La storia del magistero cesarottiano mostra bene quel fenomeno, tipico della "biologia" letteraria, per cui in un grande autore si ha quasi sempre una fase di ascesa, di gloria, e quindi un declino, ed offre l'esempio lampante di quella classica loro tendenza a diventare sempre più conservatori e di maniera col passare del tempo. Cesarotti si formò ribelle, ma presto, ottenuta la gloria, spaventato dai tempi e dalla propria stessa fama, si moderò e, posto di fronte alla prova degli eventi, non seppe tenersi al passo coi tempi. Il suo cinquantennale magistero, nel giro di pochi anni, perse l'iniziale vigore e combattività, e non sopravvisse alla sua morte. Di esso, fu senza dubbio lodevole il tentativo di avvicinare la propria cultura a quelle straniere, senza pregiudizi e con il gusto della scoperta. Ma dopo gli eventi della Rivoluzione, questo nobile cosmopolitismo non fu più sufficiente. Fu notevole anche la sua capacità di restare sempre a contatto con l'ultima generazione e di coadiuvarla, e nobile la sua ambizione di fare, di quei giovani, l'élite da crescere e guidare all'amore del Bello e della Virtù. Di farne l'illuminata classe dirigente dell'avvenire. Credette fermamente e sinceramente a questa missione, ma non seppe applicarla nel modo migliore. Creò una squadra, ma non seppe renderla autonoma. Non riuscì a fare in modo che essa potesse proseguire da sola e riformarsi dall'interno, ed in tal modo sopravvivergli. Cesarotti cadde nel difetto di affezionarsi troppo al proprio ruolo pedagogico in sé, senza pensare alle conseguenze per gli allievi, e perdendo man mano contatto con la Storia. Anziché formare gli allievi, volle replicare se stesso in loro, imponendogli il proprio modello letterario ed affettivo perché a loro volta lo ripetessero uguale. Padre troppo affettuoso, viziò i "figli" e dimenticò il ruolo fondamentale dell'educazione, ossia non quello di creare un individuo ma di aiutarlo a trovare autonomamente la propria strada. Tradì in tal modo il suo stesso insegnamento letterario: predicò dalla cattedra e dai libri di non idolatrare nessuno, ma al momento della gloria accettò di divenire oggetto di culto. Dimenticò, o forse mai comprese davvero la natura storica della letteratura, come di un continuo, un progresso, uno sviluppo di idee necessariamente destinate ad evolversi col mutare dei tempi, da insegnare parallelamente al corso degli eventi e, se possibile, di partecipare a modificarli. Non comprese che persino il cesarottismo necessitava di una riforma interna, senza la quale non sarebbe sopravvissuto alla selezione della Storia. Cesarotti ebbe grandi intuizioni, ma gli mancò il tempo di metterle in pratica, e fu circondato da una squadra di allievi non in grado di farlo al suo posto, perché mai formata a tale compito. Previde i nuovi tempi ma non volle riconoscerne l'arrivo, e ne rimase deluso e travolto. Vide il nuovo secolo, quel secolo che egli stesso aveva preconizzato ma, una volta giunto, non seppe accettarlo: gli eventi procedettero troppo veloci e superarono le sue capacità di comprensione. Volle riforme, e si ritrovò addosso una rivoluzione. In mezzo a un mare di lodi e di glorificazione, un solo allievo sembrò accorgersi per tempo di questi limiti. La critica del Foscolo è stata esemplare nel mostrare con tempismo e lucidità i limiti della scuola cesarottiana. Fu l'allievo ribelle a capire che ciò che davvero mancava in quel gruppo era qualcuno che da quel magistero, da quella teoria di apertura e di rinnovamento, ricavasse concretamente nuova poesia, la poesia dei nuovi tempi e del nuovo secolo. A capire che il gruppo cesarottiano era un'eccellente fase di rodaggio, che sapeva preparare le macchine ma che non avviava un processo di trasformazione. I fatti gli diedero ragione. Giunto il nuovo secolo, la scuola cesarottiana mostrò tutta la propria crisi. I "figli" ed allievi, una volta diventati professori, non "salirono