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Il nazionalsocialismo e la destra nazionalista tedesca: 1925 - 1933

Salvador, Alessandro January 2010 (has links)
Il lavoro di tesi consiste in una analisi dello sviluppo del partito nazionalsocialista tedesco a partire dalla sua seconda fondazione, nel 1925, fino alla nomina di Hitler alla carica di Cancelliere. Lo scopo del lavoro è di mettere in luce come la strategia politica della NSDAP sia stata volta non solo a consolidare la propria stabilità e coerenza interna e a rafforzare il partito nel contesto politico della Repubblica di Weimar, ma anche a destabilizzare e logorare le forze politiche della destra nazionalista. Dette forze politiche, in particolare lo Stahlhelm (lega dei veterani) e il partito popolare tedesco-nazionale (DNVP)pur perseguendo scopi simili a quelli della NSDAP, come il rovesciamento del sistema democratico, venivano da essa percepiti come un ostacolo per il potere. Il movimento hitleriano alterna quindi momenti di convergenza a momenti di rivalità con questi soggetti politici e lo scopo di questo lavoro era mettere in luce come questi sviluppi abbiano di fatto provocato il declino di una destra nazionalista conservatrice favorendo la presa del potere da parte del nazionalsocialimo.
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Europa im Bild. Imaginationen Europas in Wochenschauen in Deutschland, Frankreich, Großbritannien und Österreich 1948-1959

Pfister, Eugen January 2013 (has links)
Le "immagini dell'Europa" di cui è fatta menzione nel titolo rappresentano costrutti mentali o luoghi comuni (topoi) connessi, appunto, all'idea di Europa e veicolati dai cinegiornali analizzati. Tali immagini possono essere considerate delle proposte di definizione di Europa, quali furono offerte al pubblico negli anni Cinquanta. Un tema che, considerata la discussione attuale sull'identità europea si rivela di notevole attualità. I cinegiornali offrono inoltre agli storici la possibilità unica e fino ad ora non sfruttata, di analizzare le fonti filmiche relative ai primi anni d'integrazione europea. Oggetto di indagine sono, in primo luogo, gli atti di fondazione dell'integrazione europea, come ad esempio la firma dei Trattati di Roma, i dibattiti parlamentari o la presentazione del Piano Schuman, ovvero atti politici di ordine simbolico e rituale. Le riprese dei cinegiornali tradussero tali conferenze e cerimonie di sottoscrizione dei contratti in fatti comunicati; nella prospettiva della ricerca storico-politica tali avvenimenti acquisirono significato proprio attraverso la loro comunicazione. Infine, uno degli obiettivi della presente ricerca è il confronto tra la politica "reale" e quella "simbolica".
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I profughi trentini nella Grande Guerra. Identità  multiple, fedeltà  percepita, welfare statale

Frizzera, Francesco January 2016 (has links)
La tesi ricostruisce l'esperienza bellica di circa 115.000 civili trentini che furono evacuati o fuggirono dalla regione trentino tirolese durante il primo conflitto mondiale. 77.000 trentini vennero evacuati nelle regioni interne dell'Impero asburgico. Altri 35.800 fuggirono o vennero evacuati nelle regioni interne del Regno d'Italia, essendosi venuti a trovare a sud della linea del fronte. L'obbiettivo della tesi è quello di valutare come questa esperienza incida sulla percezione identitaria di gruppo di questa massa di sfollati, prevalentemente donne, anziani e bambini, che entrano in contatto per la prima volta con popolazioni di lingua e cultura diversa e, in molti casi, con le maglie della burocrazia statale (sia essa del proprio Stato o dello Stato in cui entreranno a far parte dopo il conflitto). Il secondo obbiettivo della tesi è quello di indagare le politiche di assistenza e controllo messe in atto dai due Stati nei confronti di popolazioni di confine dall'identità ibrida, confrontando queste disposizioni con casi nazionali già indagati nel dettaglio.
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Infrangere le frontiere: l'arrivo in Italia delle displaced persons ebree 1945-1948

