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Au-delà du formalisme. La critique des écrivains en France et en Italie pendant la seconde moitié du XXe siècle

Lorandini, Francesca January 2014 (has links)
My dissertation covers the field of what Albert Thibaudet called “the critique of artists†in order to show that, throughout the second half of the twentieth century, this form of criticism has given readers a different perspective on literature in comparison to that of the formalists and the neo-avant-garde. In the first part of my study, I examine the evolution of formalist criticism in the twentieth century, considering the linguistic turn of the 1960s as the natural outcome of a cultural revolution which took place at the end of the nineteenth century. By conducting a comparative study between France and Italy, I attempt to outline a transnational model which shows that the two formalist critiques share the same understanding of the literature postulated by the neo-avant-garde. The second part of my thesis is devoted to the study of one of the main tendencies in the critique of the writers since the Second World War, a tendency that called into question a purely intrinsic study of the work of art. Here, I propose a comparative study of the literary critique of Georges Perec, Michel Tournier, Philippe Muray, Tommaso Landolfi, Pier Paolo Pasolini and Pier Vittorio Tondelli, in order to underline that their critical practice has not limited itself to a personal declaration of their poetic views, but it has truly opened up an alternative approach to formalist theoretical positions. They refused to speak of literature as a secluded world, and by doing so they anticipated one of the most important features of the literature of the end of the twentieth century, both in France and in Italy.
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L’altro « partage ». Georges Bataille e l’ecologia

Berlantini, Germana 25 June 2022 (has links)
Questa tesi si propone come una rilettura dell'opera filosofica di Georges Bataille alla luce delle grandi emergenze ecologiche del nostro tempo e a partire dal problema della divisione tra natura e cultura. Negli ultimi vent'anni, l'opera di Georges Bataille ha incontrato un rinnovato interesse in alcune branche della filosofia e delle scienze sociali che riflettono sulla categoria dell'Antropocene e sulle forme del tardo capitalismo, a metà strada tra incubo climatico e tecno-premetismo. Il fascino di questo pensiero dipende dalle risonanze che esso riesce a stabilire con alcuni dei nodi politici e teorici più attuali: la critica e il superamento dell'antropocentrismo, la modellizzazione degli scambi tra ambiente ed esseri umani, la convivenza con le catastrofi. Il nostro lavoro evidenzia il dispiegamento di una catena di dualismi (continuo e discontinuo, interno ed esterno, eterogeneo e omogeneo) che intersezionano la divisione tra natura e cultura, creando un inedito spazio di incontro tra un certo ricorso al naturalismo e un pensiero dell’animazione. Le fonti scientifiche, antropologiche e filosofiche di quest’opera sono analizzate in profondità per farne emergere le consonanze con i temi più attuali della filosofia ambientale contemporanea. Interpretando i dualismi bataillani come il dispiegamento di un pensiero della biforcazione ontologica e cosmologica della modernità, ne esploriamo le possibili implicazioni per una riflessione ecologica all'altezza della congiuntura presente.
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Le voci di Camus tra soggettività e ritraduzione

