• Refine Query
  • Source
  • Publication year
  • to
  • Language
  • 63
  • 2
  • 2
  • Tagged with
  • 67
  • 67
  • 67
  • 63
  • 63
  • 63
  • 63
  • 17
  • 15
  • 15
  • 12
  • 12
  • 12
  • 10
  • 10
  • About
  • The Global ETD Search service is a free service for researchers to find electronic theses and dissertations. This service is provided by the Networked Digital Library of Theses and Dissertations.
    Our metadata is collected from universities around the world. If you manage a university/consortium/country archive and want to be added, details can be found on the NDLTD website.
11

Per una stilistica della variante in Giorgio Bassani: Gli occhiali d'oro e Il giardino dei Finzi-Contini

Panieri, Benedetta <1979> 21 May 2009 (has links)
No description available.
12

Il dialogo con l'infanzia. Utopia del folklore, nonsense e comico in Gianni Rodari.

Massini, Giulia <1980> 26 May 2010 (has links)
Nel trentennale dalla morte di Gianni Rodari, la tesi elabora problemi e riflessioni circa la maggiore urgenza corrente tra gli attuali studi rodariani: la necessità, per la cultura nazionale, di conferire a Gianni Rodari e alla letteratura per l’infanzia il ruolo intellettuale determinante da essi rivestito. La tesi sceglie di concentrarsi sui maggiori libri poetici e sul capolavoro teorico, la Grammatica della fantasia, utilizzando come strumenti il confronto con Gramsci, con la tradizione del folklore, con i grandi scrittori per l’infanzia dell’Inghilterra e con le altre esperienze poetiche del Novecento, discutendo Rodari da una specola esclusivamente filologica e letteraria. Parte prima: Rodari utopista. Nella prima parte Gianni Rodari viene inquadrato in un confronto diretto con l’Antonio Gramsci dei Quaderni, che aveva lucidamente individuato la separatezza tutta italiana tra classe intellettuale e mondo popolare, con conseguente inesistenza di una letteratura nazionale-popolare e di una specifica letteratura per l’infanzia. Rodari, primo intellettuale a dedicare tutto se stesso al riempimento di questa lacuna, risponde con intento sociale e politico al problema, adottando un atteggiamento che la tesi definisce utopico. Tramite una disamina del pensiero delle utopie letterarie a confronto con la tradizione popolare del paese di Cuccagna, la tesi procede all’accurato rinvenimento nell’opera di Rodari dei luoghi utopici, tutti orientati a suggerire un utilizzo dell’utopia come chiave per forzare un presente insoddisfacente e accedere a un futuro costruito da ogni individuo in prima persona. Parte seconda: Rodari poeta nonsense? Scritta in Inghilterra presso l’Istitute of Germanic and Romance Studies della University of London, la seconda e corposa parte della tesi si propone come un ampliamento della traccia gettata nel 1983 dall’articolo di Cristina Bertea Gianni Rodari in Gran Bretagna. La tesi analizza dapprima il problema del nonsense, ancora scarsamente trattato in Italia, riflettendo criticamente sulla maggiore bibliografia anglosassone che ha studiato il tema. Successivamente, mette a raffronto il lavoro linguistico che Gianni Rodari ha compiuto lungo l’arco di tutta la vita e le tecniche di composizione poetica elaborate nella Grammatica della fantasia con gli strumenti retorico-formali del nonsense individuati nell’opera di Lewis Carroll, di Edward Lear e delle nursery rhymes inglesi. Parte terza: Traccia per una mappatura della poesia per l’infanzia in Italia, a partire da Gianni Rodari. L’ultima parte della tesi si avventura alla ricerca di un percorso possibile attraverso la poesia per l’infanzia del Novecento e le sue esperienze di comicità. I capitoli si soffermano sul nonsense di Toti Scialoja e di Nico Orengo, sui precedenti di Lina Schwarz e Alfonso Gatto, sul Petel di Zanzotto, sulla poesia di soglia di Vivian Lamarque e sull’eredità della Grammatica della fantasia con particolare riferimento a Calicanto, di Ersilia Zamponi e Roberto Piumini.
13

La Babele dell'Inconscio: Amelia Rosselli, la Lingualatte e le Voci degli Altri.