Villani, Cinzia January 2010 (has links)
Il mio studio concerne i flussi d'ingresso in Italia delle displaced persons ebree fra il 1945 e il 1948 e la politica attuata dalle autorità italiane verso questi arrivi.
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Criminalità , giustizia e ordine pubblico a Torino nella prima metà  dell'Ottocento (1814-61)

Bosio, Andrea January 2015 (has links)
Il lavoro si concentra sul tema della criminalità e del controllo sociale nella città di Torino di primo Ottocento. Essa inquadra un periodo cruciale e fino ad ora poco studiato della storia torinese, che parte con la transizione dal dominio napoleonico al reinsediamento sabaudo e si conclude negli anni precedenti la svolta unitaria. Grazie a un ampio scavo archivistico condotto su fondi italiani e francesi, la tesi affronta le trasformazioni della politica giudiziaria del Regno di Sardegna mettendo a fuoco, in una prima parte, continuità e discontinuità rispetto alle innovazioni istituzionali portate dai francesi nel settore della polizia: la rifondazione dell’ufficio del Vicariato urbano e la travagliata formazione di un corpo di polizia ‘moderno’ ispirato alla Gendarmerie francese (i Carabinieri Reali) fanno da sfondo ai primi anni della Restaurazione sabauda, nei quali si collocano anche i tentativi, poi abortiti, di svecchiamento della legislazione in materia giudiziaria. In una seconda parte sono esaminate le reggenze di Carlo Felice (1821-1831) e di Carlo Alberto (1831-1849), contraddistinte da una profonda riorganizzazione del settore della giustizia che incide sia sulla struttura normativa (l’emanazione di nuovi codici penali e di procedura) sia sulle modalità concrete della prassi giudiziaria. La crescita della popolazione innescata dalle trasformazioni economiche oltre che dall’arrivo di numerosi emigrati italiani ed esteri, spinge le magistrature sabaude a elaborare nuovi strumenti repressivi di fronte al pericolo delle «nuove classi pericolose». A questo tema, comune per altro a tutti gli stati ottocenteschi europei, è dedicata l’ultima parte del lavoro, che ricostruisce la politica giudiziaria sabauda post 1848 alla luce delle crescenti tensioni emerse fra i poteri istituzionali del regno. Una parte consistente del lavoro è poi esclusivamente dedicata all'analisi della criminalità torinese e delle sue evoluzioni nel periodo preso in esame che videro il capoluogo piemontese trasformarsi da una modesta capitale di un regno di seconda grandezza a centro politico della nuova compagine statale unitaria.
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Depositi della storia: i Musei Civici nell'Italia dell'Ottocento

