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Le frontiere costituzionali del bilanciamento fra sicurezza e diritti. Analisi comparata tra l'Italia e gli UsaPili, Giulia <1980> 30 June 2008 (has links)
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Il diritto di asilo tra ordinamento costituzionale e sistema europeo di protezione multilivelloMalena, Micaela <1977> 30 June 2008 (has links)
La tesi della candidata presenta - attraverso lo studio della normativa e della giurisprudenza rilevanti in Italia,
Francia e Germania – un’analisi dell'ambito soggettivo di applicazione del diritto costituzionale d'asilo e del
suo rapporto con il riconoscimento dello status di rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra del 1951,
nonchè della sua interazione con le altre forme di protezione della persona previste dal diritto comunitario e
dal sistema CEDU di salvaguardia dei diritti fondamentali.
Dal breve itinerario comparatistico percorso, emerge una forte tendenza alla neutralizzazione dell’asilo
costituzionale ed alla sua sovrapposizione con la fattispecie del rifugio convenzionale quale carattere comune
agli ordinamenti presi in esame, espressione di una consapevole scelta di politica del diritto altresì volta ad
assimilare la materia alla disciplina generale dell’immigrazione al fine di ridimensionarne le potenzialità
espansive (si pensi alla latitudine delle formule costituzionali di cui agli artt. 10, co. 3 Cost. it. e 16a, co. 1
Grundgesetz) e di ricondurre l'asilo entro i tradizionali confini della discrezionalità amministrativa quale
sovrana concessione dello Stato ospitante.
L'esame delle fonti comunitarie di recente introduzione illumina l’indagine: in particolare, la stessa Direttiva
2004/83CE sulla qualifica di rifugiato e sulla protezione sussidiaria consolida quanto stabilito dalle
disposizioni convenzionali, ma ne estende la portata in modo significativo, recependo gli esiti della lunga
evoluzione giurisprudenziale compiuta dalle corti nazionali e dal Giudice di Strasburgo nell’interpretazione
del concetto di “persecuzione” (specialmente, in relazione all’individuazione delle azioni e degli agenti
persecutori).
Con riferimento al sistema giuridico italiano, la tesi si interroga sulle prospettive di attuazione del dettato
dell’art. 10, terzo comma della Costituzione, ed inoltre propone la disamina di alcuni istituti chiave
dell’attuale normativa in materia di asilo, attraverso cui si riscontrano importanti profili di incompatibilità
con la natura di diritto fondamentale costituzionalmente tutelato, conferita al diritto di asilo dalla volontà dei
Costituenti e radicata nella ratio della norma stessa (il trattenimento del richiedente asilo; la procedura di
esame della domanda, l’onere probatorio e le cause ostative al suo accoglimento; l’effettività della tutela
giurisdizionale).
Le questioni più problematiche ancora irrisolte investono proprio tali aspetti del procedimento - previsto per
ottenere quello che alcuni atti europei, tra cui l'art. 18 della Carta di Nizza, definiscono right to asylum -
come rivela la disciplina contenuta nella Direttiva 2005/85CE, recante norme minime per le procedure
applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato.
Infine, il fenomeno della esternalizzazione dei controlli compromette lo stesso accesso alle procedure, nella
misura in cui rende "mobile" il confine territoriale dell’area Schengen (attraverso l'introduzione del criterio
dello "Stato terzo sicuro", degli strumenti dell'esame preliminare delle domande e della detenzione
amministrativa nei Paesi di transito, nonché per mezzo del presidio delle frontiere esterne), relegando il
trattamento dei richiedenti asilo ad uno spazio in cui non sempre è monitorabile l'effettivo rispetto del
principio del non refoulement, degli obblighi internazionali relativi all’accoglienza dei profughi e delle
clausole di determinazione dello Stato competente all'esame delle domande ai sensi del Regolamento n.
343/03, c.d. Dublino II (emblematico il caso del pattugliamento delle acque internazionali e
dell'intercettazione delle navi prima del superamento dei confini territoriali).
Questi delicati aspetti di criticità della disciplina procedimentale limitano il carattere innovativo delle recenti
acquisizioni comunitarie sull’ambito di operatività delle nuove categorie definitorie introdotte (le qualifiche
di rifugiato e di titolare di protezione sussidiaria e la complessa nozione di persecuzione, innanzitutto),
richiedendo, pertanto, l’adozione di un approccio sistemico – piuttosto che analitico – per poter rappresentare
in modo consapevole le dinamiche che concretamente si producono a livello applicativo ed affrontare la
questione nodale dell'efficienza dell'attuale sistema multilivello di protezione del richiedente asilo.
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Gli interventi sostitutivi nei confronti degli enti territorialiRaffiotta, Edoardo Carlo <1979> 30 June 2008 (has links)
La ricerca ha perseguito l’obiettivo di individuare e definire il potere di un ente territoriale di
sostituire, tramite i suoi organi o atti, quelli ordinari degli enti territoriali minori, per assumere ed
esercitare compiutamente, in situazioni straordinarie, le funzioni proprie di questi.
Dogmaticamente potremmo distinguere due generali categorie di sostituzione: quella
amministrativa e quella legislativa, a seconda dell’attività giuridica nella quale il sostituto
interviene. Nonostante tale distinzione riguardi in generale il rapporto tra organi o enti della stessa o
di differenti amministrazioni, con eguale o diverso grado di autonomia; la ricerca ha mirato ad
analizzare le due summenzionate categorie con stretto riferimento agli enti territoriali.
I presupposti, l’oggetto e le modalità di esercizio avrebbero consentito ovviamente di
sottocatalogare le due generali categorie di sostituzione, ma un’indagine volta a individuare e
classificare ogni fattispecie di attività sostitutiva, più che un’attività complessa, è sembrata risultare
di scarsa utilità. Più proficuo è parso il tentativo di ricostruire la storia e l’evoluzione del
menzionato istituto, al fine di definire e comprendere i meccanismi che consentono l’attività
sostitutiva.
