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Gli ebrei in Romania e Ungheria dal punto di vista dell'American Jewish Yearbook e della diplomazia vaticana (1920-1938).Dissegna, Mara January 2011 (has links)
La tesi analizza la situazione delle due comunità ebraiche durante il periodo preso in considerazione attraverso la documentazione archivistica vaticana e il materiale pubblicato nell'annuario ebraico americano.
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Francia Italia in mostra : les expositions comme observatoires des relations franco-italiennes dans la construction d’une diplomatie culturelle européenne après la Seconde Guerre mondiale / Francia Italia in mostra : exhibitions as observatories of Franco-Italian relations in the construction of an European cultural diplomacy after World War II / Francia Italia in mostra : le mostre in quanto punti d'osservazione delle relazioni italo-francesi nella costruzione di una diplomazia culturale europea dopo la Seconda Guerra mondialePane, Caroline 09 December 2016 (has links)
S’inscrivant dans le courant historiographique de l’histoire culturelle des relations internationales, cette thèse interroge le rôle des échanges artistiques dans les relations diplomatiques franco-italiennes, du lendemain de la Seconde Guerre mondiale à la construction européenne. L’analyse des expositions réalisées par les services culturels des Affaires étrangères français et italien, respectivement en Italie et en France, met en évidence les rapports de force et les clés du rapprochement franco-italien après 1945. La reconstruction des identités nationales, leurs représentations et leurs circulations de part et d’autre des Alpes, sont ici interrogées au regard de l’élaboration d’une nouvelle forme de diplomatie culturelle dans l’Europe de la Guerre froide. Nous nous attachons, d’abord, à reconstruire l’héritage des politiques culturelles de l’entre-deux-guerres ainsi que la transformation des institutions, et des discours, de l’avant à l’après-guerre. Puis nous détaillons les expositions « militantes », objets de tensions et de forts enjeux géopolitiques sur la scène internationale de 1944 à 1948. Enfin, nous analysons pendant les années 1950 l’émergence de modèles récurrents et des typologies d’expositions qui répondent au besoin d’équilibre diplomatique poursuivi par les gouvernements français et italien dans la formation de l’Europe culturelle après 1945. / As part of the current historiography of the cultural studies of international relationships, this thesis questions the role of artistic exchanges in Franco-Italian diplomatic relations, from the aftermath of World War II to the beginnings of European construction. The analysis of exhibitions held by the Cultural Services of the French and Italian Ministries of Foreign Affairs, respectively in Italy and France, highlights the balance of power and the keys to the Franco-Italian reconciliation after 1945. The reconstruction of national identities, their representations and their circulations in both sides of the Alps are questioned in the particular context of the Cold War leading to the rise of a new form of European cultural diplomacy. We focus, firstly, on the modalities of institutional and ideological transition before and after World War II, introducing elements of interruptions and continuities. We then analyze the "militant" exhibitions, main focus of tensions and strong geopolitical issues in the international stage. Finally, we show the emergence of recurring patterns and exhibition typologies which address the need for diplomatic balance pursued by the French and Italian governments in the formation of cultural Europe after 1945. / Questa tesi si inserisce nel quadro storiografico della Storia culturale delle relazioni internazionali e interroga piùspecificatamente il ruolo degli scambi artistici nelle relazioni diplomatiche italo-francesi, dalla fine della Seconda Guerramondiale agli esordi della costruzione europea. L’analisi delle mostre realizzate dai servizi culturali dei ministeri degli AffariEsteri francese e italiano, rispettivamente in Italia e in Francia, mette in evidenza i giochi di potere e le chiavi dellariconciliazione italo-francese dopo il 1945. La ricostruzione delle identità nazionali, le loro rappresentazioni e le circolazionida una parte all’altra delle Alpi sono qui interrogate in funzione dell’elaborazione di una nuova forma di diplomazia culturalenell’Europa della Guerra fredda. Ci siamo prima impegnati a ricostruire la transizione istituzionale e ideologica dal periodofra le due guerre all’indomani del 1945, mostrandone i punti di rottura e di continuità. Poi, abbiamo esaminato le mostre“militanti”, oggetti di tensioni dai forti accenti geopolitici nello scenario internazionale dal 1944 al 1948. Infine, abbiamoanalizzato il sorgere di modelli ripetitivi e delle tipologie di mostre che rispondono al bisogno di equilibrio diplomaticoperseguito dai governi francese e italiano nell’ambito della formazione di un’Europa culturale dopo il 1945.
