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IL RUOLO DEL PERDONO NEL CONTESTO DELLA VIOLENZA DOMESTICA CONTRO LE DONNECRAPOLICCHIO, ELEONORA 09 March 2018 (has links)
Studi epidemiologici hanno dimostrato che oltre il 30% delle donne, nel mondo, ha riportato esperienze di violenza fisica e/o sessuale dal proprio (ex) partner (Devries et al., 2013; Stöckl et al., 2013). Diverse teorie hanno cercato di spiegare le cause della violenza e la vastità del fenomeno (Ali & Naylor, 2013) e, in particolare, una vasta gamma di ricerche si è concentrata sui motivi che spingono una donna a rimanere o a lasciare un partner abusante e/o a riconciliarsi dopo una separazione. Tra le teorie più sviluppate in questo contesto un modello che ha fornito delle spiegazioni rispetto alla scelta delle donne con storie di IPV di continuare o meno la relazione è il modello di investimento di Carol Rusbult (1983), (ad esempio Choice & Lamke, 1997; Johnson & Ferraro, 2000; Rhatigan & Street, 2005). Nel caso di IPVAW (Intimate Partner Violence Against Woman), alcuni studi suggeriscono che le donne vittime di violenza domestica dipendono fortemente dai loro partner (Bergman, Larsson, Brismar & Klang, 1988; Watson et al., 1997), riportando che più alti livelli di dipendenza relazionale predicono un maggior rischio di continuare la relazione maltrattante (Choice & Lamke, 1997; Hydén, 2005) e di perdonare il partner. Infatti, nonostante la letteratura mostri numerose implicazioni positive del perdono di coppia, gli studiosi sanno molto poco sulle potenziali implicazioni negative del perdono nel contesto della violenza domestica. Uno studio condotto da McNulty (2011) sulle coppie ha dimostrato che i coniugi che riferivano di "essere relativamente più indulgenti, hanno subito un'aggressione psicologica e fisica che è rimasta stabile nell'arco di 4 anni" (McNulty, 2011: 770). Inoltre, uno studio di Gordon, Burton & Porter (2004) ha mostrato con un campione di donne residenti in un centro antiviolenza che il perdono mediava la relazione tra attribuzioni di responsabilità delle violenze al partner e intenzione di ritornare con il partner. Altrettanto vero che una gamma di studi su campioni della popolazione generale e clinica diversi dalle donne vittime di IPV, ma comunque esposte a uno o più traumi psicologici, hanno mostrato gli effetti protettivi del perdono sul malessere psicologico delle persone (Romero, Kalidas, Elledge, Chang, Liscum, and Friedman, 2006).
Obiettivi l’obiettivo del primo studio era duplice, ovvero analizzare il perdono del partner entro il modello di impegno e dipendenza (Rusbult, 1983) rispetto all’intenzione della donna di tornare con il partner abusante; dall’altra parte indagare gli effetti del perdono, in particolare del perdono di sé, sulla riduzione della sintomatologia psicologica delle vittime di IPV. L’obiettivo del secondo studio, che è stato sviluppato a partire dai risultati del primo, era verificare cosa potesse determinare il perdono di condotte abusanti da parte partner, in un campione di giovani donne che non erano implicate in storie di IPV per analizzare, in un’ottica preventiva, cosa contribuisce a perdonare agiti violenti del partner, specialmente in una fase iniziale della relazione.
Metodologia: il primo studio correlazionale ha previsto la somministrazione di un questionario a donne vittime di IPV che hanno deciso di chiedere aiuto in seguito alle violenze subite dal partner. Il questionario ha rilevato al T1 (tempo 1) le tipologie e le frequenze di violenza subita e i fattori di rischio che abbiamo ipotizzato essere legati alla recidiva della violenza e al T2 (tempo 2) le effettive riconciliazioni o separazioni con il partner maltrattante.
Il secondo studio invece, di tipo sperimentale - between subject - ha previsto la somministrazione di scenari ipotetici di diverse tipologie di condotte violente del partner – aggressione agita per la prima volta oppure già avvenuta in passato - misurando poi le intenzioni delle studentesse di perdonare o meno il partner, attraverso una misura di perdono standardizzata.
Risultati: lo studio 1 ha rilevato che la dipendenza emotiva, nel nostro campione di donne con esperienze di IPV, predice l’intenzione di tornare con il partner. Il perdono del partner è un mediatore forte in grado di spiegare questa relazione, rafforzando l’associazione tra dipendenza emotiva e intenzione di tornare con il partner. Inoltre, alti livelli di perdono, soprattutto quando la speranza di un cambiamento del partner era alta e quando la percezione del rischio futuro era bassa, favorivano una più chiara predizione dell’intenzione di tornare con il partner.
Per quanto riguarda, invece, gli effetti del perdono del partner e del perdono di sé sul benessere della donna, in termini di riduzione della sintomatologia traumatica e depressiva, è emerso che alti livelli di unforgiveness (dimensione negativa di perdono del partner) erano associati ad un incremento di PTSD e sintomi depressivi. Altresì il perdono di sé sembra essere una variabile cruciale a spiegare la sintomatologia psicologica delle donne, in particolare la dimensione di auto critica è positivamente associata sia ai sintomi depressivi che alla sintomatologia post traumatica, mentre la dimensione positiva di perdono di sé, anche definita auto-accettazione, è inversamente associata al PTSD.
I risultati del secondo studio indicano che il perdono del partner in contesti ipotetici di violenza viene predetto dalla tipologia della violenza. In particolare, la violenza psicologica viene perdonata in misura maggiore rispetto alla violenza fisica, in quanto percepita come meno grave, come rilevato nell’analisi di mediazione. Infatti abbiamo scoperto che la tipologia della violenza è predittiva del perdono soprattutto quando è mediata dalla percezione della gravità della condotta violenta. È emerso inoltre che la frequenza della violenza è una discriminante statisticamente significativa solo nel caso della violenza psicologica, tale per cui viene perdonato di più l’episodio di aggressione psicologica se è la prima volta che capita. Altresì sono state condotte delle analisi di mediazione e moderazioni per analizzare il ruolo l’attribuzione a sé delle violenze e della percezione della gravità della condotta abusiva, sull’intenzione di perdonare il partner.