Nel corso della ricostruzione non si è potuto trascurare che, all’interno dell’ordinamento
italiano, l’istituto della sostituzione è nato nel diritto amministrativo tra le fattispecie che
regolavano l’esercizio della funzione amministrativa indiretta.
La dottrina del tempo collocava la potestà sostitutiva nella generale categoria dei controlli.
La sostituzione, infatti, non avrebbe avuto quel valore creativo e propulsivo, nel mondo
dell’effettualità giuridica, quell’energia dinamica ed innovatrice delle potestà attive. La sostituzione
rappresentava non solo la conseguenza, ma anche la continuazione del controllo.
Le fattispecie, che la menzionata dottrina analizzava, rientravano principalmente all’interno
di due categorie di sostituzione: quella disposta a favore dello Stato contro gli inadempimenti degli
enti autarchici – principalmente il comune – nonché la sostituzione operata all’interno
dell’organizzazione amministrativa dal superiore gerarchico nei confronti del subordinato.
Già in epoca unitaria era possibile rinvenire poteri sostitutivi tra enti, la prima vera
fattispecie di potestà sostitutiva, era presente nella disciplina disposta da diverse fattispecie
dell'allegato A della legge 20 marzo 1856 n. 2248, sull'unificazione amministrativa del Regno.
Tentativo del candidato è stato quello, quindi, di ricostruire l'evoluzione delle fattispecie sostitutive
nella stratificazione normativa che seguì con il T.U. della legge Comunale e Provinciale R.D. 4
febbraio 1915 e le successive variazioni tra cui il R.D.L. 30 dicembre 1923.
Gli istituti sostitutivi vennero meno (di fatto) con il consolidarsi del regime fascista. Il
fascismo, che in un primo momento aveva agitato la bandiera delle autonomie locali, non tardò,
come noto, una volta giunto al potere, a seguire la sua vera vocazione, dichiarandosi ostile a ogni
proposito di decentramento e rafforzando, con la moltiplicazione dei controlli e la soppressione del
principio elettivo, la già stretta dipendenza delle comunità locali dallo Stato. Vennero meno i
consigli liberamente eletti e al loro posto furono insediati nel 1926 i Podestà e i Consultori per le
Amministrazioni comunali; nel 1928 i Presidi e i Rettorati per le Amministrazioni Provinciali, tutti
organi nominati direttamente o indirettamente dall’Amministrazione centrale.
In uno scenario di questo tipo i termini autarchia e autonomia risultano palesemente
dissonanti e gli istituti di coordinamento tra Stato ed enti locali furono ad esso adeguati; in tale
ordinamento, infatti, la sostituzione (pur essendo ancora presenti istituti disciplinanti fattispecie
surrogatorie) si presentò come un semplice rapporto interno tra organi diversi, di uno stesso unico
potere e non come esso è in realtà, anello di collegamento tra soggetti differenti con fini comuni
(Stato - Enti autarchici); per semplificare, potremmo chiederci, in un sistema totalitario come quello
fascista, in cui tutti gli interessi sono affidati all’amministrazione centrale, chi dovrebbe essere il
sostituito.
Il potere sostitutivo (in senso proprio) ebbe una riviviscenza nella normativa post-bellica,
come reazione alla triste parentesi aperta dal fascismo, che mise a nudo i mali e gli abusi
dell’accentramento statale. La suddetta normativa iniziò una riforma in favore delle autonomie
locali; infatti, come noto, tutti i partiti politici assunsero posizione in favore di una maggiore
autonomia degli enti territoriali minori e ripresero le proposte dei primi anni dell’Unità di Italia
avanzate dal Minghetti, il quale sentiva l’esigenza dell’istituzione di un ente intermedio tra Stato e
Province, a cui affidare interessi territorialmente limitati: la Regione appunto.
Emerge piuttosto chiaramente dalla ricerca che la storia politica e l’evoluzione del diritto
pubblico documentano come ad una sempre minore autonomia locale nelle politiche accentratrici
dello Stato unitario prima, e totalitario poi, corrisponda una proporzionale diminuzione di istituti di
raccordo come i poteri sostitutivi; al contrario ad una sempre maggiore ed evoluta autonomia dello
Stato regionalista della Costituzione del 1948 prima, e della riforma del titolo V oggi, una
contestuale evoluzione e diffusione di potestà sostitutive.
Pare insomma che le relazioni stato-regioni, regioni-enti locali che la sostituzione
presuppone, sembrano rappresentare (ieri come oggi) uno dei modi migliori per comprendere il
sistema delle autonomie nell’evoluzione della stato regionale e soprattutto dopo la riforma apportata
dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.
Dalla preliminare indagine storica un altro dato, che pare emergere, sembra essere la
constatazione che l'istituto nato e giustificato da esigenze di coerenza e efficienza dell'azione
amministrativa sia stato trasferito nell'ambio delle relazioni tra stato e autonomie territoriali. Tale
considerazione sembra essere confermata dal proseguo dell’indagine, ed in particolare dai punti di
contatto tra presupposti e procedure di sostituzione nell’analisi dell’istituto.
Nonostante, infatti, il Costituente non disciplinò poteri sostitutivi dello Stato o delle regioni,
al momento di trasferire le competenze amministrative alle regioni la Corte costituzionale rilevò il
problema della mancanza di istituti posti a garantire gli interessi pubblici, volti ad ovviare alle
eventuali inerzie del nuovo ente territoriale. La presente ricerca ha voluto infatti ricostruire
l’ingresso dei poteri sostitutivi nel ordinamento costituzionale, riportando le sentenze del Giudice
delle leggi, che a partire dalla sentenza n. 142 del 1972 e dalla connessa pronuncia n. 39 del 1971
sui poteri di indirizzo e coordinamento dello Stato, pur non senza incertezze e difficoltà, ha finito
per stabilire un vero e proprio “statuto” della sostituzione con la sentenza n. 177 del 1988,
individuando requisiti sostanziali e procedurali, stimolando prima e correggendo successivamente
gli interventi del legislatore.