di fama", come appunto aveva notato Foscolo, e - aggiungiamo noi - non riuscirono a fondare un magistero altrettanto incisivo ed innovatore: ebbero allievi illustri, ma nulla di anche solo vagamente simile a quello che il Cesarotti era stato capace di assemblare. Mario Pieri, ottenuta la cattedra padovana, fu freddo e impacciato in classe, e distante dagli studenti: l'eloquente racconto, da lui stesso lasciatoci, dei fischi ricevuti ad una lezione dice tutto.1179 Non ebbe a sua volta né "figli" né allievi prediletti, né seppe metter su una squadra; non divenne il mentore di nessuno, e dopo appena sette anni riuscì - bontà sua - a farsi giubilare ed a ritirarsi a vita privata, letteraria sì ma fieramente solitaria. Giuseppe Barbieri, pur titolare di un insegnamento più duraturo, mostrò gli stessi limiti. Proseguì la lezione del "padre" in analoga solitudine, anch'egli bersagliato dal suo studente più celebre e promettente. Nel complesso, ottenne molto più sèguito come predicatore quaresimale.1180 Giuseppe Greatti ottenne la direzione di un collegio ma non si ha notizia di suoi continuatori. Angelo Zendrini visse lo stesso distacco, chiuso nei propri studi. Rarissimi i contatti di questi allievi con personalità europee: i loro carteggi sono pressoché limitati alla sola Italia, con larga preferenza per il Triveneto: nulla, assolutamente nulla di paragonabile alla rete epistolare a suo tempo intessuta dal Cesarotti, intellettuale rinomato ed aperto che aveva insomma creato una generazione di piccoli ingegni "locali", isolati, oggi per lo più dimenticati o ricordati unicamente come allievi di tanto maestro. Ma era Cesarotti stesso, in fondo, il principale responsabile di questo fallimento. Era lui a non aver saputo riconoscere il proprio continuatore. Molto più che nel docile Barbieri, era proprio nel giovane, irruento Foscolo che egli aveva avuto il migliore allievo. Non poté né volle accettarlo tra i suoi "figli": quel giovane e promettente poeta si muoveva troppo autonomamente, ne ebbe paura. In lui, Foscolo non aveva mosso solo sentimenti di paternità, ma anche di gelosia e d'impazienza. Cesarotti provò a moderarlo e a riassorbirne l'ingegno nel sicuro recinto della propria scuola, ma non riuscì ad irregimentarlo in quel tipo di educazione, in quella pedagogia letteraria da lui organizzata e affinata in cinque decenni di magistero ma che, alla fin fine, altro non lasciò in eredità al mondo poetico italiano che una breve generazione di epigoni ossianisti. Una generazione già individuata dal Foscolo, e definitivamente affossata da Luigi Carrer, lui sì degno erede, veneto e in Veneto, del magistero cesarottiano e foscoliano, come mostra il suo illuminante articolo Gli ossianeschi (1837), fine analisi della "crisi" del cesarottismo che concludeva per sempre la fase ossianica della letteratura italiana. Non Barbieri, insomma, ma Foscolo fu il vero "figlio" di Cesarotti. Ma Cesarotti non se ne accorse, non sembrò capirlo. Troppo affezionato al proprio ruolo ed al proprio modo di vedere gli affetti, e la letteratura che da quegli affetti doveva prendere ispirazione, trattò Foscolo da ribelle, e non comprese che era proprio questi ad aver assimilato e messo in pratica il suo insegnamento di proiezione verso il nuovo, di apertura al bello in ogni sua forma, di libertà creatrice scevra da qualsiasi idolatria. In questo davvero Foscolo superò il maestro. Non si fece intaccare dai pregiudizi della scuola. Apprese il metodo cesarottiano, e lo applicò sistematicamente a tutti: ad Alfieri, a Parini, a Monti, ed allo stesso Cesarotti. Tracciò la sua strada, in Italia e fuori d'Italia e, a differenza dei prediletti cesarottiani, seppe trovare elementi validi tra i propri allievi, e valorizzarli. Trovò Di Breme, Berchet, Pellico, Borsieri, e gettò con loro le basi di una nuova scuola e di un nuovo magistero adatto ai nuovi tempi e, proprio per questo, molto più duraturo.

