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Certezza e realtà: uno studio sul pensiero filosofico di John Henry Newman / Certitude and Reality. A Study about the philosophical thought of John Henry Newman

BUSETTO, SAMUELE 22 January 2013 (has links)
John Henry Newman (1801-1890) ha sviluppato una riflessione filosofia originale circa la questione della certezza nel suo Essay in Aid of a Grammar of Assent (1870). Con questo saggio egli si inserisce nella britannica tradizione filosofica di riflessione sulla gnoseologica e l’atto d’assenso. La tesi presenta uno studio sulla genesi dell’opera. Anzitutto si offre una ricostruzione del pensiero newmaniano per mezzo di un excursus tra le principali opere, la corrispondenza e gli scritti contenenti il lavoro di elaborazione delle tesi contenute nel saggio. Inoltre, viene ripercorsa la tradizione britannica di riflessione sulla certezza al fine di far emergere, per paragone, l’originalità del Saggio di Newman. I fattori di questa originalità vengono, infine, esposti nell’ultimo capitolo. Questo studio permette di documentare i fattori essenziali di uno specifico realismo newmaniano fondato sul primato della persona e la dinamica di elaborazione di una diversa e più ampia concezione moderna della razionalità. Tale novità emerge dalle riflessioni svolte da Newman sulle nozioni di real, notional, probability. / In his Essay in Aid of a Grammar of Assent (1870) John Henry Newman develops an original philosophical thought about the question of certainty. By means of the Essay he enters into the British philosophical tradition of thinking about gnoseology and the act of assent. This thesis shows the genesis of that work. First of all the development of Newman’s thought is analyzed by an excursus through his main works, his correspondence and papers which hold the elaboration of Essay’s contents. Then, British tradition of thinking about certainty is retraced in order to point out, by comparison, the originality of Newman’s Essay. At last, the elements of that originality are explained in the last chapter. This study documents the essential elements of a specific newmanian realism based on the primacy of human person, and it record the development of a differently modern and wider notion of reason. Such a difference of conception is testified by Newman’s remarks about the concepts of real, notional and probability.
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Cioran e l'Utopia. Prospettive del grottesco

Vanini, Paolo January 2017 (has links)
Questa tesi nasce come un tentativo teoretico di rispondere a una provocazione di Cioran, per il quale «l’utopia è il grottesco in rosa». In questa sentenza, l’utopia viene definita attraverso un ossimoro che ne evidenzia gli aspetti ridicoli, come se Cioran stesse semplicemente proponendo una parodia del pensiero utopico. Scopo della tesi è mostrare il carattere dialettico di questa parodia, attraverso la quale viene diagnosticata una delle ambivalenze costitutive della coscienza utopica: la tensione antropologica verso l’idea di un bene futuro e ipotetico, a dispetto di un presente contrassegnato dalle stimmate del male. Al riguardo l’utopia risulta essere una caricatura doppiamente paradossale della storia umana perché il suo aspetto grottesco, e dunque ridicolmente mostruoso, è determinato non da un’eccessiva presenza del male, ma da una claustrofobica onnipresenza del bene. Nella letteratura critica degli ultimi anni, la posizione anti-utopica di Cioran è stata giustamente collegata sia alla sua postura scettica che al suo stile paradossale, uno stile capace di smascherare tanto le illusioni metafisiche quanto le contraffazioni ideologiche. Da questa prospettiva il «grottesco» è stato spesso considerato come un aggettivo, che connota esteticamente le paradossali conclusioni a cui giunge Cioran rispetto alla storia; tuttavia, non è stato quasi mai considerato in quanto concetto, capace di orientare teoreticamente i presupposti del pensiero cioraniano. Per questa ragione, nella parte introduttiva della tesi, propongo una dettagliata analisi storica del concetto di grottesco, per mostrare successivamente i rapporti che il simbolismo del grottesco instaura, da un lato, con l’arte ornamentale delle grottesche rinascimentali, dall’altro, con l’immaginario utopico del mondo alla rovescia. I punti di riferimento dell’indagine saranno gli studi novecenteschi di Wolfgang Kayser, Michail Bachtin e Geoffrey Harpham. Questi autori, in modi diversi, hanno mostrato che il grottesco, per quanto sia una categoria concettualmente ambivalente, attiene a tre particolari ambiti della discussione filosofica: a) l’antropologia, nella misura in cui i corpi fantasiosi e anatomicamente impossibili del bestiario grottesco impongo una riconfigurazione del