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Milano, 1262 - 1322: Due segni di un potere nuovo / Milan, 1262-1322. Two signs of a new power

ZANINETTA, PAOLO 03 April 2009 (has links)
Gli affreschi della "sala di giustizia" della rocca di Angera e l'emblema della "vipera" viscontea sono le due più cospicue reliquie della campagna propagandistica posta in atto dalla parentela tra il volgere del XIII e gli inizi del XIV per rinsaldare la dominazione appena stabilita su Milano. / The frescoes in the "hall of justice" of the Rocca in Angera and the symbol of the "viper" are the main relics of the propaganda promoted by Ottone, Matteo and Azzo Visconti at the beginning of their seigneurship over Milan.
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Le illustrazioni di uno Iatrosophion bizantino del XV secolo, cod. 3632 della Biblioteca Universitaria di Bologna

Marchetti, Francesca <1974> 07 July 2011 (has links)
La ricerca è dedicata allo studio delle illustrazioni di medicina, astrologia, iatromatematica e mantica trasmesse dal codice 3632 della Biblioteca Universitaria di Bologna, prodotto nel secondo quarto del XV secolo dal medico Giovanni di Aron, e all’inquadramento del manoscritto nel contesto storico e culturale d’origine (con particolare attenzione allo studio e alla trasmissione degli iatrosophia e dei manoscritti illustrati di soggetto medico e naturalistico nei decenni che precedono e seguono la caduta dell’impero). La tesi analizza le caratteristiche dei più noti cicli di illustrazioni di soggetto medico e naturalistico bizantini (copiati anche nel codice oggetto della ricerca) e la loro relazione con i testi che accompagnavano, e studia le dinamiche di trasmissione di queste illustrazione in età paleologa.
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I CAPITOLI DI S.VINCENZO E S.ALESSANDRO DI BERGAMO TRA XII E XIII SECOLO

DELL'ASTA, LUCIA 01 April 2015 (has links)
Oggetto della ricerca sono i capitoli di S. Vincenzo e S. Alessandro di Bergamo, quelle istituzioni, cioè, che proprio nel corso del periodo preso in esame (1146-1216) ottennero di essere entrambe riconosciute capitoli della cattedrale. Dopo una panoramica sullo status quaestionis e sulle fonti disponibili, l’indagine si muove su due piani distinti ma tra loro connessi: innanzitutto, esaminando la struttura e l’organizzazione dei due collegi, si procede a un’analisi di tipo “istituzionale” degli stessi. Da questo punto di vista la ricerca mostra nel complesso come i due collegi abbiano condiviso la responsabilità di governo della diocesi non solo dopo, ma anche prima dell’accordo con cui, nel 1189, si riconobbero reciprocamente come parti dell’unica cattedrale bergamasca. Inoltre, attraverso uno studio prosopografico si ottengono informazioni su provenienza sociale, carriera e profilo culturale dei canonici. Elementi utili a ricostruire la posizione dei capitoli nella città vengono pure dall’analisi dei loro compiti in ambito di cura animarum, dalla valutazione del ruolo della basilica di S. Alessandro come custode delle reliquie del santo eponimo dell’episcopato, e infine da alcuni cenni sulla lotta per la ecclesiastica libertas che oppose Chiesa e comune ai primi del Duecento. / The research concerns the chapters of S. Vincenzo and S. Alessandro (Bergamo). During the period under study (1146-1216), both the institutions obtained the right to be considered cathedral in the city. After an overview of the status quaestionis and of the available sources, the study discusses first the institutional aspects, such as the structure and organization of the two chapters. From that point of view, it seems clear that the two institutions shared some important duties not only after but also before being both acknowledged as cathedral (1189). Then, a prosopographical investigation offers many information about the social origins, studies and careers of the canons. Some attention is focused also on the commitment of the chapters to the cura animarum and on the fact that the relics of the main patron saint of the city (s. Alexander) were buried in the church of S. Alessandro. All that, along with the consideration of the antagonism that, at the beginning of the twelfth century, took place between Church and city about the problem of ecclesiastica libertas, shows the actual position of the cathedral chapters in the city.
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Amicizie, parentele, fedeltà a nord e sud delle Alpi: la rete di relazioni dell’imperatrice Adelaide