The present work examines the literary criticism expressed by Isabella Teotochi Albrizzi in several of her unpublished letters. / The first part outlines the cultural and historical tradition of Venice during the Eighteenth Century. Particular attention is subsequently given to the intellectual role of women, their contribution to the literary salons of the time, and the neoclassical tradition. This first part is essential in that it supplies a valuable context to Isabella Teotochi Albrizzi's writings. / In the second part, I examine Isabella Teotochi Albrizzi's literary criticism of major European authors and works. Through these criticisms she exposes her misvision of the literary world to which she aspired, and reveals that although she was influenced by the subtle preromantic tendencies, she remained faithful to the neoclassical school.

Made available in DSpace on 2016-04-18T21:31:30Z (GMT). No. of bitstreams: 3 Douglas Negrisolli1.pdf: 15467342 bytes, checksum: e28188407ce3fb631e2271e8e341487e (MD5) Douglas Negrisolli2.pdf: 28375136 bytes, checksum: ddd16f90c5afd2603cac442f06126b54 (MD5) Douglas Negrisolli3.pdf: 9875290 bytes, checksum: 6a441ed577956d92bbf1658ddb7d2aae (MD5) Previous issue date: 2011-11-10 / Coordenação de Aperfeiçoamento de Pessoal de Nível Superior / This research deals with the beginning of the Halls of Contemporary Art in Santo André, in the Greater ABC region in São Paulo when he was conceived at the time and that the event is inserted in the calendar of Arts nationally. The Halls of Contemporary Art in Santo André collaborate with the construction of the art scene noting the national production and becoming an important disseminator of the art forward processes of democratization in the period of military rule. The work consists the construction of a historiography of art fairs including artists winners of the "Purchase Awards" from its inception in 1968 when it occurred, until 1985 when the Halls are still in the midst of discussions on political and social epicenter of the construction of a new democracy. Social movements in the region ABC Paulista and collaborate to culminate the process of democratization and reach its peak when the National Congress approves and guarantees universal suffrage direct elections for mayor and president / Esta pesquisa trata sobre o início dos Salões de Arte Contemporânea de Santo André, na região do Grande ABC em São Paulo quando foi concebido e no momento que o evento é inserido no calendário das Artes nacionalmente. Os Salões de Arte de Santo André colaboram com a construção da cena artística relevando a produção nacional e tornando-se um importante difusor da arte frente os processos de redemocratização no período do regime militar. O trabalho consiste na construção de uma historiografia dos Salões de Arte incluindo os artistas ganhadores dos Prêmios Aquisição a partir de 1968 quando ocorreu sua criação, até 1985 quando os Salões continuam em meio as discussões político-sociais no epicentro da construção de uma nova democracia. Os movimentos sociais na região do ABC paulista culminam e colaboram para os processos de redemocratização e atingem seu ápice quando o Congresso Nacional aprova o voto universal e garante as eleições diretas para prefeito e presidente

Cette étude porte sur les procédés narratifs et les dispositifs rhétoriques auxquels certains romanciers du XVIIIe siècle ont recours pour jouer avec les attentes de leurs lecteurs. En effet, ces auteurs ne cessent de revendiquer la véridicité de leurs textes et pourtant, simultanément, utilisent deux stratégies visant à forcer le lecteur à se distancer de ce qui lui est raconté: d’une part ils mettent en scène un arsenal de lieux communs si connus que le lecteur reconnaît ceux-ci comme des signaux de fictionnalité; d’autre part ils multiplient les indices empêchant de croire à la réalité des récits qu’ils relatent. Cette étude en tire un certain nombre de conséquences et propose quelques hypothèses théoriques pour rendre compte de cette poétique paradoxale du jeu. Elle en examine également les effets et les implications – principalement rapportés à la figure du lecteur – et interroge la notion, à première vue contradictoire, de ‘vérité de la fiction’. / This dissertation analyzes the narrative devices and rhetorical techniques used by eighteenth-century novelists in order to play with the expectations of their readers. These authors present their fictional narratives as true accounts. At the same time, however, they use strategies that force the readers to distance themselves from what they read: on the one hand, these authors present a series of literary topoï, which are so familiar to the readers that they can only be taken as a sign of fictionality; and on the other hand, the authors give a series of clues that prevent the readers from believing what is said. This study examines the consequences of these procedures and offers several theoretical hypotheses in order to understand the paradoxical poetics of play. It questions the effects and the implications of this poetics on the reader and proposes the apparently contradictory concept of “fictional truth” as a way to think through the various notions of play in eighteenth-century fiction.

