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The Sistani cycle of epics

Gazerani, Ameneh 21 September 2007 (has links)
No description available.
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Aspetti del teriomorfismo guerriero nella letteratura francese medievale (XII-XIII secolo)

Sciancalepore, Antonella January 2015 (has links)
Se dovessi esprimere in una sola frase le ragioni per intraprendere questa ricerca, probabilmente sceglierei le parole con cui Joyce Salisbury conclude la sua monografia sugli animali nel Medioevo: «we do not change our identity easily (…). In our definition of what it means to be human, it seems we cannot deny for long the beast within us» (Salisbury 1994: 178). L’identità animale è infatti una parte integrante dell’umanità, della quale non possiamo liberarci. Del resto, il concetto stesso di “animale” in opposizione a quello di “umano” non esiste; piuttosto, l'animale è da considerare una categoria relazionale, in opposizione alla quale l’uomo vorrebbe definire sé stesso: parlare di animale equivale a parlare del rapporto che l’uomo instaura con esso (Bonafin 1998: 237). È anche grazie agli animal studies che la definizione omogenea di animale è stata riconsiderata: quasi un ventennio di studi riguardanti il ruolo dell’animale nel dominio letterario, filosofico, storico e antropologico ha contribuito, infatti, a demistificare il discorso antropocentrico sull’animale e a smascherare la sua dimensione storica e relativa, e a evidenziare che l'essere umano stesso è il prodotto delle relazioni che gli umani hanno con gli altri personaggi della biocenosi (Steeves 2002: 239). Questa definizione relazionale sembrerebbe scaturire principalmente da una naturale familiarità dell’uomo con l'animale, nei confronti del quale l'uomo intesse una trama complessa di atteggiamenti, che Drevet condensa efficacemente in tre schemi principali: il rapporto di appropriazione (un esempio del quale è il modello venatorio), il rapporto di familiarizzazione (o di addomesticamento) e quello di utilizzazione (Drevet 1994: 17). Per Drevet è solo nel secondo rapporto, quello di addomesticamento, che l’uomo rende familiare l’animale, lo antropomorfizza, facendolo partecipare della propria natura (ibidem); tuttavia a me pare che anche gli altri due livelli comportino un grado di partecipazione nell'identità umana, interroghino la posizione dell'animale rispetto all'uomo, al suo spazio e al suo complesso di valori. Per questa ragione, l’animale – e il riconoscimento del beast within us, “l’animale dentro di noi” – interseca costantemente l’attività e il pensiero degli esseri umani: esso ci costringe a mettere quotidianamente in discussione il nostro concetto di umanità, in quanto individui e in quanto gruppo, e di volta in volta delinea, destabilizza e ridefinisce i confini tra Sé e l’Altro. Come ci possiamo probabilmente aspettare per un concetto così carico ideologicamente e simbolicamente, il rapporto con l’animale è sin dalle origini profondamente impregnato di religione (Barrau 1977: 578). Di esso si è occupato il Cristianesimo, che nei suoi primi secoli di storia ha avuto tra le sue principali preoccupazioni quella di alienare da sé forme di culti zoomorfi, desacralizzando e secolarizzando l’animale (Baratay 1998: 1441). Nel pensiero cristiano occidentale, il rapporto tra l’uomo e l’animale sembra difatti essere prevalentemente a sfavore di quest’ultimo: la tradizione dei Padri della Chiesa, da Agostino in poi, riconosce l’anima nella parte intellettuale dell’uomo, separando questa dalla corporeità e introducendo così una netta separazione tra l’uomo e l’animale, che, invece, non può possedere un’anima. Ne consegue una radicalizzazione dell’antropocentrismo nel Cristianesimo: già nella Genesi gli animali sono creati in funzione dell’uomo e all’uomo ne è dato il dominio completo, anche se questa dominazione non escludeva una collaborazione pacifica tra le due specie (Dittmar 2012a: 235); con il Nuovo Testamento e l’identificazione esplicita tra il demonio e il serpente o altri mostri teriomorfici, l’animale nella sua realtà corporea e nella sua dimensione istintuale diventa espressione demoniaca (Baratay 1998: 1434-40). Nel Cristianesimo medievale il concetto stesso di umano è dato in negativo, secondo quello che l’uomo non è: un esempio lampante è la definizione aristotelica ripresa da Agostino di uomo come animale razionale e mortale. Per questo i confini tra umanità e animalità costituiscono, nel Medioevo una questione