Cardone, Andrea January 2013 (has links)
Il lavoro che presento si propone di indagare le scelte metodologiche ed ideologiche sottese all’istituzione, incremento e diffusione del Museo Civico italiano nel secolo XIX verificandone le funzioni, le modalità di costituzione, i rapporti tra storiografia, didattica, tutela e promozione. La storiografia individua in due momenti principali la nascita del museo civico italiano. Le soppressioni ecclesiastiche napoleoniche e postunitarie rappresentano, infatti, due tappe fondamentali di un processo di democratizzazione e laicizzazione del patrimonio storico-artistico italiano che hanno dato impulso ad una nuova forma di fruizione pubblica. La funzione didattica di matrice illuministica legata agli ambienti accademici e scolastici acquisterà nuovo vigore durante l’epoca del positivismo per trasformarsi, attraverso l’apertura dei musei civici, soprattutto nei decenni successivi all’unità d’Italia, in una prima moderna forma di consumo culturale. Il museo civico ottocentesco fu espressione dell’orgoglio municipalistico, strumento del territorio e per il territorio in cui, oltre ad esercitare l’azione di tutela e il culto delle patrie memorie, le collezioni seppero congiuntamente rappresentare la promozione ed i risultati della ricerca storica e scientifica. Gli studi sulla storia del museo civico italiano ottocentesco si concentrano oggi sulle singole realtà locali. Tuttavia poco sondate sono le connessioni tra tutte queste istituzioni coeve che potrebbero invece offrire nessi per una lettura più ampia della museografia ottocentesca in Italia i cui metodi espositivi furono, comprensibilmente, l’esito di più ampie scelte storiografiche ed educative. La ricostruzione storica qui presentata tenta di individuare nuove linee di ricerca di ampio respiro che possano inquadrare le intenzioni civiche, culturali, storiografiche e allestitive tipiche della cultura campanilistica in una prospettiva e contestualizzazione storica e territoriale più ampia. Si è pertanto posta particolare attenzione alle molteplici ragioni politiche e di politica culturale che portarono all’istituzione dei musei civici in Italia stabilendone i rapporti con la storia locale, le indagini sul territorio e i nessi con il sistema museale e la politica di tutela nella seconda metà dell’Ottocento. L’analisi dei musei presi in esame, in particolare le collezioni patrie di Bergamo, Brescia, Capua, Vicenza, pone alcune riflessioni sul ruolo svolto dai corpi scientifici quali gli Atenei, le Accademie, le Deputazioni di Storia Patria, le Società archeologiche per lo sviluppo economico e culturale delle città e il ruolo da loro assunto nella formazione prima e gestione poi del patrimonio materiale italiano. Per una maggiore chiarezza del tema qui affrontato è necessaria una precisazione terminologica. Il termine che identifica e caratterizza il museo italiano ottocentesco è “locale” in cui l’ambito territoriale e geografico coincide con quello amministrativo. Nello specifico lo studio ha focalizzato l’attenzione sui musei civici ed i musei provinciali. Il termine locale viene spesso utilizzato per distinguere i musei nati per volontà delle amministrazioni locali che si distinguono dai precedenti musei dinastici e dai musei nazionali istituiti e gestiti dallo Stato. Al termine di museo locale si associa quello di museo patrio con un chiaro intento di rafforzare non solo il legame con la patria, ma di identificarne lo scopo storiografico del museo, ossia un luogo in cui attraverso gli oggetti è possibile ricostruire le vicende di storia patria della città e del territorio. Il termine viene spesso scelto dalle accademie e istituti come gli Atenei, le Deputazioni di Storia Patria e le Società Storiche per rafforzare il significato delle loro collezioni utilizzate per gli studi di storia patria. Anche in questo caso il termine patria indicherà di volta in volta una precisa circoscrizione amministrativa e territoriale assumendo significati e caratteristiche diverse a secondo del periodo storico. Il termine patrio verrà poi trasformato in quello di civico, un museo che sarà espressione di una comunità prevalentemente urbana ma che fa riferimento anche a territori più vasti come le province. Il museo locale italiano rappresenta uno spazio che raccoglie materiali e testimonianze non solo provenienti dal contesto urbano ma anche dal territorio circostante. Il territorio rappresenterà il punto di riferimento per l’ampia scelta di materiali da immettere nel museo andando a costruire una tipologia museale che è stata sintetizzata in tre definizioni chiave: atipologico, a-gerarchico, a-selettivo. Lo studio ha posto l’attenzione sul rapporto tra corpi scientifici, collezioni patrie pubbliche e private, istituzioni governative e la legislazione riguardante la tutela del patrimonio storico-artistico e archeologico. Ho preso in esame il periodo che va dal decennio napoleonico 1805 – 1815 ai primi decenni post-unitari. Il museo italiano, nato come “museo di riuso” e “di ricovero”, funzione che ne caratterizzerà in parte la fondazione sia prima che dopo l’unità d’Italia, diventerà il luogo della ricerca storica e scientifica. Si è pertanto analizzato il rapporto tra storiografia, indagini scientifiche, collezioni. Il collezionismo nato per volontà dei corpi scientifici pose una nuova attenzione alle fonti documentarie, al loro studio e alla loro conservazione. Il museo come luogo di conservazione della storia nasce in stretto rapporto con altri luoghi del “fare storia”. Lo studio del rapporto tra musei locali, storiografia e ricerca scientifica suggerisce interessanti riflessioni sul significato di questi spazi che si identificano come luoghi della memoria. Ci si interroga in che modo la ricerca storica e le indagini scientifiche abbiano contribuito alla creazione di una sola memoria o di più memorie rinnovate nel tempo. Ho tentato di comprendere in che modo le collezioni patrie sono assurte a simboli con significati diversi nel corso dell’Ottocento. La costruzione della memoria storica pubblica è la conseguenza di una convergenza d’intenti tra classe politica e intellettuale che insieme decidono di imprimere nel tessuto urbano dei segni tangibili della storia patria e quindi della propria memoria. Il mio studio è partito da un’approfondita rilettura di quanto finora scritto sulla politica di tutela, il collezionismo e la ricerca storica pre e post unitaria e sul ruolo che le collezioni patrie rivestirono per gl’enti promotori. Gli studi di Andrea Emiliani, “antichi” ma determinanti per la comprensione del museo “territoriale” italiano, i recenti contributi di Bencivenni, Dalla Negra, Grifoni e gli studi di Antonella Gioli particolarmente attenti al rapporto tra musei e soppressioni degli enti ecclesiastici sono stati i punti di riferimento principali. In merito alla seconda parte del progetto di ricerca dedicata al post unitario ed in particolare al Museo Provinciale Campano di Capua sono stati studiati i contributi di Nadia Barrella, punto di partenza per una riflessione sul ruolo dei musei nati dalle Commissioni Conservatrici Provinciali ed il ruolo esercitato nel sistema di tutela nazionale. Per la storia del museo provinciale campano sono stati esaminati gli Atti della Commissione Conservatrice dei monumenti ed oggetti di antichità e belle arti della provincia di Terra di Lavoro. Per il presente lavoro è stata svolta una ricerca d’archivio presso l’archivio comunale della Biblioteca Angelo Mai di Bergamo, l’Archivio della Direzione generale delle antichità e belle arti di Stato di Roma, l’archivio dell’Ateneo di Scienze, Lettere e Arti di Brescia, l’archivio della Provincia di Caserta. Sono stati inoltre consultati gl’Atti parlamentari conservati presso la Biblioteca della Camera dei Deputati di Roma.
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Helsinki disentangled (1973-75): West Germany, the Netherlands, the EPC and the principle of the protection of human rights