Mondardini, Silvia <1979> 26 May 2010 (has links)
No description available.
14

L' "opera mondo" di Paolo Volponi fra satira e morale

Vignali, Elisa <1981> 26 May 2010 (has links)
Nella mia tesi di dottorato mi propongo di indagare la metamorfosi del romanzo nella letteratura italiana contemporanea attraverso il lavoro di Paolo Volponi, che può essere descritto come un’«opera mondo», in accordo con la formula critica coniata da Franco Moretti. Volponi intende superare il divario fra l’io e il mondo e ricomporre il corpo come una mediazione umanistica di ragione e sensi. La sua opera può essere definita ‘epica’ perché recupera la tradizione del romanzo cavalleresco e la parodia esercitata su questa tradizione letteraria da Cervantes nel Don Chisciotte. Ma, come l’Ulysses di Joyce, è un’epica «moderna» perché fondata su una totalità disgiunta e sul conflitto dialogico, in una linea che accomuna la moltiplicazione dei punti di vista, propria del romanzo polifonico secondo Bachtin, alla pluralità di prospettive del discorso scientifico. Dopo un primo capitolo teorico, nel secondo e nel terzo capitolo della tesi i romanzi di Volponi vengono studiati in rapporto al filone dell’«epica moderna» e al genere satirico, che ha un suo modello fondativo nell’opera di Giacomo Leopardi. Il quarto capitolo si focalizza sulle ultime raccolte poetiche, che mostrano la tendenza a recuperare il linguaggio formulare e la matrice orale della poesia delle origini, servendosene per rappresentare in funzione contrappuntistica l’universo globale dell’età contemporanea. / In my doctoral dissertation I investigate the metamorphosis of the genre of novel in Contemporary Italian Literature analysing Paolo Volponi’s literary works. I borrow the critical category invented by Franco Moretti to describe Volponi’s books as “opera mondo.” Volponi wants to overcome the gap between the self and the world, and compose the body as a humanistic mediation between reason and senses. His work is ‘epic’ because it refers to the tradition of the romance and to its parody in Cervantes’ Don Chisciotte. However, Volponi’s work is a modern epic because, not differently from Joyce’s Ulysses, it is based on disjointed totality and dialogic conflict. Modern epic associates the multiplication of points of view, typical of the polyphonic novel theorized by Bachtin, with the plural perspective of the scientific subject. After a theoretical preface, in the second and third chapters of my dissertation, I study Volponi’s novels in relation to the modern epic and the satiric genre, which has its foundational model in Giacomo Leopardi’s work. The fourth chapter focuses on Volponi’s latest collections of poetry, which recall the matrix of oral origins of poetry and represent in counterpoint the contemporary universe of global age.
15

Retorica come dissimulazione. Il ritmo della prosa manganelliana / Rhetoric as dissimulation. The rhythm of Manganelli's prose