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POVERI, POLITICI E PROFESSORI: IL DIBATTITO SULLO STATO SOCIALE AMERICANO DA KENNEDY A BUSH / Poor, politicians and professors: the debate about american welfare system from Kennedy up to BushTANZILLI, FRANCESCO 17 February 2009 (has links)
Il presente lavoro intende esaminare il processo di decision making relativo alla politica sociale statunitense sviluppatosi a partire dalla fine degli anni Sessanta, fornendo un’analisi di carattere «istituzionalista» che ponga in rilievo gli snodi cruciali del dibattito relativo al welfare system federale svoltosi sia all’interno del Congresso, sia presso i think tank, i centri universitari, le organizzazioni culturali e religiose, le lobby e le altre realtà associative emerse dalla società civile. In particolare, la ricerca si concentra sull’intreccio tra ideologia politica, mentalità tradizionale, opinione pubblica e interessi specifici, e sull’influsso esercitato dalla dimensione culturale e istituzionale sul processo legislativo.
Sono stati individuati quattro principali indirizzi socio-politici, ciascuno dei quali ha avuto un particolare influsso su altrettante ‘fasi’ del processo di riforma del welfare system statunitense svoltosi tra il 1968 e il 2006. L’analisi del dibattito culturale e politico è stata suddivisa pertanto in quattro diversi capitoli (capp. 2-5) che consentono di delineare percorsi distinti per le diverse ipotesi socio-culturali individuate, ai quali viene anteposta una premessa storica relativa alle origini del sistema assistenziale e previdenziale statunitense e alle politiche riformiste degli anni Sessanta (cap. 1). / The dissertation examines the process of decision making that determined the development of U.S. social policy from the end of the Sixties. It analyzes the institutional character of the debate that took place inside the Congress and inside the think tanks, the academic centers, the cultural and religious foundations and other associations. In particular, the research is focused on the tangle between political ideologies, traditional culture, public opinion and legislative process. The dissertation identifies four different socio-political streams: each of them influenced a particular “phase” of the reform of the U.S. welfare system from 1968 up to 2006. The analysis of the cultural and political debate has been divided in four chapters (chapters 2-5) that allow to delineate different developments for the four streams, after an historical premise (chapter 1) that presents the origins of American welfare system, from the colonial times to the Sixties.
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Il monastero di San Raimondo in Piacenza. La storia di un'istituzione claustrale, educativa ed apostolicaCONCA, ELENA MARIA 08 January 2010 (has links)
La tesi si apre con un capitolo introduttivo, che tiene presente l’arco cronologico compreso tra i secoli XII e XIX. L’ampiezza di questo periodo storico è giustificata dall’antichità delle istituzioni antecedenti al monastero cassinese di San Raimondo in Piacenza: una canonica agostiniana (secoli XII-XIV), dedicata a Santa Maria dei Dodici Apostoli, un ospedale di tipo medievale (secoli XII-XVI) e un monastero cistercense femminile (1414-1810). Si è cercato di mettere in luce che le vicende di queste istituzioni sono parte integrante della storia dell’attuale monastero. Dopo un accenno alle soppressioni napoleoniche e alle loro conseguenze per le religiose, la parte centrale della ricerca (comprendente gli altri tre capitoli) riguarda il monastero di San Raimondo in Piacenza nel suo periodo benedettino cassinese. L’erezione canonica è avvenuta nel 1835, in seguito all’iniziativa della fondatrice Teresa Maruffi (1780-1855), monaca piacentina. Nel lavoro si è cercato di mettere in luce l’influsso dell’istituzione anche in campo sociale ed educativo. Il monastero di San Raimondo, infatti, tenendo fermo il carattere contemplativo-claustrale della comunità che vi risiede, ha svolto e svolge tuttora un importante ruolo dal punto di vista scolastico-educativo ed apostolico in campo pastorale e sociale. / The thesis opens with an introductory chapter that considers the chronological period between XII and XIX centuries. The wideness of this historical period is justified by the antiquity of the institutions prior to the “cassinese” monastery of San Raimondo in Piacenza: an Augustinian presbytery (XII-XIV centuries), dedicated to Saint Mary of the Twelve Apostles, a medieval hospital (XII-XVI centuries) and a Cistercian convent (1414-1810). They have tried to point out that the events of these institutions are an integral part of the history of the present-day monastery. After a reference to the Napoleonic dissolution and to its consequences for the nuns, the central part of the research (including the other three chapters) concerns the monastery of San Raimondo in Piacenza during the Benedictine “cassinese” period. The monastery was founded in 1835 on the initiative of Teresa Maruffi (1780-1855), a nun from Piacenza. In the research they have tried to point out the influence of the institution in social and educational field. Actually, the monastery of San Raimondo, preserving the cloister-contemplative character of the community that resides there, has played and still plays an important role both from an educational point of view and an apostolic point of view in pastoral and social field.
