mossa, Andrea January 2015 (has links)
La tesi affronta il tema del rapporto tra Carl Schmitt e gli Stati Uniti. Il primo capitolo, dedicato all'America vista da Schmitt, ripercorre i riferimenti presenti nell'opera dell'autore – dall'interpretazione della tradizione politico-giuridica americana in opposizione a quella continentale, al ruolo determinante che ha il Nuovo Mondo nello sviluppo e nella decadenza dell'ordinamento internazionale moderno, fino alle suggestioni teologico-politiche legate alla figura del katéchon – giungendo alla conclusione che non si possa liquidare l'atteggiamento di Schmitt come una pura e semplice ostilità assoluta nei confronti dell'America e di ciò che rappresenta. Per rendere conto di questo rapporto in tutta la sua complessità, occorre tenere presente la costitutiva ambivalenza dell'ultimo concetto schmittiano di inimicizia, e il suo implicare la dimensione del riconoscimento. Il secondo capitolo tratta del rapporto fra Schmitt e il nutrito gruppo dei suoi ex-allievi ed ex-amici che lasciarono la Germania per gli Stati Uniti a partire dagli anni Trenta. Al di là delle curiosità storico-biografiche, la ricostruzione di queste relazioni scientifiche e professionali e del loro retaggio è determinante per comprendere la (mancata) ricezione dell'opera di Schmitt nel secondo dopoguerra, e permette di fare un bilancio critico dell'ipotesi che egli abbia esercitato un'influenza “sotterranea” sul conservatorismo americano (ipotesi che nella tesi viene decisamente respinta per carenza di basi filologiche). Il terzo capitolo indaga la ricezione del pensiero schmittiano da parte di Hannah Arendt, prendendo spunto dalle moltissime annotazioni manoscritte lasciate da quest'ultima in margine alla sua copia del Nomos della terra. Insieme ai diari degli anni Cinquanta, questi appunti sono la traccia di un confronto molto significativo, che coincide (cronologicamente e concettualmente) con l'elaborazione della teoria dell'agire politico che troverà espressione nelle opere successive (Vita activa, Sulla rivoluzione, e l'incompiuta Introduzione alla politica): sebbene in questi scritti non sia mai citato il nome di Schmitt, la sua presenza come interlocutore implicito è pressoché costante, e testimoniata da un gran numero di indizi testuali. Nel quarto capitolo, infine, con una rassegna della bibliografia in lingua inglese degli ultimi trent'anni, si ricostruisce il crescente interesse per l'opera di Schmitt con particolare attenzione per due casi: quello della rivista «Telos», che ne ha rielaborato il pensiero integrandolo (non senza forzature) in una prospettiva di radicalismo democratico, e quello della leggenda storiografica che ha fatto di Schmitt una sorta di ispiratore occulto del neoconservatorismo americano e dell'amministrazione Bush junior.
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NANOFOOD: IL QUADRO NORMATIVO EUROPEO SUL FUTURO DEL CIBO / NANOFOOD: THE EUROPEAN LEGAL FRAMEWORK FOR THE FUTURE OF FOOD

LEONE, LUCA 19 February 2014 (has links)
Il lavoro di ricerca ha a oggetto l’analisi del modello europeo (UE) di regolamentazione delle nanotecnologie nel settore agroalimentare, con riferimento agli aspetti etico-giuridici e sociali, ai fini della definizione del quadro normativo di riferimento nella sua relazione con la dimensione di complessità e incertezza intrinseca nel sapere scientifico-tecnologico. La prospettiva teorica da cui muove l’analisi è la co-produzione tra i linguaggi della scienza e del diritto proposta dagli STS (Science & Technologies Studies). Partendo dalla descrizione degli aspetti scientifici dei nanomateriali e delle applicazioni nanotecnologiche nel settore alimentare, il lavoro analizza, in primo luogo, le problematiche correlate alle procedure di gestione del rischio – dalle prospettive più riduzionistiche della cd. “scienza del rischio” nell'innovazione alle più complesse modalità di valutazione integrata del rischio. L’indagine s’incentra, quindi, sulle forme che la normazione sta assumendo nell'intreccio con i saperi delle nanotecnologie, attraverso un approccio comparatistico delle esperienze normative europea e statunitense. L’ultima parte del lavoro s’indirizza, infine, all’analisi delle esigenze di democraticità sottese alle suddette scelte scientifico-giuridiche, problematizzando il concetto di governance anticipatoria e responsabile delle nanotecnologie (concetto correlato all’idea di riuscire a guidare i processi di innovazione attivamente), alla luce del rapporto tra conoscenze scientifiche, politiche agroalimentari e diritto. / In recent decades technoscientific innovation has pushed the food boundaries to a new frontier of nanofood. Such a term refers to an array of food products, whose processes of growing, production and packaging involve nanoscale (nanotechnology and nanosciences) knowledges and applications. This research focuses on the analysis of the European (EU) regulatory framework in the field of agrofood nanotechnology. The analysis considers the salient features of emerging applications of nanotechnologies in the agrofood sector and compares the legal framework on nanofood in the EU with the USA’s regulatory approach. It also develops an interpretation of the normative evolution in the EU, by trying to understand what is the role of science in governing technological risks in nanofood safety, and assessing how adequate the regulatory instruments are in achieving the goal of responsible research and innovation as proposed within the process of rethinking European governance.
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Le Minos dans le Corpus Platonicum