Milani, Filippo <1983> 28 May 2012 (has links)
La tesi è incentrata sull'analisi dell'organizzazione retorica della prosa di Giorgio Manganelli, indagando il sistema ritmico attraverso il quale l'autore è in grado di creare un fluire sintattico che sfugge alle classificazioni di genere. Per Manganelli, infatti, il linguaggio è solamente organizzazione di se stesso, e perciò la scrittura ruota attorno a un centro narrativo vuoto, dissimulando l'assenza di necessità. Egli è un retore puntuale dotato di una straordinaria abilità compositiva, che gli consente di mettere in scena l'ambiguità insita nella retorica. Per affrontare questa analisi è stato opportuno avvalersi della critique du rythme ideata da Henri Meschonnic, a partire dalle riflessioni di Emile Benveniste sul concetto eracliteo di ritmo, poiché essa fornisce una prospettiva duttile, dinamica e svincolata da pregiudizi critici. Meschonnic infatti considera il ritmo non come schema metrico ma in quanto organizzazione del senso nel discorso, volto alla signifiance del testo. In quest'ottica si è tentato di costruire un percorso attraverso le opere di Manganelli per descrivere il sistema retorico su cui si fonda la sua scrittura, a partire dai materiali del suo laboratorio (poesie, prose, appunti di diario, scambi epistolari) fino all'ideazione di discorsi pseudo-teologici che si presentano come allegoria stessa della scrittura. Si sono analizzati in particolare la trasposizione letteraria della tecnica musicale della variazione in Nuovo commento (1969), e il ritmo del periodo ipotetico in Rumori o voci (1987), testo emblematico della ricerca di Manganelli sulle potenzialità del linguaggio. Infine la prosa manganelliana è stata messa a confronto con quella di altri importanti autori italiani del Novecento (Pavese, Gadda, Camporesi, Celati), al fine di comparare tra loro diverse organizzazioni ritmiche del linguaggio, e ricollocando così Manganelli al centro del panorama letterario italiano con tutta la sua eversiva marginalità. / This thesis focuses on the analysis of the rhetorical organization of Giorgio Manganelli's prose, investigating the rhythmical system by which the author is able to create a syntactic flow that escapes the genre classifications. According to Manganelli, the language is only organization of itself, and therefore the writing turns around a empty narrative center, in order to disguise the absence of necessity. He is a rhetorician with an extraordinary compositional skill that allows him to stage the ambiguities inherent in the rhetoric. To approach this analysis it seemed appropriate to use the critique du rythme that Henri Meschonnic designed starting from the ideas of Emile Benveniste on the Heraclitean concept of rhythm, as it provides a flexible and dynamic perspective. Meschonnic considers the rhythm not as a metrical scheme but as an organization of meaning in discourse, aimed at the signifiance inside the text. In this perspective, we tried to build a path through Manganelli' works, in order to describe the rhetorical system on which he bases his writing, from the materials of his laboratory (poetry, prose, diary notes, correspondence) until the pseudo-theological discourses, which appear to be an allegory of writing itself. We analyzed in particular the literary transposition of musical technique of variation in Nuovo commento (1969), and the rhythm of the conditional clause in Rumori o voci (1987), the emblematic text of Manganelli's research about the potential of language. Finally Manganelli's prose was compared with other Italians authors of the twentieth century (Pavese, Gadda, Camporesi, Celati), in order to compare different rhythmical organization of language; by this operation, we aim to replace Manganelli, with his subversive marginality, in the center of Italian literary scene.
16

L’Orientalismo tra vocazione imperialista, suggestioni esotiche e omoerotiche. Le rappresentazioni storiche del passaggio tra l’epoca omayyade e abbaside. / Orientalism between imperialist vocation, exotic suggestions and homoerotic. The historical representations of the passage between the Umayyad and Abbasid eras