Queste scoperte si uniscono a pochi altri studi che potrebbero contribuire ad aumentare un piccolo gruppo di ricerche che ha dimostrato come il perdono del partner possa essere un fattore di rischio di ri-vittimizzazione per donne con esperienze di IPVAW.
Limiti: i limiti del primo studio riguardano la difficoltà di reclutamento delle partecipanti al T2, tale per cui non è stato possibile confermare, attraverso la fase longitudinale, le scoperte riportate nella fase correlazionale, se non in forma preliminare. I limiti del secondo studio riguardano invece la scelta metodologica di proporre scenari ipotetici. Sarebbe opportuno svolgere ulteriori ricerche su giovani studentesse o giovani donne della popolazione generale che abbiano effettivamente subito forme lievi di violenza da parte del partner, in un’ottica preventiva, per verificare se effettivamente le variabili emerse in questo studio come determinanti rispetto all’intenzione di perdonare il partner, siano effettivamente centrali anche in situazioni di violenza reali.
Prospettive future: Ulteriori ricerche, con un campione più ampio di donne vittime di IPV, potrebbero confermare questo risultato e quindi sottolineare la pericolosità della dimensione positiva di perdono del partner nei contesti di IPV. Inoltre, in un’ottica di supporto alla donna, sulla base di questi risultati, i programmi di intervento rivolti vittime di IPV potrebbero prevedere una fase in cui, pur lavorando sull’abbassamento dei livelli di rabbia e rancore verso il partner - in quanto connessi a un peggioramento della salute psicologica della donna - unforgiveness - si espliciti il rischio di avere atteggiamenti benevoli, concilianti e positivi nei confronti dell’abusante, in particolare nella fase iniziale dopo la separazione. Sarebbe opportuno, altresì, costruire interventi in grado di promuovere l’abbassamento dell’auto critica e del risentimento verso sé stesse per le esperienze dolorose e traumatiche sofferte all’interno della propria relazione, e favorire l’auto-accettazione della propria storia e del proprio passato, in un’ottica di miglioramento della propria salute psicologica.
A partire invece dai risultati del secondo studio, gli sforzi futuri dovrebbero esaminare naturalisticamente questi processi valutando le attribuzioni e le percezioni di gravità successive agli eventi violenti reali, nelle giovani coppie, soprattutto per quanto riguarda la violenza psicologica, in quanto percepita come meno grave e non sempre considerata una forma di violenza. / Literature has shown that more than 30% of women, in the world, have reported violence experience by their partner or former partner (Devries et al., 2013; Stöckl et al., 2013). Several theories tried to explaine the causes of violence (Ali & Naylor, 2013) and especially, a wide range of research focused on the reasons why a woman remains or leaves an abusive partner and / or reconcile with him after a separation. Among the most developed theories in this context a model that provided explanations regarding the choice of women with IPV stories to continue or not the relationship is the Investment Model of Carol Rusbult (1983), (eg Choice & Lamke, 1997; Johnson & Ferraro, 2000; Rhatigan & Street, 2005). In the IPVAW context (Intimate Partner Violence Against Woman), some studies suggest thet women with IPV experience are strongly dependent from their partner (Bergman, Larsson, Brismar & Klang, 1988; Watson et al., 1997), reporting that higher levels of relational dependence predict un higher risk to continuate the abusive relationship (Choice & Lamke, 1997; Hydén, 2005) and to forgive the partner. Indeed, although the literature shows numerous positive implications of forgiveness in couples, scholars know very little about the potential negative implications of forgiveness in the context of domestic violence. A study conducted by McNulty (2011) on couples showed that spouses who reported "being relatively more forgiveness, suffered psychological and physical aggression that remained stable over 4 years" (McNulty, 2011: 770) . Furthermore, a study by Gordon, Burton & Porter (2004) showed - with a sample of women residing in an anti-violence refuge center - that the forgiveness mediated the relationship between attributions of responsibility for the violence to the partner and the intention to return with him. It is equally true that a range of studies on samples of the general and clinical population - differents than women who were victims of IPV - still exposed to one or more psychological traumas, showed the protective effects of forgiveness on people's psychological distress (Romero, Kalidas, Elledge, Chang, Liscum, and Friedman, 2006).
Aim. The objective of the first study was twofold: analyzing the forgiveness of the partner within the model of commitment and dependence (Rusbult, 1983) on the woman's intention to return with the abusive partner; on the other hand, investigating the effects of forgiveness, especially self-forgiveness, on the reduction of the psychological symptomatology of the victims of IPV. The objective of the second study, which was developed from the results of the first, was to verify the predictive variables of the forgiveness of an abusive behavior acted by the partner, in a sample of young women who were not involved in an abusive relationship, so to analyze - in a preventive view - what contributes to forgive the partner's violent acts, especially at an early stage of the relationship, Methodology: with the first correlational study we have administered a questionnaire to a group of women victims of IPV who decided to seek help following the violence suffered by the partner. The questionnaire measured at T1 (time 1) the types and frequencies of violence suffered and the risk factors that we hypothesized to be linked to the recurrence of violence and at T2 (time 2) the actual reconciliations or separations with the maltreating partner.
The second study, on the other hand, of an experimental type - between subjects - provided for the administration of hypothetical scenarios of different types of violent behavior of the partner - physical or psychological aggression acted for the first time or already happened in the past - then we measured the intentions of the students to forgive or not the partner, through a standardized forgiveness scale.
Risultati: study 1 found that emotional dependence, in our sample of women with IPV experiences, predicts the intention to return with the partner. The forgiveness of the partner is a strong mediator able to explain this relationship, strengthening the association between emotional dependence and intention to return with the partner. Furthermore, high levels of forgiveness - especially when the hope of a partner change was high and when the risk perception to suffer further violenc was low, favored a clearer prediction of the intention to return with the partner. On the other hand, as regards the effects of partner's forgiveness and self-forgiveness on the well-being of women, in terms of reducing post traumatic and depressive symptoms, it has emerged that high levels of unforgiveness (negative dimension of partner forgiveness) were associated with an increase in PTSD and depressive symptoms. Furthermore - consistently with our hypotheses - self-forgiveness was a crucial variable to explain the psychological symptomatology of women, in particular the self-criticism is positively associated both to depressive symptoms and post-traumatic symptomatology, while the positive dimension of self-forgiveness, also defined self - acceptance, is inversely associated with PTSD.