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L'EPISCOPATO ITALIANO E LA GRANDE GUERRA: DISCORSO PUBBLICO E DISCORSO INTERNO (1914-1918) / The Italian Bishops and the Great War. Public Discourse and Discourse inside the Church (1914-1918)MALPENSA, MARCELLO 26 March 2010 (has links)
Fino ad oggi, la storiografia occupatasi dell'atteggiamento tenuto dai vescovi italiani nel corso del primo conflitto mondiale aveva affrontato il tema in base a un’ottica essenzialmente politica, volta a stabilire la maggiore o minore adesione dell'episcopato agli ideali patriottici e il suo grado di sostegno alla guerra. In questo studio, da una parte l'analisi del discorso pastorale pubblicamente prodotto dall'episcopato italiano sulla e nella Grande Guerra, dall'altra l'analisi del discorso indirizzato all'interno della gerarchia ecclesiastica sia verso il basso (sacerdoti-soldati e chierici combattenti) sia verso l'alto (S. Sede), consentono di evidenziare le reali categorie interpretative con cui l'evento-guerra venne compreso e giudicato dai vescovi. Il quadro che ne emerge appare variamente articolato: se la retorica patriottica non mancò di manifestarsi, il discorso dominante fu tuttavia rappresentato dalla lettura provvidenzialistica del conflitto, che, culminando nell'attribuzione di un significato salvifico alla morte per la patria in guerra, svolse una funzione decisiva nel legittimare la partecipazione dei fedeli ad essa. L'analisi della corrispondenza tra i vescovi e i chierici combattenti e tra i vescovi e la S. Sede mostra l'esistenza di sfumature e di altre sensibilità, certamente importanti da registrare, ma non sufficienti a mutare il profilo complessivo emerso dall'analisi del discorso pubblico. / Until today, the historiography concerning the attitude of Italian bishops during the First World War dealt with the subject from essentially a political perspective, focused on bishops' commitment to patriotic ideals and the level of support for the war. This research takes into account, on the one hand, the analysis of the pastoral discourse made publicly by the Italian bishops about and during the «Great War», and on the other hand, the analysis of the discourse inside of the church hierarchy addressed both downwards (to priest-soldiers and fighting seminarists) and upwards (to the Holy See). Thus, the actual explanatory categories by which the war-event was understood and judged by bishops are revealed. The picture that emerges is heterogeneous: beyond patriotic rhetoric, the most dominant finding is represented by providential reading of the conflict. By attaching a redemptive meaning to death from fighting for one's country, it proved to be a decisive factor in legitimising the participation of the faithful. The analysis of the correspondence between the bishops and fighting seminarists, and between the bishops and the Holy See demonstrates the existence of different tones and sensibilities. Although worth recording, they do not seem to change the overall picture that the public discourse displays.