Le prime fattispecie sostitutive furono disciplinate con riferimento al rispetto degli obblighi
comunitari, ed in particolare con l’art. 27 della legge 9 maggio 1975, n. 153, la quale disciplina, per
il rispetto dell’autonomia regionale, venne legittimata dalla stessa Corte nella sentenza n. 182 del
1976.
Sempre con riferimento al rispetto degli obblighi comunitari intervenne l’art. 6 c. 3°, D.P.R.
24 luglio 1977, n. 616. La stessa norma va segnalata per introdurre (all’art. 4 c. 3°) una disciplina
generale di sostituzione in caso di inadempimento regionale nelle materie delegate dallo Stato.
Per il particolare interesse si deve segnalare il D.M. 21 settembre 1984, sostanzialmente
recepito dal D.L. 27 giugno 1985, n. 312 (disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare
interesse ambientale), poi convertito in legge 8 agosto 1985, n. 431 c.d. legge Galasso. Tali
disposizioni riaccesero il contenzioso sul potere sostitutivo innanzi la Corte Costituzionale, risolto
nelle sentt. n. 151 e 153 del 1986.
Tali esempi sembrano dimostrare quello che potremmo definire un dialogo tra legislatore e
giudice della costituzionalità nella definizione dei poteri sostitutivi; il quale culminò nella già
ricordata sent. n. 177 del 1988, nella quale la Corte rilevò che una legge per prevedere un potere
sostitutivo costituzionalmente legittimo deve: essere esercitato da parte di un organo di governo; nei
confronti di attività prive di discrezionalità nell’an e presentare idonee garanzie procedimentali in
conformità al principio di leale collaborazione.
Il modello definito dalla Corte costituzionale sembra poi essere stato recepito
definitivamente dalla legge 15 marzo 1997, n. 59, la quale per prima ha connesso la potestà
sostitutiva con il principio di sussidiarietà. Detta legge sembra rappresentare un punto di svolta
nell’indagine condotta perché consente di interpretare al meglio la funzione – che già
antecedentemente emergeva dallo studio dei rapporti tra enti territoriali – dei poteri sostitutivi quale
attuazione del principio di sussidiarietà.
La legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, ha disciplinato all’interno della Costituzione
ben due fattispecie di poteri sostitutivi all’art. 117 comma 5 e all’art. 120 comma 2.
La “lacuna” del 1948 necessitava di essere sanata – in tal senso erano andati anche i
precedenti tentativi di riforma costituzionale, basti ricordare l’art. 58 del progetto di revisione
costituzionale presentato dalla commissione D’Alema il 4 novembre 1997 – i disposti introdotti dal
riformatore costituzionale, però, non possono certo essere apprezzati per la loro chiarezza e
completezza. Le due richiamate disposizioni costituzionali, infatti, hanno prodotto numerose letture.
Il dibattito ha riguardato principalmente la natura delle due fattispecie sostitutive. In
particolare, si è discusso sulla natura legislativa o amministrativa delle potestà surrogatorie e sulla
possibilità da parte del legislatore di introdurre o meno la disciplina di ulteriori fattispecie
sostitutive rispetto a quelle previste dalla Costituzione.
Con particolare riferimento all’art. 120 c. 2 Cost. sembra semplice capire che le difficoltà
definitorie siano state dovute all’indeterminatezza della fattispecie, la quale attribuisce al Governo il
potere sostitutivo nei confronti degli organi (tutti) delle regioni, province, comuni e città
metropolitane. In particolare, la dottrina, che ha attribuito all’art. 120 capoverso la disciplina di un
potere sostitutivo sulle potestà legislative delle Regioni, è partita dalla premessa secondo la quale
detta norma ha una funzione fondamentale di limite e controllo statale sulle Regioni. La legge 18
ottobre 2001 n. 3 ha, infatti, variato sensibilmente il sistema dei controlli sulle leggi regionali, con
la modificazione degli artt. 117 e 127 della Costituzione; pertanto, il sistema dei controlli dopo la
riforma del 2001, troverebbe nel potere sostitutivo ex art. 120 la norma di chiusura.
Sul tema è insistito un ampio dibattito, al di là di quello che il riformatore costituzionale
avrebbe dovuto prevedere, un’obiezione (più delle altre) pare spingere verso l’accoglimento della
tesi che propende per la natura amministrativa della fattispecie in oggetto, ovvero la constatazione
che il Governo è il soggetto competente, ex art. 120 capoverso Cost., alla sostituzione; quindi, se si
intendesse la sostituzione come avente natura legislativa, si dovrebbe ritenere che il Costituente
abbia consentito all’Esecutivo, tosto che al Parlamento, l’adozione di leggi statali in sostituzione di
quelle regionali. Suddetta conseguenza sembrerebbe comportare una palese violazione dell’assetto
costituzionale vigente.
Le difficoltà interpretative dell’art. 120 Cost. si sono riversate sulla normativa di attuazione
della riforma costituzionale, legge 5 giugno 2003, n. 131. In particolare nell’art. 8, il quale ha
mantenuto un dettato estremamente vago e non ha preso una chiara e netta opzione a favore di una
della due interpretazione riportate circa la natura della fattispecie attuata, richiamando
genericamente che il potere sostitutivo si adotta “Nei casi e per le finalità previsti dall'articolo 120”
Cost.
Di particolare interesse pare essere, invece, il procedimento disciplinato dal menzionato art.
8, il quale ha riportato una procedura volta ad attuare quelle che sono state le indicazioni della Corte
in materia.
Analogamente agli anni settanta ed ottanta, le riportate difficoltà interpretative dell’art. 120
Cost. e, più in generale il tema dei poteri sostitutivi dopo la riforma del 2001, sono state risolte e
definite dal giudice della costituzionalità.