The results of the second study indicate that the forgiveness of the partner in hypothetical contexts of violence is predicted by the type of violence. In particular, psychological violence is more forgiven than physical violence, as perceived as less serious, as noted in the analysis of mediation. In fact we have discovered that the typology of violence is predictive of forgiveness, especially when it is mediated by the perception of the gravity of violent conduct. It also emerged that the frequency of violence is a statistically significant discriminant only in the case of psychological violence, such that the episode of psychological aggression is more forgiven if it is the first time that it happens. In addition, analyzes of mediation and moderation were conducted to analyze the role of the attribution of violence to oneself and of the perception of the severity of the abusive conduct, on the intention to forgive the partner.
These findings are combined with a few other studies that could help increase a small group of research that has shown how partner forgiveness can be a risk factor for re-victimization for women with IPVAW experiences.
Limits: the limits of the first study concern the difficulty of recruitment of participants in T2, such that it was not possible to confirm, through the longitudinal phase, the findings reported in the correlational phase; however, we reported also the results of the second phase of the study, but in a preliminary form. The limits of the second study concern the methodological choice to propose hypothetical scenarios. It would be advisable to carry out further research on young female students or young women in the general population who have effectively undergone mild forms of violence by the partner, in a preventive perspective, to verify whether the variables that emerged in this study are, actually, decisive with respect to the intention of forgive the partner, even in real context of IPV.
Future perspectives: further research, with a larger sample of women victims of IPV, could confirm our results and therefore underline the danger of the positive dimension of partner forgiveness in IPV contexts. Moreover, with a view to supporting women, the IPV could foresee a phase in which, while working on the lower levels of anger and resentment towards the partner (unforgiveness) - as they are connected to worsening of the psychological health of the woman - attention could be focused on the risk of benevolent feelings, conciliatory and positive attitudes towards the abuser partner, especially in the first phase after separation. It would also be important to construct interventions able to promote the reduction of self-criticism and resentment towards oneself for the painful and traumatic experiences suffered within one's own relationship and increasing the self-acceptance of one's own history and just past, with positive effects on the psychological well-being.
Starting from the results of the second study, future efforts should examine these processes in a natural context, evaluating the attributions and perceptions of gravity subsequent to real violent events, in young couples, especially as regards psychological violence, as perceived as less serious and not always considered a form of violence.
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O \"stuprum per vim\" no direito romano / Lo stuprum per vim nel dirritto romanoCanela, Kelly Cristina 27 May 2009 (has links)
O presente trabalho analisa o stuprum per vim, ou seja, o stuprum perpetrado mediante violência, no direito romano. Trata-se de um crime de violência sexual, praticado contra homens e mulheres na Roma Antiga. Embora este crime não tivesse uma autonomia conceitual e existam poucas fontes jurídicas romanas sobre o tema, o estudo deste argumento pode certamente contribuir para uma reflexão sobre o direito moderno, diante da recente Lei n. 11.106, de 2005, e especialmente no tocante às necessárias reformas da legislação penal brasileira referente ao estupro e ao atentado violento ao pudor. Ademais são examinados alguns temas como a sexualidade feminina e a relação entre a moralidade e a lei no direito penal romano. Busca-se, diante do limitado número de fontes jurídicas e, também com o apoio de fontes literárias, reconstruir um crime que suscita interessantes reflexões para os estudiosos do direito antigo e do direito moderno. Para tanto, foi realizada uma séria revisão crítica dos romanistas que trataram deste argumento e são traçados alguns aspectos que podem servir de subsídio histórico para uma reflexão sobre as escolhas normativas da nossa legislação e para uma eventual necessidade de mudança da mesma, sempre com o objetivo de garantir a todos os cidadãos, a dignidade humana, segundo os preceitos da Constituição Federal. / Il presente lavoro analizza lo stuprum per vim, ossia lo stuprum perpetrato mediante violenza, nel diritto romano. Si tratta di un crimine di violenza sessuale, praticato contro uomini e donne della Roma antica. Nonostante questo crimine non avesse unautonomia concettuale ed esistono poche fonti giuridiche romane riguardo il tema, lo studio di questo argomento può certamente contribuire per una riflessione sul diritto moderno di fronte allá recente legge n° 11.106, del 2005, e specialmente rispetto alla necessità di riforme della legislazione penale brasiliana riferente allo stupro e allattentato violento al pudore. Oltre a ciò sono esaminati alcuni temi come la sessualità femminile e la relazione fra la morale e la legge nel diritto penale romano. Si cerca, di fronte al limitato numero di fonti giuridiche e , anche con lappoggio di fonti letterarie, ricostruire un crimine che suscita interessanti riflessioni per gli studiosi di diritto antico e di diritto moderno. Per tanto, è stata realizzata una seria revisione critica dei romanisti che trattarono questo argomento e sono tracciati alcuni aspetti che possono servire di sussidio storico per un riflessione sulle scelte normative della nostra legislazione e per una eventuale necessità di cambiamento della stessa, sempre con lobiettivo di garantire a tutti i cittadini la dignità umana, secondo i precetti della Constituzione Federale.
