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Relectura de la narrativa de Abraham Valdelomar en el proceso de formación de la literatura peruanaMartínez-Acacio Alonso, María Elena 26 June 2015 (has links)
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[en] A REVISTA: FLUMINENSE MODERNISM AND IDENTITY (1919 - 1923) / [pt] A REVISTA: MODERNISMO E IDENTIDADE FLUMINENSE (1919 - 1923)EVELYN MORGAN MONTEIRO 28 January 2009 (has links)
[pt] O presente trabalho estuda o movimento modernista no Estado
do Rio de
Janeiro, por meio do periódico A Revista, que circulou entre
os anos de 1919 a
1923 e refletiu o interesse dos intelectuais fluminenses em
destacar a relevância
de seu modernismo nos debates que pensavam a nação no início
do século XX. A
Revista promoveu um intenso discurso de valorização da
modernidade como
elemento fundamental ao progresso e, por conseguinte, ao
destaque do Estado do
Rio. Essa argumentação partia da antiga capital, Niterói, e
difundia-se para os
demais municípios interioranos. Para essa tarefa, os
letrados, que dirigiam esse
periódico, ponderaram sobre educação, ciência, reformas
urbanas, progresso e
civismo, e realçaram os fluminenses no quadro da federação
brasileira,
especialmente, às vésperas de se completar cem anos de
independência. Nesse
sentido, as comemorações dos centenários, não só da pátria
(1922), mas, também,
da fundação de Niterói (1919), foram momentos especiais para
criar uma memória
peculiar do Estado do Rio. O modernismo fluminense provocou
um conjunto de
reflexões, que seus intelectuais utilizaram como instrumento
de transformação da
sociedade, a fim de redefinir a identidade cultural
fluminense no cenário nacional. / [en] The present work studies the modernist movement in Rio de
Janeiro from
the magazine A Revista, which was diffused between the years
of 1919 to 1923
and it represented the fluminenses` intellectual interests
on distinguishing the
relevance of their modernism in the debates which thought
the nation in the
beginning of the 20th century. A Revista encouraged an
intense speech which
added value to modernity as fundamental component to the
progress and therefore
to emphasize the Rio de Janeiro state. This reasoning came
from the former
capital city, Niterói, and it was spread over the other
villages. To this task, the
thinkers, who managed this magazine, thought about
education, science, urban
reforms, progress and civism, and it detached the
fluminenses in the Brazilian
federation frame specially on the verge of completing one
hundred years of
independence. In this sense, the celebrations of the
centennials, not only of the
country (1922), but the foundation of Niterói (1919) as
well, were special
moments to create a peculiar memory to Rio de Janeiro state.
The fluminense
modernism provoked many thoughts which were used by
intellectuals as a tool to
change the society, in order to redefine the fluminense
cultural identity in the
national scenery.
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[en] TRACE THE PATH, CONSTRUCT DEVIATIONS: NEOCONCRETISM, MINIMALISM AND THE MEANINGS OF MODERNISM / [pt] TRAÇAR O CAMINHO, CONSTRUIR DESVIOS: NEOCONCRETISMO, MINIMALISMO E OS SENTIDOS DO MODERNISMOANA PAULA ALMEIDA DANTAS 03 December 2019 (has links)
[pt] Este trabalho se propõe a pensar sobre os possíveis pontos de contato entre
o neoconcretismo e o minimalismo, analisados a partir de duas formulações
teóricas fundamentais sobre esses movimentos: as noções de não-objeto e
objetos específicos, elaboradas por Ferreira Gullar e Donald Judd,
respectivamente. Essas ideias buscavam conceituar o novo tipo de objeto de arte
tridimensional, e nos dois casos consideravam uma superação dos meios artísticos
tradicionais da pintura e da escultura. Apesar das semelhanças entre essas noções,
a defesa dessa nova produção artística se fez, para cada grupo, em momentos nos
quais a sua relação com a herança da história da arte europeia e a presença do
modernismo se davam de formas distintas. A análise desses movimentos a partir
da relação que estabeleceram com o modernismo, portanto, revela uma série de
camadas textuais atreladas tanto à construção desses grupos de artistas enquanto
movimentos, quanto à crítica e à história construída sobre eles - desde seu
surgimento, até os dias atuais. / [en] This paper aims to think about the possible points of contact between
neoconcretism and minimal art, analyzed from two fundamental theoretical
formulations on these movements: the notions of non-object and specific
objects, elaborated by Ferreira Gullar and Donald Judd, respectively. These
notions sought to conceptualize the new type of three-dimensional art object, and
in both cases considered an overcoming of the traditional artistic media of
painting and sculpture. In spite of the similarities between these notions, the
validation of this new artistic production was made, for each group, in moments in
which its relation with the heritage of European art history and the presence of
modernism occurred in different ways. The analysis of these movements from
their relations with modernism, therefore, reveals a series of textual layers linked
to the construction of these groups of artists as movements, as well as to the
criticism and history built on them - from its inception to the current days.