Al-kazraji, Hussein Talal Mohamed <1984> 27 April 2015 (has links)
Lo studio si tratta di mettere in evidenza il cambiamento che ha subito il termine Oriente nel secolo XX in alcuni testi della letteratura italiana contemporanea. L’opera di Edward Said, L’Orientalismo è un testo di riferimento per i nostri studi. Nel quale abbiamo focalizzato l’attenzione su alcuni aspetti salienti: il concetto di orientalismo; l’interesse nei confronti dell’Oriente sul piano politico, scientifico, letterario; l’impossibilità di separare lo studioso dalle circostanze biografiche e sociali. Siamo riusciti, quindi, a stabilire che il cambiamento dell’immagine orientale dipende da tre fattori: lo scrittore (emittente), il soggetto (la fonte) ed il lettore (destinatario), dai quali si origina l’oggetto (il testo). Basandoci su questi tre elementi abbiamo cercato di inquadrare l’interesse letterario per l’Oriente vista da una triplice prospettiva: imperialismo, fascino ed erotismo. Per studiare le prime due prospettive, abbiamo scelto due opere. La prima presenta l’immagine dell’imperialismo, si tratta di Sanya, La moglie egiziana e il Romanzo dell’Oriente Moderno (1927) di Bruno Corra. La seconda prospettiva dove troviamo l’immagine dell’Oriente fascinoso è nello scritto di Annie Vivanti, La terra di Cleopatra (1925). Il punto centrale della tesi si tratta di studiare Annie Messina (1910-1996), è una scrittrice che ha uno stile peculiare ed un approccio tutto suo al tema dell’Oriente. I testi studiati sono : "Il mirto e la rosa" (1982), "Il banchetto dell'emiro" (1997) e "La principessa e il wâlî" (1996), tutti pubblicati dalla casa editrice Sellerio.L’unico pubblicato da Mondadori è "La palma di Rusafa" (1989). L’ultima parte del lavoro abbiamo esposto un profilo storico e socio-religioso della letteratura erotica araba. In cui abbiamo rintracciato le origini dell’immagine erotico dell’Oriente e il tema dell’omosessualità, mettendo a confronto il testo omosessuale di Messina con la letteratura italiana contemporanea. / Orientalism between imperialist vocation, exotic suggestions and homoerotic. The historical representations of the passage between the Umayyad and Abbasid eras. What we want to affront in the thesis is from one part the change that has undergone the term orient in the twentieth century in some texts of contemporary Italian literature, from which originate the reflections that has determined the path for our work. The line we traced is primarily a pattern of general reading of travel literature and texts that have treated the orient , noting that the figure was an exotic oriental rich source of inspiration for writers, that reinforced them with creativity. In most cases, therefore ,the Orient has been the subject of literary production, however, it took different forms depending on the circumstances and the individual and collective needs. Despite the fact that oriental style was diffused in contemporary Italian literature, we found it difficult to have unique materials for our study. Finally, we have chosen a writer who has a peculiar style and approach of its own to the topic of the orient. She is Annie Messina (1910-1996), the granddaughter of the author Maria Messina. She made Arabic medieval ambience of tragic stories of love and passion, predominantly homosexual love. As a writer, she is little known and has not been widely studied by critics. Through his heir we could have a material original and three unpublished short stories. The style of writing is banal and repetitive, but it is very important to the setting and scenery Arabic
17

Simbolismi etno-antropologici nell'opera di Elsa Morante / Ethno-anthropological Symbolism in Elsa Morante's Works

Di Fazio, Angela <1985> 20 May 2014 (has links)
La ricerca sviluppa le più recenti proposte teoriche dell'antropologia interpretativa, applicandole alla teoria della letteratura. Si concentra sull'ipotesto antropologico attivo nell'opera di Elsa Morante, con particolare riferimento alla produzione successiva agli anni Sessanta (Il mondo salvato dai ragazzini, 1968; La Storia, 1974; Aracoeli, 1982), in cui si verifica la concentrazione del materiale etno-antropologico di derivazione demartiniana. La tesi si propone di sondare la prolificità del rapporto intertestuale Morante-De Martino, soprattutto mediante la ricorrenza di alcuni luoghi significanti che accomunano la ricerca poetica e quella scientifica degli autori, uniti da una fondamentale rielaborazione del concetto di "umanesimo". Centrale, a questo proposito, diviene la nozione di "crisi" della persona, direttamente collegata al vissuto da "fine del mondo" e alla percezione apocalittica post-atomica. Alla crisi del soggetto contemporaneo si guarda nei termini di una risoluzione culturale, che chiama direttamente in causa il rapporto tra letteratura e ritualità. Secondo la prospettiva sociologica durkheimiana, si indagano i momenti della piacularità e della festa, ricorsivi nella scrittura morantiana, come fondanti il discorso (la narrazione mitografica) della comunità. Di qui, la riflessione si attesta sulle strategie della comunicazione finzionale in ambito etno-antropologico, con attenzione all'autorialità dello stesso antropologo sul campo. Non mancano raffronti con le esperienze letterarie più significative nell'orizzonte culturale delineato: in particolar modo, si tiene in considerazione il fondamentale rapporto Morante-Pasolini. / The research develops the most recent theoretical proposals of interpretive anthropology , applying them to the theory of literature. It focuses on anthropological "ipotesto" active in the work of Elsa Morante , with particular reference to the production next to the Sixties ( The world is saved by children , 1968; History , 1974; Aracoeli , 1982) , in which occurs the concentration of De Martino's ethno- anthropological material . The thesis aims to explore the prolificacy of the intertextual relationship Morante -De Martino , particularly by the occurrence of some significant places that are common to the poetic and scientific research of the authors , joined by a fundamental reworking of the concept of " humanism." Central in this regard , it becomes the notion of "crisis" of the person, directly connected to the living "end of the world " and the apocalyptic post- atomic perception. The crisis of the contemporary subject is  view in terms of a cultural resolution , which directly concerns the relationship between literature and rituals . According to Durkheim's sociological perspective , we investigate the moments of "piacularità" and "festa", in Morante's writing recursive , as founding the discourse ( mythographic narration ) of the community. Hence , the reflection came on the strategies of fictional communication within the ethno- anthropological , anthropologist carefully authorship of the same on field. There is no lack comparisons with the most significant literary experiences in contemporary culture outlined : in particular, it takes into account the fundamental relationship Morante - Pasolini.
18