rapporto tra uomo e animale e del rapporto tra mito e storia; b) l’arte, nella misura in cui questa riconfigurazione implica un capovolgimento gerarchico delle relazioni tra forma e contenuto, centro e margini, armonia e disarmonia; c) la poesia, nella misura in cui le «trasfigurazioni» (talvolta fantasiose, talvolta demoniache) delle figure grottesche e delle decorazioni arabesche hanno rappresentato, soprattutto per il Romanticismo ottocentesco, un rapporto tragico e drammatico con la sfera del «sublime». Tutti questi ambiti si relazionano, a loro volta, con il simbolo utopico-carnevalesco della maschera grottesca, che svolge la funzione di sovvertire simbolicamente e comicamente una realtà che deve cambiare, perché troppo contraddittoria e irrazionale per permanere nello stato attuale. Per Cioran, viceversa, la realtà può cambiare solo verso il peggio, ragion per cui egli rinnega le elucubrazioni utopiche di un mondo perfettibile. Ma la sua condanna non è univoca e, soprattutto, non si traduce in un’accettazione passiva della condizione presente: egli rifiuta questo mondo, proprio perché questo mondo è troppo assurdo e deforme per essere accettabile. La sua critica all’utopia, dunque, è una posizione molto complessa, nella quale sono rintracciabili i diversi elementi del simbolismo grottesco che abbiamo precedentemente elencato. Nelle sue opere Cioran tratteggia una feroce «anatomia» della storia umana, che si converte spesso in una disillusa e malinconica «nostalgia dell’altrove», come se l’utopia si traducesse non tanto in una «speranza» rivolta al futuro, quanto in un «rimpianto» di ciò che l’uomo avrebbe potuto essere. In questo frangente, il grottesco offre una chiave di lettura originale per interpretare l’evoluzione del pensiero cioraniano dal periodo giovanile rumeno a quello francese della maturità. In un confronto serrato con i testi si mette in risalto che il giovane Cioran, di fronte al grottesco della storia – lucidamente diagnosticato già in diversi articoli degli anni Trenta – reagisce «romanticamente», affidandosi all’ideale sublime, tragico e folle della trasfigurazione. Arrivato a Parigi, e in seguito al fallimento di quella trasfigurazione, egli mette in scena una sorta di «parodia» metafisica delle sue illusioni romantiche, arrivando a celebrare, nel Précis de décomposition, «l’orrore testicolare del ridicolo di essere uomini». Questo terrore si proietterà nelle sue confutazioni dell’utopia, che egli definisce come il tentativo tragicomico «di rifare l’Eden con i mezzi della caduta, per permettere così al nuovo Adamo di conoscere i vantaggi dell’antico». Tutta questa serie di ossimori, attraverso cui Cioran delimita l’orizzonte delle utopie, sono pienamente comprensibili soltanto se inseriti nel contesto simbolico del grottesco. È ciò che è stato fatto nei quattro capitoli della tesi, grazie a uno studio minuzioso di alcune metafore del grottesco che si presentano ripetutamente nei testi cioraniani e che sono strettamente connesse al discorso utopico: la caverna, il troglodita, la prigione trasparente, il corpo squartato, il cannibale, il licantropo, l’ombra, il buffone. Nel primo capitolo ci si focalizza sulle declinazioni antropologiche della metafora della caverna e del troglodita, immagini che si richiamano sia alla condizione “paradisiaca” dell’uomo primitivo, che viveva in unisono con la natura, sia al fallimento “apocalittico” dell’uomo civile, che procede verso la catastrofe. Cioran, rielaborando in modo originale alcune riflessioni sulla città e sul riso di Simmel e di Bergson, definisce l’uomo come un «architetto delle caverne», che subisce, nel perimento moderno di una metropoli, lo stesso sentimento di angoscia esistenziale e claustrofobica che i suoi antenati dovevano aver provato nelle preistoriche spelonche. In un secondo momento, l’analisi si sposta sul versante mitologico, poiché la caverna non è soltanto la dimora del troglodita, ma anche la prigione di Saturno. E Saturno, oltre ad essere il dio del carnevale, è anche il pianeta sotto il cui segno nascono i malinconici. Attraverso un confronto con Marsilio Ficino, che aveva fatto di Saturno il patrono della sapienza filosofica, si mostra in che modo il culto dei Romantici per il genio malinconico sia erede della tradizione metafisica rinascimentale. Questo è importante per due motivi: in primo luogo perché l’Utopia di More (come si dimostra nel secondo capitolo) ripropone in chiave narrativa una speranza filosofica di matrice «saturnina»; in secondo luogo perché Cioran parla spesso di sé come di un pensatore malinconico, profondamento influenzato dalla poesia e dalla filosofia romantica. In virtù di questo, nella parte finale del capitolo si accenna un confronto con tre pensatori romantici che hanno discusso, in modo decisivo, della