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«L'ascolto di una tradizione». Gianni Celati lettore e studioso di James JoyceGiorgio, Simone 30 April 2024 (has links)
La tesi indaga il rapporto fra Gianni Celati e l’opera di James Joyce, con particolare riferimento all’Ulisse. L’autore, infatti, ha studiato a lungo questo romanzo: negli anni Sessanta si è laureato all’Università di Bologna con una tesi su quest’opera, nel 2013 l’ha tradotta in italiano per Einaudi. Il mio lavoro ricostruisce dunque le relazioni esistenti fra l’Ulisse e la teoria letteraria di Celati, le quali si snodano lungo tutta l’attività dello scrittore, in particolare nella cosiddetta prima fase (anni Settanta). La tesi è divisa in tre capitoli. Nel primo capitolo della tesi sono delineati due campi teorici diversi. Il primo riguarda il tardo modernismo o neomodernismo, un oggetto di studi che in ambito anglosassone è sorto assieme alla definizione del modernismo, ed è stato importato in Italia solo negli ultimi anni, in connessione allo sviluppo della nozione di modernismo nel nostro Paese. La più autorevole voce italiana nel dibattito sul neomodernismo è Tiziano Toracca, che nel 2022 ha pubblicato una monografia sul romanzo neomodernista italiano. In questa parte del capitolo effettuo una ricognizione critica della nascita del concetto di modernismo, mettendo in luce come esso sia sorto soprattutto in contrapposizione alle prime teorizzazioni del postmodernismo. I testi principali cui faccio riferimento sono di Clement Greenberg, Frank Kermode, Theodor Adorno, Leslie Fiedler e Susan Sontag. L’imperfezione della categoria di modernismo in questa fase ha portato i critici a rilevare l’esistenza di un tardo modernismo o neomodernismo, termini di varia accezione ma che evidenziano come all’altezza degli anni Sessanta la transizione dal modernismo al postmodernismo non è ancora compiuta del tutto. Il secondo campo teorico riguarda invece la ricezione di Joyce in Italia negli anni Sessanta. Grazie alla prima traduzione italiana dell’Ulisse, pubblicata nel 1960, il nome di Joyce circolò molto nel panorama letterario italiano di quegli anni, in tutte le diverse parti della cultura italiana di quell’epoca. L’interpretazione italiana di Joyce in quest’epoca è influenzata in campo critico dall’incompleta ricezione della categoria di modernismo, in questa fase nota solo agli studiosi di letteratura angloamericana. In campo letterario l’estrema versatilità che l’Ulisse presenta lo rende un punto di riferimento per diversi scrittori. I due campi teorici sono collegati: non solo perché Joyce fu immediatamente interpretato come un grande autore del modernismo europeo, ma anche perché la sua opera si prestava particolarmente bene alla rivisitazione in una particolare declinazione del tardo modernismo che chiamo ‘modernismo popolare’, prendendo questa espressione dal teorico inglese Mark Fisher. Si tratta di una categoria critica che individua una persistenza delle tecniche moderniste in alcuni scrittori degli anni Sessanta e Settanta: oltre a Gianni Celati, mi riferisco a opere di Nanni Balestrini, Francesco Leonetti, Sebastiano Vassalli. Come dimostro, questi autori tentano di colmare il divario tra scrittore e pubblico che era percepito come elemento fondamentale del modernismo, riutilizzando però, almeno in parte, tecniche tipiche del modernismo; un tale atteggiamento fu notato a proposito di autori americani e francesi già da Kermode in quella stessa epoca.
Tale categoria concettuale mi sembra particolarmente proficua per colmare una lacuna nelle definizioni del campo letterario dell’epoca; mettere in luce tale particolare dinamica intellettuale, inoltre, consente di precisare alcuni aspetti della lunga transizione dal modernismo al postmodernismo vissuta dalla cultura italiana fra anni Settanta e Ottanta; infine, aspetto centrale nella struttura dell’intera tesi, il ‘modernismo popolare’ è esattamente l’ambito culturale in cui Celati si è formato, ha maturato la sua idea di letteratura e soprattutto ha studiato l’Ulisse – ricevendo da questi studi impulsi e suggestioni decisive per la sua carriera. Come si evince dalla sua tesi di laurea, infatti, è già con la lettura di Joyce che Celati si indirizza verso due grandi tematiche della sua attività intellettuale, ossia quella visiva e quella orale.
Nel secondo capitolo, grazie all’intermedialità che caratterizza le sperimentazioni del modernismo e del postmodernismo, analizzo alcuni aspetti dell’interesse di Gianni Celati nei confronti della visualità. Si tratta di una tema classico della critica celatiana, su cui è incentrata molta bibliografia. Però, la molteplicità degli interessi visuali di Celati ha impedito finora di avanzare una sistemazione teorica di questo aspetto della sua scrittura. Pertanto, nel secondo capitolo delineo un’interpretazione di tali interessi a partire dalla riflessione di Celati sul concetto di spazio, che precede tutti gli altri elementi tipici della visualità celatiana. Dopo un’analisi della particolare collocazione critica di Celati nel postmodernismo italiano, adotto il concetto di regime scopico, coniato da Martin Jay, per costruire un’analisi incentrata su tre elementi: sguardo, visione e dispositivo. A ciascuno di questi elementi è dedicato una parte del secondo capitolo.