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Alfredo Ildefonso Schuster a Roma (1880 - 1929) / Alfredo Ildefonso Schuster in Rome (1880-1929)NOBILI, ELENA 20 April 2011 (has links)
Alfredo Ildefonso Schuster (1880-1954), abate di San Paolo fuori le Mura e, successivamente, arcivescovo di Milano dal 1929 al 1954, ricoprì, durante il periodo romano, importanti incarichi sia all’interno dell’Ordine benedettino che della curia romana per volontà di Pio X, Benedetto XV e Pio XI. Egli diede un contributo decisivo in svariati ambiti: insegnò presso la Scuola di Musica sacra, fu consultore della Congregazione dei Riti, preside del Pontificio Istituto Orientale e presidente della Pontificia Commissione di arte sacra. Personalità particolarmente sensibile, fu in contatto con il mondo benedettino europeo, sostenne il movimento liturgico e si mostrò aperto verso la Chiesa ortodossa e gli ebrei. Dal punto di vista politico, infine, Schuster affermò con chiarezza la necessità che lo Stato riconoscesse l’importante azione sociale della Chiesa, denunciando le ingerenze e i soprusi commessi sia dal governo liberale che da quello fascista. / Alfredo Ildefonso Schuster (1880-1954) was a Benedictine monk at the Basilica of Saint-Paul-Outside-the-Walls in Rome and Archbishop of Milan from 1929 to 1954. During his stay in Rome he held high offices for both the Benedictine order and the Roman Curia thanks to Popes Pius X, Benedict XV and Pius XI. He provided decisive contributions to various fields: teacher at the Institute of Sacred Music, Consultor to the Sacred Congregation of Rites, President of the Pontifical Oriental Institute and President of the Commission for Sacred Art. Man with a highly sensitive personality, Cardinal Schuster got in touch with the European Benedictine community, promoted the Liturgical Movement and showed his openness to the Orthodox Church and the Jewish people.
In the political field Schuster clearly stated the necessity of the State to admit the important social action carried on by the Church, while blaming interferences and abuses of both the Liberal and Fascist Government.
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SBAGLIANDO SI SPARA: LA CONTESTAZIONE DEL 1977 IN ITALIA E LA REAZIONE DELLO STATOFALCIOLA, LUCA 17 February 2011 (has links)
Questa ricerca si propone di contribuire ad una prima analisi storiografica del ciclo di protesta esploso in Italia nel 1977. A nove anni dal ’68, la contestazione tornò ad agitare le università e le piazze, lottando sul terreno della creatività e dell’ironia, ma esprimendo contestualmente una forte carica violenta. L’illegalità di massa e la guerriglia diffusa finirono infatti per ingrossare le fila del «partito armato» e del terrorismo. Il ‘movimento’ degli indiani metropolitani e delle P38, proprio in ragione di questa ambiguità, fatica ancora a trovare una descrizione esaustiva, mentre la sua escalation violenta è ancora in attesa di un’eziologia convincente. Questo studio tenta quindi, in primo luogo, di ricostruire un’immagine unitaria e realistica di quel fenomeno socio-politico, a partire dalle fonti del ‘movimento’ e dalle cronache. In secondo luogo, integra la variabile istituzionale nello studio della protesta, al fine di verificare quale grado di influenza ebbe lo Stato sui processi di riattivazione della mobilitazione e, soprattutto, sulla radicalizzazione dello scontro. Il focus dell’analisi è rappresentato dall’azione assai controversa del ministero dell’Interno, allora guidato da Francesco Cossiga, che viene qui ricostruita sulla base di documenti provenienti dagli archivi di Stato. Il policing of protest è infine messo a confronto con quello della Francia dei primi anni dopo il maggio ’68, quando l’estrema sinistra minacciò una deriva violenta ma si arrestò prima di passare all’atto. / his research aims to contribute to a first preliminary historiographical analysis of the cycle of protest which spread out in Italy in 1977. Nine years after 1968, revolts started again on in the streets and inside universities. This new wave of protest was characterized by the use of creativity and humour but also by the acceptance of the violence: illegal action and urban guerrilla warfare became quite common and contributed to the expansion of the red terrorism. As a matter of fact, this ‘movement’ shows an inherent ambiguity: it put together political emulators of Dadaism with old-styled armed revolutionaries. Therefore, it is still hard and an open challenge to find an inclusive description of it and the escalation of political violence is still waiting for a convincing aetiology. The objective of this is research is twofold. On the one hand, it tries to rebuild a coherent and realistic picture of this phenomenon under analysis, adopting insider sources of the ‘movement’ and chronicles. On the other hand, it aims at integrating the institutional variable in the study of the protest, in order to verify to which extent the State was can be held responsible for the mobilization processes and, especially, for the radicalization of the social conflict. The analysis is centred on the action of the ministry of Interior and based on records from State archives. The Italian policing of protest is finally compared with to the case study of France during the first years after May 68. At that time, extreme-left activists threatened a similar escalation of violence, but they came to a halt before shooting.