malinconia, del sublime e del grottesco: Friedrich Schlegel, Victor Hugo, Théophile Gautier. Nel secondo capitolo ci si dedica, per l’appunto, al tema dell’utopia, attraverso un confronto con tre autori che sono fondamentali per comprendere l’anti-utopismo di Cioran: Thomas More, Michel de Montaigne e Jonathan Swift. Dei tre, More è senz’altro quello più distante dalle posizioni di Cioran, ma la sua Utopia, se letta da una prospettiva ontologica, rivela come siano instabili i confini tra la finzione e la realtà, tra il presente e il futuro: più precisamente, mostra che le aspettative nei confronti del futuro dipendono dalle deformazioni prospettiche del presente. Tema ripreso, in chiave grottesca e parodistica, nei Viaggi di Gulliver, in cui la contrapposizione prospettica tra i microscopici lillipuziani e i giganteschi corpi degli abitanti di Brobdignac rivela, in controluce, la miseria dell’uomo: un animale razionale incapace di accettare le proprie reali dimensioni e ridicolmente incline a credersi più grande di quel che è. Cioran si riconosce esplicitamente in questa denuncia misantropica e considera Swift «l’autore che h[a] ammirato di più». Nella bibliografia critica di Cioran, però, sono pochi i riferimenti a Swift. Si è cercato di rispondere a questa lacuna per evidenziare un aspetto che non era stato ancora notato: il carattere «fisiologico» del pensiero cioraniano non è soltanto erede della «metafisica organicistica» di Nietzsche e Schopenhauer, ma ha anche evidenti affinità con il grottesco corporeo swiftiano. A tal proposito, inoltre, ci siamo soffermati sullo scetticismo di Montaigne, che, negli Essais, fa del suo corpo il punto di convergenza dei propri dubbi verso la realtà circostante. In particolare, abbiamo esaminato il saggio Dei cannibali, in considerazione del fatto che Cioran riprenderà, in modo distopico, il tema dell’antropofagia. Nel terzo capitolo, abbiamo confrontato da un punto di vista paradigmatico la Repubblica platonica con la critica all’utopia di Cioran: se Platone aveva elaborato la sua kallipolis per indicare il modello teorico a cui attenersi per realizzare la giustizia sociale, Cioran nega “antiplatonicamente” la possibilità stessa di ottemperare al bene, come se si stesse chiedendo: Visto che ci si muove solo per fare il male, perché non si dovrebbe fare nulla? Per rispondere a questa interrogativo, cercheremo di mostrare il carattere paradossalmente “normativo” del cioraniano invito al distacco e alla rinuncia di qualsiasi tipo di azione. Il confronto tra i due autori partirà da un’attenta analisi, da un punto di vista antropologico, del mito della caverna platonica, per vedere in che senso la condizione dei prigionieri del VII libro della Repubblica si possa relazionare allo scetticismo e alla tragica «passione del reale» di Cioran. In seguito, ci focalizzeremo sul ritratto del tiranno di Platone per confrontarlo con quello proposto da Cioran nel saggio À l’école des tyrans. Per fare questo dovremmo anche misurarci con il personaggio “platonico” di Trasimaco e con quello “cioraniano” di De Maistre, nel tentativo di approfondire il rapporto che Cioran instaura tra regime rivoluzionario e pensiero reazionario, tra ideologia e utopia: o la vanità di tutte le riforme. Questo problema viene ripreso nel quarto capitolo grazie a un parallelismo tra Cioran e Salomone, tra il pensatore marginale che aspirava alla saggezza di un clochard e il saggio sovrano dell’antichità che aveva proclamato la vanità di tutte le cose. L’assoluta e disarmante lucidità delle visioni di Salomone evocano le «rivelazioni della morte» di Lev Šestov e «l’esperienza dell’abisso» di Benjamin Fondane, altri due pensatori decisivi nella formazione di Cioran, il quale, similmente a loro, era «continuamente in lotta contro la tirannia e la nullità delle evidenze». E proprio richiamandoci a Fondane, nella parte conclusiva del lavoro ci concentriamo su Baudelaire, che, nel saggio su Quelques caricaturistes français, ha qualificato il grottesco come una forma di «creazione», come un tipo di «comico assoluto» che tanto più si avvicina al sublime quanto più si confonde con una sensazione di vertigine. Riscontriamo lo stesso genere di smarrimento nell’opera di Cioran, che diceva di essersi aggirato «con molte precauzioni, [...] nei paraggi delle profondità, per spillar loro qualche vertigine e poi svignarsela, come uno scroccone dell’abisso». Cioran, nella sua disarmante analisi della storia e dell’uomo, è stato anche uno scroccone dell’utopia e – agli antipodi da ogni visione statica e immutabile della realtà – non ha fatto altro che porsi in modo paradossale e umoristico la più seria e la più platonica delle domande: che cosa non dobbiamo fare per non peggiorare ulteriormente il mondo. Questa caverna della sofferenza umana.