Romani, Marta 21 May 2021 (has links)
The aim of this PhD thesis is to investigate the political role of Adelheid of Burgundy in tenth-century Europe. Adelheid was certainly one of the central figures of the Ottonian dynasty during her years as empress and during her widowhood. The systematic study of the diplomas in which she acted as mediator alongside Otto I, Otto II and Otto III was an attempt to understand the basis of her political relevance. The result of the diplomatic research was analyzed through the method of social network analysis, which offered a new and global point of view on the issue and allowed to better focus on the various actors that composed the network of relationships of Adelheid during her life. / Lo scopo della presente tesi di dottorato è l’analisi del ruolo politico di Adelaide di Borgogna nell’Europa del secolo X. Adelaide fu certamente una figura di spicco all’interno della dinastia ottoniana sia in qualità di imperatrice al fianco di Ottone I sia negli anni della vedovanza. Lo studio sistematico dei diplomi in cui la sovrana venne indicata come mediatrice presso il marito, il figlio e il nipote ha rappresentato il punto di partenza per indagare le basi e le motivazioni della sua rilevanza politica. In particolare, il risultato della ricerca diplomatica è stato esaminato attraverso la metodologia della social network analysis che ha offerto un punto di vista nuovo e globale sulla questione e ha permesso di individuare più chiaramente i vari attori che composero la rete di relazioni dell’imperatrice nell’intero corso della sua vita.
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Interpretare il diritto proprio alla fine del Medioevo: il caso della Carta de Logu. Con l'edizione critica delle "Questioni esplicative".

Floris, Anna, Maria Grazia 12 November 2021 (has links)
La tesi analizza un testo conosciuto con il nome di Questioni giuridiche esplicative della Carta de Logu. L’opera fu così chiamata proprio a causa della collocazione in appendice al testo della Carta de Logu di Eleonora d’Arborea, compilazione di diritto proprio della Sardegna giudicale (1390 ca.). Scritta in volgare sardo, tale appendice è costituita da una raccolta di casi redatti in forma di quaestiones, risolti dall’autore, rimasto anonimo, facendo riferimento ai libri legales della tradizione giustinianea. Vi si trovano infatti allegati, seppur gravemente storpiati, il Digesto nella sua tradizionale tripartizione (Vetus, Infortiatum e Novum), il Codice con le Authenticae Codicis, le Novelle e le Istituzioni di Giustiniano. In diversi casi, l’autore dimostra inoltre una discreta conoscenza della Glossa di Accursio e delle principali impostazioni dottrinali del maturo diritto comune. La tesi comprende l’edizione critica delle Questioni: la scelta è caduta sull’edizione sinottica del testo tramandato dai due testimoni più antichi. L’unico manoscritto superstite (databile intorno alla metà del XV secolo) e l’editio princeps, incunabola (c. 1480), sono conservati nella Biblioteca Universitaria di Cagliari, dove è stato possibile accedere ad un esame di prima mano. L’apparato critico apposto al testo riporta per esteso i frammenti dei libri legales rintracciabili nel testo, che rendono palesi i legami dell’opera con il diritto comune. La ricerca ha consentito di sottoporre a critica le ipotesi formulate in passato dalla storiografia giuridica, tendenti a ridurre le Questioni a semplici note esplicative o a postularne la natura per così dire integrativa della raccolta normativa di diritto locale. Inquadrando le Questioni nella cornice più ampia della dialettica fra diritto comune e diritto proprio, la tesi propende invece per la natura propriamente interpretativa – nel senso in cui i medievali intesero il termine interpretatio – delle Questioni in relazione alla Carta de Logu, dunque come insieme di interpretazioni di natura prevalentemente correttiva delle norme di diritto proprio. La tesi è corredata inoltre da un’Appendice Documentaria, in cui si riproduce il testo delle Questioni secondo le due redazioni dell’incunabolo e del manoscritto.
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Scholia Latina in Platonem. La recezione del Menone e del Fedone nel Medioevo latino