In particolare, la Corte sembra aver palesemente accolto (sent. n. 43 del 2004) la tesi sulla
natura amministrativa del potere sostitutivo previsto dall’art. 120 c. 2 Cost. Il giudice delle leggi ha
tra l’altro fugato i dubbi di chi, all’indomani della riforma costituzionale del 2001, aveva letto nel
potere sostitutivo, attribuito dalla riformata Costituzione al Governo, l’illegittimità di tutte quelle
previsioni legislative regionali, che disponevano ipotesi di surrogazione (da parte della regione) nei
confronti degli enti locali. La Corte costituzionale, infatti, nella già citata sentenza ha definito
“straordinario” il potere di surrogazione attribuito dall’art. 120 Cost. allo Stato, considerando
“ordinare” tutte quelle fattispecie sostitutive previste dalla legge (statale e regionale).
Particolarmente innovativa è la parte dell'indagine in cui la ricerca ha verificato in concreto
la prassi di esercizio della sostituzione statale, da cui sono sembrate emergere numerose tendenze.
In primo luogo significativo sembra essere il numero esiguo di sostituzioni amministrative
statali nei confronti delle amministrazioni regionali; tale dato sembra dimostrare ed essere causa
della scarsa “forza” degli esecutivi che avrebbero dovuto esercitare la sostituzione. Tale
conclusione sembra trovare conferma nell'ulteriore dato che sembra emergere ovvero i casi in cui
sono stati esercitati i poteri sostitutivi sono avvenuti tutti in materie omogenee (per lo più in materia
di tutela ambientale) che rappresentano settori in cui vi sono rilevanti interessi pubblici di
particolare risonanza nell'opinione pubblica. Con riferimento alla procedura va enfatizzato il
rispetto da parte dell'amministrazione sostituente delle procedure e dei limiti fissati tanto dal
legislatore quanto nella giurisprudenza costituzionale al fine di rispettare l'autonomia dell'ente
sostituito.
Dalla ricerca emerge che non è stato mai esercitato un potere sostitutivo direttamente ex art.
120 Cost., nonostante sia nella quattordicesima (Governo Berlusconi) che nella quindicesima
legislatura (Governo Prodi) con decreto sia stata espressamente conferita al Ministro per gli affari
regionali la competenza a promuovere l’“esercizio coordinato e coerente dei poteri e rimedi previsti
in caso di inerzia o di inadempienza, anche ai fini dell'esercizio del potere sostitutivo del Governo
di cui all'art. 120 della Costituzione”. Tale conclusione, però, non lascia perplessi, bensì, piuttosto,
sembra rappresentare la conferma della “straordinarietà” della fattispecie sostitutiva
costituzionalizzata. Infatti, in via “ordinaria” lo Stato prevede sostituzioni per mezzo di specifiche
disposizioni di legge o addirittura per mezzo di decreti legge, come di recente il D.L. 09 ottobre
2006, n. 263 (Misure straordinarie per fronteggiare l'emergenza nel settore dei rifiuti nella regione
Campania. Misure per la raccolta differenziata), che ha assegnato al Capo del Dipartimento della
protezione civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri “le funzioni di Commissario delegato
per l'emergenza nel settore dei rifiuti nella regione Campania per il periodo necessario al
superamento di tale emergenza e comunque non oltre il 31 dicembre 2007”. Spesso l’aspetto
interessante che sembra emergere da tali sostituzioni, disposte per mezzo della decretazione
d’urgenza, è rappresentato dalla mancata previsione di diffide o procedure di dialogo, perché
giustificate da casi di estrema urgenza, che spesso spingono la regione stessa a richiedere
l’intervento di surrogazione. Del resto è stata la stessa Corte costituzionale a legittimare, nei casi di
particolare urgenza e necessità, sostituzioni prive di dialogo e strumenti di diffida nella sent. n. 304
del 1987.
Particolare attenzione è stata data allo studio dei poteri sostitutivi regionali. Non solo perché
meno approfonditi in letteratura, ma per l’ulteriore ragione che tali fattispecie, disciplinate da leggi
regionali, descrivono i modelli più diversi e spingono ad analisi di carattere generale in ordine alla
struttura ed alla funzione dei poteri sostitutivi. Esse sembrano rappresentare (in molti casi) modelli
da seguire dallo stesso legislatore statale, si vedano ad esempio leggi come quella della regione
Toscana 31 ottobre 2001, n. 53, artt. 2, 3, 4, 5, 7; legge regione Emilia-Romagna 24 marzo 2004, n.
6, art. 30, le quali recepiscono i principi sviluppati dalla giurisprudenza costituzionale e scandiscono
un puntuale procedimento ispirato alla collaborazione ed alla tutela delle attribuzioni degli enti
locali.
La ricerca di casi di esercizio di poter sostitutivi è stata effettuata anche con riferimento ai
poteri sostitutivi regionali. I casi rilevati sono stati numerosi in particolare nella regione Sicilia, ma
si segnalano anche casi nelle regioni Basilicata ed Emilia-Romagna. Il dato principale, che sembra
emergere, pare essere che alle eterogenee discipline di sostituzione corrispondano eterogenee prassi
di esercizio della sostituzione. Infatti, alle puntuali fattispecie di disciplina dei poteri sostitutivi
dell’Emilia-Romagna corrispondono prassi volte ad effettuare la sostituzione con un delibera della
giunta (organo di governo) motivata, nel rispetto di un ampio termine di diffida, nonché nella
ricerca di intese volte ad evitare la sostituzione. Alla generale previsione della regione Sicilia, pare
corrispondere un prassi sostitutiva caratterizzata da un provvedimento del dirigente generale
all’assessorato per gli enti locali (organo di governo?), per nulla motivato, salvo il richiamo
generico alle norme di legge, nonché brevi termini di diffida, che sembrano trovare la loro
giustificazione in note o solleciti informati che avvisano l’ente locale della possibile sostituzione.
In generale il fatto che in molti casi i poteri sostitutivi siano stimolati per mezzo
dell’iniziativa dei privati, sembra dimostrare l’attitudine di tal istituto alla tutela degli interessi dei
singoli.