Sanseverino, Giulio 30 September 2022 (has links)
In quanto poiesi ibrida sul piano estetico e culturale, frutto della duplice enunciazione di autore e traduttore, oltre che di numerosi interventi intermedi da parte di agenti esterni, il testo letterario tradotto racchiude un dialogo umbratile (Prete 2011) che, se studiato da vicino, può rivelare l’irriducibilità del testo originario in quei suoi tratti di plasticità semantica (Hawthorne 2006) che varcano le frontiere linguistiche e temporali di un canone per confluire, tramite nuove parole, in un altro. In prospettiva diacronica, un simile dialogo si compone di molte voci, ognuna delle quali acquista senso sia nella catena di traduzioni che nel tempo rende fruibili differenti interpretazioni del testo e poetiche del tradurre, sia in quanto complemento concreto dell’ininterrotto lavoro di analisi critica compiuto sul testo dopo la comparsa dell’opera originale. Partendo da queste premesse, il progetto di ricerca prende le mosse dalla recente comparsa, sul mercato editoriale italiano, delle ritraduzioni de L’Étranger (1942) e La Peste (1947) di Albert Camus per i tipi Bompiani: Lo Straniero (2015), ad opera di Sergio Claudio Perroni, e La Peste (2017) di Yasmina Melaouah, che dopo parecchi decenni avviano infine un dialogo con le prime traduzioni, rispettivamente di Alberto Zevi (1947) e Beniamino Dal Fabbro (1948). L’obiettivo è quello di esporre alcune delle forme di somiglianza e divergenza dalle quali sia possibile sondare la postura traduttiva dei rispettivi autori, che su quei testi hanno proiettato inevitabilmente una propria concezione del tradurre, una storia, una poetica individuale, nondimeno figlia del proprio tempo, ossia radicata in un sistema culturale retto da norme linguistiche, editoriali e traduttive con le quali la voce del singolo deve necessariamente misurarsi. Attraverso una metodologia eclettica che si muove tra la stilistica, la semiotica, la linguistica e la narratologia delle forme letterarie, il confronto analitico condotto tra le prime e la seconde traduzioni delinea i profili di lavoro dei quattro traduttori seguendo tre principali direttrici di indagine: in primo luogo, verificare le eventuali discordanze tra le rispettive dichiarazioni paratestuali (reperite in pre/postfazioni, note alla traduzione, saggi, interviste, diari di bordo, etc.) a proposito della strategia adottata e gli esiti dell’operato concreto sui testi; in secondo luogo, esaminare l’imprescindibile manifestarsi in diacronia delle norme traduttive operanti all’atto del tradurre ma attraverso il filtro delle voci individuali, che si sono espresse sotto l’influenza di vincoli differenti e in momenti distinti della vita di questi testi, contribuendo alla loro longevità; infine, testare l’adeguatezza della cosiddetta Retranlsation Hypohtesis avanzata da Berrman e Bensimon (1990) e poi formalizzata in anni più recenti da Chesterman (2000). L’indagine ha dunque interessato tanto i paratesti reperibili che fossero latori di una certa concezione del tradurre, quanto una moltitudine di passi topici estratti dalle tre versioni (i due testi di partenza e i quattro d’arrivo) de L’Étranger e de La Peste che, messi in parallelo, fungessero sul piano quantitativo e qualitativo da campo di ispezione sensibile della realizzazione dei comportamenti individuali. Questi ultimi sono stati studiati per mezzo di un modello analitico fondato, da una parte, sull’isotopia come strumento di coerenza testuale; dall’altra, sulla distinzione tra shift opzionali, obbligatori e non-shifts quale nervo scoperto del processo traduttivo (Pekkanen 2010), accogliendo inoltre proposte molteplici riguardo agli strumenti di descrizione traduttiva (Vinay e Darbelnet 1958; Murtisari 2013; Dussart 2005; Ladmiral 1979, 1997; Harvey 1995). I risultati dell’analisi sono eterogenei e non conformi alla Retranslation Hypothesis. La predominanza del letteralismo nelle prime traduzioni difficilmente si concilia con quello sforzo di acclimatazione rivolto al lettore d’arrivo che l’ipotesi assegnerebbe sistematicamente alle prime traduzioni-introduzioni, benché l’attitudine assimilatrice si rilevi nel conformismo ad alcuni imperativi culturali ed editoriali dell’epoca (l’italianizzazione onomastica; la tendenza interpuntiva nel segno dell’ipotassi; la nobilitazione del lessico). Allo stesso tempo, le due ritraduzioni, pur con spirito assai diverso e sebbene risultino in effetti più attente alle peculiarità stilistiche dei rispettivi prototesti (come vorrebbe l’ipotesi), non adottano tuttavia procedimenti che esibiscano, senza una motivazione fondata, l’alterità del testo straniero, che anzi tendono a naturalizzare in senso fraseologico, senza per questo snaturarlo. Se di miglioramento si possa parlare all’infuori dell’evoluzione dei parametri estetici tra le due epoche (fine anni ’40 del Novecento e metà degli anni ’10 del nuovo millennio), esso andrà riconosciuto, da una parte, nell’integrità oggettivamente superiore delle ritraduzioni in termini di completezza testuale e riproduzione degli stilemi – dato che nelle prime non mancano transfert imprecisi, incompleti o scorretti dovuti a calchi strutturali o lessicali, falsi amici e interpretazioni contrarie al senso degli enunciati; dall’altra parte, le migliorie vanno attribuite senza ombra di dubbio alla professionalizzazione del mestiere e a una maggiore competenza dei ritraduttori come lettori modello dei testi