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I. Giordani, uomo di lettere e di cultura, e l'ideale di un «cristianesimo integrale»: alcuni carteggi indediti / Igino Giordani: a man of letters and the ideal of an «integral Christianity». Parts of the unpublished correspondencePAGLIARULO, CARLA 13 February 2013 (has links)
La tesi ha lo scopo di inquadrare Giordani nel contesto del mondo culturale cattolico tra le due guerre e di approfondire la sua proposta di «cristianesimo integrale» come soluzione alla crisi che negli anni Venti e Trenta viziò il mondo economico, il sistema politico e lo scenario culturale, a livello di principi fondamentali, di valori. Per questo si è dato assoluto rilievo ai rapporti di Giordani con molti intellettuali suoi contemporanei e con varie istituzioni culturali cattoliche.
Il testo segue dapprima un indirizzo biografico, che permette di ripercorrere la vita di Giordani dalla giovinezza, segnata dalla guerra e dall’esperienza al fronte, alla sua serena fine, nel 1980. Si tratta di una testimonianza di come la sua conseguenzialità tra fede e opere abbia inciso negli ambienti che lo hanno visto protagonista, tanto che è stato avviato per lui il processo di beatificazione.
La ricerca è stata condotta tenendo conto degli scritti di Giordani e della storiografia precedente, ma soprattutto utilizzando numerosi materiali d’archivio. In particolare i carteggi privati aiutano a ricostruire l’operato di Giordani a favore dell’impegno degli intellettuali cattolici negli anni oscuri del fascismo e la sua indefessa attività per la realizzazione di un nuovo umanesimo.
Altro spazio è stato riservato ai rapporti maturati da Giordani con due esponenti del mondo cattolico italiano di quel periodo, ovvero Giovanni Papini e Piero Bargellini. / This dissertation aims at setting Igino Giordani within the broader framework of the catholic cultural environment between the two world wars. It focuses on his proposal of an «integral Christianity» as a solution to the recession which threatened the fundamental values and principles of the economy, politics and culture during the 1920's and 1930's. This is the reason why the relationships between Giordani and many of his colleagues and cultural catholic institutions have been studied in depth.
The work starts with a biography, underlining how Giordani's youth has been affected by the war and the experience as a soldier, up to his peaceful death, in 1980. His life shows how the consistency of his actions with his faith made him an influent personality in his working environments, to the point that the beatification process has begun.
The research is based on Giordani's writings and on the previous historiography, but the most important source is constituted by a large number of archive documents. Particularly, Giordani's private correspondence has been very useful in understanding how he acted in order to support the engagement of the catholic intellectuals during the dark fascist age and his endless activity in order to build a new humanism.
The work also focuses on the relationships between Giordani and two members of the Italian catholic world of the time: Giovanni Papini and Piero Bargellini.
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Ebraismo e Stato di Israele nelle riviste cattoliche italiane (1963-1978) / Judaism and State of Israel in Italian Catholic Reviews (1963-1978)PALUMBO, ENRICO 26 March 2010 (has links)
I percorsi che hanno portato i cattolici a ripensare il proprio rapporto con gli ebrei sono molti e investono aspetti molteplici del problema. A questo tema, approdato infine al Concilio Vaticano II con la dichiarazione Nostra Aetate (1965), si è aggiunta la questione della posizione dei cristiani di fronte alla nascita dello Stato di Israele. Le riviste cattoliche italiane (di cui si sono qui prese in esame quelle d’opinione di diverso orientamento), luogo di discussione e di formazione di un’opinione pubblica consapevole, rispettarono tale pluralismo e, grazie all’impulso conciliare, affrontarono con crescente competenza la questione dei rapporti ebraico-cristiani, diventando fucina di un confronto fecondo con l’ebraismo. La vicenda dello Stato di Israele si è certamente intrecciata con il dialogo ebraico-cristiano, ma la maggior parte delle riviste cattoliche riuscì a non confondere i due piani e a compiere valutazioni distinte. La solida difesa del dialogo ebraico-cristiano si accompagnò nelle riviste della sinistra cattolica, soprattutto dopo il 1967, a una visione sempre più critica del ruolo che Israele stava svolgendo in Medio Oriente e a un avvicinamento alle posizioni palestinesi. Nella destra cattolica, in alcuni casi lontana dallo spirito conciliare sul tema dei rapporti tra le due fedi abramitiche, furono maggiori le voci in favore dello Stato di Israele, il cui ruolo era inserito nel quadro della guerra fredda. / Paths bringing Catholics to reconsider their relationship with the Jewish are various and touch manyfold aspects of the issue, which finally was brought up during the Second Vatican Council in the declaration Nostra Aetate (1965). Meanwhile Christians were further confronted by the foundation of Israel.