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Incivilimento e storia filosofica nel pensiero di Antonio Rosmini

Baggio, Alberto January 2015 (has links)
Il presente lavoro si propone di indagare il tema dell'incivilimento e più in generale della storia a partire dalla prospettiva filosofica di Antonio Rosmini. Il filosofo di Rovereto risponde alle moderne teorie dello stato di natura, del perfettismo, del socialismo contrapponendo una antropologia che è propriamente antropologia filosofica. Con i grandi Agostino, Tommaso, Bonaventura ripropone nella modernità il tema fondamentale del peccato originale come nodo teologico e filosofico per comprendere l'uomo, il cittadino, il credente. La filosofia di Rosmini, basata sulla teoria del sintesismo delle tre forme dell'essere, mostra come il cristianesimo sia il vero incivilitore dei popoli. L'uomo è ontologicamente fondato in Cristo, l'umanità è per essenza cristiana. In questo modo, poiché la storia è da leggersi come storia sacra, storia della Chiesa-Società teocratica, anche la riflessione sul suo andamento non è più pensabile nel termine politico-sociale di "incivilimento", ma più propriamente in quello teologico di "cristificazione".
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FILOSOFIA E SOFFERENZA: LIBERAZIONE E SALVEZZA NEL PENSIERO DI ITALO MANCINI / Suffering and Philosophy: deliverance, salvation and redemption in the work of Italo Mancini.

CICERI, ANDREA 12 April 2014 (has links)
Il percorso intellettuale di Italo Mancini può essere considerato sotto l'aspetto del rapporto tra fede e ragione ma anche le tematiche della liberazione, della salvezza e della redenzione sono presenti nei i suoi testi fin dalle origini. L'obiettivo del presente lavoro è stato quello di ripercorrere il percorso intellettuale e culturale di Italo Mancini e mettere in luce come la questione del male, declinata all'interno delle tematiche della salvezza, della liberazione e della riconciliazione, possa essere una chiave di lettura efficace, ovverosia un “filo rosso” in grado di collegare e tenere unite un insieme di opere e di temi che a volte rischiano di sembrare eterogenei. La questione soteriologica messa in luce da Mancini ha valore dal punto di vista della storia della filosofia italiana del novecento ma, a mio avviso, ha ancor più valore dal punto di vista della filosofia teoretica in quanto cerca di prospettare nuove possibilità per il discorso razionale e religioso su Dio. / The intellectual journey of Italo Mancini may be considered under the aspect of the relationship between faith and reason, but also the themes of liberation , salvation and redemption are present in his texts from the very beginning . The objective of this work was to retrace the intellectual and cultural significance of Italo Mancini and shed light on how the question of evil , declined within the themes of salvation, liberation and reconciliation, can be an effective key to understanding the work of the italian philosopher, a "red thread" able to connect and hold together a collection of works and themes that seem mixed at times. The soteriological issue highlighted by Mancini is of grat value from the point of view of the history of Italian philosophy of the twentieth century but, in my opinion, has even more value from the point of view of theoretical philosophy as it tries to envisage new possibilities for religious and rational discourse about God.