Alle origini del «romanzo giudiziario» italiano: la figura del delinquente tra letteratura, diritto e scienze mediche / At the origin of the italian «legal novel»: the figure of the criminal between literature, law and medicine / A l’origine du «roman judiciaire» italien : la figure du criminel entre littérature, droit et sciences medicales

Berre', Alessio <1985> 11 April 2014 (has links)
In questo lavoro si conduce un’indagine sulle relazioni tra letteratura, diritto e scienze mediche all’interno del romanzo cosiddetto "giudiziario", sviluppatosi in Italia nel periodo compreso tra l’Unità e i primi anni del XX secolo. La nostra analisi si concentra in particolare sulla costruzione della figura del delinquente, intesa come prodotto specifico della suddetta relazione interdisciplinare. In questa prospettiva, abbiamo rilevato che la caratterizzazione di tale figura costituisce il principale tra i procedimenti narrativi osservabili in vari romanzi del periodo postunitario. Concentrandoci inoltre sulla definizione del genere, abbiamo affrontato l’ormai annoso dibattito sulla nascita (quando non sull’esistenza stessa) del poliziesco italiano, dimostrando come solo all’interno di una stretta relazione tra letteratura, diritto e scienze mediche sia possibile cogliere a pieno il valore di questi romanzi nel processo di costruzione dell’identità nazionale. Il lavoro è diviso in due parti. Nella prima, di carattere storico, si propone una nuova definizione del genere "giudiziario", dopo aver vagliato e discusso le ipotesi sino ad ora avanzate dalla critica. Nella seconda parte si affrontano due casi di studio esemplari: La colonia felice di Carlo Dossi e Il romanzo di Misdea di Edoardo Scarfoglio. Su ognuno di essi abbiamo condotto un’accurata analisi testuale, che ci ha permesso di esaminare la caratterizzazione delle diverse figure delinquenti dimostrando l’efficacia del metodo interdisciplinare adottato con particolare riguardo alle teorie di Cesare Lombroso. / This doctoral thesis aims to investigate the relations between literature, law, and medicine in the so-called “legal novel”—a genre that has developed in Italy between the national unification and the very beginning of the 20th century. My discussion examines the centrepiece of this interdisciplinary connection—namely, the literary construction of the figure of the criminal. Through this argument I show that the characterization of the criminal is central to several novels of the period following the unification. Turning then to the notion of genre, my thesis considers the long-standing debate surrounding the origins (and the existence itself) of the Italian detective novel. Finally, I suggest that the intersection between literature, law, and medicine sheds an important light on the role played by the legal novel in the construction of Italian national identity. My study falls into two parts. The first section is historical; it seeks to offer a new definition of the “legal” novelistic genre, building on—and partially questioning—the existing literature on the topic. The second part centres on two case studies, Carlo Dossi’s La colonia felice and Edoardo Scarfoglio’s Il romanzo di Misdea. These close readings enable me to further examine the characterization of different criminal figures, demonstrating the fruitfulness of this interdisciplinary methodology while placing a particular emphasis on Cesare Lombroso’s theories.
19