Italian Catholic reviews, in the pluralism of the Council, faced with increased competence the issue of Christian-Jewish relationship and became the place for internal debates, opinion making, but also fruitful confrontation with Hebraism; those holding different views are specifically taken into account in this work.
The course of Israel as state is certainly interwoven with the Christian-Jewish dialogue, but most Catholic reviews managed to keep the discussion and their evaluations on two different levels. The support of Christian-Jewish dialogue did not prevent left-wing Catholics from a critical vision of the role played by Israel in the Middle East, particularly in 1967, when positions came close to Palestinians. On the other hand within the Catholic right-wing, sometimes far from the spirit of the Council about the two religions with same roots, voices rose in favour of Israel and its role in the frame of the cold war.
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"CHANGE THE SYSTEM FROM WITHIN". PARTICIPATORY DEMOCRACY E RIFORME ISTITUZIONALI NEGLI STATI UNITI DEGLI ANNI SETTANTA / “Change the System from Within”. Participatory democracy and institutional reforms in the 1970s United StatesGARA, MARTA 20 July 2021 (has links)
La tesi è stata intitolata “Change the System From Within”. La participatory democracy e le riforme istituzionali negli Stati Uniti degli anni Sessanta e si compone di cinque capitoli.
Nel primo capitolo si riprende l’idea di participatory democracy emersa in seno alla New Left e ai movimenti sociali dei lunghi anni Sessanta. In questo contesto il concetto di participatory democracy assunse due principali accezioni: da una parte rappresentava la rivendicazione politica di un maggior coinvolgimento attivo della cittadinanza nelle politiche - locali, statali e federali - frutto della crisi di legittimità che la democrazia americana stava attraversando in quegli anni; dall’altra, il concetto venne adottato come principio organizzativo all’interno dei gruppi stessi di attivisti, con la funzione di prefigurare quelle riforme politico-istituzionali cui gli stessi militanti aspiravano. Dalla stessa temperie di contestazione sorse del resto anche la critica che alcuni studiosi mossero alla teoria liberale pluralista e alla sua esemplificazione nella coeva democrazia americana. Nel primo capitolo si mostra proprio come da quelle rielaborazioni critiche degli anni Sessanta emerse anche il primo modello di participatory democracy in seno alla teoria politica, sviluppato pienamente negli anni Settanta e Ottanta da Carole Pateman, Crawford B. Macpherson e Benjamin Barber. Questa parte del lavoro di tesi si propone quindi di accostare alle pratiche partecipative introdotte dai movimenti anche la ricostruzione dello sviluppo graduale di una teoria politica della participatory democracy. Tale riflessione è completata da un’analisi storica di ampio raggio, necessaria a meglio contestualizzare il fenomeno e ad includere le nuove richieste democratiche nell’ambito di una tradizione democratico-rappresentativa già dotata di istituti partecipativi di democrazia diretta.
Chiarito il quadro storico-politico degli anni Sessanta, il secondo capitolo analizza la ricezione dell’idea di participatory democracy nelle politiche federali. A questo proposito si illustra come il principio di citizen participation fosse stato recepito già con la War on Poverty promossa da Lindon B. Johnson alla metà degli anni Sessanta e fu mantenuto, con esiti istituzionali differenti, almeno fino alla fine della presidenza Carter. Si dimostra inoltre che, malgrado il dettato legislativo federale fosse spesso approssimativo sulle modalità operative, quel principio ebbe in realtà un notevole impatto sulle relazioni intergovernative. Tale principio favorì ad esempio l’intraprendenza di molti amministratori locali nel promuovere il decentramento amministrativo e politico su base di quartiere.
Nel terzo capitolo l’analisi affronta le principali trasformazioni in senso partecipativo avvenute nei sistemi di governo statali e locali negli anni Settanta, mettendole in relazione anche alle dinamiche intergovernative di più lungo periodo. Il capitolo è strutturato in modo tale da evidenziare il tendenziale recupero e rafforzamento di istituti già esistenti, come l’initiative, i public hearing e gli school district come strumenti di rivendicazione del community control in alcune città di grandi dimensioni. Mentre il secondo e terzo capitolo tendono a osservare le riforme istituzionali degli anni Settanta in senso partecipativo in seno al governo federale, statale e locale, i due successivi capitoli mirano ad osservare l’impatto della participatory democracy nel confronto tra attivismo militante e pratiche amministrative tradizionali degli anni Settanta.