Per quanto riguarda lo sguardo, inteso come atteggiamento concettuale che predispone la possibilità visiva, ricostruisco l’interesse di Celati verso il surrealismo negli anni Settanta e la sua svolta in chiave fenomenologica a partire dagli anni Ottanta. L’idea di base è che lo sguardo di Celati sia cambiato proprio in funzione del diverso orizzonte culturale con cui esso è inevitabilmente in dialogo. Autori-chiave in questo percorso sono Walter Benjamin e Susan Sontag. Benjamin rimane una sorta di stella polare per Celati. La parte del secondo capitolo dedicata alla visione, intesa come insieme di immagini esistenti verso cui lo sguardo si volge, ricostruisce l’evoluzione di tale concetto nella carriera di Celati. È individuabile una dicotomia: la prima parte della carriera è contraddistinta da visioni principalmente di carattere comico e satirico, legate ai concetti di crisi e apocalissi, in sintonia con varie ricerche letterarie di fine anni Sessanta e inizio Settanta. Dagli anni Ottanta in poi, tali visioni diventano immagini più affettive, che caratterizzano l’ultima fase della sua carriera. In questa parte cerco di far diventare evidenti i legami di Celati con altri autori stranieri, fra cui Blake e Michaux. La connessione fra queste influenze estere e la riflessione sul visivo si innesta, in particolare, su un crescente interesse di Celati verso la forma del documentario a partire dagli anni Novanta: tale passaggio mi permette di approdare al paragrafo successivo, dedicato al dispositivo, ossia il mezzo formale che mette in comunicazione sguardo e visione. In questa parte, infatti, analizzo come nella teoria del documentario di Celati un ruolo privilegiato sia svolto dal concetto di montaggio delle immagini, che l’autore aveva già individuato, sia pure precocemente, nella sua analisi dell’Ulisse di metà anni Sessanta. La teoria documentaria di Celati è rilevante perché costituisce il presupposto teorico dell’ultima parte della sua produzione, legata al mezzo cinematografico e in particolare alla tecnica del montaggio: la precocità dell’ingresso del concetto di montaggio nella riflessione celatiana, risalente alla tesi su Joyce, mi permette di rilevarne l’importanza. Pertanto, avanzo l’ipotesi che l’iniziale fascinazione di Celati verso le forme del vaudeville, del music hall e della comicità slapstick, che caratterizza le sue prime opere narrative, sia derivata non solo dall’influsso di Beckett ma anche da quello di Joyce, e segnatamente dall’episodio Circe, XV capitolo dell’Ulisse. Il terzo e ultimo capitolo della tesi riguarda invece la questione dell’oralità. Come la visualità, anche questo tema è stato ampiamente dibattuto dalla critica celatiana; nuovamente, ci si imbatte di continuo in testimonianze e riflessioni su questo tema da parte di Celati. Nella prima parte del capitolo, ci si interroga su come questa questione possa aver influito nell’inserimento di Celati all’interno del nostro canone: è infatti proprio su questo terreno che si gioca il suo posizionamento culturale rispetto alla letteratura commerciale. Celati attribuisce molta importanza all’elemento orale da quando rinuncia, dagli anni Ottanta in poi, a scrivere romanzi. Ciononostante, la sua dizione narrativa fa scuola: a una prima ondata di ‘nipotini celatiani’ di area bolognese, variamente legati al Settantasette, tra cui spicca Tondelli, seguono i cosiddetti scrittori della via Emilia, il cui principale esponente è forse Ermanno Cavazzoni. Se i primi si rifanno apertamente all’oralità comica dei romanzi di Celati degli anni Settanta, e guardano in particolare a Lunario del paradiso, i secondi prendono a lezione la trilogia padana degli anni Ottanta.
Questa curiosa ‘biforcazione’ dell’influenza di Celati mi consente di impostare il discorso su una dicotomia, dovuta a un cambio di ‘postura’: parlo della regressione e della semplicità. Sono termini che mutuo da Celati stesso, e che sono stati ampiamente utilizzati dalla critica celatiana. La regressione occupa appunto la parte di carriera che si svolge negli anni Settanta: la mia argomentazione è che tale postura è legata concettualmente all’estensione della dizione narrativa a personaggi marginali e folli; sul piano formale consiste invece in una ripresa di vari moduli espressionistici spesso desunti da grandi autori modernisti. Entra qui in gioco un importante modello di Celati, ovvero Céline; ma, come dimostro, ha posto anche Joyce, ed è in questi anni che Celati riflette appunto sul Finnegans Wake. L’esempio joyciano, inoltre, illumina il nesso fra oralità e parodia, particolarmente caro a Celati che ne tratta in Finzioni occidentali.
Fra gli altri punti di riferimento di Celati, un ruolo di primo piano spetta a Sanguineti, il cui Capriccio italiano costituisce un vero esempio di posa regressiva. Il tema della regressione è pertanto centrale nel Celati degli anni Settanta, anche in virtù della sua collaborazione con la rivista satirica «il Caffè», che ospita spesso le riflessioni celatiane su oralità, parodia, satira; altra saggistica a riguardo è rintracciabile sul «Verri». Si tocca qui con mano il laboratorio intellettuale di Celati, negli anni immediatamente precedenti a Finzioni occidentali, e di cui questo libro costituisce contemporaneamente un frutto e una grande sintesi. Alla fine degli anni Settanta, la conclusione della stagione delle contestazioni, la crescente insoddisfazione verso le scritture di questo decennio, l’esaurirsi dell’entusiasmo iniziale per l’insegnamento universitario e la fine del rapporto con Einaudi impongono a Celati il cambio di postura. In questo riposizionamento, Benjamin rimane un punto fermo, ma stavolta Celati si rivolge a un Benjamin più malinconico (condividendo in ciò l’impostazione teorica individuata da Sontag in Sotto il segno di Saturno): quello del Narratore. Pertanto, Celati assume la postura della semplicità, sempre su base orale, che contraddistingue la sua produzione dagli anni Ottanta in poi. È qui che l’influenza di Joyce apparentemente termina, poiché Celati fa una mossa inversa rispetto a quella dell’irlandese: laddove l’Ulisse è interpretabile come la naturale evoluzione delle short stories di Gente di Dublino, Celati sembra piuttosto scomporre i già semplici romanzi degli anni Settanta in novelle e storie di vita quotidiana. Rimane, come unico trait d’union fra i due autori, l’attenzione appunto alla quotidianità, infusa in personaggi accomunati da una certa curiosità verso ciò che li circonda, capaci di distrarsi, il cui modello va indubitabilmente rintracciato in Leopold Bloom: a questo è dedicata una piccola appendice posta alla fine della tesi.