«L'ascolto di una tradizione». Gianni Celati lettore e studioso di James Joyce

Giorgio, Simone 30 April 2024 (has links)
La tesi indaga il rapporto fra Gianni Celati e l’opera di James Joyce, con particolare riferimento all’Ulisse. L’autore, infatti, ha studiato a lungo questo romanzo: negli anni Sessanta si è laureato all’Università di Bologna con una tesi su quest’opera, nel 2013 l’ha tradotta in italiano per Einaudi. Il mio lavoro ricostruisce dunque le relazioni esistenti fra l’Ulisse e la teoria letteraria di Celati, le quali si snodano lungo tutta l’attività dello scrittore, in particolare nella cosiddetta prima fase (anni Settanta). La tesi è divisa in tre capitoli. Nel primo capitolo della tesi sono delineati due campi teorici diversi. Il primo riguarda il tardo modernismo o neomodernismo, un oggetto di studi che in ambito anglosassone è sorto assieme alla definizione del modernismo, ed è stato importato in Italia solo negli ultimi anni, in connessione allo sviluppo della nozione di modernismo nel nostro Paese. La più autorevole voce italiana nel dibattito sul neomodernismo è Tiziano Toracca, che nel 2022 ha pubblicato una monografia sul romanzo neomodernista italiano. In questa parte del capitolo effettuo una ricognizione critica della nascita del concetto di modernismo, mettendo in luce come esso sia sorto soprattutto in contrapposizione alle prime teorizzazioni del postmodernismo. I testi principali cui faccio riferimento sono di Clement Greenberg, Frank Kermode, Theodor Adorno, Leslie Fiedler e Susan Sontag. L’imperfezione della categoria di modernismo in questa fase ha portato i critici a rilevare l’esistenza di un tardo modernismo o neomodernismo, termini di varia accezione ma che evidenziano come all’altezza degli anni Sessanta la transizione dal modernismo al postmodernismo non è ancora compiuta del tutto. Il secondo campo teorico riguarda invece la ricezione di Joyce in Italia negli anni Sessanta. Grazie alla prima traduzione italiana dell’Ulisse, pubblicata nel 1960, il nome di Joyce circolò molto nel panorama letterario italiano di quegli anni, in tutte le diverse parti della cultura italiana di quell’epoca. L’interpretazione italiana di Joyce in quest’epoca è influenzata in campo critico dall’incompleta ricezione della categoria di modernismo, in questa fase nota solo agli studiosi di letteratura angloamericana. In campo letterario l’estrema versatilità che l’Ulisse presenta lo rende un punto di riferimento per diversi scrittori. I due campi teorici sono collegati: non solo perché Joyce fu immediatamente interpretato come un grande autore del modernismo europeo, ma anche perché la sua opera si prestava particolarmente bene alla rivisitazione in una particolare declinazione del tardo modernismo che chiamo ‘modernismo popolare’, prendendo questa espressione dal teorico inglese Mark Fisher. Si tratta di una categoria critica che individua una persistenza delle tecniche moderniste in alcuni scrittori degli anni Sessanta e Settanta: oltre a Gianni Celati, mi riferisco a opere di Nanni Balestrini, Francesco Leonetti, Sebastiano Vassalli. Come dimostro, questi autori tentano di colmare il divario tra scrittore e pubblico che era percepito come elemento fondamentale del modernismo, riutilizzando però, almeno in parte, tecniche tipiche del modernismo; un tale atteggiamento fu notato a proposito di autori americani e francesi già da Kermode in quella stessa epoca. Tale categoria concettuale mi sembra particolarmente proficua per colmare una lacuna nelle definizioni del campo letterario dell’epoca; mettere in luce tale particolare dinamica intellettuale, inoltre, consente di precisare alcuni aspetti della lunga transizione dal modernismo al postmodernismo vissuta dalla cultura italiana fra anni Settanta e Ottanta; infine, aspetto centrale nella struttura dell’intera tesi, il ‘modernismo popolare’ è esattamente l’ambito culturale in cui Celati si è formato, ha maturato la sua idea di letteratura e soprattutto ha studiato l’Ulisse – ricevendo da questi studi impulsi e suggestioni decisive per la sua carriera. Come si evince dalla sua tesi di laurea, infatti, è già con la lettura di Joyce che Celati si indirizza verso due grandi tematiche della sua attività intellettuale, ossia