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Il comportamento violento nei Disturbi dello Spettro Schizofrenico: associazioni con fattori clinici e neuropsicologici / VIOLENCE IN SCHIZOPHRENIA SPECTRUM DISORDERS: ASSOCIATIONS WITH CLINICAL AND NEUROCOGNITIVE FACTORSBULGARI, VIOLA 09 March 2018 (has links)
La tesi si è focalizzata sullo studio del comportamento violento in pazienti con una diagnosi di Disturbo dello Spettro Schizofrenico (DSS) e una storia di violenza, appaiati a dei controlli. Il protocollo ha incluso anche un periodo di osservazione di un anno. Il progetto di ricerca è stato condotto in alcune strutture residenziali (studio 1) e presso alcuni Centri di Salute Mentale (studio 2) del nord Italia, con gli obiettivi di: (i) analizzare le caratteristiche socio-demografiche, cliniche e neuropsicologiche di pazienti con DSS e una storia di violenza comparati a pazienti con DSS, senza tale storia, appaiati per genere ed età; (ii) quantificare i comportamenti violenti esibiti dai pazienti con DSS durante un anno di osservazione, e identificarne i possibili fattori protettivi e di rischio; (iii) caratterizzare i pazienti con DSS che hanno esibito condotte particolarmente violente durante l’anno di osservazione. I risultati mostrano specifiche condizioni cliniche e di funzionamento cognitivo caratterizzanti i pazienti con storia di violenza, ed evidenziano diversi fattori associati all’esibizione di comportamenti violenti nei due servizi. / This thesis addresses the phenomenon of violence by patients with Schizophrenia Spectrum Disorders (SSDs) who had a history of violence, compared to matched controls. The research protocol also included a 1-year observation period. The research project has been carried out in ordinary psychiatric residential facilities (study 1) and in Community Mental Health Centres (study 2) in northern Italy. The aims were: (i) to investigate the demographic, clinical, and neurocognitive features of patients with SSDs who had a history of violence, matched by age, gender and diagnosis to controls; (ii) to quantify violence exhibited by patients with SSDs during 1 year, and to identify protective and risk factors for such violence; (iii) to characterize patients exhibiting considerable violence during the study period. The results of the project show different clinical and cognitive characteristics for patients with a history of violence and for controls, and different factors associated with violence exhibited in the two care settings.
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IL TRIBUNALE ECCLESIASTICO MATRIMONIALE DI TRENTO (1857-1868): PROCEDURE DI GIUSTIZIA E PRATICHE SOCIALI NEL TRENTINO ASBURGICOReich, Jessica 30 April 2021 (has links)
Oggetto della mia dissertazione sono i processi matrimoniali della parte italiana della diocesi di Trento, prodotti dal tribunale ecclesiastico matrimoniale locale dal 1857 al 1868 e sedimentatisi nell’omonimo fondo archivistico dell’Archivio Diocesano Tridentino. Loro presupposto è la stipula, nel 1855, del Concordato tra Chiesa cattolica e Impero asburgico, nel quale rientrava anche la diocesi di Trento, che sancì nuovi equilibri nelle relazioni tra le due istituzioni e il passaggio alla giurisdizione ecclesiastica della materia matrimoniale, che dal 1857 sarebbe stata sottoposta al giudizio degli appositi tribunali ecclesiastici. La ricerca si concentra così sul periodo intercorrente tra il 1857, anno di inizio di attività anche per il tribunale tridentino, e il 1868, quando si assistette a un cambiamento nella politica religiosa austriaca col ritorno in mano secolare della gestione della disciplina nuziale.
Cuore del progetto sono dunque i procedimenti matrimoniali. Questa tipologia documentaria è stata oggetto di indagini ampie e varie per approcci e metodologie, fra storia giuridica, istituzionale, sociale, economica, di genere, ma con principale attenzione per l’età moderna. Un interesse che solo in tempi recenti si sta estendendo anche alla documentazione ottocentesca. Il mio lavoro si inserisce in questo indirizzo, con l’intenzione di portare alla luce un oggetto pressoché sconosciuto nelle sue peculiarità spazio-temporali. Il fondo “Tribunale ecclesiastico matrimoniale” e il suo ente produttore, infatti, non hanno ancora trovato spazio in storiografia.
La condizione di trovarsi ad operare entro un terreno documentario vergine, e dunque non indagato nemmeno nei suoi cardini istituzionali e giuridici, quindi archivistici, mi ha spinto ad impostare il lavoro su più livelli analitici, con una duplice finalità. In primo luogo, ho inteso produrre uno scavo nella storia interna del tribunale come istituzione, con le sue premesse politiche e le sue fondamenta normative, e dei processi nei loro aspetti teorici e pratici. In secondo luogo, il mio intento è stato indagare la storia esterna al tribunale, ovvero alcuni scenari della realtà sociale, culturale e antropologica del Trentino di metà Ottocento che irrompono in aula con la loro vitalità e complessità.
Sebbene tra storia interna e storia esterna vi siano un fitto dialogo e una significativa interdipendenza, ho concretizzato questi propositi in un’elaborazione costituita da quattro parti, di cui le prime tre concernenti la storia interna e l’ultima quella esterna.
La prima ricostruisce le vicende istituzionali dell’Impero asburgico e del Trentino ottocentesco, con specifica attenzione per gli sviluppi della normativa e della gestione della disciplina matrimoniale tra potere ecclesiastico e secolare.
Nella seconda parte esamino il tribunale locale, soffermandomi sulla sua storia, sulla sua composizione, sulla prosopografia dei suoi componenti e sui criteri della loro nomina. Si indagano inoltre i rapporti intessuti dal foro con le autorità secolari durante il periodo di vigenza del Concordato e le sfere di competenza sul matrimonio tra foro ecclesiastico e civile.
L’approfondimento della fisionomia del fondo archivistico, in relazione ai meccanismi di funzionamento dell’ente produttore, e l’esame della procedura delle diverse categorie processuali, nel rapporto tra norme e prassi, compone la terza parte.
Infine, la quarta parte, il fulcro della mia ricerca: in essa si svolge la disamina di alcuni processi scelti secondo un’organizzazione problematica e tematica, privilegiando lo studio del singolo caso al fine di scandagliare col maggior dettaglio possibile i numerosi risvolti delle vicende processuali. Gli argomenti affrontati sono: la pazzia, nelle sue pieghe sia procedurali sia extragiudiziarie sociali, culturali e mediche; il magnetismo animale, nella specificità del contesto giudiziario e socio-culturale in cui trova espressione; la violenza contro le donne, con l’esame delle sue narrazioni giudiziarie offerte dai vari attori coinvolti nei processi, a partire dai contendenti fino ai membri delle comunità e alle autorità secolari ed ecclesiastiche.