Bisanti, Elisa 26 April 2021 (has links)
This study offers a reinterpretation of the direct tradition of medieval Platonism on the basis of new evidence from the Meno and the Phaedo translated into Latin by Henry Aristippus between 1154 and 1160. In particular, it provides an edition of interlinear and marginal annotations and glosses of the Meno and the Phaedo: the manuscript tradition is particularly useful for understanding which aspects of these two Platonic dialogues were particularly studied during the Middle Ages, as it preserves the considerations of various readers on Platonic philosophy. In the most fortunate cases, it is precisely the manuscript tradition that offers new perspectives that can be used to redesign the networks of reception of the two Platonic texts examined in this study in the centuries following their translation, with particular reference to the 13th and 14th centuries. The research was carried out on unpublished material and manuscript testimonies, with the help of two strategies. First, the medieval sources were submetted to a doxographic analysis, through a bottom-up approach consisting in the identification of the terms ‘Plato’, ‘Meno’, ‘Phaedo’ (or ‘Fedrone’ according to medieval usage). This allowed to understand in which contexts and in relation to which themes the references to the three terms appeared and to provide a list of authors who, between the 13th and the 14th century, had the opportunity to read the Meno and/or the Phaedo in Henry Aristippus’ translation. The second strategy, which we could perhaps describe as ‘inside-out’, was applied in the editing phase of the interlinear and marginal annotations and glosses of the two translations. As an especially important paratextual element, the ‘marginal’ writing proves to be particularly useful for deriving the constituent elements of the two dialogues (inside) that were commented, re-written, re-elaborated and interpreted in the margins of the two texts (outside). By employing both strategies, it is possible to reveal the core concepts of Platonic philosophy that, to a greater or lesser extent, caught the attention of medieval readers of the Latin Meno and the Phaedo.
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Devozioni lecite ed illecite nella predicazione di Giacomo della Marca

Ioriatti, Mara January 2010 (has links)
La mia tesi concerne la tematica delle devozioni considerate lecite ed illecite da Giacomo della Marca, francescano osservante del XV secolo, nella sua predicazione.
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Remote Sensing Analysis e Archeologia dei Paesaggi nel Trentino orientale: la Valsugana, la Val di Cembra e l'Altopiano di Pinè tra l'epoca tardo antica e il medioevo

Forlin, Paolo January 2012 (has links)
Lo studio ha affrontato l'analisi dei paesaggi archeologici di un'ampia porzione del Trentino orientale (Valsugana, Val di Cembra e Altopiano di Pinè) a partire dall'utilizzo sistematico ed integrato di diverse fonti telerilevate (fotoaerea verticale, ortofoto digitali, Lidar). A fronte di un panorama archeologico pregresso piuttosto sottorappresentato, costituito in modo preponderante da dati di vecchia acquisizione e dalla quasi sistematica assenza dell'indagine stratigrafica, la remote sensing analysis ha portato al censimento di quasi mille contesti di interesse, la maggior parte dei quali costituiti da tracce di evidente natura antropica. Tuttavia, le pessime condizioni di visibilità superficiale non hanno in molti casi consentito la contestualizzazione cronologica delle evidenze riconosciute, sottolineando la necessità di predisporre strategie di indagine più invasive (scavi archeologici, shovel test pits, pulizia di sezioni esposte). A partire da questi risultati, l’analisi si è focalizzata sullo studio dei sistemi agrari della porzione centrale della Valsugana, dove, attraverso l’utilizzo delle fonti scritte, dei dati materiali, della toponomastica, della cartografia storica, è stata proposta una lettura diacronica che ricostruisce l’evoluzione dei parcellari dall’alto medioevo fino ai giorni nostri. I risultati di questa ricerca sono stati utilizzati per ridiscutere alcune tematiche storiografiche particolarmente significative per l’area di ricerca: lo sfruttamento agricolo di epoca romana e tardo antica, l’insediamento dei Longobardi, il ruolo dei cambiamenti climatici e dell’evoluzione ambientale, la definizione dei nuovi assetti politico-amministrativi in epoca pieno medievale (XI sec.). Particolare attenzione è stata infine assegnata ai castelli e alle ripercussioni sul paesaggio che produsse la diffusione sul territorio di questi nuovi centri di potere, in relazione soprattutto allo sfruttamento delle risorse ambientali (aree di coltivo, pascoli, miniere) tra XI e XIV secolo.
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Gli Statuta Almae Urbis": il diritto municipale a Roma nella seconda metà del XVI secolo."