Il quarto capitolo è infatti dedicato all’ingresso della nuova generazione di politici progressisti nelle amministrazioni locali e statali fra la fine degli anni Sessanta e la prima metà degli anni Settanta. Per analizzarlo si è deciso di analizzare come principale caso di studio la Conference on Alternative State and Local Policy (CASLP), una organizzazione e forum nazionale che mirava proprio ad unire alle istanze dei progressisti una expertise di governo. Nell’ambito della CASLP, la cosiddetta Coalizione progressista di Berkeley, CA, fornì un caso esemplare di strategia di confronto con le istituzioni locali e per questo il capitolo le dedica una attenta disanima. La pluriennale esperienza di azione collettiva dei progressisti di Berkeley nell’arena istituzionale è infatti rilevante sia per l’innovazione nella strategia istituzionale, sia per attestare una evoluzione dell’idea di participatory democracy nel tempo.
Il quinto capitolo ricostruisce ed analizza la carriera politica di Tom Hayden negli anni in cui passò dall’attivismo alla politica istituzionale, con la campagna elettorale per diventare Senatore della California in Congresso (1975-1976) e la successiva Campaign for Economic Democracy (1976-1982), confermando la spiccata propensione del leader all’innovazione istituzionale in senso partecipativo. In particolare, nella campagna elettorale per il Senato del Congresso del 1976 Hayden riuscì a implementare forme di decision-making partecipato in seno allo staff. Nella gestione del personale cercò inoltre di favorire l’empowerment di volontari e cittadini senza perdere di vista i requisiti essenziali per la sopravvivenza della campagna: fundraising e propaganda. In linea con la sua battaglia contro le distorsioni economiche del big business, scelse di non accettare fondi da corporation e banche e riuscì nell’intento di essere sostenuto per gran parte da small donors. Hayden dunque introdusse pratiche di participatory democracy in seno alla campagna elettorale e continuò a rivendicare la sua fiducia nella forza dei movimenti grass-roots. L’analisi storica, ad ogni modo, evidenzia anche le criticità che derivavano dall’uso di pratiche partecipative nella governance della campagna elettorale.
Atttraverso l’analisi teorica e politico-istituzionale della democrazia partecipativa americana fra gli anni Sessanta e Settanta su vari livelli istituzionali (federale, statale e locale), questo progetto di ricerca tenta quindi di colmare un vuoto storiografico e, al tempo stesso intende contribuire alla definizione storico-istituzionale della participatory democracy in seno alla democrazia rappresentativa degli Stati Uniti. Infine, la presente ricerca mira a inserirsi nel dibattito pubblico contemporaneo sulla participatory democracy, offrendo una visione storico-istituzionale importante per meglio comprendere il fenomeno e che, finora, non ha ricevuto l’attenzione che meriterebbe. / Chapter 1 retrieves the idea of participatory democracy stemmed from the Long 1960s New Left and the following social movements. Indeed, the concept of participatory democracy mainly acquired two slightly different shapes in that historical framework. From one hand, it meant the broad political call for common citizens’ greater involvement in the policy-making - at the local, state and federal level. That request was in fact a reply to the ongoing crisis of the American democracy, in terms of political legitimacy and social representation of minorities and poor people. In the other hand, participatory democracy represented the organizing principle adopted by most of the grass-roots groups of that period, with a clear prefigurative function. Indeed, making the activist groups’ inner decision-making participatory was a way for the collectives to anticipate the institutional changes they aspired to. In the meantime, because of the same disaffection against the raising social and political inequalities, some political science scholars elaborated a critique to the pluralist version of the liberal democracy - then the most praised one, as well as credited as it was embodied in the American democracy. Those 1960s critiques were eventually used to conceive the first political theory of participatory democracy in the 1970s and 1980s, as Chapter 1 shows. The participatory democracy’s canon was in fact mostly developed by Carole Pateman, Crawford B. Macpherson and Benjamin Barber.
Beside the intellectual history of participatory democracy from 1960s to 1980s, Chapter 1 allows to contextualize ideas and practices of common citizens’ participation into the wider history of the American Political Development. According to that, chapter 1 also provides a detailed analysis of the participatory political institutions that were traditionally part of the United States representative democracy.