Scrofani, Francesca January 2017 (has links)
La thèse propose une analyse du Minos, court dialogue du Corpus Platonicum considéré comme apocryphe à partir du XIXème siècle. Ce dialogue pose la question de la définition de la loi et fait l’éloge de la figure de Minos en tant que roi et législateur. En le resituant dans son contexte historique au-delà de toute question d’authenticité, l’étude se propose de restituer au dialogue son organicité et son unité, qui lui sont niées par les études qui considèrent le dialogue comme le sous-produit d’un imitateur. L’étude se compose de trois noyaux. D’abord, une étude sémantique de l’argumentation, fondée sur des jeux étymologisants entre nomos, nomizein, dianemein, nemein, nomeus, permet à la fois de retracer l’unité et la subtilité de l’argumentation du dialogue et d’entamer une réflexion sur l’étymologie comme méthode argumentative utilisée par Platon et attestée dans d’autres dialogues apocryphes. Ensuite, une étude des trois définitions de la loi présentes dans le dialogue mène à une discussion sur les ressemblances et les différences entre le Minos et les grands dialogues politiques du corpus, République, Politique et Lois. Enfin, l’étude de l’éloge du roi Minos permet de voir les éléments communs au Minos et aux Lettres et de situer le dialogue dans un contexte précis : au IVème siècle, lorsque surgit un nouvel intérêt pour les figures monarchiques, et en particulier dans le contexte de l’Académie ancienne. L’éloge qui fait de la figure de Minos (perçu comme un tyran dans la société athénienne) un roi-législateur fondateur des meilleures lois grecques apparaît comme un manifeste de l’entreprise des réformes des tyrannies commencée par Platon et continuée par les Académiciens après sa mort. Les trois analyses aboutissent toutes à la même conclusion : le Minos peut être considéré comme l’une des premières exégèses des dialogues politiques de Platon dans le cadre de l’Académie. Cette exégèse présuppose une « lecture » de la lettre figée des dialogues authentiques et en reprend les concepts, les images et les méthodes dans une forme qui en est déjà une fixation et une schématisation, dans un contexte politique sensible au renouveau de la figure royale. Enfin, la ressemblance entre le Minos et nombre de fragments attribués à Archytas permet de considérer le Minos comme un hypo-texte fondamental dans la formation des écrits politiques pseudo-pythagoriciens.
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L'immagine della Cina nel pensiero giuridico dell'Europa del Settecento