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[pt] DE SPRING AND ALL A PRIMAVERA ETC.: A POESIA MODERNISTA DE WILLIAM CARLOS WILLIAMS EM TRADUÇÃO E EM DISPUTA / [en] FROM SPRING AND ALL TO PRIMAVERA ETC: THE MODERNIST POETRY OF WILLIAM CARLOS WILLIAMS IN TRANSLATION AND IN DISPUTEAMARILIS LAGE DE MACEDO 07 November 2024 (has links)
[pt] A tese De Spring and All a Primavera etc. — A poesia modernista de
William Carlos Williams em tradução e em disputa apresenta a tradução
comentada para o português de poemas publicados pelo autor norte-americano em
um de seus livros mais inovadores: a obra híbrida Spring and All, de 1923. Na
pesquisa, buscou-se associar o conceito de tradutologia, desenvolvido pelo teórico
Antoine Berman (1942-1991), à poética da relação, do filósofo Édouard Glissant
(1928-2011), de modo a refletir sobre possíveis aproximações entre a prática
tradutória e o debate decolonial. Assim, o trabalho adota estratégias tradutórias
distintas, sendo uma delas mais próxima de elementos formais e semânticos do
texto fonte e a outra mais voltada ao diálogo que esse texto fonte pode estabelecer
com aspectos históricos, artísticos e socioeconômicos da cultura de chegada. Essa
segunda abordagem tradutória serve de base a uma reflexão sobre o modo como o
idioma de chegada — ou seja, o português brasileiro — revela (mas também
hierarquiza e esconde) as marcas linguísticas decorrentes do processo de
colonização, na qual o idioma europeu entra em fricção com as línguas dos povos
originários e as dos povos africanos escravizados que aqui chegaram. Com base
nessa experiência, foi observado como a tradução simultânea de um mesmo poema,
a partir de abordagens tradutórias distintas, se mostra produtiva, na medida em que
traz novos desafios para a forma como o texto fonte é analisado e demanda um
repertório ainda mais amplo de estratégias para sua reescrita. Isso resulta em um
diálogo não apenas entre texto fonte e texto de chegada, mas entre as próprias
traduções, que convergem, divergem e se retroalimentam. Assim, esse trabalho
propõe uma prática tradutória marcadamente múltipla, que visa não a substituição
de um texto fonte por um texto de chegada em outra cultura, mas sim a produção
de uma teia textual onde cada elemento ajuda a iluminar e ressignificar os demais. / [en] The thesis From Spring and All to Primavera etc – The Modernist poetry of
William Carlos Williams in translation and in dispute presents the translation of
several poems published by the American author in one of his most innovative
works: the hybrid book Spring and All, from 1923. The research sought to associate
the concept of translatology, developed by Antoine Berman (1942-1991), with the
poetics of relationship, created by the philosopher Édouard Glissant (1928-2011),
in order to reflect on possible connections between the practice of translation and
the decolonial debate. Thus, the work adopts different translation strategies, one of
which is closer to the formal and semantic elements of the source text and the other
one is more focused on the dialog that this source text can establish with historical,
artistic and socio-economic aspects of the target culture. This second translation
approach inspires a debate on how the target language - that is, Brazilian Portuguese
- reveals (but also hierarchies and hides) the linguistic marks resulting from the
colonization, in which the European language is in contact with the languages of
the indigenous peoples, as well as the languages of the enslaved African peoples
who arrived here. Based on this experience, it was possible to notice how the
simultaneous translation of the same poem, using different translation approaches,
proves to be productive, as it brings new challenges to the way the source text is
analyzed and demands an even broader repertoire of rewriting strategies. This leads
to a dialogue not only between the source text and the target one, but also between
the translations themselves, which converge, diverge and inspire each other. Thus,
this thesis proposes a multiple translation practice, which aims not to replace a
source text with a target text in another culture, but rather to produce a textual web
in which each element helps to highlight and re-signify each other.
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Autonomia e campo ampliado: Peter Eisenman, Rosalind Krauss e The Institute for Architecture and Urban Studies (1964-1984) / Autonomy and extended field: Peter Eisenman, Rosalind Krauss and The Institute for Architecture and Urban Studies (1964-1984)Schiavo, Bruno 24 June 2016 (has links)
A atualidade é marcada pela descoberta contínua dos interstícios disciplinares como catalisadores de toda sorte de práticas; expressões como \"Campo ampliado\" e \"Complexo artearquitetura\" são chamadas para refletir como tais arranjos acontecem especialmente na confluência entre a arquitetura e as artes. A pesquisa busca localizar, na passagem dos anos 1960 aos 1980, um debate que solicitou desses campos a reconfiguração de seus instrumentos de análise, de crítica, de abordagem à forma, e mesmo uma nova inscrição de seus significados e abrangências: o cruzamento das trajetórias intelectuais da teórica e crítica de arte Rosalind Krauss e do arquiteto e teórico Peter Eisenman no The Institute for Architecture and Urban Studies - IAUS, sediado em Nova York de 1967 a 1985. O instituto colocou-se como núcleo da pesquisa interdisciplinar de seu tempo ao promover cursos, conferências, mostras, publicações, e ao legar dois periódicos especializados que encaminhariam as agendas da arquitetura e das artes nas décadas seguintes, respectivamente, Oppositions: A Jornal for Ideas and Criticism in Architecture (1973-1984) e October (1976 até o presente). O estudo passa pelas proposições questionadoras da primazia do suporte artístico no minimalismo até a cristalização dessas dinâmicas no ensaio \"A escultura no campo ampliado\", de Krauss; e pela verificação, no início dos anos 1960, da necessidade pela reelaboração das questões de relevância para a arquitetura e para o urbanismo, que levariam ao sentido autocrítico investido na noção de autonomia disciplinar, e ao sentido autorreferencial da autonomia da forma arquitetônica, como engendrado por Eisenman. As experiências que assumiriam o espaço físico como constitutivo do trabalho artístico contrastam em diversos níveis com a modalidade conceitual perscrutada por essa arquitetura. Alguns dos pontos de apoio compartilhados pelos movimentos teóricos em questão são as noções de objeto, ambiente, formalismo, linguagem, modernismo e pós-modernismo. Mantendo entre si relações de complementaridade, de reciprocidade, de contradição, o empréstimo a tais categorias entre disciplinas é compreendido em vista de um segundo plano institucional. / The current situation is marked by the continuous discovery of the disciplinary interstices as Catalysts of all kinds of practices; Expressions such as \"Expanded Field\" and \"Complexo artearquitetura\" Are called to reflect how such arrangements Confluence between architecture and the arts. The research seeks to locate, over the years 1960 to the 1980s, a debate that called for these areas to reconfigure their Instruments of analysis, criticism, approach to form, and even a new inscription of Their meanings and scope: the crossing of the intellectual trajectories of the theoretical and critical Rosalind Krauss and the architect and theorist Peter Eisenman at The Institute for Architecture and Urban Studies - IAUS, headquartered in New York from 1967 to 1985. The Has placed himself as the core of interdisciplinary research of his time while promoting courses, Conferences, exhibitions, publications, and by bequeathing two specialized journals Would move the agendas of architecture and the arts in the following decades, Respectively, Oppositions: The Journal for Ideas and Criticism in Architecture (1973-1984) and October (1976 to present). The study goes through the questioning propositions of primacy Of artistic support in minimalism until the crystallization of these dynamics in the essay \"The sculpture In the extended field \", by Krauss; And the verification, in the early 1960s, of the need By the re-elaboration of issues of relevance to architecture and urbanism, which Would lead to the self-critical sense invested in the notion of disciplinary autonomy, and to the sense Self-referential autonomy of the architectural form, as engendered by Eisenman. At Experiences that would take physical space as constitutive of artistic work contrast In several levels with the conceptual modality examined by this architecture. Some of Points of support shared by the theoretical movements in question are the notions of Object, environment, formalism, language, modernism and postmodernism. Keeping each other Relations of complementarity, of reciprocity, of contradiction, the loan to such Between disciplines is understood in view of a second institutional plan.