I differenti livelli nei quali operano i poteri sostitutivi, il ruolo che la Corte ha assegnato a
tali strumenti nell’evoluzione della giurisprudenza costituzionale, nonché i dati emersi dall’indagine
dei casi concreti, spingono ad individuare nel potere sostitutivo uno dei principali strumenti di
attuazione del principio di sussidiarietà, principio quest’ultimo che sembra rappresentare – assieme
ai corollari di proporzionalità, adeguatezza e leale collaborazione – la chiave di lettura della potestà
sostitutiva di funzioni amministrative.
In tal senso, come detto, pare emergere dall’analisi di casi concreti come il principio di
sussidiarietà per mezzo dei poteri sostitutivi concretizzi quel fine, a cui l’art. 118 cost. sembra
mirare, di tutela degli interessi pubblici, consentendo all’ente sovraordinato di intervenire laddove
l’ente più vicino ai cittadini non riesca.
Il principio di sussidiarietà sembra essere la chiave di lettura anche dell’altra categoria della
sostituzione legislativa statale. L’impossibilità di trascurare o eliminare l’interesse nazionale,
all’interno di un ordinamento regionale fondato sull’art. 5 Cost., sembra aver spino la Corte
costituzionale ad individuare una sorta di “potere sostitutivo legislativo”, attraverso il (seppur
criticabile) meccanismo introdotto per mezzo della sent. 303 del 2003 e della cosiddetta “chiamata i
sussidiarietà”. Del resto adattare i principi enucleati nella giurisprudenza costituzionale a partire
dalla sent. n. 117 del 1988 alla chiamata in sussidiarietà e i limiti che dal principio di leale
collaborazione derivano, sembra rappresentare un dei modi (a costituzione invariata) per limitare
quello che potrebbe rappresentare un meccanismo di rilettura dell’art. 117 Cost. ed ingerenza dello
stato nelle competenze della regioni.
Nonostante le sensibili differenze non si può negare che lo strumento ideato dalla Corte
abbia assunto le vesti della konkurrierende gesetzgebung e, quindi, di fatto, di un meccanismo che
senza limiti e procedure potrebbe rappresentare uno strumento di interferenza e sostituzione della
stato nelle competenze regionali. Tali limiti e procedure potrebbero essere rinvenuti come detto
nelle procedure di sostituzione scandite nelle pronunce del giudice delle leggi.
I risultati che si spera emergeranno dalla descritta riflessione intorno ai poteri sostitutivi e il
conseguente risultato circa lo stato del regionalismo italiano, non sembrano, però, rappresentare un
punto di arrivo, bensì solo di partenza.
I poteri sostitutivi potrebbero infatti essere oggetto di futuri interventi di riforma
costituzionale, così come lo sono stati in occasione del tentativo di riforma del 2005. Il legislatore
costituzionale nel testo di legge costituzionale approvato in seconda votazione a maggioranza
assoluta (recante “Modifiche alla Parte II della Costituzione” e pubblicato in gazzetta ufficiale n.
269 del 18-11-2005) pareva aver fatto un scelta chiara sostituendo il disposto “Il Governo può
sostituirsi a organi delle Regioni, delle città metropolitane, delle Province e dei Comuni” con “Lo
Stato può sostituirsi alle Regioni, alle città metropolitane, alle Province e ai Comuni nell'esercizio
delle funzioni loro attribuite dagli articoli 117 e 118”.
Insomma si sarebbe introdotto quello strumento che in altri Paesi prende il nome di
Supremacy clause o Konkurrierende Gesetzgebung, ma quali sarebbero state le procedure e limiti
che lo Stato avrebbe dovuto rispettare?
Il dettato che rigidamente fissa le competenze di stato e regioni, assieme alla reintroduzione
espressa dell’interesse nazionale, non avrebbe ridotto eccessivamente l’autonomia regionale?
Tali interrogativi mirano a riflettere non tanto intorno a quelli che potrebbero essere gli
sviluppi dell’istituto dei poteri sostitutivi. Piuttosto essi sembrano rappresenterebbe l’ulteriore punto
di vista per tentare di comprendere quale percorso avrebbe potuto (o potrebbe domani) prendere il
regionalismo italiano.
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Qualità della legge e forme di governo. Controlli e garanzie costituzionali in prospettiva comparataBillè, Roberta <1978> 30 June 2008 (has links)
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Accrescimento, stato ponderale e immagine di sé, in età pre-puberale (6-11 anni), a Cento (provincia di Ferrara): studio trasversale e longitudinaleSemproli, Samantha <1976> 17 June 2008 (has links)
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Caratterizzazione del legame di molecole di interesse farmaceutico alla sieroalbumina umana mediante biocromatografia e dicroismo circolarePistolozzi, Marco <1978> 30 May 2008 (has links)
Negli ultimi anni, un crescente numero di studiosi ha focalizzato la propria
attenzione sullo sviluppo di strategie che permettessero di caratterizzare le
proprietà ADMET dei farmaci in via di sviluppo, il più rapidamente possibile.
Questa tendenza origina dalla consapevolezza che circa la metà dei farmaci in
via di sviluppo non viene commercializzato perché ha carenze nelle
caratteristiche ADME, e che almeno la metà delle molecole che riescono ad
essere commercializzate, hanno comunque qualche problema tossicologico o
ADME [1].
Infatti, poco importa quanto una molecola possa essere attiva o specifica:
perché possa diventare farmaco è necessario che venga ben assorbita, distribuita
nell’organismo, metabolizzata non troppo rapidamente, ne troppo lentamente e
completamente eliminata. Inoltre la molecola e i suoi metaboliti non dovrebbero
essere tossici per l’organismo.
Quindi è chiaro come una rapida determinazione dei parametri ADMET in fasi
precoci dello sviluppo del farmaco, consenta di risparmiare tempo e denaro,
permettendo di selezionare da subito i composti più promettenti e di lasciar
perdere quelli con caratteristiche negative.