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Three essays on microcredit and povertyORSO, CRISTINA ELISA 13 May 2013 (has links)
Partendo da una concettualizzazione multidimensionale della povertà, il presente lavoro di ricerca studia l’effetto prodotto dalla partecipazione a programmi di microcredito su specifiche dimensioni di genere: l’empowerment delle donne e la violenza domestica. Il primo capitolo analizza la
letteratura empirica sul tema in un’ottica critica, gettando le basi per lo sviluppo dei successivi. La
seconda parte esamina la relazione fra partecipazione al microcredito e due distinte dimensioni di
empowerment utilizzando un modello ad equazioni strutturali (SEM). Accanto alla partecipazione a
tali programmi, considero, quale potenziale causa del processo di empowerment femminile, le
attitudini maschili in merito al ruolo svolto dalle donne all’interno e al di fuori del contesto
familiare. Dai risultati emerge un’associazione positiva fra microcredito e dimensioni di empowerment considerate, ma l’effetto delle attitudini maschili non è significativo. Infine, nell’ultimo capitolo esamino come la partecipazione al microcredito, congiuntamente ad altri fattori socio-demografici, influenza il subire violenza domestica e le attitudini femminili circa la giustificazione della stessa in determinati contesti. Dall’analisi empirica emerge un’associazione positiva tra microcredito e violenza domestica, mentre il partecipare a tali programmi non produce alcun effetto significativo sulle attitudini femminili in merito alla giustificazione della stessa. / The focus of this dissertation is about the influence of participation in microcredit programs on gendered dimensions of poverty. Specifically, I refer to multidimensional poverty in terms of women’s empowerment and domestic violence. The first chapter reviews the empirical literature on microcredit and poverty in a critical perspective and lays the foundations for the two later chapters. The second part explores the relationship between participation in microcredit programs and two
distinct dimensions of women’s empowerment using a structural equation model with categorical observed variables. I consider a set of potential causes of the empowerment dimensions including participation in microcredit programs and men’s attitudes towards women’s role in intra-household relationships and in the social context. Interestingly, the former is positively associated with empowerment while the men’s perception about the women’s role do not produce a significant effect on both empowerment dimensions. The last chapter investigates how participation in microcredit programs along with other socio-demographic factors affect the likelihood to
experience physical violence and the likelihood of women’s beating justification in different situations. The most interesting result concerns the influence of microcredit on the outcomes variables: it doesn’t affect women’s beliefs about beating justification but it is positively associated
with physical violence.
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I prezzi delle droghe e violenza sistemica; uno studio empirico / Drugs Prices and Systemic Violence; An empirical studySARRICA, FABRIZIO 09 March 2007 (has links)
Lo studio analizza la relazione tra i diversi prezzi delle droghe illegali, eroina e cocaina, e il livello di violenza sistemica in un territorio. L'ipotesi dello studio è che ad un aumento dei prezzi delle droghe illegali, si registra una maggiore violenza causata dal maggiore ritorno economico derivante dalla commissione della violenza. L'analisi empirica si riferisce agli anni ottanta e novanta negli Stati Uniti d'America. Lo studio di mostra la validità dell'ipotesi e propone nuove ambiti di ricerca. / The study analyzes the relation between the different prices of illegal drugs, heroin and cocaine, and the level of systemic violence recorded in a territory. The hypothesis of the study is that from an increase of the prices of illegal drugs, it is derived a greater level of violence caused by the greater menotary return derived by the commission of violence. The empirical analysis referred to the eighties and nineties in the United States of America. The study demonstrates the hypothesis and proposes new research paths.
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PARENTING SKILLS AND MOTHER-CHILD RELATIONSHIP IN THE CONTEXT OF INTIMATE PARTNER VIOLENCEGRUMI, SERENA 02 April 2019 (has links)
L’obiettivo generale del presente progetto di ricerca era trattare i specifici e problematici casi in cui violenza domestica e violenza assistita coesistono. Tali situazioni infatti richiedono di “vedere doppio” per identificare adeguate e integrate strategie di protezione e sostegno di madri e minori. Considerando che la protezione dei minori è strettamente connessa alla valutazione delle competenze genitoriali, una miglior comprensione dell’impatto esercitato dalla violenza sulle pratiche di parenting è cruciale.
Il primo capitolo teorico tratta lo scenario internazionale circa l’Intimate Partner Violence, esplorando dati di prevalenza, l’impatto su donne e bambini e le principali teorie sul processo di uscita dalla violenza.
Il secondo capitolo tratta la valutazione da parte degli operatori della Tutela Minori delle competenze genitoriali sia materne che paterne di nuclei famigliari segnalati per violenza assistita, esplorando quali fattori di rischio e protezione sono associati all’intervento di allontanamento del minore.
Il terzo capitolo presenta una rassegna sistematica con meta-analisi che esplora l’associazione tra IPV e tre dimensioni di parentig: parenting positivo, punizioni severe, stress genitoriale.
Il quarto capitolo presenta i risultati preliminari di uno studio quantitativo diretto a investigare fattori di rischio e protezione circa le competenze genitoriali in contesti di IPV. / The general aim of the present research project was to address problematic situations where domestic and witnessed violence co-occurs. These cases require to “see double” and to identify integrated strategies to foster resilience of both mothers and minors. Considering that child protection is closely linked to the parenting skills assessment, a better comprehension of the IPV impact on parenting is crucial.
The first theoretical chapter deepens the knowledge about the domestic violence scenario, exploring the international prevalence, negative impact for women and children and theories about the violence interruption process.
The second chapter addresses the CPS workers’ assessment of both mothers and fathers of minors referred for witnessed violence. The study adopted the judgment analysis approach and aimed to explore risk and protective factors that influence the CPS workers’ child removal intervention.
The third chapter presents a systematic review and meta-analysis which aimed to get a consistent overview about the relationships between IPV and positive parenting, harsh discipline and parenting stress.
The fourth chapter presents the preliminary analyses about a national research directed to investigate the determinants of parenting in context of domestic and witnessed violence from an ecological point of view.