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O artista e sua época: estudo comparado entre Mário de Andrade e José Carlos Mariátegui / El artista y su época: estudio comparado de Mário de Andrade y José Carlos MariáteguiPellegrini, Fabiana Camargo 04 March 2008 (has links)
Este trabalho tem como intuito o estudo comparado entre Mário de Andrade (1893 - 1945) e José Carlos Mariátegui (1894 - 1930), através de seus textos críticos sobre arte e literatura. A proposta para o desenvolvimento deste estudo centrou-se na análise do projeto estético e ideológico destes autores para que, a partir desta prerrogativa, pudéssemos indagar sobre o papel do artista e do intelectual frente a sua época. No primeiro capítulo desta dissertação abordamos a relação entre Mário de Andrade e José Carlos Mariátegui perante o modernismo brasileiro e peruano. No segundo, tratamos da dicotomia entre a tradição e a modernidade, através de um \"método moderno\" de observação crítica da arte e da literatura, comum a ambos os autores. No terceiro capítulo desenvolvemos uma comparação entre os preceitos advindos das vanguardas européias junto a dois artistas latino-americanos: Candido Portinari e José Sabogal. Por fim, procuramos examinar as condições nas quais o artista e o intelectual desenvolvem suas obras e o conceito de mediação decorrente de suas atuações. / Este trabajo tiene por objetivo el estudio comparado de Mário de Andrade (1893 - 1945) y José Carlos Mariátegui (1894 - 1930), a través de sus textos críticos sobre arte y literatura. La propuesta para el desarrollo de este estudio se centró en el análisis del proyecto estético e ideológico de estos autores para poder indagar, a partir de esta prerrogativa, el papel del artista y del intelectual frente a su época. En el primer capítulo de esta disertación abordamos la relación entre Mário de Andrade y José Carlos Mariátegui frente al modernismo brasileño y peruano. En el segundo, tratamos de la dicotomía entre la tradición y la modernidad, a través de un \"método moderno\" de observación crítica del arte y de la literatura común a ambos autores. En el tercer capítulo desarrollamos una comparación entre los preceptos provenientes de las vanguardias europeas y dos artistas latinoamericanos: Candido Portinari y José Sabogal. Finalmente, procuramos examinar las condiciones en las que el artista y el intelectual desarrollan sus obras y el concepto de mediación que resulta de sus actuaciones.
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Entre vanguardas: outro lado de uma mesma geração modernista / Between vanguards: another side of a contemporary modernist generation / Avanguardie: l’altro lato di una stessa generazione modernistaMarcondes, Ana Maria Barbosa de Faria 09 October 2018 (has links)
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Ana Maria Barbosa de Faria Marcondes.pdf: 4023493 bytes, checksum: af49bf8bb9f7c228f3cd68955af959ba (MD5)
Previous issue date: 2018-10-09 / Fundação de Amparo à Pesquisa do Estado de São Paulo - FAPESP / This work convey an investigation on two moments of the arts in the city of São Paulo, which in the history of art have been treated separately and quite unequally. On the one hand the artists and the art that was exhibited at the 1st General Exhibition of Fine Arts in 1922, on the other hand the Paulista artistic family which entered the scene in the second half of the 1930 's in exhibitions that were the object of many controversy. Nevertheless, they were considered as part of the modernism from São Paulo. The 1922´ year was marked by the expressive event of Modern Art Week in February as well as the 1st General Exhibition of Fine Arts, which was be held in September, in the celebrations of the Centenary and was obscured for posterity. This work is an investigation on the wide web of relations between diverse artists groups that acted in São Paulo. It demonstrates that the generation of artists of 1922 was not just composed by those were present in the Week of Modern Art in the Municipal Theatre in São Paulo. So this investigation pursue to deconstruct the idea that the September Exhibition was an “inexpressive exposition of poor painters”, as mentioned in Klaxon magazine. The investigation of the different layers of the São Paulo artistic movement made possible to recognize a very compact set of actors connected to the Lyceum of Arts and Crafts and to a network of studios. They formed small groups, which since the previous decade, manifested itself in a constant way and possessed technical and aesthetic characteristics shaped by Italian trends from ottocento. Thus, we were able to confirm the hypothesis that the Paulista Artistic Family, which was treated in the historiography of Paulist modernism as an emerging group only in the late 1930s, was already outlined in 1922 or even earlier. It also gained consistency when Paul Claudio Rossi Osir, inspired by the Artistic Family of Milan, gave to the group a new tone, supported by the reception of Mário de Andrade, Sergio Milliet and Paulo Mendes de Almeida. In addition to reconstituting the history of these artists in their relationship with the city of São Paulo, the research sought to trace their engagement to nineteenth-century Italian art. It identifies in Milan and Florence the main artistic environments from which their technical and aesthetic skills derived from. It also links the Paulista artistic Family to the modernist movements of the 1870s, the Milanese Artistic Family and the Florentine macchiaioli. Due to this fact it was fundamental to reconstitute the trajectories of Giuseppe Perissinotto and Cláudio Rossi Osir, who, among others, were the main mediators of the process through which Italian art acclimatized in São Paulo. This research had as methodological tools the sociological concept of the generation of Karl Mannheim and the concept of habitus and field of Pierre Bourdieu. Both they seemed appropriate to test and confirm the hypothesis that the artists of the 1st General Exhibition of Fine Arts were the "other side of the same modernist generation." The Paulista Family of Art was not a movement that arose in 1937, but was another manifestation, among others, of a movement that had been active since the end of 1910. The research was carried out in São Paulo, above all, but also in Florence, Milan and Buenos Aires. In Italian cities we sought to reconstitute the environments through