Lamberti, Sara January 2012 (has links)
This work is situated at the intersection between the historiographies on European integration, the Cold War, and human rights, and scrutinizes the Conference on Security and Cooperation in Europe (CSCE, 1973-75) from the specific angle of the history of European integration. According to a narrative that has become standard in historiography, the EC countries achieved remarkable cohesion in the CSCE process through the newly-created European Political Cooperation (EPC), an informal intergovernmental mechanism set up in 1970. This thesis argues instead that the EPC was less successful in achieving cohesion and a common position of the ECâ s member states than has been claimed so far. Human rights was a divisive issue, and ideas of détente differed widely in the West European camp. The thesis emphasizes the political fault lines among the nine member states, and in particular between West Germany and the Netherlands, two countries that stand out for their quite different negotiating style and equally different political goals. The author argues that while West German and Dutch foreign policy eventually achieved a degree of coordination, common understanding was lacking. West Germany and the Netherlands often fought for very different goals. In the case of West Germany, its key goal at the CSCE was human relief, a long-standing goal of West German policy that had marked Ostpolitik since its very beginnings: the conspicuous sufferings of German people and the personal experiences of German leaders had a powerful impact on West German foreign policy. The Dutch by contrast thought of human rights as a principle of international law to be used in an ideological confrontation. The work emphasizes the multifaceted nature of the domestic discussions about human rights at the time, points out that the very idea of human rights needs to be historicized, and highlights the role played by domestic influences and by individuals, with a specific focus on domestic political actors, like the Dutch foreign minister Max van der Stoel, who emerges as a staunch â and relatively poorly known - key-advocate of human rights.
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Violenza e giustizia in Trentino tra guerra e dopoguerra (1943-1948)

Gardumi, Lorenzo January 2010 (has links)
La tesi prende in considerazione il periodo immediatamente postbellico del Trentino uscito dal secondo conflitto mondiale. Descrive la situazione politica, economica e sociale della provincia soprattutto in relazione allo svilupparsi di una forte ondata di criminalità e delinquenza, frutto della guerra appena conclusa e delle ideologie che l'avevano accompagnata. L'opera di educazione delle generazioni più giovani alla democrazia e ad una vita civile e pacifica doveva passare attraverso il giudizio sulle responsabilità di chi aveva condotto alla guerra (fascismo) e di chi aveva aiutato l'occupante tedesco tra il 1943 e il 1945 (collaborazionismo).
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La Corte d'Assise Straordinaria di Udine e i processi per collaborazionismo in Friuli 1945-1947