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Notre mémoire se concentre sur l'Exposition d'art français organisée dans les locaux de la Art Association of Montreal à l'hiver 1909. Il révèle le déplacement du débat français sur la neutralité de l'État en matière de beaux-arts vers la scène internationale en analysant son contexte et son organisation. En étudiant son contenu, il précise l'expression « art français » telle qu'elle est comprise par l'administration publique et qui inclut surtout des artistes qui participent aux Salons parisiens. Enfin, il souligne l'approche éducative qu'adopte la presse montréalaise à l'égard des nouveaux courants artistiques.

The proverbes dramatiques of Carmontelle have been well-studied. This dissertation explores instead the understudied precursors of the genre, the environment out of which it grew, and its earliest three authors. As seventeenth-century France’s first classic salon, the format, attitudes, and activities of the Hôtel de Rambouillet created a template for salons to follow. Within this milieu arose a collective seeking for a raised moral consciousness, improved intellectual prowess, and a forum for the discussion of progressive ideas. These desires also permeated their leisure activities, giving rise to games of wit, including the jeux des proverbes. An investigation of Charles Sorel’s La maison des jeux and these salon games uncovers the earliest incarnation of the proverbe dramatique, the proverbe improvisé, an impromptu play illustrating a proverb. Following a look at the French salon, the jeux des proverbes, and the proverbe improvisé, this dissertation first examines the proverbes dramatiques of Madame de Maintenon, second wife to Louis XIV and founder of the girls’ school Saint-Cyr. Written between 1686 and 1719, her forty Proverbes served as the foundation of the school’s théâtre d’éducation. Through the preparation, performance, and follow-up discussions of these short works, Madame de Maintenon sought to mold the moral values of her students and to prepare them for the lives that they would lead after finishing their studies at Saint-Cyr. Next, this study looks at the first published proverbes dramatiques, those written by Catherine Durand and housed in the Comtesse de Murat’s Le voyage de campagne. Most of the ten Comédies en proverbes showcase moliéresque humor and tend to depict male characters as less intelligent or more flawed than their female counterparts. Finally, this examination ends with the study of four of the proverb plays written by Charles Collé in context with the théâtre de société. These pieces expand the parameters of the genre and boast a licentious nature characteristic of the author’s work and appreciated in the earlier théâtres de société. Extending more than a century, The proverbe dramatique before Carmontelle seeks to offer a better understanding of the creation of the genre, its characteristics, and its connection to French society. / text

When Hubert Le Blanc published his Défence de la basse de viole in 1741, the cello had already established itself as a solo instrument in Parisian musical life. Several cellists, both French and foreign, had performed to acclaim at the Concert Spirituel, and the instrument had a rapidly expanding repertoire of published solo sonatas by French composers. Among the most significant of the early French cellist-composers were Jean Barrière (1707-47), François Martin (c. 1727-c. 1757), Jean-Baptiste Masse (c. 1700-1757), and Martin Berteau (1708/9-1771). Their cello sonatas are innovative, experimental, often highly virtuosic, and, in spite of unashamedly Italianate traits, tinged with a uniquely French hue. Yet notwithstanding its repertoire and the skill of its performers, this generation of French cellist-composers has remained undervalued and underexplored. To a large extent, this neglect has arisen because a succeeding generation of French cellists of the late eighteenth century - the Duport brothers, Jean-Pierre (1741-1818) and Jean-Louis (1749-1819), the Janson brothers, Jean-Baptiste-Aimé (1742-1823) and Louis-Auguste-Joseph (1749-1815), and Jean-Baptiste Bréval (1753-1823) - are widely acknowledged as the creators of the modern school of cello playing. This dissertation focuses exclusively on the early French cello school. It seeks to examine the rise of the solo cello in France within its socio- cultural and historical context; to provide biographies of those com- prising the early French cello school; to explore the repertoire with particular emphasis on the growth of technique and idiom, detailing features that may be described as uniquely French, and to assert the importance of and gain recognition for this school, not as a forerunner of the so-called Duport school but as an entity in itself.