particolarmente rilevante: dalla distinzione dall'animale dipende la definizione di umano, ma il problema non è soltanto distinguersi dall'animale sul livello fisiologico quanto su quello morale; a essere in gioco non è solo la frontiera esteriore, fisica, tra uomo e animale, ma anche la frontiera interiore, spirituale e morale (Bartholeyns et alii 2009: § 15). Non stupisce, perciò, che in questo contesto le trasformazioni e le ibridazioni uomo/animale siano considerate come una degradazione morale, o addirittura come una manifestazione diabolica, sia perché costituiscono una contaminazione con l’animale, sia per il fatto stesso di essere metamorfosi, segno inconfondibile del demonio (Brenot 1998: 1386-9). Tuttavia nel più vasto ambito della cultura medievale, pure così profondamente determinata dalla dottrina cristiana, il confine animale dell’umanità non si limita a essere il limite che separa l’uomo da un deprecabile stato di corruzione morale. Piuttosto, tale confine costituisce un luogo di negoziazione di opposti sistemi di pensiero, che dà luogo ad un’ampia gamma di attitudini: così superstizioni popolari e fede cristiana si intrecciano nelle storie sui lupi mannari, ammirazione e condanna si alternano nelle leggende di famiglie con antenati animali. Ciò è dovuto principalmente allo status ambiguo degli animali nell’orizzonte morale medievale: se tutte le bestie sono considerate irrazionali, perciò estranee a un giudizio morale, nei bestiari molti animali hanno una carica simbolica complessa, e quasi ognuno di questi può essere considerato virtuoso o vizioso a seconda dell’occasione. Ma un’altra ragione di questa ambiguità di giudizio è sicuramente il ruolo che gli animali continuavano a giocare nella vita economica e sociale del Medioevo: come l’agiografia ci ricorda con le sue tinte vivide, e come è stato confermato dalla storiografia, le occasioni di competizione e coesistenza più o meno forzata tra animali e uomini non erano rare, almeno fino all’Alto Medioevo (Ortalli 1985: 1393). Questa esperienza di contatto quotidiano stimolava nell'uomo medievale un’attenzione preferenziale nei confronti dell’incolto, e favoriva atteggiamenti improntati al rispetto e alla convivenza con la natura selvaggia (Montanari 1988: 60). La familiarità con l’incolto e con gli animali che lo abitavano, nonostante dopo l'anno Mille fosse in gran parte scomparsa nella realtà, continuò a costituire un fattore importante nella formazione dell’immaginario di diversi strati sociali. Un esempio di ciò è costituito dai bestiari: questi ci forniscono un’immagine dell’animale che va oltre il puro intento classificatorio, e ci restituiscono invece una trama di diversi livelli di conoscenza, «a knot in a tapestry of tales, observations, happenings» (Ingold 2012). Ciò è vero particolarmente per almeno una classe sociale, l’aristocrazia guerriera. Infatti, nella cultura della nobiltà feudale per tutto il Medioevo l’animale servì come principale risorsa di simboli e immagini. In particolare, gli animali erano pensati come modelli ideali e magici per il comportamento e per la pratica bellica: questo rapporto privilegiato dell’aristocrazia guerriera e la sua ideologia con l’animalità è dimostrato dall'importanza di riti e simboli feudocavallereschi incentrati sugli animali, come la pratica della caccia nobiliare, o il ricco repertorio teriomorfico dell’araldica – per non citarne che alcuni dei più vistosi. / Tuttavia anche qui la relazione con il modello animale non era priva di ambiguità: l’aggressività del predatore, la sua sessualità irregolare, il suo comportamento asociale o addirittura antisociale, erano ammirati dai giovani cavalieri ma allo stesso tempo disapprovati dal loro ambiente sociale e dall’ideologia cavalleresca (Galloni 1993: 35-40). L’attitudine della classe guerriera medievale nei confronti dell’“animale interiore”, dunque, risulta in una doppia contraddizione: da una parte il generale conflitto di familiarità e paura verso gli animali e il selvatico, dall’altra la contraddizione specifica di ammirazione e condanna del comportamento animale nella costruzione dell’identità guerriera. Questa è la ragione per cui credo che valga la pena investigare più a fondo la rappresentazione dell’identità animale nella classe cavalleresca, e per cui ho scelto di farlo attraverso un approccio ai testi che sia filologico e antropologico assieme.
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La gloire éternelle des Nartes : l'épopée du développements savoirs nartologiques