Verardo, Fabio January 2017 (has links)
Questa ricerca si propone di studiare la Corte d’Assise Straordinaria (CAS) di Udine e i processi da essa celebrati utilizzando per la prima volta l’intero materiale documentario prodotto dalla Corte al fine di indagarne da un lato la struttura e il funzionamento e, dall’altro, studiare l’anatomia del collaborazionismo esaminandone le peculiarità, l’entità e l’evoluzione nel particolare contesto friulano.
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IL PROCESSO DI DEMOCRATIZZAZIONE IN BENIN E IL RUOLO DELLA CHIESA CATTOLICA. IL CASO DI MGR. ISIDORE DE SOUZA

CANNELLI, SUSANNA 02 April 2009 (has links)
La ricerca si inserisce negli studi sulla storia dei processi di democratizzazione, ruolo delle Chiese e società civile ed ha preso in esame un caso per molti versi esemplare: la transizione democratica culminata in Bénin negli avvenimenti del 1990. Lo studio esamina la convocazione della Conferenza Nazionale – presieduta da un vescovo cattolico, mons. Isidore de Souza – e felicemente sfociata in un cambiamento pacifico di regime, dopo quasi vent’anni di governo marxista-leninista. Ne scaturì l’avvio effettivo di una vita democratica, caratterizzata dal multipartitismo, da libere consultazioni elettorali e da una stabilità democratica ormai quasi ventennale. La ricerca si è svolta con l’ausilio di testi e documentazioni reperite in Bénin e in Francia. Attraverso tali materiali è stato ricostruito anzitutto il contesto storico, mettendo a fuoco in particolare la specificità di questo paese – antico “quartiere latino d’Africa” sotto la colonizzazione – e la peculiarità del difficile insediamento prima, e del forte radicamento dopo, della Chiesa cattolica in Bénin, che ha assai contribuito alla formazione di quella élite intellettuale che ha costituito una risorsa decisiva nella vita civile e politica del paese, incluso il processo di transizione democratica. La ricerca ha permesso inoltre un ampio confronto con l’analogo ruolo istituzionale giocato da alti esponenti della gerarchia cattolica nelle diverse Conferenze Nazionali che si sono succedute a quella di Cotonou, confermando la peculiarità e l’incidenza della presenza della Chiesa del Bénin ed in particolare di monsignor de Souza all’interno del processo di transizione. Sono state messe in luce particolarmente l’influenza sulla vicenda sia del peculiare legame anche culturale del Bénin con la Francia nonché del ruolo svolto da élites cattoliche particolarmente preparata ed attive, oltre naturalmente alle notevoli personalità dei due principali protagonisti, il vescovo de Souza e il Presidente Kerekou. / The research connects with the studies about democratisation processes and about the role Churches and society played in, and examines an exemplary case: the democratic transition that reached its peak in Bènin with the ‘90s happenings. The study examines the summoning of the National Convention – over which presided a catholic bishop, Mons. Isidore de Souza, and which leaded successfully to a peaceful regime change, after a nearly 20-years communist government. Out of it began a real democratic life, whose features were multipartitism, free elections and a nearly 20-years democratic stability. The research has been carried out thanks to texts and documents that were found out in Bènin and France. Through those texts was reconstructed the historical background first, pinning the particular specificity of this country down – during colonization called ancient “Latin Quarter of Africa” – and the peculiar and hard settlement before, and the strong rooting after, of the Catholic Church in Bènin. The research has also allowed to compare it with the similar institutional role of important exponents of Catholic Hierarchy in the several National Convention that followed the Cotonou one, thus confirming the peculiarity and influence of the Church in Bènin, particularly of Mons. de Souza in this transition process. It has been particularly highlighted the influence, on the specificity of this event, both of the peculiar relationship, also cultural, between Bènin and France and of the role particularly competent and active catholic elites played in, besides the remarkable personalities of the two main protagonists, Bishop de Souza and President Kerekou.

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