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L'ERMENEUTICA DEL SOGGETTO IN MICHEL FOUCAULT

REDAELLI, ENRICO 19 April 2010 (has links)
La tesi è un'analisi critica dei presupposti teoretici del metodo genealogico di Foucault. Il problema del soggetto è perciò indagato in relazione a allo statuto di verità della filosofia foucaultiana. Lo scopo è mostrare i problemi e le contraddizioni a cui va incontro il "senso" del gesto genealogico. / This thesis is a critical analysis of the theoretical principles of Foucault’s genealogical method. The problem of the subject is inquired into its relationship with the statute of truth of the foucauldian philosophy. The aim is to show the problems and the contradictions of the sense of the genealogy.
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IL PROBLEMA DELLA METAFISICA NELLA CRITICA DELLA RAGION PURA DI KANT / Kant's Problem of Metaphysics in the Critique of Pure Reason

COLOMBO, CHIARA 13 March 2012 (has links)
La tesi si propone di dare un contributo alla dibattuta valutazione del ruolo della metafisica nella Critica della ragion pura di Kant. L’argomento che sorregge la proposta consiste nell’affermazione della possibilità di rintracciare nella prima Critica una determinazione positiva del sapere metafisico. La tesi tenta una lettura delle competenze positive della ragione – considerata nel suo interesse speculativo – in ambito metafisico, tenendo conto del percorso che Kant intraprende in tal senso fin dagli scritti precritici. Tre sono le linee argomentative della ricerca: dal punto di vista metodologico, ci si propone di coniugare le due istanze presenti negli studi kantiani, quella storica e quella teoretica, riunendole in un unico criterio esegetico che ricerca nei testi i luoghi in cui le fonti storiche vengono accolte come il punto di inizio di una transizione culturale più che il legame con la tradizione. In secondo luogo, si ricostruisce il modo in cui Kant ha fatto della metafisica l’oggetto primario di questa problematizzazione. In terzo luogo, si discute l’evoluzione che la prova metafisica compie nel pensiero kantiano fino alla prima Critica. Qui, la metafisica, con un unico movimento, riesce nell’esibizione congiunta del suo sapere e della sua fondazione come scienza. / This work introduces a way of understanding Kant’s problem of metaphysics in the first Critique, by suggesting that speculative reason can state a positive metaphysical knowledge. The suggested solution focuses on three issues: the first is methodological, the second is exegetical, the third is argumentative. From the methodological point of view, this dissertation proposes a new method in interpreting Kant’s tought, that is the problem-arising method. From the exegetical point of view, it shows metaphysics as the primary object of such a method, and explains in which sense it is possible to state a ‘problem of metaphysics’ in kantian works. From the argumentative point of view, this work gives particular attention to the transcendental argument. In conclusion this dissertation demonstrates that the Transcendental Deduction of the first Critique coincides with a synthesis between the object and the foundation of metaphyisics, and for this synthesis is made by the metaphysics its-self, it is a positive knowledge.
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DELEUZE E IL POSTUMANO: CORPO E SOGGETTO NELLA POSTMODERNITA'

NEGRI, CARLO 25 March 2015 (has links)
Attraverso l’indagine della proposta postumanista, il saggio presenta un’analisi della condizione odierna della corporeità e della soggettività. La prospettiva postumanista è cioè assunta quale ambito di riflessione privilegiato per tematizzare la problematica del corpo e del soggetto nella contemporaneità caratterizzata dall’imporsi delle cosiddette bio-tecnologie. Muovendo da questa prospettiva la tesi sostenuta consiste nel riconoscere che i modelli di soggettività proposti in maniera più o meno esplicita dal postumanismo sono incapaci di evitare una squalifica totale (e inconfessata) dell’umano, a tutto vantaggio di pratiche di controllo e condizionamento strumentale rispondenti ad una logica di dominio eteronoma. Viene quindi individuato come modello di soggettivazione alternativo quello desumibile dal pensiero di Gilles Deleuze. Infatti, seppur nel riconoscimento del profondo debito che la riflessione postumanista ha nei confronti della filosofia deleuzeana, tuttavia l’impegno ontologico di quest’ultima viene caratterizzato come irriducibile al postumanismo e, dunque, viene affermata la possibilità di considerare l’ontologia deleuzeana come foriera di una concezione della corporeità e, quindi, della soggettività, alternativa alle proposte postumaniste. / The aim of this dissertation is to examine the issues of body and subjectivity as they are framed within contemporary society. To that effect, the posthuman perspective is presented and investigated as an opportunity to reconsider the body and the problem of subjectivisation through (and in relation to) the spread of bio-technology. The claim is that posthuman perspectives are not able to provide a model of emancipated subjectivity due to the fact that the domain of bio-technologies reduces the posthuman subject to just one more object of knowledge, through the substitution of the body with a technological bio-power construct. To support this claim, an alternative model of subjectivisation is here offered; one which is capable of accounting for an emancipated subjectivity and which can be found in Gilles Deleuze’s philosophical work. Posthumanism’s undeniable debt to Deleuze’s thought is not here denied, but an in-depth analysis of Deleuzian ontology shows it to be an irreducible alternative to the posthuman stance.