Proulx, Nadia January 2008 (has links)
Mémoire numérisé par la Division de la gestion de documents et des archives de l'Université de Montréal.
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Diferentes percursos de tradução da épica homérica como paradigmas metodológicos da recriação poética - Um estudo propositivo sobre linguagem, poesia e tradução / Different ways of translation of the Homero epics as methodological models to poetic recreation - A propositional study about language, poetry and translation

Fernandes, Marcelo Tápia 07 May 2012 (has links)
A tese discute, inicialmente, a conceituação de poesia, a especificidade da tradução poética e as possibilidades de análise de poemas, para, com base nessas considerações, analisar fragmentos das traduções da épica de Homero à língua portuguesa realizadas por Manuel Odorico Mendes, Carlos Alberto Nunes e Haroldo de Campos,considerando-seas respectivas concepções acerca da atividade tradutória.A partir das obras estudadas, busca-se a identificação de diferentes paradigmas metodológicos de recriação poética, apresentando-se, por fim, uma proposta de método tradutório da poesia épica que envolve uma concepção rítmica baseada em possibilidades de adaptação, em português, do padrão hexamétrico da poesia greco-latina. / This thesis discusses, from the start, the concept of poetry, the specificiness of its translation and the possibilities concerning the analysis of poems, so it can, based on these considerations, examine translation fragments of the Homero epics to the Portuguese language made by Manuel Odorico Mendes, Carlos Alberto Nunes and Haroldo de Campos, and consider their conception around translation activity. From the works studied, this paperseeks the identification of distinct methodological models to poetic recriation and presents, at the end, a proposal of the epic poetry method of translation that involves a rhytmic conception based on the possibilities of the adaptation, into Portuguese, of the hexametric pattern of greek-latin poetry.
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Diferentes percursos de tradução da épica homérica como paradigmas metodológicos da recriação poética - Um estudo propositivo sobre linguagem, poesia e tradução / Different ways of translation of the Homero epics as methodological models to poetic recreation - A propositional study about language, poetry and translation

Marcelo Tápia Fernandes 07 May 2012 (has links)
A tese discute, inicialmente, a conceituação de poesia, a especificidade da tradução poética e as possibilidades de análise de poemas, para, com base nessas considerações, analisar fragmentos das traduções da épica de Homero à língua portuguesa realizadas por Manuel Odorico Mendes, Carlos Alberto Nunes e Haroldo de Campos,considerando-seas respectivas concepções acerca da atividade tradutória.A partir das obras estudadas, busca-se a identificação de diferentes paradigmas metodológicos de recriação poética, apresentando-se, por fim, uma proposta de método tradutório da poesia épica que envolve uma concepção rítmica baseada em possibilidades de adaptação, em português, do padrão hexamétrico da poesia greco-latina. / This thesis discusses, from the start, the concept of poetry, the specificiness of its translation and the possibilities concerning the analysis of poems, so it can, based on these considerations, examine translation fragments of the Homero epics to the Portuguese language made by Manuel Odorico Mendes, Carlos Alberto Nunes and Haroldo de Campos, and consider their conception around translation activity. From the works studied, this paperseeks the identification of distinct methodological models to poetic recriation and presents, at the end, a proposal of the epic poetry method of translation that involves a rhytmic conception based on the possibilities of the adaptation, into Portuguese, of the hexametric pattern of greek-latin poetry.
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Ossian e o crepúsculo da epopeia / Ossian and the twilight of the epic

Cass, Thiago Rhys Bezerra 24 September 2015 (has links)
Correlaciona-se a síntese antitética havida nas narrativas longas de Ossian, Fingal e Temora, com a ascensão do romance no século XVIII. Conforme Hugh Blair inadvertidamente nos mostra em sua Dissertação sobre os Poemas de Ossian, as traduções de James Macpherson combinam os discursos incompatíveis do primitivismo e do neoclassicismo, a emergir como epopeias fraturadas, caso leiamos tais obras sob o signo de sua designação genérica ostensiva. No entanto, postula-se que a forma contraditória de Fingal e Temora captura a instabilidade intrínseca às narrativas novelísticas do século XVIII, que problematizam a distância entre o narrador e o narrado. / This dissertation is invested in correlating the antithetical synthesis brought about by Ossians longest narratives, Fingal and Temora, to the rise of the eighteenth-century novel. As Hugh Blair inadvertently showed in his Dissertation on the Poems of Ossian, James Macphersons most ambitious translations conflate opposing primitivistic and neoclassical discourses, thereby emerging as unredeemably fractured and unstable epics, if one reads them in compliance with their ostensive generic label. Instead, I argue that the contradictory form of Fingal and Temora re-enacts that of eighteenthcentury novelistic narratives, which problematize the distance between narrator and narrated.
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Analysis of CD4+ and CD8+ T-lymphocytes : A comparison between EPICS XL and Celldyn Sapphire