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L'identité narrative dans la clinique des enfants violents accueillis en ITEP / L'identità narrativa nella clinica dei bambini violenti ospitati in ITEP / The narrative identity in the clinic of the violent children hosted in ITEPCacchioli-Georgelin, Mélanie 26 November 2018 (has links)
Notre recherche porte sur l'identité narrative chez des enfants âgés de 6 à 12 ans accueillis en ITEP. Psychologue auprès d'«enfants violents» durant cinq ans, notre thèse est le fruit d'une démarche originale, qui s'appuie à la fois sur la psychopathologie, la psychanalyse, la philosophie et différentes sources culturelles. Pour Paul Ricœur, philosophe, l'homme est un être résolument narratif, un être pour qui l'impérieuse nécessité de raconter le monde et de se raconter fonde son essence même. Il s'agit de considérer ce qui demeure de la singularité d'un être au fil du temps, la façon dont il se vit et se raconte. Au travers de ce concept se fait jour une dialectique entre soi et l'autre, entre soi et l'étranger en soi (la mêmeté et l'ipséité). L'identité narrative, c'est la possibilité d'un écart réflexif face à l'évènement, c'est la fondation de l'expérience au regard de la temporalité. C'est donc un aspect de la conscience de soi, une expérience de l'intime, l'expression de la subjectivité telle qu'elle peut être partagée et transformée. Or, dans la clinique des enfants violents, nous observons que tous ont en commun d'échouer à se constituer un récit de vie, à se forger une expérience. Tout se passe comme si le sentiment de continuité dans l'existence (Winnicott) était un canevas troué, sans cesse remis sur le métier. La psychopathologie des enfants dits « violents » est complexe, elle se compose d'une symptomatologie très hétérogène, ancrée bien que possiblement labile, qui s'origine dans les liens précoces. On note la prévalence des difficultés d'apprentissage en lecture et écriture, des agirs violents plutôt qu'une mise en mots, un vécu émaillé de ruptures et d'évènements traumatiques, un difficile ancrage identitaire et filial et des identifications en souffrance. Au début de notre recherche, notre travail s'est orienté par ce que nous avons repéré comme les difficultés éprouvées par l'enfant violent à raconter une histoire et a fortiori à mettre en récit la sienne propre. Mais cette démarche se prolonge en ce qu'il s'agit de se demander en quoi l'identité narrative est un concept clé pour apporter une contribution à la compréhension des processus psychiques en jeu. Nous suivons ainsi la piste des processus de pensée obérés sur un fond temporel non constitué en tant que période de latence. En outre, il s'agit d'interroger la pertinence et les limites d'un tel abord psychothérapeutique, questions que nous posons à partir de 12 vignettes et de 8 cas d'enfants suivis en psychothérapie analytique 1 à 3 fois par semaine durant 1 à 4 années. Notre méthodologie de recherche repose sur des retranscriptions de séances de psychothérapie par le jeu, le dessin, les dialogues imaginaires et la parole. Nous avons pensé notre pratique clinique comme un espace pour mettre en mouvement les processus de subjectivation, choisissant ainsi de faire feu de tout bois à partir du matériau apporté par l'enfant. Nous portons notre attention sur les processus de symbolisation et leurs entraves, perceptibles dans le transfert. Le maniement de celui-ci permet de rejouer des enjeux présents, trop présents mais non psychisés, dans le lien aux objets premiers de ces enfants. Nous nous écartons résolument d'une logique évaluative et comportementale pour affirmer la valeur et l'actualité de la clinique du transfert dans ce champ, que l'on peut dénommer clinique de l'extrême. Nous nous appuyons principalement, à partir de la métapsychologie freudienne, sur les apports de Winnicott, de Ferenczi et de l'École lyonnaise. Nous précisons en quoi la philosophie ricœurienne constitue une figure d'altérité pour la psychanalyse et dégageons les lignes de tension épistémologiques entre l'un et l'autre champ. Enfin, notre recherche est animée par une visée politique : nous souhaitons témoigner de l'urgence humanitaire que constitue la situation de ces enfants en même temps que la nécessité, l'intérêt et la fécondité du travail thérapeutique auprès d'eux. / Our research focuses on the narrative identity of children aged 6 to 12 who are living with ITEP. Psychologist with "violent children" for five years, our thesis is the fruit of an original approach, which is based on both psychopathology, psychoanalysis, philosophy and different cultural sources. For Paul Ricoeur, philosopher, the man is a resolutely narrative being, a being for whom the imperious need to tell the world and to tell stories is the basis of its very essence. It is a question of considering what remains of the singularity of a being over time, the way he lives and tells himself. Through this concept comes a dialectic between oneself and the other, between oneself and the stranger in oneself (sameness and ipseity). The narrative identity is the possibility of a reflexive difference with the event, it is the foundation of the experience with regard to temporality. It is therefore an aspect of self-awareness, an experience of intimacy, the expression of subjectivity as it can be shared and transformed. However, in the clinic of violent children, we observe that all have in common to fail to constitute a story of life, to forge an experience. Everything happens as if the sense of continuity in existence (Winnicott) was a perforated canvas, constantly put back on the job. The psychopathology of so-called "violent" children is complex, it is composed of a very heterogeneous symptomatology, anchored although possibly labile, which originates in the early links. We note the prevalence of learning difficulties in reading and writing, violent acts rather than a putting into words, a lived enamelled ruptures and traumatic events, a difficult identity and filial anchorage and identifications in pain. At the beginning of our research, our work was guided by what we saw as the difficulties experienced by the abusive child in telling a story, let alone in narrating his own story. But this approach is prolonged in that it is a question of wondering why the narrative identity is a key concept to make a contribution to the understanding of the psychic processes at stake. We thus follow the path of the processes of thought obsessed on an unincorporated timebase as a latency period. In addition, it is questioning the relevance and the limits of such a psychotherapeutic approach, questions that we ask from 12 vignettes and 8 cases of children followed in analytical psychotherapy 1 to 3 times per week during 1 at 4 years old. Our research methodology is based on retranscriptions of psychotherapy sessions through play, drawing, imaginary dialogues and speech. We have thought of our clinical practice as a space to set in motion the