Cardillo, Ivan January 2013 (has links)
Con il presente lavoro si cerca di ricostruire il dibattito sulla natura del sistema giuridico cinese che caratterizzò l'Europa nei secoli XVII e XVIII. Questo periodo lasciò in eredità un giudizio negativo, definendo il sistema giuridico cinese come un modello dispotico. Maggior artefice di tale conclusione è considerato Montesquieu, il quale dedicò molto tempo allo studio dell'esperienza giuridica cinese. Analizzando nel dettaglio i temi che coinvolsero il modello cinese, si scopre che questi non sono semplicemente luoghi della comparazione con un diverso sistema, ma sono momenti di riflessione critica sulla stessa tradizione giuridica europea. Ciò che si tenta di fare è di recuperare la complessità e le implicazioni di un tema che solo apparentemente sembra ridursi alla semplice circolazione di modelli. Per comprendere a pieno il giudizio europeo sul “modello cinese” bisogna storicizzare i princìpi coinvolti, e vedere come dialogano con le esigenze del loro tempo. Per avere un quadro d'insieme affianco tre campi di indagine: la cultura giuridica cinese ed il governo della dinastia Qing, ovvero della dinastia in diretto contatto con il mondo europeo; l'evoluzione del pensiero teologico ed in particolar modo le riforme protestanti; il pensiero giuridico settecentesco che traghetta le idee della prima modernità, ancora intrise di influenze medievali, fino alle esperienze della codificazione. Ciò permette di evitare le semplificazioni che fino ad ora hanno caratterizzato non pochi contributi scientifici. Molti sinologi, giuristi, ed esperti di storia della chiesa scontano un'incompletezza di fondo delle loro informazioni proprio per via di questa settorialità scientifica: settorialità dannosa per chi scrive nella misura in cui appiattisce il giudizio finale in una presa di posizione assoluta ed autoreferente. Indagare l'immagine della Cina in Europa è un atto di interpretazione che deve farsi carico di un dialogo interculturale fra intellettuali appartenenti a culture diverse, a campi del sapere diversi, e partecipi di una stagione di cambiamento religioso e politico. Si impone dunque una doppia comparazione, diacronica per sottolineare l'evoluzione di un pensiero, quello europeo, e al tempo stesso sincronica fra due culture giuridiche in un dato periodo storico. Da questa prospettiva l'immagine della Cina diventa poliedrica, destabilizzatrice della tradizione giuridica europea, e luogo di trasformazioni. La convinzione di chi scrive è che il dibattito sul modello cinese non è stato una mera espressione di un gusto orientaleggiante. Al contrario esso riflesse tutti gli elementi critici della modernità, divisa fra tradizione e tensione verso il futuro. La Cina rappresentò un'esperienza difficile da recepire, che poteva comportare una “rivoluzione” per il pensiero giuridico settecentesco. Il suo modello conduceva a conclusioni contraddittorie. Tutti gli esponenti delle varie scuole di pensiero occidentale potevano puntare le loro lenti sul mondo cinese e trovarvi esperienze a sostegno delle proprie tesi. Nel dialogo con la Cina si fa ricorso all'intera tradizione occidentale per comprendere questo o quell'aspetto del meraviglioso impero cinese (tentativo reso più arduo dalla carenza degli strumenti linguistici). La questione del dispotismo cinese diventa il punto di partenza per rimettere in discussione tutta una tradizione di pensiero. Il giudizio finale dunque non riguarda solamente l'impero cinese, ma riguarda la tradizione europea stessa. Infine il dibattito settecentesco sulla Cina è il dibattito precedente la Rivoluzione. Il rifiuto del modello cinese partecipa al rifiuto del ruolo della morale nell'ordinamento della società. A ciò seguiterà l'elogio della ragione e della legge come espressione di autorità e comando. Una migliore comprensione della Cina forse avrebbe permesso di recuperare diversamente il sistema di valori della tradizione ed evitare di cadere, nel tentativo di laicizzazione del pensiero giuridico, nella fede assoluta per il normativo.
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I RITI FUNEBRI E LE SEPOLTURE ISLAMICHE IN ITALIA E IN EUROPA

LAZZERINI, VALERIA 03 March 2010 (has links)
Nella tesi si approfondisce in cosa consistano effettivamente le pratiche e le esigenze funebri dei musulmani, valutando in che misura esse siano compatibili con la legislazione statale dei Paesi occidentali (esaminando in particolare i casi di Italia, Francia e Svizzera). Nell'affrontare il tema si è adottata una prospettiva di tipo interdisciplinare, considerando la questione delle sepolture islamiche sia dal punto di vista del diritto musulmano (per definire in che misura e secondo quali modalità possano essere effettuati gli adattamenti richiesti dalla presenza di comunità musulmane in contesti non islamici), sia dal punto di vista del diritto statale laico, nel più ampio quadro dei rapporti tra Stato e religioni attualmente vigenti nei Paesi considerati.

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