quella visiva e quella orale. Nel secondo capitolo, grazie all’intermedialità che caratterizza le sperimentazioni del modernismo e del postmodernismo, analizzo alcuni aspetti dell’interesse di Gianni Celati nei confronti della visualità. Si tratta di una tema classico della critica celatiana, su cui è incentrata molta bibliografia. Però, la molteplicità degli interessi visuali di Celati ha impedito finora di avanzare una sistemazione teorica di questo aspetto della sua scrittura. Pertanto, nel secondo capitolo delineo un’interpretazione di tali interessi a partire dalla riflessione di Celati sul concetto di spazio, che precede tutti gli altri elementi tipici della visualità celatiana. Dopo un’analisi della particolare collocazione critica di Celati nel postmodernismo italiano, adotto il concetto di regime scopico, coniato da Martin Jay, per costruire un’analisi incentrata su tre elementi: sguardo, visione e dispositivo. A ciascuno di questi elementi è dedicato una parte del secondo capitolo. Per quanto riguarda lo sguardo, inteso come atteggiamento concettuale che predispone la possibilità visiva, ricostruisco l’interesse di Celati verso il surrealismo negli anni Settanta e la sua svolta in chiave fenomenologica a partire dagli anni Ottanta. L’idea di base è che lo sguardo di Celati sia cambiato proprio in funzione del diverso orizzonte culturale con cui esso è inevitabilmente in dialogo. Autori-chiave in questo percorso sono Walter Benjamin e Susan Sontag. Benjamin rimane una sorta di stella polare per Celati. La parte del secondo capitolo dedicata alla visione, intesa come insieme di immagini esistenti verso cui lo sguardo si volge, ricostruisce l’evoluzione di tale concetto nella carriera di Celati. È individuabile una dicotomia: la prima parte della carriera è contraddistinta da visioni principalmente di carattere comico e satirico, legate ai concetti di crisi e apocalissi, in sintonia con varie ricerche letterarie di fine anni Sessanta e inizio Settanta. Dagli anni Ottanta in poi, tali visioni diventano immagini più affettive, che caratterizzano l’ultima fase della sua carriera. In questa parte cerco di far diventare evidenti i legami di Celati con altri autori stranieri, fra cui Blake e Michaux. La connessione fra queste influenze estere e la riflessione sul visivo si innesta, in particolare, su un crescente interesse di Celati verso la forma del documentario a partire dagli anni Novanta: tale passaggio mi permette di approdare al paragrafo successivo, dedicato al dispositivo, ossia il mezzo formale che mette in comunicazione sguardo e visione. In questa parte, infatti, analizzo come nella teoria del documentario di Celati un ruolo privilegiato sia svolto dal concetto di montaggio delle immagini, che l’autore aveva già individuato, sia pure precocemente, nella sua analisi dell’Ulisse di metà anni Sessanta. La teoria documentaria di Celati è rilevante perché costituisce il presupposto teorico dell’ultima parte della sua produzione, legata al mezzo cinematografico e in particolare alla tecnica del montaggio: la precocità dell’ingresso del concetto di montaggio nella riflessione celatiana, risalente alla tesi su Joyce, mi permette di rilevarne l’importanza. Pertanto, avanzo l’ipotesi che l’iniziale fascinazione di Celati verso le forme del vaudeville, del music hall e della comicità slapstick, che caratterizza le sue prime opere narrative, sia derivata non solo dall’influsso di Beckett ma anche da quello di Joyce, e segnatamente dall’episodio Circe, XV capitolo dell’Ulisse. Il terzo e ultimo capitolo della tesi riguarda invece la questione dell’oralità. Come la visualità, anche questo tema è stato ampiamente dibattuto dalla critica celatiana; nuovamente, ci si imbatte di continuo in testimonianze e riflessioni su questo tema da parte di Celati. Nella prima parte del capitolo, ci si interroga su come questa questione possa aver influito nell’inserimento di Celati all’interno del nostro canone: è infatti proprio su questo terreno che si gioca il suo posizionamento culturale rispetto alla letteratura commerciale. Celati attribuisce molta importanza all’elemento orale da quando rinuncia, dagli anni Ottanta in poi, a scrivere romanzi. Ciononostante, la sua dizione narrativa