processes of subjectivation, thus choosing to fire any wood from the material brought by the child. We focus our attention on symbolization processes and their hindrances, perceptible in the transfer. The handling of this one allows to replay present issues, too present but not psychised, in the link to the first objects of these children. We deviate resolutely from an evaluative and behavioral logic to assert the value and timeliness of the transfer clinic in this field, which can be called clinical extreme. We mainly rely, from Freudian metapsychology, on the contributions of Winnicott, Ferenczi and the Lyons school. We specify in what Ricerc philosophy constitutes a figure of otherness for the psychoanalysis and release the epistemological lines of tension between the one and the other field. Finally, our research is driven by a political aim: we wish to testify to the humanitarian urgency that is the situation of these children at the same time as the necessity, the interest and the fertility of the therapeutic work with them. / La nostra ricerca si concentra sull'identità narrativa dei bambini dai 6 ai 12 anni che vivono con ITEP. Psicologa con "bambini violenti" per cinque anni, la nostra tesi è il frutto di un approccio originale, che si basa sia su psicopatologia, psicoanalisi, filosofia e diverse fonti culturali. Per Paul Ricoeur, filosofo, l'uomo è un essere risolutamente narrativo, un essere per il quale l'imperioso bisogno di dire al mondo e di raccontare storie è la base della sua stessa essenza. Si tratta di considerare ciò che rimane della singolarità di un essere nel tempo, il modo in cui vive e si racconta. Attraverso questo concetto nasce una dialettica tra sé e l'altro, tra se stessi e lo straniero in se stessi (identità e ipseità). L'identità narrativa è la possibilità di una differenza riflessiva con l'evento, è il fondamento dell'esperienza in relazione alla temporalità. È quindi un aspetto dell'auto-consapevolezza, un'esperienza di intimità, l'espressione della soggettività come può essere condivisa e trasformata. Tuttavia, nella clinica dei bambini violenti, osserviamo che tutti hanno in comune il non riuscire a costituire una storia di vita, a forgiare un'esperienza. Tutto accade come se il senso di continuità dell'esistenza (Winnicott) fosse una tela perforata, costantemente rimessa sul lavoro. La psicopatologia dei cosiddetti bambini "violenti" è complessa, è composta da una sintomatologia molto eterogenea, ancorata sebbene possibilmente labili, che ha origine nei primi legami. Notiamo la prevalenza di difficoltà di apprendimento nella lettura e nella scrittura, atti violenti piuttosto che una messa in parole, una rottura smaltata vissuta e eventi traumatici, un'identità difficile e ancoraggio filiale e identificazioni nel dolore. All'inizio della nostra ricerca, il nostro lavoro è stato guidato da quelle che abbiamo visto come le difficoltà incontrate dal bambino violento nel raccontare una storia, per non parlare della sua storia. Ma questo approccio si prolunga nel fatto che si tratta di chiedersi perché l'identità narrativa sia un concetto chiave per dare un contributo alla comprensione dei processi psichici in gioco, quindi seguiamo il percorso dei processi di pensiero ossessionati da una base dei tempi non incorporata come periodo di latenza. Inoltre, mette in discussione la rilevanza e i limiti di un tale approccio psicoterapeutico, domande che chiediamo da 12 vignette e 8 casi di bambini seguiti in psicoterapia analitica 1-3 volte a settimana durante 1 a 4 anni. La nostra metodologia di ricerca si basa sulla ritrasmissione di sedute di psicoterapia attraverso il gioco, il disegno, i dialoghi immaginari e il parlato. Abbiamo pensato alla nostra pratica clinica come a uno spazio per mettere in moto i processi di soggettivazione, scegliendo così di licenziare qualsiasi legno dal materiale portato dal bambino. Concentriamo la nostra attenzione sui processi di simbolizzazione e sui loro ostacoli, percepibili nel trasferimento. La gestione di questo permette di riprodurre i problemi presenti, troppo presenti ma non psicizzati, nel collegamento ai primi oggetti di questi bambini. Ci scostiamo risolutamente da una logica valutativa e comportamentale per affermare il valore e la tempestività della clinica di trasferimento in questo campo, che può essere definito clinicamente estremo. Principalmente ci affidiamo, dalla metapsicologia freudiana, ai contributi di Winnicott, di Ferenczi e della scuola di Lione. Specifichiamo in che cosa la filosofia Ricœuriana costituisce una figura di alterità per la psicoanalisi e libera le linee di tensione epistemologica tra l'una e l'altra materia. Infine, la nostra ricerca è guidata da un obiettivo politico: desideriamo testimoniare l'urgenza umanitaria che è la situazione di questi bambini nello stesso momento della necessità, l'interesse e la fertilità del lavoro terapeutico con loro.
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[pt] CIDADES EM TRÂNSITO: CULTURA, CONFLITO E PODER NO ESPAÇO ATLÂNTICO DA LÍNGUA PORTUGUESA / [en] CITIES IN TRANSIT: CULTURE, CONFLICT AND POWER IN THE ATLANTIC AREA OF THE PORTUGUESE LANGUAGE / [it] CITTÀ IN TRANSITO: CULTURA CONFLITTO E PODER NELLO SPAZIO ATLANTICO DELLA LINGUA PORTOGHESELUCA FAZZINI 23 September 2019 (has links)
[pt] A tese Cidades em trânsito: cultura, conflito e poder no espaço atlântico da língua portuguesa investiga produções literárias e cinematográficas, provenientes de países da área atlântica da língua portuguesa ̶ Angola, Brasil, Cabo Verde e Portugal ̶ , que encenam a realidade urbana como lugar de conflito e instigam uma leitura da violência e das relações de poder intrínsecas à vivência contemporânea, em especial a indagação da sua continuidade com o passado marcado pela exploração colonial e escravista do espaço e dos corpos. De acordo com a pluralidade dos objetos e dos contextos investigados, a abordagem comparativa que sustenta a análise do corpus propõe uma crítica que, ao conceptualizar a noção de endocolonialismo como caraterística da ação do poder na contemporaneidade, evidencia a complexidade e a multiplicidade das formas através das quais a violência e o racismo se inscrevem na realidade urbana, dando continuidade à subalternização dos corpos e à fragmentação hierarquizada do território, dinâmicas implementadas pelo colonialismo e pelo escravismo. À luz das diferenças intrínsecas aos contextos em análise, tendo sempre como ponto de partida as conexões que as obras constroem com o espaço urbano, após um primeiro capítulo mais enfaticamente teórico, que se debruça sobre as múltiplas relações entre poder e capital, nas outras três partes convoca-se um repertório heterógeno: as elucubrações de Giorgio Agamben sobre a stasis, isto é, a guerra civil como paradigma político, articulam-se às de Michael Foucault sobre biopoder, às de Achille Mbembe sobre necropolítica e as provenientes de vários autores sobre os afetos políticos. Tais reflexões, conjugadas