Questa tesi si colloca in questo contesto, e mostra l’applicazione di una tecnica
semplice, la biocromatografia, per caratterizzare rapidamente il legame di
librerie di composti alla sieroalbumina umana (HSA). Inoltre mostra l’utilizzo di
un’altra tecnica indipendente, il dicroismo circolare, che permette di studiare gli
stessi sistemi farmaco-proteina, in soluzione, dando informazioni supplementari
riguardo alla stereochimica del processo di legame.
La HSA è la proteina più abbondante presente nel sangue. Questa proteina
funziona da carrier per un gran numero di molecole, sia endogene, come ad
esempio bilirubina, tiroxina, ormoni steroidei, acidi grassi, che xenobiotici.
Inoltre aumenta la solubilità di molecole lipofile poco solubili in ambiente
acquoso, come ad esempio i tassani. Il legame alla HSA è generalmente
stereoselettivo e ad avviene a livello di siti di legame ad alta affinità. Inoltre è
ben noto che la competizione tra farmaci o tra un farmaco e metaboliti endogeni,
possa variare in maniera significativa la loro frazione libera, modificandone
l’attività e la tossicità.
Per queste sue proprietà la HSA può influenzare sia le proprietà
farmacocinetiche che farmacodinamiche dei farmaci. Non è inusuale che un
intero progetto di sviluppo di un farmaco possa venire abbandonato a causa di
un’affinità troppo elevata alla HSA, o a un tempo di emivita troppo corto, o a
una scarsa distribuzione dovuta ad un debole legame alla HSA. Dal punto di
vista farmacocinetico, quindi, la HSA è la proteina di trasporto del plasma più
importante.
Un gran numero di pubblicazioni dimostra l’affidabilità della tecnica
biocromatografica nello studio dei fenomeni di bioriconoscimento tra proteine e
piccole molecole [2-6].
Il mio lavoro si è focalizzato principalmente sull’uso della biocromatografia
come metodo per valutare le caratteristiche di legame di alcune serie di composti
di interesse farmaceutico alla HSA, e sul miglioramento di tale tecnica. Per
ottenere una miglior comprensione dei meccanismi di legame delle molecole
studiate, gli stessi sistemi farmaco-HSA sono stati studiati anche con il
dicroismo circolare (CD).
Inizialmente, la HSA è stata immobilizzata su una colonna di silice epossidica
impaccata 50 x 4.6 mm di diametro interno, utilizzando una procedura
precedentemente riportata in letteratura [7], con alcune piccole modifiche.
In breve, l’immobilizzazione è stata effettuata ponendo a ricircolo, attraverso
una colonna precedentemente impaccata, una soluzione di HSA in determinate
condizioni di pH e forza ionica. La colonna è stata quindi caratterizzata per
quanto riguarda la quantità di proteina correttamente immobilizzata, attraverso
l’analisi frontale di L-triptofano [8]. Di seguito, sono stati iniettati in colonna
alcune soluzioni raceme di molecole note legare la HSA in maniera
enantioselettiva, per controllare che la procedura di immobilizzazione non
avesse modificato le proprietà di legame della proteina.
Dopo essere stata caratterizzata, la colonna è stata utilizzata per determinare la
percentuale di legame di una piccola serie di inibitori della proteasi HIV (IPs), e
per individuarne il sito(i) di legame. La percentuale di legame è stata calcolata
attraverso il fattore di capacità (k) dei campioni. Questo parametro in fase
acquosa è stato estrapolato linearmente dal grafico log k contro la percentuale
(v/v) di 1-propanolo presente nella fase mobile. Solamente per due dei cinque
composti analizzati è stato possibile misurare direttamente il valore di k in
assenza di solvente organico.
Tutti gli IPs analizzati hanno mostrato un’elevata percentuale di legame alla
HSA: in particolare, il valore per ritonavir, lopinavir e saquinavir è risultato
maggiore del 95%. Questi risultati sono in accordo con dati presenti in
letteratura, ottenuti attraverso il biosensore ottico [9]. Inoltre, questi risultati
sono coerenti con la significativa riduzione di attività inibitoria di questi
composti osservata in presenza di HSA. Questa riduzione sembra essere
maggiore per i composti che legano maggiormente la proteina [10].
Successivamente sono stati eseguiti degli studi di competizione tramite
cromatografia zonale. Questo metodo prevede di utilizzare una soluzione a
concentrazione nota di un competitore come fase mobile, mentre piccole
quantità di analita vengono iniettate nella colonna funzionalizzata con HSA. I
competitori sono stati selezionati in base al loro legame selettivo ad uno dei
principali siti di legame sulla proteina. In particolare, sono stati utilizzati
salicilato di sodio, ibuprofene e valproato di sodio come marker dei siti I, II e
sito della bilirubina, rispettivamente. Questi studi hanno mostrato un legame
indipendente dei PIs ai siti I e II, mentre è stata osservata una debole
anticooperatività per il sito della bilirubina.
Lo stesso sistema farmaco-proteina è stato infine investigato in soluzione
attraverso l’uso del dicroismo circolare. In particolare, è stato monitorata la
variazione del segnale CD indotto di un complesso equimolare
[HSA]/[bilirubina], a seguito dell’aggiunta di aliquote di ritonavir, scelto come
rappresentante della serie. I risultati confermano la lieve anticooperatività per il
sito della bilirubina osservato precedentemente negli studi biocromatografici.
Successivamente, lo stesso protocollo descritto precedentemente è stato
applicato a una colonna di silice epossidica monolitica 50 x 4.6 mm, per valutare
l’affidabilità del supporto monolitico per applicazioni biocromatografiche. Il
supporto monolitico monolitico ha mostrato buone caratteristiche
cromatografiche in termini di contropressione, efficienza e stabilità, oltre che
affidabilità nella determinazione dei parametri di legame alla HSA. Questa
colonna è stata utilizzata per la determinazione della percentuale di legame alla
HSA di una serie di poliamminochinoni sviluppati nell’ambito di una ricerca
sulla malattia di Alzheimer.
Tutti i composti hanno mostrato una percentuale di legame superiore al 95%.