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L’altro « partage ». Georges Bataille e l’ecologia

Berlantini, Germana 25 June 2022 (has links)
Questa tesi si propone come una rilettura dell'opera filosofica di Georges Bataille alla luce delle grandi emergenze ecologiche del nostro tempo e a partire dal problema della divisione tra natura e cultura. Negli ultimi vent'anni, l'opera di Georges Bataille ha incontrato un rinnovato interesse in alcune branche della filosofia e delle scienze sociali che riflettono sulla categoria dell'Antropocene e sulle forme del tardo capitalismo, a metà strada tra incubo climatico e tecno-premetismo. Il fascino di questo pensiero dipende dalle risonanze che esso riesce a stabilire con alcuni dei nodi politici e teorici più attuali: la critica e il superamento dell'antropocentrismo, la modellizzazione degli scambi tra ambiente ed esseri umani, la convivenza con le catastrofi. Il nostro lavoro evidenzia il dispiegamento di una catena di dualismi (continuo e discontinuo, interno ed esterno, eterogeneo e omogeneo) che intersezionano la divisione tra natura e cultura, creando un inedito spazio di incontro tra un certo ricorso al naturalismo e un pensiero dell’animazione. Le fonti scientifiche, antropologiche e filosofiche di quest’opera sono analizzate in profondità per farne emergere le consonanze con i temi più attuali della filosofia ambientale contemporanea. Interpretando i dualismi bataillani come il dispiegamento di un pensiero della biforcazione ontologica e cosmologica della modernità, ne esploriamo le possibili implicazioni per una riflessione ecologica all'altezza della congiuntura presente.
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FINO AL SACRIFICIO. LA CONDIZIONE MORALE DELL'UOMO SECONDO VLADIMIR JANKÉLÉVITCH

MANIEZZI, GIULIA 20 April 2017 (has links)
Il presente lavoro ha per oggetto la filosofia morale di Vladimir Jankélévitch e, specificatamente, l’arco teorico che dalla metafisica porta all’etica. Tale lavoro mira a mettere a fuoco la domanda fondamentale della morale di Jankélévitch e, contestualmente, a mostrarne l’ancoramento nella prospettiva metafisica dell’Autore. L’obiettivo ultimo della ricerca, in sintesi, è rendere ragione della coincidenza tra morale e filosofia prima teorizzata da Vladimir Jankélévitch. L’ipotesi guida della ricerca è che il fondamento di tale coincidenza sia da rintracciare nelle pagine di Philosophie première, testo del 1954 in cui Jankélévitch compie due mosse teoriche decisive. In primo luogo, presenta l’Assoluto come Faire-être sans être e secondariamente lo qualifica come atto puro rispetto al quale l’atto umano è impuro. Unitamente alla ricostruzione della proposta metafisica dell’Autore, allora, è l’analisi del significato filosofico degli aggettivi puro e impuro che ha permesso di mostrare due punti. Innanzitutto, che la domanda di fondo di Jankélévitch in sede morale riguarda la possibilità per l’uomo di fare esperienza dell’Assoluto. In secondo luogo, che la risposta di Jankélévitch a tale interrogativo è affermativa e che l’articolazione di tale riposta passa attraverso la nozione di sacrificio per amore. / This research focuses on the moral philosophy of Vladimir Jankélévitch and, in particular, on the theoretical relation between metaphysics and morality. This work aims to clarify the essential question of Jankélévitch’s moral philosophy and, at the same time, to show the close link of this question with Jankélévitch’s metaphysical perspective. The main aim of this research is to present and to explain the reasons why Jankélévitch asserts that ethics is first philosophy. The core hypothesis is that the foundation of this assessment could be found in the pages of Philosophie première, where, in 1954, Jankélévitch proposes two decisive arguments. First of all, he presents the Absolute as Faire-être sans être and, secondly, he qualifies the Absolute as pure Act with regard to which every human act is impure. In addition to the critical presentation of Jankélévitch’s metaphysics, the analysis of the philosophical meaning of the adjectives pure and impure allows to show two points. Firstly, it shows that the fundamental question of Jankélévitch’s ethics concerns the human possibility to experience the Absolute. Secondly, it demonstrates that Jankélévitch’s answer to this question is affirmative and it is centred on the notion of loving sacrifice.