Aujourd'hui, dans de nombreux pays, les programmes de télévision de quelques entreprises américaines, les Majors, sont les plus populaires auprès des téléspectateurs. Cette thèse propose d'étudier le processus d'uniformisation culturelle qui a rendu ce phénomène possible en se concentrant sur les interactions commerciales sur le marché de la distribution de programmes de télévision. Nous avons choisi d'observer à la fois les acteurs qui portent cette uniformisation, les Majors, et les autres, qui essaient de résister. Pour ce faire, nous avons privilégié une entrée par les salons. En effet, ce secteur est structuré par un ensemble de salons et festivals, rythmant l'année. La stratégie de captation des Majors consiste à pratiquer des contrats exclusifs et à adopter un comportement de passager clandestin sur les salons. Durant ces derniers, ils sortent de la place de marché officielle, tout en restant à proximité, afin d'attirer les plus gros acheteurs. Ces comportements sont tolérés, car, pour un salon, la participation des Majors est une condition nécessaire à son succès du fait de leur popularité auprès des acheteurs. Au moyen d'une enquête ethnographique, d'une analyse des réseaux d'échanges d'informations et de rendez-vous entre individus, et d'une analyse des réseaux de contrats entre organisations reconstruits sur le principal salon en Europe Centrale et Orientale, nous montrons que les plus faibles peuvent résister en coopérant. Cette coopération correspond souvent à des mécanismes triadiques locaux, à la fois multiniveaux, multimilieux et multiplexes, que nous identifions avec leurs sous-structures et leurs conditions d'apparition, et dont nous testons la probabilité d'occurrence. / Today television programs produced by a few American companies, the Majors, are among the most popular with viewers. This dissertation examines the process of cultural uniformisation that has driven this phenomenon by focusing on commercial interactions in the global distribution market for television programs. We observe both the actors who promote this uniformisation, the Majors, and the others, who try to resist it. To do this we look at how trade fairs in this sector work. Indeed, this industry is structured by a set of recurrent and annual trade fairs and festivals. The captation strategy of the Majors consists in offering only exclusive contracts and free-riding on the trade fairs themselves. During these events, they leave the official marketplace while remaining in the close vicinity in order to organize private screenings and attract the buyers with the deepest pockets. This behavior is tolerated because the participation, at least formal, ofthe Majors is vital for the organizers of the trade fairs due to the popularity of their production with buyers and the public. Based on ethnographic observations, organizational analyses and a multilevel network study (i.e. inter-individual networks of information exchange and of scheduled meetings, and inter-organizational networks of contracts between companies) in the main tradefair of Eastern Europe, we show that the weakest parties in the system can cooperate to resist the domination of the Majors. This cooperation is often based on local, triadic mechanisms that are multilevel, multimilieux and multiplex that we identify with their substructures, determinants and probability of occurrence.