Carlino, Maria Luisa January 2011 (has links)
Gli statuti municipali della città di Roma, riformati nel 1580, rappresentano il fulcro attorno al quale è stata condotta la ricerca. Dopo una breve riflessione sul mancato interesse suscitato per più secoli da questa "forma iuris" negli storici, l'attenzione si è spostata sull'oggetto 'statuti'. La particolarità della città e i diversi fori di competenza dei numerosi tribunali romani sono serviti a comprendere in parte il perché di un nuovo "corpus" normativo. Ma un'analisi più dettagliata di coloro che furono gli artefici della riforma ha permesso di chiarire numerosi aspetti di un processo durato più di cinquant'anni. L'emergere alla fine di una figura, un giurista romano, Luca Peto, che si dedicò alla riforma istituzionale del comune di Roma e al rinnovamento degli statuti, ha fatto sì che anche alcuni passaggi fondamentali avvenuti durante la riforma uscissero dall'ombra. Ciò ha reso più comprensibile la distribuzione della materia statutaria nei libri del "corpus", mettendo in evidenza anche una continuità con il passato che sembrava scomparsa. Gli "statuta Urbis" anche dopo l'approvazione di Gregorio XIII continuarono ad essere interpretati in maniera differente dai giurisperiti. Ne conseguì un dibattito che rimase vivo fino alla metà del Settecento.
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Le sepolture femminili privilegiate nella penisola italiana tra l’ultimo terzo del VI e la fine del VII secolo: cultura materiale, contesti, problemi