which some of the Italo-Paulist artists passed. In special it was considered the Accademia di Belle Arti di Firenze, where Giovanni Fattori, the principal representative of the Macchiaioli, taught. In Milan, we were able to meet the Famiglia Artistica experience, which had its model reproduced in the city of São Paulo. The research in Buenos Aires was fundamental not only because there also the art of the macchiaioli left expressive traces, but due to the initiatives of Cláudio Rossi Osir to organize exhibitions of Osirarte. In that tile factory he explored the possibilities to transit from traditional media for the scope of applied art involving several artists of the Family Artistic Paulista.When we pay special attention to the tiles, from the monuments that left the drawing board of Victor Dubugras, in São Paulo, to Capanema Palace, Pampulha and Brasília, we tried to conbey that Italian-Paulist artists were important not only in easel painting, but also in the public art of decorative bias that left remarkable marks in the Brazilian landscape / II presente lavoro vuole essere un’articolata indagine di due momenti delle arti nella città di San Paolo che, nella storia dell’arte, sono stati trattati in modo separato e notevolmente diseguale. Da un lato ci sono gli artisti e l’arte esposti nella 1ª Esposizione Generale di Belle Arti del 1922; dall’altro, c’è la Famiglia Artistica Paulista che entrò in scena nella seconda metà della decade del 1930, con esposizioni che divennero oggetto di polemica, ma che risultarono nell’accoglienza di questo gruppo di artisti, i quali iniziarono, da quel momento in poi, ad essere considerati come parte del modernismo paulista. Partendo dalla constatazione che il 1922 fu un anno fecondo nell’ambito delle arti plastiche e che il suo avvenimento più espressivo – la famosa Settimana dell’Arte Moderna del febbraio del 1922 – oscurò per la posterità la 1ª Esposizione Generale di Belle Arti, tenutasi nel mese di settembre dello stesso anno, durante le commemorazioni del Centenario dell’Indipendenza del Brasile, abbiamo deciso di investigare i diversi gruppi che attuavano a San Paolo, svelando una fitta rete di relazioni, cosa che ci ha permesso di ipotizzare che la generazione di artisti del 1922 non era composta solo da quelli che si manifestarono durante la Settimana dell’Arte Moderna. Su questa base è stato possibile iniziare a smantellare l’idea che l’Esposizione di settembre fu una “inespressiva mostra di nobili pittori”, come scritto nel nº 5 della rivista Klaxon. L’investigazione degli strati sotterranei del movimento artistico paulista ci ha permesso di riconoscere un insieme, decisamente compatto, di attori collegato al Liceu de Arte e Ofícios e a una rete di ateliers, formando piccoli gruppi, che, ormai già dal decennio precedente, si manifestava in modo costante e possedeva caratteristiche tecniche e estetiche legate alle correnti italiane dell’Ottocento. Con ciò, abbiamo potuto confermare l’ipotesi che la Famiglia Artistica Paulista, trattata dalla storiografia del modernismo come un gruppo emergente attuante sul finire della decade del 1930, in realtà era già esistente in forma embrionale nel 1922, o anche prima, e acquisì consistenza quando Paulo Claudio Rossi Osir, ispirandosi alla Famiglia Artistica Milanese, diede al gruppo una nuova considerazione, accolta e sostenuta da Mario de Andrade, Sergio Millet e Paulo Mendes de Almeida. Oltre a ricostruire la storia di questi artisti e della loro relazione con la capitale paulista, la nostra ricerca ha voluto tracciare i loro vincoli con l’arte italiana del secolo XIX, identificando in Milano e Firenze i principali ambienti artistici dai quali derivarono le loro competenze tecniche e estetiche che li legavano ai movimenti modernisti della decade del 1870, della Famiglia Artistica Milanese e dei macchiaioli fiorentini. A questo scopo, è stato fondamentale ricostruire le traiettorie di Giuseppe Perissinotto e di Claudio Rossi Osir, che, insieme ad altri, furono i principali mediatori del processo per mezzo del quale l’arte italiana si ambientò a San Paolo. Strumenti metodologici della presente ricerca sono la nozione sociologica della generazione di Karl Mennheim e le nozioni di habitus e campo di Pierre Bourdieu, che sfociano nell’elaborazione di una biografia collettiva, metodo che, nel mezzo di una grande massa di attori articolati nello stesso flusso temporale, ci è sembrato adeguato per testare e confermare l’ipotesi che gli artisti della 1ª Esposizione Generale di Belle Arti sono stati “l’altro lato di una stessa generazione modernista” e che la Famiglia Artistica Paulista, la cui prima esposizione
è del 1937, non è un movimento sorto quell’anno, ma è una delle manifestazioni di un movimento attivo dalla fine della decade del 1910. La ricerca è stata realizzata soprattutto a San Paolo, ma anche a Firenze, Milano e Buenos Aires. Nelle città italiane abbiamo cercato di ricostruire gli ambienti per i quali passarono alcuni degli artisti italo-paulisti, dando particolare attenzione ai modelli formativi della Accademia di Belle Arti di Firenze, dove insegnò Giovanni Fattori, il principale rappresentante dei macchiaioli e, a Milano, dove abbiamo potuto conoscere l’esperienza della Famiglia Artistica, il cui modello venne poi riproposto nella capitale paulista. La ricerca a Buenos Aires è stata fondamentale non solo perché anche là l’arte dei macchiaioli ha lasciato tracce evidenti, ma anche in virtù delle iniziative di Claudio Rossi Osir di organizzare le esposizioni della Osirante, la fabbrica di piastrelle per mezzo della quale vennero esplorate le possibilità di transitare dai supporti tradizionali all’ambito dell’arte applicata, transito che coinvolse diversi artisti della Famiglia Artistica Paulista. Nel dare attenzione particolare alla ‘piastrelleria’, dai monumenti nati