affrontati, che hanno potuto studiare grazie a una straordinaria disponibilità di strumenti critici non esistenti all’epoca delle prime traduzioni. Ciò sembra aver permesso loro di scandagliare le tecniche narrative e le isotopie più significative così da porle come dominanti del proprio lavoro. / Cette étude envisage les retraductions littéraires comme les étapes d'un parcours où chaque manifestation textuelle est le résultat unique de la rencontre entre les nécessités historico-culturelles qui l'ont déterminée et la poétique de l'individu qui la prend en charge en tant que médiateur. Contre l'hypothèse de la retraduction avancée par Berman et Bensimon (1990), formalisée ensuite par Chesterman (2000) et préconisant une perspective logocentrique en dehors de l'expérience concrète de la retraduction - à savoir une progression à rebours vers la lettre du texte source - la ligne de recherche adoptée ici adhère à une idée moins déterministe de l'évaluation des séries de retraduction, afin d'étudier leurs inévitables différences internes, également dans un sens positif, à la lumière tant des nombreux facteurs qui les influencent que de l'herméneutique subjective de ceux qui les réalisent. La comparaison analytique menée entre la première et la deuxième traduction de L'Étranger (1942) et de La Peste (1947) d'Albert Camus permet ainsi de délimiter les profils de travail des quatre traducteurs en suivant deux lignes principales d'investigation : d'une part, elle vérifie les éventuelles divergences entre les déclarations paratextuelles respectives (trouvées dans les pré/postfaces, les notes de traduction, les essais, les entretiens, etc.) concernant la stratégie adoptée et les résultats du travail concret sur les textes ; d'autre part, elle examine l'inévitable manifestation en diachronie des normes de traduction opérant au moment de la traduction, mais à travers le filtre des voix individuelles qui se sont exprimées sous l'influence de différentes contraintes et à des moments distincts de la vie de ces textes, contribuant à leur longévité. Les résultats de l'analyse sont hétérogènes et non conformes à l'hypothèse de retraduction. La prédominance du littéralisme dans les premières traductions est difficilement conciliable avec l'effort d'acclimatation vers le lecteur cible que l'hypothèse attribuerait systématiquement aux premières traductions-introductions, bien que l'attitude assimilatrice se révèle dans le conformisme à certains impératifs culturels et éditoriaux de l'époque (italianisation onomastique ; tendance interponctive sous le signe de l'hypotaxe ; ennoblissement du lexique). En même temps, les deux retraductions, bien que dans un esprit très différent et bien qu'elles soient effectivement plus attentives aux particularités stylistiques de leurs proto-textes respectifs (comme le voudrait l'hypothèse), n'adoptent pas pour autant des procédés qui exhibent, sans motivation fondée, l'altérité du texte étranger, qu'elles tendent plutôt à naturaliser dans un sens phraséologique, sans pour autant le dénaturer. Si l'on peut parler d'amélioration en dehors de l'évolution des paramètres esthétiques entre les deux époques (fin des années 1940 et milieu des années 2010), il faut la reconnaître, le cas échéant, dans l'intégrité objectivement supérieure des retraductions en termes de complétude textuelle et de reproduction stylistique - étant donné que les premières ne manquent pas de transferts imprécis, incomplets ou incorrects dus à des calques structuraux ou lexicaux, des faux amis et des interprétations contraires au sens des énoncés. Par ailleurs, les améliorations sont sans doute à attribuer à la professionnalisation du métier et à la plus grande compétence des retraducteurs en tant que lecteurs modèles des textes abordés, qu'ils ont pu étudier grâce à une extraordinaire disponibilité d'outils critiques qui n'existaient pas à l'époque des premières traductions. Cela leur a permis de sonder les techniques narratives et les isotopies les plus significatives afin de les rendre dominantes dans leurs propres œuvres.
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La Vie des Pères. Genèse et diffusion d'un recueil de contes exemplaires du XIIIe siècle

Mariani, Daniela January 2019 (has links)
La Vie des Pères, raccolta di racconti esemplari dell’inizio del XIII secolo, aspira alla formazione religiosa cristiana proponendo nella narrazione e nei para-sermoni dell’autore (i prologhi e gli epiloghi ai racconti) un insegnamento teologico. In una prospettiva critica letteraria e storica, questa ricerca analizza la genesi e la ricezione del testo. Le intenzioni poetiche dell’autore determinano l’aggiornamento di una materia narrativa preesistente ai temi spirituali dominanti intorno al 1215 (la confessione, l’eucarestia, il celibato dei chierici). Il pubblico medievale (XIII-XV secolo) ha interpretato il testo a partire dai supporti fisici che lo hanno trasmesso. La tradizione manoscritta è così studiata come un insieme di testimoni di presentazione del testo, più o meno modificato e adattato a diversi contesti (altre opere religiose, testi profani, testi non narrativi) e per diverse comunità interpretative: i possessori dei manoscritti, i lettori che hanno annotato i margini, i copisti che hanno strutturato l’opera con le rubriche. Ne emerge una sostanziale coerenza dell’opera tra la funzione esemplare e l’utilizzo effettivo.

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