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Dalla relazione. Desiderio e Legge nell'opera di Alexandre Kojève / DALLA RELAZIONE. IL DESIDERIO E LA LEGGE. UNO STUDIO SU ALEXANDRE KOJÈVE / From the relationship. Desire and Law in the work of Alexandre Kojève

CIMMARUSTI, CLAUDIA 23 March 2017 (has links)
Questo studio intende sondare la potenzialità speculativa di una filosofia squisitamente kojèviana che nasca dalla relazione originaria e originante tra il Desiderio e la Legge. Il privilegio ermeneutico accordato a questo plesso per un’indagine monografica dell’opera di Kojève si deve all’intuizione di un’unità fondamentale del suo pensiero. Si tratta di iniziare una ricerca sulla relazione analizzata alla luce della nuova ontologia che Kojève cercava di pensare. Noi sappiamo che Kojève è passato alla storia come l’«interprete di Hegel», come il doctor subtilis dei leggendari Seminari sulla Fenomenologia dello Spirito. L’Introduction à la lecture de Hegel è stato il Libro-Evento che ha lasciato il segno nel clima della Parigi del bagliore intellettuale degli anni Trenta e dei suoi insigni protagonisti, ma non fu che la punta dell’iceberg della produzione scientifica del nostro autore. La ricostruzione dell’opera omnia di Kojève, pertanto, è stata la base a partire dalla quale è divenuto possibile questo lavoro. A partire dagli scritti giovanili viene svelata la matrice scientifica e, allo stesso tempo, speculativa della riflessione kojèviana mediante la rilettura del Journal d’un philosophe (1920-1923) e dell’Idée du déterminisme dans la physique classique et dans la physique moderne (1932). La domanda sottesa, formulata in parte dallo stesso Kojève, è la seguente : è possibile associare la rivoluzione quantistica in fisica alla rivoluzione freudiana considerando che la determinazione relativa della realtà fisica implica e presuppone l’esistenza dell’inconscio psichico ? Le osservazioni preliminari sulla scienza sono state funzionali a fornire una risposta affermativa a tale questione e a presentare la genealogia della tesi principale di questo lavoro : il soggetto kojèviano non è solamente, à la Butler, un soggetto di desiderio ; ma, piuttosto, un soggetto di desiderio e legge. / This work seeks to explore the potential of the philosophy of Kojève, which has its offspring in the relation between Desire and Law. This plexus is regarded as the hermeneutic theme of the work of Kojève, based on the intuition of a fundamental unity within his thought. This study aims at starting a research about relationship, in the light of Kojève’s nouvelle ontologie. Kojève is regarded as «the interpreter» of Hegel and the doctor subtilis of the legendary Seminars on the Phenomenology of Spirit. The Introduction à la lecture de Hegel was the work that revolutionised the scholars in Paris in the 1930s, but it was only the tip of the iceberg of the author’s scientific production. Therefore, the reconstruction of the opera omnia of Kojève is the base of this work, which could not have been possible without it. The scientific and speculative roots of Kojève’s thought are evident since the early works of the author , and particularly the Journal d’un philosophe (1920-1923) and l’idée du déterminisme dans la physique classique et dans la physique moderne (1932). The main question, partly formulated by Kojève himself, is the following : can we associate the quantic revolution in physics to the revolution of psychoanalysis, given that the relative determination of physic reality implies the existence of the psychological unconscious ? The preliminary observations on science have been fundamental in order to give a positive answer to this question. They also represent the foundations of this research. According to Kojève, the subject is not simply, as Butler would hold, a subject of desire ; but a subject of desire and law.

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