dagli appunti di Victor Dubugras, a San Paolo, fino al Palazzo Capanema, a Pampulha e a Brasilia, abbiamo cercato di mostrare che gli artisti italo-paulisti sono stati importanti non solo per la pittura su cavalletto, ma anche per l’arte pubblica e decorativa che ha lasciato notevoli tracce nel paesaggio brasiliano / O trabalho aqui apresentado investigou de forma articulada dois momentos das artes na cidade de São Paulo que, na história da arte, foram tratados de forma separada e bastante desigual. De um lado, os artistas e a arte que foi exposta na 1ª Exposição Geral de Belas Artes em 1922; de outro, a Família Artística Paulista que entrou em cena na segunda metade da década de 1930, em exposições que foram objeto de polêmica, mas que resultaram no acolhimento desse grupo de artistas, que passaram então a ser considerados como parte do modernismo paulista. Partindo da constatação de que 1922 foi um ano múltiplo no âmbito das artes plásticas e que seu acontecimento mais expressivo – a famosa Semana de Arte Moderna de fevereiro de 1922 – obscureceu para a posteridade a 1ª Exposição Geral de Belas Artes, que ocorreu em setembro, nas comemorações do Centenário da Independência do Brasil, fomos levados a investigar os diversos grupos que atuavam em São Paulo, descortinando uma ampla teia de relações, o que permitiu postular que a geração de artistas de 1922 não era composta apenas por aqueles que se manifestaram na Semana de Arte Moderna. Com isso, foi possível começar a desconstruir a ideia de que a Exposição de setembro foi uma “inexpressiva mostra de pintores pobres”, como mencionou o nº 5 da revista Klaxon. A investigação das camadas subterrâneas do movimento artístico paulista permitiu reconhecer um conjunto de atores bastante compacto, articulado ao Liceu de Artes e Ofícios e a uma rede de ateliês, formando pequenos grupos, que, desde a década anterior, se manifestava de forma constante e possuía características técnicas e estéticas que se articulavam às correntes italianas do Ottocento. Com isso, pudemos confirmar a hipótese de que a Família Artística Paulista, que foi tratada na historiografia do modernismo paulista como um grupo emergente apenas no fim da década de 1930, já estava em esboço em 1922, ou mesmo antes, e ganhou consistência quando Paulo Claudio Rossi Osir, inspirado na Família Artística de Milão, deu ao grupo um novo alento, sustentado então pelo acolhimento de Mário de Andrade, Sergio Milliet e Paulo Mendes de Almeida. Além de reconstituir a história desses artistas na sua relação com a capital paulista, a pesquisa buscou traçar seus vínculos com a arte italiana do século XIX, identificando em Milão e em Florença os principais ambientes artísticos dos quais derivaram as suas competências técnicas e estéticas, que se ligavam aos movimentos modernistas da década de 1870, da Família Artística Milanesa e dos macchiaioli florentinos. Para isso, foi fundamental reconstituir as trajetórias de Giuseppe Perissinotto e de Cláudio Rossi Osir, que, entre outros, foram os principais mediadores do processo por meio do qual a arte italiana se aclimatou em São Paulo. A pesquisa teve como ferramentas metodológicas a noção sociológica de geração de Karl Mannheim e as noções de habitus e campo de Pierre Bourdieu, que desaguaram na elaboração de uma biografia coletiva, método que, em meio de uma grande massa de atores articulados no mesmo fluxo de tempo, nos pareceu adequado para testar e confirmar as hipóteses de que os artistas da 1ª Exposição Geral de Belas Artes foram o “outro lado da mesma geração modernista”; e de que a Família Artística Paulista, cuja primeira exposição ocorreu em
1937, não foi um movimento que surgiu então, mas era mais uma manifestação, entre outras, de um movimento atuante desde o fim da década de 1910.
A pesquisa foi realizada em São Paulo, sobretudo, mas também em Florença, Milão e Buenos Aires. Nas cidades italianas buscamos reconstituir os ambientes pelos quais passaram alguns dos artistas ítalo-paulistas, com atenção especial aos modelos formativos da Accademia di Belle Arti di Firenze, na qual ensinou Giovanni Fattori, o principal representante dos macchiaioli e, em Milão, onde pudemos conhecer a experiência da Famiglia Artistica, que teve o seu modelo reproduzido na capital paulista. A pesquisa em Buenos Aires foi fundamental não apenas porque lá também a arte dos macchiaioli deixou rastros expressivos, mas em razão das iniciativas de Cláudio Rossi Osir de organizar exposições da Osirarte, a fábrica de azulejos por meio da qual explorou as possibilidades transitar dos suportes tradicionais para o âmbito da arte aplicada e que envolveu diversos artistas da Família Artística Paulista. Ao darmos atenção especial à azulejaria, desde os monumentos que saíram da prancheta de Victor Dubugras, em São Paulo, até o Palácio Capanema, a Pampulha e a Brasília, buscamos mostrar que os artistas ítalo-paulistas foram importantes não só na pintura de cavalete, mas também na arte pública de viés decorativo que deixou marcas notáveis na paisagem brasileira
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Autonomia e campo ampliado: Peter Eisenman, Rosalind Krauss e The Institute for Architecture and Urban Studies (1964-1984) / Autonomy and extended field: Peter Eisenman, Rosalind Krauss and The Institute for Architecture and Urban Studies (1964-1984)Bruno Schiavo 24 June 2016 (has links)