Yazdan Panah, Haleh January 2006 (has links)
<p>Flowcytometric technology has been widely used for measurement of the absolute numbers of T-lymphocytes subsets in Human Immunodeficiency virus (HIV), defining the disease state, monitoring antiviral treatment, and identifying any risk for opportunistic infections. A manual preparing of the samples is required. More recently an automated and enclosed blood cell counting, Celldyn Sapphire has been introduced. In this study the performance of the Flow cytometer EPICS XL as a reference method for analysis of CD3+, CD4+ and CD8 T-lymphocytes was evaluated with blood from 40 individual’s samples. EPICS XL was also compared with Celldyn Sapphire in the analysis of T-lymphocyte subsets in 39 blood samples from patients with low, high and normal lymphocyte counts. The result showed that the precision was high for both EPICS XL (2.5%) and Celldyn (10%). The method was linear over a wide range. Comparisons of CD3+, CD4+, and CD8+ T-lymphocytes analysis showed high coefficients of correlation (r0.9) and agreement (y>0.9x) between two instruments. A lower degree of agreement was observed at low concentration of CD3+ and CD4+ T-lymphocytes (0.757, 0.739). This means that cell counts obtained by Celldyn were 30% lower than those obtained with EPICS XL. This study shows that both EPICS XL and Celldyn Sapphire were suitable for CD4+ and CD8+ T cell counts. It is however preferable to use Flowcytometry for counting of low concentration of CD4+ T-lymphocytes (<200 cells/µL).</p>
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Analysis of CD4+ and CD8+ T-lymphocytes : A comparison between EPICS XL and Celldyn Sapphire

Yazdan Panah, Haleh January 2006 (has links)
Flowcytometric technology has been widely used for measurement of the absolute numbers of T-lymphocytes subsets in Human Immunodeficiency virus (HIV), defining the disease state, monitoring antiviral treatment, and identifying any risk for opportunistic infections. A manual preparing of the samples is required. More recently an automated and enclosed blood cell counting, Celldyn Sapphire has been introduced. In this study the performance of the Flow cytometer EPICS XL as a reference method for analysis of CD3+, CD4+ and CD8 T-lymphocytes was evaluated with blood from 40 individual’s samples. EPICS XL was also compared with Celldyn Sapphire in the analysis of T-lymphocyte subsets in 39 blood samples from patients with low, high and normal lymphocyte counts. The result showed that the precision was high for both EPICS XL (2.5%) and Celldyn (10%). The method was linear over a wide range. Comparisons of CD3+, CD4+, and CD8+ T-lymphocytes analysis showed high coefficients of correlation (r0.9) and agreement (y&gt;0.9x) between two instruments. A lower degree of agreement was observed at low concentration of CD3+ and CD4+ T-lymphocytes (0.757, 0.739). This means that cell counts obtained by Celldyn were 30% lower than those obtained with EPICS XL. This study shows that both EPICS XL and Celldyn Sapphire were suitable for CD4+ and CD8+ T cell counts. It is however preferable to use Flowcytometry for counting of low concentration of CD4+ T-lymphocytes (&lt;200 cells/µL).
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La gloire éternelle des Nartes : l'épopée du développements savoirs nartologiques

Proulx, Nadia January 2008 (has links)
Mémoire numérisé par la Division de la gestion de documents et des archives de l'Université de Montréal
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Ossian e o crepúsculo da epopeia / Ossian and the twilight of the epic

Thiago Rhys Bezerra Cass 24 September 2015 (has links)
Correlaciona-se a síntese antitética havida nas narrativas longas de Ossian, Fingal e Temora, com a ascensão do romance no século XVIII. Conforme Hugh Blair inadvertidamente nos mostra em sua Dissertação sobre os Poemas de Ossian, as traduções de James Macpherson combinam os discursos incompatíveis do primitivismo e do neoclassicismo, a emergir como epopeias fraturadas, caso leiamos tais obras sob o signo de sua designação genérica ostensiva. No entanto, postula-se que a forma contraditória de Fingal e Temora captura a instabilidade intrínseca às narrativas novelísticas do século XVIII, que problematizam a distância entre o narrador e o narrado. / This dissertation is invested in correlating the antithetical synthesis brought about by Ossians longest narratives, Fingal and Temora, to the rise of the eighteenth-century novel. As Hugh Blair inadvertently showed in his Dissertation on the Poems of Ossian, James Macphersons most ambitious translations conflate opposing primitivistic and neoclassical discourses, thereby emerging as unredeemably fractured and unstable epics, if one reads them in compliance with their ostensive generic label. Instead, I argue that the contradictory form of Fingal and Temora re-enacts that of eighteenthcentury novelistic narratives, which problematize the distance between narrator and narrated.

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