Inoltre, è stata osservata una correlazione tra percentuale di legame è
caratteristiche della catena laterale (lunghezza e numero di gruppi amminici).
Successivamente sono stati effettuati studi di competizione dei composti in
esame tramite il dicroismo circolare in cui è stato evidenziato un effetto
anticooperativo dei poliamminochinoni ai siti I e II, mentre rispetto al sito della
bilirubina il legame si è dimostrato indipendente.
Le conoscenze acquisite con il supporto monolitico precedentemente descritto,
sono state applicate a una colonna di silice epossidica più corta (10 x 4.6 mm). Il
metodo di determinazione della percentuale di legame utilizzato negli studi
precedenti si basa su dati ottenuti con più esperimenti, quindi è necessario molto
tempo prima di ottenere il dato finale. L’uso di una colonna più corta permette
di ridurre i tempi di ritenzione degli analiti, per cui la determinazione della
percentuale di legame alla HSA diventa molto più rapida. Si passa quindi da una
analisi a medio rendimento a una analisi di screening ad alto rendimento (highthroughput-
screening, HTS). Inoltre, la riduzione dei tempi di analisi, permette
di evitare l’uso di soventi organici nella fase mobile.
Dopo aver caratterizzato la colonna da 10 mm con lo stesso metodo
precedentemente descritto per le altre colonne, sono stati iniettati una serie di
standard variando il flusso della fase mobile, per valutare la possibilità di
utilizzare flussi elevati. La colonna è stata quindi impiegata per stimare la
percentuale di legame di una serie di molecole con differenti caratteristiche
chimiche. Successivamente è stata valutata la possibilità di utilizzare una
colonna così corta, anche per studi di competizione, ed è stata indagato il legame
di una serie di composti al sito I. Infine è stata effettuata una valutazione della
stabilità della colonna in seguito ad un uso estensivo.
L’uso di supporti cromatografici funzionalizzati con albumine di diversa
origine (ratto, cane, guinea pig, hamster, topo, coniglio), può essere proposto
come applicazione futura di queste colonne HTS. Infatti, la possibilità di
ottenere informazioni del legame dei farmaci in via di sviluppo alle diverse
albumine, permetterebbe un migliore paragone tra i dati ottenuti tramite
esperimenti in vitro e i dati ottenuti con esperimenti sull’animale, facilitando la
successiva estrapolazione all’uomo, con la velocità di un metodo HTS. Inoltre,
verrebbe ridotto anche il numero di animali utilizzati nelle sperimentazioni.
Alcuni lavori presenti in letteratura dimostrano l’affidabilita di colonne
funzionalizzate con albumine di diversa origine [11-13]: l’utilizzo di colonne più
corte potrebbe aumentarne le applicazioni. / Lately, an increasing number of scientists, academics as well as
pharmaceutical industries, have focused their attention on the development of
strategies to characterise the ADMET properties of the candidate drugs as early
as possible. This trend is due to the awareness that about half of all drugs in
development fail to make it to the market because of ADME deficiencies and
that at least half of the ones that do make it to market still have some ADME or
toxicological problems [1]. No matter how active nor specific is a chemical: to
turn it into drug it needs to be well absorbed, distributed throughout the body,
metabolised in a not too rapid nor too slow way and completely eliminated.
Moreover, it and its metabolites should not be toxic for the body. Thus, it is
clear how a rapid determination of ADMET parameters in early stages of drug
discovery would save money and time, allowing to choose the better compounds
and to eliminate any losers, early and cheaply.
This thesis is set in this context, showing the application of a simple technique,
biochromatography, to quickly evaluate candidate drugs as far as binding to
human serum albumin (HSA) is concerned. Furthermore it shows another
suitable independent technique, namely circular dichroism, able to study the
same drug-protein system, allowing a deeper insight into the stereochemistry of
the binding process.
HSA is the most abundant protein in the blood. It acts as a carrier for a wide
range of molecules either endogenous, such as bilirubin, tiroxine, steroid
hormones and fatty acids, or xenobiotics. Furthermore, it allows the
solubilisation of hydrophobic compounds (e.g. taxanes), characterized by very
low solubility. The binding to albumin is usually stereoselective and occurs at
high-affinity binding sites level. It is also well known that competition of drugs
for the same sites on HSA can meaningfully alter their free fraction affecting
their activity and toxicity. Thus, by its binding properties, HSA can affect the
pharmacokinetics as well as the pharmacodynamic properties of drugs. It is not
unusual that even whole drug discovery projects have been abandoned due to
very strong binding to HSA or short lifetime or poor distribution due to weak
binding. This makes HSA the most important serum protein from a
pharmacokinetics point of view.
A large body of literature has showed the reliability of the biochromatographic
technique for the study of the biorecognition processes between proteins and
small molecules [2-6].
My work was mainly finalised to use this technique to evaluate the binding
characteristics of series of compounds and to improve such technique. To obtain
a better comprehension of the binding mechanisms of the molecules
investigated, circular dichroism was also employed.
First, HSA was immobilised onto a classic packed epoxy silica-based column
50 x 4.6 mm i.d. using a slightly modified procedure previously reported [7]. In
brief, the immobilisation was achieved by overnight recirculation of a solution
of HSA through the column previously packed with epoxy silica particles, at set
pH and ionic strength. Then, the column was characterised in terms of amount
of HSA correctly immobilised by the frontal analysis of L-tryptophan [8]. By
injecting some racemates known to bind the protein in a stereoselective manner,
we also checked that the immobilisation procedure would preserve the binding
properties of the free protein. The column so characterised was employed to
determine the binding percentage of a small series of five HIV protease
inhibitors (PIs), and also it was attempted to identify their binding site(s). The
bound drug percentage was calculated from the capacity factor (k) of the
samples. This parameter in only aqueous phase was extrapolated by linearly
plotting the log k values against the percentage (v/v) of 1-propanol in the eluent
mixtures. Only for two of the five compounds, it has been possible to measure
the k value without organic modifier. All of the IPs analysed proved to strongly
bind HSA; in particular the percentage of binding for ritonavir, lopinavir and
saquinavir was found to be higher than 95%. The results are in agreement with
data achieved by optical biosensor technique previously published [9]. In
addition, these results are consistent with the significant reduction of their
inhibitor activity observed in the presence of HSA. This effect seems to be
greater for the inhibitors strongly bound to the protein [10].