A atualidade é marcada pela descoberta contínua dos interstícios disciplinares como catalisadores de toda sorte de práticas; expressões como \"Campo ampliado\" e \"Complexo artearquitetura\" são chamadas para refletir como tais arranjos acontecem especialmente na confluência entre a arquitetura e as artes. A pesquisa busca localizar, na passagem dos anos 1960 aos 1980, um debate que solicitou desses campos a reconfiguração de seus instrumentos de análise, de crítica, de abordagem à forma, e mesmo uma nova inscrição de seus significados e abrangências: o cruzamento das trajetórias intelectuais da teórica e crítica de arte Rosalind Krauss e do arquiteto e teórico Peter Eisenman no The Institute for Architecture and Urban Studies - IAUS, sediado em Nova York de 1967 a 1985. O instituto colocou-se como núcleo da pesquisa interdisciplinar de seu tempo ao promover cursos, conferências, mostras, publicações, e ao legar dois periódicos especializados que encaminhariam as agendas da arquitetura e das artes nas décadas seguintes, respectivamente, Oppositions: A Jornal for Ideas and Criticism in Architecture (1973-1984) e October (1976 até o presente). O estudo passa pelas proposições questionadoras da primazia do suporte artístico no minimalismo até a cristalização dessas dinâmicas no ensaio \"A escultura no campo ampliado\", de Krauss; e pela verificação, no início dos anos 1960, da necessidade pela reelaboração das questões de relevância para a arquitetura e para o urbanismo, que levariam ao sentido autocrítico investido na noção de autonomia disciplinar, e ao sentido autorreferencial da autonomia da forma arquitetônica, como engendrado por Eisenman. As experiências que assumiriam o espaço físico como constitutivo do trabalho artístico contrastam em diversos níveis com a modalidade conceitual perscrutada por essa arquitetura. Alguns dos pontos de apoio compartilhados pelos movimentos teóricos em questão são as noções de objeto, ambiente, formalismo, linguagem, modernismo e pós-modernismo. Mantendo entre si relações de complementaridade, de reciprocidade, de contradição, o empréstimo a tais categorias entre disciplinas é compreendido em vista de um segundo plano institucional. / The current situation is marked by the continuous discovery of the disciplinary interstices as Catalysts of all kinds of practices; Expressions such as \"Expanded Field\" and \"Complexo artearquitetura\" Are called to reflect how such arrangements Confluence between architecture and the arts. The research seeks to locate, over the years 1960 to the 1980s, a debate that called for these areas to reconfigure their Instruments of analysis, criticism, approach to form, and even a new inscription of Their meanings and scope: the crossing of the intellectual trajectories of the theoretical and critical Rosalind Krauss and the architect and theorist Peter Eisenman at The Institute for Architecture and Urban Studies - IAUS, headquartered in New York from 1967 to 1985. The Has placed himself as the core of interdisciplinary research of his time while promoting courses, Conferences, exhibitions, publications, and by bequeathing two specialized journals Would move the agendas of architecture and the arts in the following decades, Respectively, Oppositions: The Journal for Ideas and Criticism in Architecture (1973-1984) and October (1976 to present). The study goes through the questioning propositions of primacy Of artistic support in minimalism until the crystallization of these dynamics in the essay \"The sculpture In the extended field \", by Krauss; And the verification, in the early 1960s, of the need By the re-elaboration of issues of relevance to architecture and urbanism, which Would lead to the self-critical sense invested in the notion of disciplinary autonomy, and to the sense Self-referential autonomy of the architectural form, as engendered by Eisenman. At Experiences that would take physical space as constitutive of artistic work contrast In several levels with the conceptual modality examined by this architecture. Some of Points of support shared by the theoretical movements in question are the notions of Object, environment, formalism, language, modernism and postmodernism. Keeping each other Relations of complementarity, of reciprocity, of contradiction, the loan to such Between disciplines is understood in view of a second institutional plan.
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O artista e sua época: estudo comparado entre Mário de Andrade e José Carlos Mariátegui / El artista y su época: estudio comparado de Mário de Andrade y José Carlos MariáteguiFabiana Camargo Pellegrini 04 March 2008 (has links)
Este trabalho tem como intuito o estudo comparado entre Mário de Andrade (1893 - 1945) e José Carlos Mariátegui (1894 - 1930), através de seus textos críticos sobre arte e literatura. A proposta para o desenvolvimento deste estudo centrou-se na análise do projeto estético e ideológico destes autores para que, a partir desta prerrogativa, pudéssemos indagar sobre o papel do artista e do intelectual frente a sua época. No primeiro capítulo desta dissertação abordamos a relação entre Mário de Andrade e José Carlos Mariátegui perante o modernismo brasileiro e peruano. No segundo, tratamos da dicotomia entre a tradição e a modernidade, através de um \"método moderno\" de observação crítica da arte e da literatura, comum a ambos os autores. No terceiro capítulo desenvolvemos uma comparação entre os preceitos advindos das vanguardas européias junto a dois artistas latino-americanos: Candido Portinari e José Sabogal. Por fim, procuramos examinar as condições nas quais o artista e o intelectual desenvolvem suas obras e o conceito de mediação decorrente de suas atuações. / Este trabajo tiene por objetivo el estudio comparado de Mário de Andrade (1893 - 1945) y José Carlos Mariátegui (1894 - 1930), a través de sus textos críticos sobre arte y literatura. La propuesta para el desarrollo de este estudio se centró en el análisis del proyecto estético e ideológico de estos autores para poder indagar, a partir de esta prerrogativa, el papel del artista y del intelectual frente a su época. En el primer capítulo de esta disertación abordamos la relación entre Mário de Andrade y José Carlos Mariátegui frente al modernismo brasileño y peruano. En el segundo, tratamos de la dicotomía entre la tradición y la modernidad, a través de un \"método moderno\" de observación crítica del arte y de la literatura común a ambos autores. En el tercer capítulo desarrollamos una comparación entre los preceptos provenientes de las vanguardias europeas y dos artistas latinoamericanos: Candido Portinari y José Sabogal. Finalmente, procuramos examinar las condiciones en las que el artista y el intelectual desarrollan sus obras y el concepto de mediación que resulta de sus actuaciones.
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