Dalceggio, Martina 18 July 2022 (has links)
Il “privilegio” e il “prestigio” intesi come forme di autorappresentazione post mortem tra il tardo antico e l’Alto medioevo sono tematiche che, da oltre quarant’anni, attirano l’attenzione di archeologici e storici, soprattutto francesi e tedeschi. A partire dagli anni Novanta questi temi sono stati oggetto di interesse anche nella ricerca archeologica italiana, tuttavia, le élites di genere femminile non sono mai state al centro di uno studio esclusivo, focalizzato sull’analisi dei rituali funerari e sulle strategie di distinzione adottate nei primi secoli dell’Alto Medioevo. Il tema del genere è stato semmai affrontato da una prospettiva storiografica tendente ad includere e ad analizzare il dato archeologico proveniente dalle necropoli e dai corredi funerari di VI-VIII secolo, in special modo di orizzonte longobardo. La ricerca sulle sepolture femminili privilegiate nella penisola italiana copre un arco cronologico specifico (ultimo terzo del VI-fine del VII secolo circa) che era determinato, nella sua fase iniziale, dalla comparsa in Italia centro-settentrionale di numerosi sepolcreti organizzati in file e di tombe con corredi di pregio che avevano diretti confronti in contesti pannonici coevi. Questo periodo si conclude verso la fine del VII secolo circa perché, salvo alcune eccezioni documentate a livello peninsulare, i corredi funerari sostanzialmente scomparvero dalle sepolture. In questo breve quanto significativo intervallo di tempo coesistettero di fatto due realtà che vengono analizzate e confrontate nella sfera funeraria: un’Italia “longobarda” e un’Italia “bizantina”. La ricerca punta a tracciare la distribuzione territoriale delle élites femminili nella penisola, ad analizzare la composizione dei loro corredi funerari e le diverse strategie di auto rappresentazione adottate all’interno dei rispettivi “luoghi della morte”, anche a seconda delle diverse fasce d’età.Il riconoscimento delle tombe femminili privilegiate si basa sui criteri che sono stati definiti nel colloquio di Créteil del 1984, L’inhumation privilegiee du IV au VIII Siecle en Occident, ovvero la posizione della sepoltura, la sua struttura e la cura del defunto. Questi criteri archeologici non hanno trovato sempre una precisa corrispondenza nella presente ricerca perché, più frequentemente, ad una posizione isolata o di rilievo corrispondeva un corredo di elevata qualità o una struttura tombale di un certo impegno costruttivo. Questi caratteri, quindi, interagivano tra loro in modi diversi a seconda del contesto funerario oggetto di indagine. Complessivamente sono state catalogate 183 tombe femminili, di età adulta e infantile, individuate all’interno di 68 siti archeologici. Le sepolture sono state ordinate in un Catalogo secondo un criterio geografico da Nord a Sud e da Ovest a Est e, per ogni sito, è stata inclusa anche una breve storia con la bibliografia di riferimento. L’eterogeneità dei dati raccolti a livello bibliografico ne ha richiesto una suddivisione e una classificazione coerente e flessibile distinta in “spazi cimiteriali”, tipologie e “usi” tombali, e corredi funerari delle élites femminili. La stesura del lavoro ha previsto anche la creazione di apposite tavole grafiche e fotografiche relative ai siti archeologici che sono stati analizzati nella presente ricerca e ai corredi funerari provenienti dalle sepolture, così come la stesura di carte di distribuzione relative agli “spazi cimiteriali” censiti. Inoltre, un capitolo è stato dedicato alla raccolta dei dati epigrafici per comprendere meglio la distribuzione delle élites tra le aree romano-bizantine e longobarde della penisola e risalire, per quanto possibile, alla loro dimensione sociale. Un capitolo è stato interamente dedicato alle tombe privilegiate infantili (0-12 anni), esposte per aree geografiche e per fasi cronologiche, cioè con gli stessi criteri utilizzati per analizzare le fasce d’età più mature. I trattamenti funerari delle piccole élites femminili riflettevano in buona sostanza il mondo degli adulti e le logiche familiari attorno alla preparazione e alla vestizione delle defunte, verso le quali i rispettivi gruppi parentali furono disposti a spendere anche ingenti somme di denaro ravvisabili, in alcuni casi, nell’acquisto di gioiellerie su misura e nell’elargizione di doni funerari di assoluto pregio, come nei casi delle gioiellerie. Nonostante la molteplicità di “luoghi della morte” che le élites urbane e rurali della penisola fondarono o occuparono in questo periodo adottando variegate strategie di auto rappresentazione funeraria, la tomba ad sanctos costituiva sin dall’età tardo antica uno dei massimi livelli di privilegio e di prestigio funerario. Questa consuetudine funeraria fu portata avanti senza soluzione di continuità nei territori romano-bizantini dove le élites laiche seguitarono a farsi seppellire con un corredo funerario di tipo rituale e/o personale caratterizzato da associazioni molto variabili ma con investimenti funerari di livello tendenzialmente medio-basso nel corso del VII secolo. In Italia centro-settentrionale, in particolare, è stata rilevata una quasi totale scomparsa delle aristocrazie senatorie romane e delle élites locali, corroborata da una significativa carenza di dati epigrafici. L’evangelizzazione delle campagne della penisola bizantina non era ancora compiuta nel VII secolo e ciò potrebbe spiegare la persistenza di sepolcreti rurali di fatto slegati dai luoghi di culto dove la distinzione funeraria si esprimeva ancora attraverso le gioiellerie e i beni di lusso di squisita fattura romano-bizantina. La tomba ad sanctos fu una prerogativa anche alla corte longobarda di Teodolinda e di Agilulfo come espressione e legittimazione del potere e come un efficace strumento di propaganda. L’adeguamento a questa consuetudine funeraria fu perciò adottato anche dalle élites del regno gradualmente convertitesi dopo una fase di convivenza tra le due fedi antagoniste, quella cattolica e quella ariana. Dal censimento dei corredi femminili di età adulta e infantile dell’orizzonte longobardo è stato possibile delineare le tappe del processo di conversione delle élites femminili nella Langobardia Maior, avviato già alla fine del VI-inizi del VII secolo ma pienamente accolto solo dalla metà del VII secolo, così come è stato possibile evidenziare i loro caratteri peculiari e le trasformazioni dei costumi funerari delle élites. Nei territori corrispondenti al ducato di Benevento, invece, né la cultura materiale né i “luoghi della morte” consentono di definire l’elemento culturale longobardo femminile per come è noto nel Settentrione, impedendo di tracciare una precisa linea di demarcazione tra queste due realtà culturali che, nel Meridione, tesero a fondersi tra loro in una fase piuttosto precoce. In questo caso una completa sostituzione delle élites femminili locali con i nuovi dominatori longobardi è ipotizzabile ma non è confermabile dal dato archeologico.

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