Displacement studies were also performed by zonal elution approach. By this
method, a known concentration of a competitive agent is continuously applied in
the mobile phase to the HSA-based column, while small amounts of the studied
drugs are injected. The competitors employed were chosen for their selective
binding in the main binding areas of HSA. In particular salicylate, ibuprofen,
and valproate were employed as markers of Sudlow’s site I, of Sudlow’s site II,
and of bilirubin site, respectively. The displacement studies have shown an
independent binding of PIs to sites I and II, while a slight anticooperativity was
observed for the bilirubin site. The same system, drug – target protein, was
finally investigated in solution using circular dichroism spectroscopy. The
change in the induced CD spectrum of an equimolar complex HSA/bilirubin was
monitored once increasing amounts of ritonavir, chosen as representative of the
series, were added. The results confirmed a slight anticooperativity for the
bilirubin binding site observed by the biochromatographic approach.
Subsequently, the validation protocol previously described was applied to a
novel 50 mm epoxy silica-based monolithic column to evaluate the reliability of
using such support for biochromatographic studies. That monolithic column
showed good chromatographic characteristics in terms of backpressure,
efficiency and stability as well as reliability in drug binding parameters
determination. Such column was applied in the determination of the binding
percentage to HSA of a series of poliaminoquinones developed within a project
on Alzheimer’s disease. All samples showed a binding percentage higher than
95%. Furthermore, the data obtained showed a good correlation between binding
percentage and side chain chemical features (length and number of amine
groups). Also in this case circular dichroism provided useful information about
the binding sites on HSA of the chemicals studied: displacement studies
indicated an anticooperative binding of these poliaminoquinones to sites I and II,
while an independent binding with respect to bilirubin site was observed.
The knowledge built up with the monolithic support previously described was
applied to a shorter monolithic column (10 x 4.6 mm). The method previously
described for the binding percentage determination is based on the data of
several analyses, so it is time consuming. The use of a shorter column allows
reducing the retention times of analytes. As a consequence the time needed to
determine the binding percentage to HSA of a series of molecules undergo a
tremendous decrease, turning such biochromatography from medium to highthroughput
screening technique. Furthermore, the significant retention time
shortness makes unnecessary the use of organic modifier, like 1-propanol, in the
mobile phase. After the characterisation of the short column as previously
described for the other columns, a series of standards were injected, also by
changing the flow rate in order to evaluate the possibility to use high flows. The
column was than employed to investigate the binding percentage to HSA and the
main binding sites of a series of molecules with different moieties. Finally, the
stability of the column was evaluated, in terms of reliability of results after
repeated analysis.
The development of chromatographic supports based on albumins from other
mammalian species (i.e. rat, dog, guinea pig, hamster, mouse, rabbit) may be
proposed as a future application of these short columns. In fact, this would allow
a better comparison between data achieved by in-vitro experiments and data
collected by experiments on animals, making easier the following data
extrapolation to human, with the speed of an high-throughput screening method.
Moreover it may reduce the number of animals used for pharmacokinetics
investigations. Some papers previously published proved the reliability of these
albumin-based supports [11-13]: using a shorter column may enhance its
applications.
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Virtual screening di inibitori del complesso N-Myc/Max e valutazioni in vitroMontemurro, Luca Antonio <1977> 30 May 2008 (has links)
No description available.
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Capillary coatings in Capillary Electrophoresis (CE) analysis of BiomoleculesOlmo, Stefano <1978> 30 May 2008 (has links)
No description available.
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Forme e modelli di diafonia nella musica tradizionale italianaMagazzù, Grazia Agata <1967> 23 June 2008 (has links)
La tesi di Dottorato espone i risultati dell’analisi condotta su alcune tipologie di canto
profano a due parti, osservate nella tradizione orale di specifiche aree rurali: le espressioni
diafoniche oggetto di indagine sono state individuate in diverse regioni, prevalentemente
nell’Italia centro-meridionale e in Sicilia, con alcune propaggini nell’Italia nord-orientale e in
alcune aree europee abitate da minoranze italiane (Istria slovena e croata).
I documenti analizzati sono stati reperiti grazie alla ricerca sul campo e rintracciati
anche nelle pubblicazioni discografiche, nei cataloghi dei più importanti archivi pubblici e
privati italiani.
Sono stati definiti i caratteri formali dei repertori e l’indagine realizzata ha inoltre
condotto a una mappatura attestante la presenza di repertori vocali simili in diverse sub-aree
della Penisola, confermando la estesa diffusione di pratiche diafoniche tradizionali in Italia.
Sulla base di analogie e ricorrenze è stato rilevato che le espressioni diafoniche
italiane possono essere attribuite a una remota tradizione comune: sebbene le peculiarità
relative a ciascun repertorio siano in molti casi abbastanza marcate, le connotazioni strutturali
e i modi performativi che distinguono tali repertori pare vogliano indicare di essere di fronte a
testimonianze di una tradizione musicale arcaica, in cui è possibile individuare procedure e
attitudini diafoniche simili e condivise.
L’ultima parte dell’indagine espone alcune riflessioni emerse dal confronto tra le
forme diafoniche analizzate e repertori polifonici conservati nella tradizione scritta,
prendendo come punto di partenza gli studi di Nino Pirrotta: ne emergono considerazioni per
l’individuazione e l’analisi di possibili comuni occorrenze all’interno di pratiche performative
localmente convergenti, pur se subordinate a modi di trasmissione diversi (tradizione scritta e
non scritta della musica).
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Caratteristiche morfometriche e genotipiche degli atleti d’elite praticanti ginnastica artisticaMassidda, Myosotis <1977> 17 June 2008 (has links)
No description available.
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