Chapter 2 verifies whether the 1960s idea of participatory democracy actually affected the federal public policies of the late 1960s and 1970s. Indeed the principle of “citizen participation” was introduced in some of the War on Poverty legislations, promoted by Lyndon B. Johnson since the mid-1960s. Although the heterogeneous institutional effects, that principle was maintained in some grant-in-aid projects until the end of the Carter administration, through the Nixon and Ford administrations. Therefore, the political meanings assumed by the idea of “citizen participation” and its institutional consequences from 1964 to 1980 are carefully analyzed in chapter 2. Moreover, chapter 2 shows that the principle of citizen participation had such a strong impact on the intergovernmental relations. It thus brought forward, for instance, the local public officers’ entrepreneurship towards the local devolution, shifting the administrative and political power base from the center to the neighborhood.
Chapter 3 deals with the 1970s main institutional reforms aimed at introducing the common citizens’ participation in the government decision-making at the state and local levels. Those reforms are deeply related to some long-lasting intergovernmental dynamics and this relationship is also argued. The same chapter’s lay-out is vowed to underline the 1970s general trend of retrieval and enhancing of traditional institutions, such as the initiative (direct democracy), the public hearings and the school districts. The school board was indeed reevaluated and reshaped as a means of community control in the biggest cities.
As chapters 2 and 3 aim at exploring the implementation of participatory reforms in the federal, state and local level of government, chapters 4 and 5 aim at inquiring the participatory democracy’s impact on the 1970s boundary of polity - the space where activism meets political institutions.
Chapter 4 inquires the new generations of progressive politicians entering the local and state administrations from the late 1960s to the mid-1970s. To frame that national phenomenon, the historical analysis use the Conference of Alternative States and Local Policies (CASLP) as a case study. CASLP was indeed a national organization born in 1975 to give voice to the progressive public officers around the country and allowed them sharing their government experiences for a more effective institutional impact. Inside CASLP, the progressive coalition of Berkeley, CA (called Berkeley Citizens’ Action, BCA) was especially spotted for its exemplary strategy to confront local political institutions. The 1970s BCA’s political actions are thus specifically analyzed. In fact, the institutional approach of the Berkeley progressive coalition resulted to be innovative in terms of strategy as well as successful in introducing new forms of participatory democracy into the local government, assessing the 1970s evolution of the participatory democracy political theory and practices.
Chapter 5 retraces the political career of the former New Left leader Tom Hayden during the years of turning from activism to institutional politics. Especially, the analysis focuses on the 1975-1976 U.S. Senate Campaign and the following Campaign for Economic Democracy (CED), a coalition project and organization led by Hayden with the goal of mobilizing activists and public officers around the issues of economic justice, environmental and economic public policies (1976-1982). That period - just before Hayden was elected representative at the California Legislature in 1982 - is thus analyzed as a testing ground to verify his long-lasting commitment towards participatory democracy.
The historical and political analysis, based on original archival findings, confirms Hayden’s inclination for institutional innovation in the participatory realm. In particular, during the 1975-1976 electoral campaign for the U.S. Senate in California Hayden introduced participatory forms of decision-making involving staff people, volunteers and supporting grass-roots groups. Moreover, that campaign’s staff and people management was conceived in order to directly empower citizens and volunteers, without losing track of the campaigning basic requirements (e. g. fundraising and propaganda). As he stood against big business and economic inequalities, he chose to reject fundings from corporations and banks. Therefore his electoral campaign was mostly sustained by small donors. Hayden successfully made the campaigning more open, accountable and participatory and kept on sponsoring his trust in community organizing and grass-roots social movements even in his following political endeavour, CED. Eventually, the investigation casts lights on the strengths, as well as the critical issues, produced by the Hayden’s participatory governance of campaigning.
By the means of analysing the intellectual history and the institutional implementation of participatory democracy during late 1960s-1970s United States, this research project firstly aims at making up the lack of historiography about the topic. In the second stance, grounding the institutional and political history of participatory democracy in the United States representative democracy - where the concept was born - this research project intends to provide a first genealogy of the participatory democracy’s institutional implementation. In this sense, the research projects wants also to contribute to the contemporary debate on the participatory democracy. It is indeed a compelling and popular issue in many worldwide political arenas, but it is still rarely defined by its historical and institutional terms.
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