às investigações pontuais acerca dos contextos urbanos do Atlântico de língua portuguesa, permitem desenhar de forma analítica a persistência da logica colonial e escravista na contemporaneidade urbana. / [en] The thesis Cities in transit: culture, conflict and power in the Atlantic area of the Portuguese language investigates literary and cinematographic productions from the Portuguese speaking countries of the Atlantic area- Angola, Brazil, Cape Verde and Portugal -representing urban reality as a place of conflict, stimulating a reading of violence and power relations intrinsic to the contemporary experience in the light of the many continuities with a past marked by colonial and slavery exploitation of the bodies. The comparative approach that underlies the analysis of the selected corpus, appropriate with the plurality of the works and contexts examined, proposes a critical essay that, in conceptualizing the notion of endo-colonialism as a characteristic of the act of power in the contemporary world, highlights the complexity and multiplicity of the ways through which violence and racism come to join the urban reality, giving continuity to the submission of bodies and to the fragmentation of the territory, dynamics which were implemented during the colonial and slavery era. In light of the intrinsic differences in each context being analysed and always considering as a starting point the many ties that literary texts build with the urban space, after the first chapter of theoretical nature, which observes the multiple relations between power and capital, the following parts making up the research convene a heterogeneous conceptual repertoire: Giorgio Agamben s considerations about the stasis, namely about the civil war as a political paradigm, are alternated with to those of Michael Foucault on bio power, to those of Achille Mbembe on necropolitics and to the reflections of various other authors concerning political affections. These analyses, combined with detailed investigations into the urban contexts of the Portuguese-speaking Atlantic, allow us to draw an analytical account of the persistence of colonial and slavery logic in urban contemporaneity. / [it] La tesi Città in transito: cultura, conflitto e potere nello spazio atlantico della lingua portoghese indaga produzioni letterarie e cinematografiche provenienti dai Paesi dell area atlantica della lingua portoghese ̶ Angola, Brasile, Capo Verde e Portogallo ̶ che rappresentano la realtà urbana come luogo di conflitto, stimolando una lettura della violenza e delle relazioni di potere intrinseche all esperienza contemporanea alla luce delle tante continuità con un passato segnato dallo sfruttamento coloniale e schiavista dei corpi. L approccio comparativo che sottostà all analisi del corpus selezionato, consono alla pluralità delle opere e dei contesti interrogati, propone una critica che, nel concettualizzare la nozione di endocolonialismo come caratteristica dell azione del potere nella contemporaneità, evidenzi la complessità e la molteplicità delle forme tramite le quali violenza e razzismo si iscrivono all interno della realtà urbana, dando continuità alla subalternizzazione dei corpi e alla frammentazione del territorio, dinamiche implementate durante l epoca coloniale e schiavista. Alla luce delle differenze intrinseche a ciascun contesto in analisi, considerando sempre come punto di partenza i tanti legami che le opere costruiscono con lo spazio urbano, dopo un primo capitolo di natura teorica, che osserva le multiple relazioni tra potere e capitale, le altre tre parti che compongono la ricerca convocano un repertorio concettuale eterogeneo: le considerazioni di Giorgio Agamben circa la stasis, ovvero riguardo alla guerra civile come paradigma politico, si articolano a quelle di Michael Foucault sul biopotere, a quelle di Achille Mbembe sulla necropolitica e alle riflessioni di vari altri autori riguardanti la gli affetti politici. Tali analisi, coniugate alle indagini puntuali circa i contesti urbani dell Atlantico di lingua portoghese, permettono di disegnare in maniera analitica la persistenza della logica coloniale e schiavista nella contemporaneità urbana.
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LA PRIMA LEGGE ITALIANA "CONTRO LA VIOLENZA SESSUALE". UN DIBATTITO LUNGO VENT'ANNI (1976 - 1996)BOSSINI, LAURA ELISABETTA 20 June 2017 (has links)
La presente ricerca indaga il dibattito sociale, culturale e politico che ha anticipato la legge n. 66
Norme penali contro la violenza sessuale, licenziata dal Parlamento italiano nel febbraio 1996 e che,
a quasi settant’anni dall’entrata in vigore del Codice penale Rocco, modificò la normativa vigente in
materia di reati sessuali. Quel risultato arrivò a conclusione di un dibattito ventennale che visse due
fasi principali: la prima coincise con il decennio degli anni Settanta ed ebbe come protagonista
il movimento femminista, la seconda prese avvio all’inizio degli anni Ottanta e spostò il baricentro della discussione all’interno delle aule parlamentari. Nel lavoro di analisi proposto sono state seguite tre direttrici principali. Innanzitutto si è indagato il ruolo giocato dal movimento femminista nell’accendere i riflettori sul tema dello stupro e nel rompere il muro di silenzio che lo aveva relegato a questione privata. In secondo luogo si è tentato di fotografare il fermento sociale e culturale che accompagnò l’iniziativa femminista contribuendo a diffondere nella società civile italiana una nuova consapevolezza sul tema della violenza e degli abusi sessuali. L’attenzione si è infine soffermata sulla pluralità di approcci, punti di vista ed interpretazioni che animarono il dibattito parlamentare sulla riforma in materia di reati sessuali con l’intento di portare alla luce le ragioni più o meno nascoste che per cinque legislature impedirono alle forze politiche di approdare ad una soluzione condivisa. / This research aims to investigate the social, cultural and political debate that has anticipated law no. 66 Norme penali contro la violenza sessuale, dismissed by the Italian Parliament in February 1996. That result amended the current law in sex offenses and it was the final step of a twenty-year debate during which the Italian feminist movement played a crucial role. This research has three principle objectives. Firstly, it investigates the role played by the Italian feminist movement in bringing to light the subject of rape and breaking the wall of silence that had relegated it to a private sphere. Secondly, it aims to photograph the social and cultural turmoil raised by the feminist initiative which spread a new awareness about violence and sexual abuses in the Italian civil society. Thirdly, the research analyses the plurality of opinions and points of view that animated the parliamentary debate and prevented political forces from reaching a shared approach on the reform of criminal sex offenses.
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