fa scuola: a una prima ondata di ‘nipotini celatiani’ di area bolognese, variamente legati al Settantasette, tra cui spicca Tondelli, seguono i cosiddetti scrittori della via Emilia, il cui principale esponente è forse Ermanno Cavazzoni. Se i primi si rifanno apertamente all’oralità comica dei romanzi di Celati degli anni Settanta, e guardano in particolare a Lunario del paradiso, i secondi prendono a lezione la trilogia padana degli anni Ottanta. Questa curiosa ‘biforcazione’ dell’influenza di Celati mi consente di impostare il discorso su una dicotomia, dovuta a un cambio di ‘postura’: parlo della regressione e della semplicità. Sono termini che mutuo da Celati stesso, e che sono stati ampiamente utilizzati dalla critica celatiana. La regressione occupa appunto la parte di carriera che si svolge negli anni Settanta: la mia argomentazione è che tale postura è legata concettualmente all’estensione della dizione narrativa a personaggi marginali e folli; sul piano formale consiste invece in una ripresa di vari moduli espressionistici spesso desunti da grandi autori modernisti. Entra qui in gioco un importante modello di Celati, ovvero Céline; ma, come dimostro, ha posto anche Joyce, ed è in questi anni che Celati riflette appunto sul Finnegans Wake. L’esempio joyciano, inoltre, illumina il nesso fra oralità e parodia, particolarmente caro a Celati che ne tratta in Finzioni occidentali. Fra gli altri punti di riferimento di Celati, un ruolo di primo piano spetta a Sanguineti, il cui Capriccio italiano costituisce un vero esempio di posa regressiva. Il tema della regressione è pertanto centrale nel Celati degli anni Settanta, anche in virtù della sua collaborazione con la rivista satirica «il Caffè», che ospita spesso le riflessioni celatiane su oralità, parodia, satira; altra saggistica a riguardo è rintracciabile sul «Verri». Si tocca qui con mano il laboratorio intellettuale di Celati, negli anni immediatamente precedenti a Finzioni occidentali, e di cui questo libro costituisce contemporaneamente un frutto e una grande sintesi. Alla fine degli anni Settanta, la conclusione della stagione delle contestazioni, la crescente insoddisfazione verso le scritture di questo decennio, l’esaurirsi dell’entusiasmo iniziale per l’insegnamento universitario e la fine del rapporto con Einaudi impongono a Celati il cambio di postura. In questo riposizionamento, Benjamin rimane un punto fermo, ma stavolta Celati si rivolge a un Benjamin più malinconico (condividendo in ciò l’impostazione teorica individuata da Sontag in Sotto il segno di Saturno): quello del Narratore. Pertanto, Celati assume la postura della semplicità, sempre su base orale, che contraddistingue la sua produzione dagli anni Ottanta in poi. È qui che l’influenza di Joyce apparentemente termina, poiché Celati fa una mossa inversa rispetto a quella dell’irlandese: laddove l’Ulisse è interpretabile come la naturale evoluzione delle short stories di Gente di Dublino, Celati sembra piuttosto scomporre i già semplici romanzi degli anni Settanta in novelle e storie di vita quotidiana. Rimane, come unico trait d’union fra i due autori, l’attenzione appunto alla quotidianità, infusa in personaggi accomunati da una certa curiosità verso ciò che li circonda, capaci di distrarsi, il cui modello va indubitabilmente rintracciato in Leopold Bloom: a questo è dedicata una piccola appendice posta alla fine della tesi.
20

Auto da fé. Rileggere Giorgio Manganelli

Gazzoli, Alessandro January 2016 (has links)
Questa tesi rilegge l'opera di Manganelli, cercando di sfrondare l'aneddotica fiorita attorno alla sua figura e di motivare i giudizi critici spesso limitativi del suo lavoro. La tesi è suddivisa in tre parti: una prima dedicata agli scritti giovanili di Manganelli, visti in parallelo con opere più mature (Centuria, Encomio del tiranno) e il rapporto con Leopardi, Pavese, Edmund Wilson, facendo ricorso anche a materiale inedito; nella seconda parte viene tentata una lettura (volutamente forzata) di Hilarotragoedia come un effettivo 'trattatello' retorico, da sviscerare Lausberg alla mano; infine, una terza parte indaga il rapporto di Manganelli con la letteratura inglese e la sua attività di traduttore.

Page generated in 0.2422 seconds